Caro Operai Contro,
Salvini e Di Maio sono stati muti sul bracciante di 29 anni, Sacko Soumaila del Mali, rappresentante sindacale assassinato a fucilate nelle campagne di San Calogero in provincia di Vibo Valentia. Un altro bracciante è rimasto ferito.
Salvini ministro degli Interni, troppo impegnato nell’avviare una nuova ondata di rimpatri e respingimenti, ieri ha definito “galeotti” i migranti provenienti dalla Tunisia.
Di Maio nuovo Ministro del lavoro e dello Sviluppo economico, ha ritenuto che il bracciante e rappresentante sindacale ucciso a San Calogero, sia un fatto che non riguarda né lui, nè il suo ministero, perciò è stato zitto.
Dove invece Di Maio ieri ha trovato le parole, è stato nell’incontro con i padroni, ha elencato alcune leggi che si è impegnato ad abolire con il suo governo, per agevolare e favorire i padroni stessi.
Per gli operai invece Di Maio ha promesso “un salario minimo per i Riders”. Ma perché il salario deve essere minimo? E poi, non ce ne sono già troppi in giro di salari minimi?
In favore degli operai Di Maio non ha elencato alcun provvedimento, e tantomeno si è impegnato ad abolire qualche legge o misura, come ha fatto in favore dei padroni.
Il Jobs act e la legge Fornero da abolire erano tutte promesse elettorali. Alla precarietà prodotta da queste leggi, ora Di Maio vuole aggiungere altri operai pagati con un salario “minimo”.
Così i salari da fame, la condizione di conclamata schiavitù, la politica di apartheid contro gli operai immigrati, si espande sempre più anche agli operai che immigrati non sono. Per la gioia dei padroni.
Perciò la responsabilità degli operai, è di organizzarsi in un proprio partito, contro i padroni ed il loro sistema. Organizzarsi in quanto operai, a prescindere dalla nazionalità, dalla provenienza, dal colore della pelle.
Saluti Oxervator
Come tutti sanno fare il bracciante agricolo in nero di Calabria, fra Gioia Tauro e Rosarno, magari pagati 1 € per ogni cassetta di mandarini raccolti e vivere nella baraccopoli di San Ferdinando, senza servizi igienici, in tende di fortuna è “una vera pacchia”, destinata naturalmente agli immigrati. Se poi questi si permettono, per sistemare la propria baracca, di utilizzare qualche vecchia lamiera di una fonderia chiusa da tempo, è un vero e proprio “furto” e quindi se qualcuno gli spara, spara a dei ”colpevoli”. Parlare di omicidio è propaganda.
Lo scrive il ”Populista” e altri giornalacci come quello.
E’ accaduto ieri e Soumaila Sacko, migrante maliano di 29 anni, attivista dell’USB, è stato ucciso da fucilate sparate da lontano, apparentemente per quattro pezzi di lamiera arrugginita, in realtà perché chi non accetta di farsi sfruttare impunemente va eliminato in un agguato vigliacco, a fucilate, nel migliore stile mafioso.
Prima di lui quanti sindacalisti italianissimi sono stati uccisi cercando di far passare l’omicidio per “delitto d’onore” o questioni di sesso? Adesso c’è il furto.
Sfruttati, vessati, costretti a vivere in condizioni abitative ignominiose, solo in questo gli stranieri ottengono parità di trattamento. Se osano alzare la testa.
I carabinieri non hanno ancora trovato i colpevoli, ma “escludono il movente xenofobo”.
Non sia mai che qualcuno pensi che l’assassino o gli assassini si siano sentiti giustificati dalle dichiarazioni di Salvini.
Soumaila non poteva essere rimpatriato, non era un clandestino, aveva un regolare permesso di soggiorno. Era uno dei quattromila dannati della terra che raccolgono arance, clementine e kiwi per una paga da fame. Viveva in un campo di raccolta “soluzione temporanea”, che avrebbe dovuto essere sostituito da un accampamento più decoroso. C’è stata la rivolta del 2010, incendi, l’ultimo a gennaio di quest’anno.
Le baracche bruciate sono state sostituite da altre baracche. Mentre Salvini blatera che “non ci possiamo più permettere di mantenere questi immigrati” gli agrari locali lamentano che non ce ne sono abbastanza. Purché si possa tenerli asserviti e disorganizzati.
A questo in realtà mira Salvini. Da buon servo di padroni e padroncini vuole spargere il terrore fra i lavoratori immigrati per spezzarne la resistenza, renderli più malleabili e ricattabili. Additandoli nel contempo come parassiti ai lavoratori italiani per spezzare un possibile fronte comune di lotta.
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Soumaila ha pagato con la vita, come molti lavoratori italiani prima di lui, la difesa dei suoi diritti. E’ questo che lo rende uno di noi.
Forse non delitto xenofobo, ma certo delitto di classe.
Cui va risposto come classe.
Le "bande ordiniste" locali scatenano la "caccia al negro".
La polizia completa il "repulisti" trasferendo gli insorti nei "CIE" di Crotone e di Bari.
Non si è trattato di uno scontro campale tra "neri" e "bianchi", ma di un momento allargato di "guerra sociale" e civile tra proletari e servitori del supersfruttamento del lavoro.
Il "razzismo" è il paravento di turno per lo sfruttamento feroce della manodopera di colore e quando occorre per la "pulizia etnica". La realtà di classe è che lordine attuale, la legalità imperante, poggia, qualunque sia la forma del lavoro salariato (in regola o a nero), sulla razzia della forza-lavoro e del salario al Sud e al Nord.
- Onore ai braccianti insorti a difesa della dignità umana e lavorativa!
- Fuori gli arrestati e i deportati nei "CIE"!
- Pagamento immediato di tutti i salari maturati!
- Salario minimo garantito di 1.250 euro mensili intassabili a favore di disoccupati e sottopagati!
- Fronte proletario di tutti i lavoratori locali e immigrati per lo sviluppo della guerra sociale antipadronale e antistatale!
Quanto è avvenuto il 7 l8 e il 9 gennaio a Rosarno nella piana di Gioia Tauro in Provincia di Reggio Calabria è un momento allargato della guerra sociale degli sfruttati contro la razzia padronale del lavoro; uno spaccato dellinasprimento violento dello scontro sociale nella realtà meridionale. E merita una attenta riflessione e soprattutto un deciso adeguamento pratico, organizzativo e operativo. Proviamo, con questa presa di posizione, di rispondere alla duplice esigenza.
Il sollevamento dei braccianti africani un consolidamento e unestensione della determinazione di classe dimostrata nella rivolta del 19 settembre 2008 a Castel Volturno
A Rosarno, uno dei 33 comuni della Piana di Gioia Tauro specializzata nella produzione agrumicola e che conta 16.000 abitanti, sono concentrati circa 2.000 immigrati africani, provenienti dallarea subsahariana e dal magreb, che dormono in periferia in condizioni sottobestiali. La Piana è dominata dal caporalato e dal lavoro nero. Allimmigrato, che sgobba dalla mattina alla sera e che ha una apprezzata competenza agricola, viene corrisposto dagli agricoltori un salario di 25-30 euro, che, al netto del compenso al caporale, si riduce in media a 20 euro giornalieri. La condizione di questi immigrati è di supersfruttamento feroce. A Rosarno, contro gli immigrati, cè stato sempre un clima di sopraffazione e di violenza, vuoi per tenerli schiacci vuoi per derubarli. Un episodio, che fa da premessa agli avvenimenti attuali, è il ferimento di due ivoriani il 12 dicembre 2008, cui ha fatto seguito una vibrante protesta pacifica degli immigrati. Supersfruttamento e soprusi, perpetrati da padroni e estortori, sono quindi i termini specifici dei rapporti sociali in loco.
Giovedì 7 gennaio tre giovani a bordo di una vettura nera sparano a bruciapelo con una pistola ad aria compressa su due immigrati ferendone uno al braccio. Lazione lesiva è la scintilla che fa divampare lincendio. Gli immigrati si riversano sulle strade e assaltano le auto che transitano vicino. Cacciano gli autisti e i passeggeri per potere sfogare la rabbia sulle cose. Mandano in frantumi diverse vetrine dei negozi condannando lennesima prepotente aggressione. Il punto centrale della rivolta è la fatiscente ex fabbrica Rognetta ove passa la notte un migliaio di braccianti. Gli insorti innalzano barricate dando fuoco a copertoni cassonetti e immondizie e ad alcune vetture. Laltro punto è costituito dallaltro squallido dormitorio, uno stabilimento della ex Opera Sila in rovina, a Sud del paese ove si accalcano svariate centinaia di immigrati. Nella notte gli insorti preparano la dimostrazione di venerdì mattina.
La giornata dell8 gennaio
lo scontro campale tra gli insorti e le "bande ordiniste"
Il venerdì 8 gennaio è la giornata di mobilitazione degli immigrati nonché delle bande ordiniste che aizzano alla contro-rivolta e lanciano la caccia al negro. La mattinata è dominata dalla forza di movimento degli immigrati. In massa essi muovono verso il Municipio per parlare col commissario prefettizio (essendo il Comune sotto commissariamento per complicità con la ndrangheta). Nel cammino lasciano una scia di cassonetti rovesciati di auto danneggiate di vetrine infrante. Scendono lungo la statale, ove vengono di solito selezionati dai caporali, fanno piazza pulita di ogni cosa che trovano davanti. La casa di un uomo che spara sul corteo viene circondata e lo sparatore sottratto ai dimostranti dalle forze dellordine. Il pourparler in Comune non dà alcun esito e alla fine i dimostranti tolgono lassedio e ritornano ai punti di partenza.
La seconda parte della giornata è dominata dalla reazione armata delle bande. Intanto un sedicente "comitato spontaneo" costituito dallex assessore di destra (Domenico Ventre) raccoglie le donne davanti il Municipio. Vengono chiusi i negozi. Le bande bloccano la statale per Gioia Tauro e attaccano gli elementi isolati. Due neri vengono colpiti alle gambe da una raffica di pallini da caccia; altri due vengono presi a sprangate; altri sei vengono investiti dalle auto e da una ruspa. Ci sono assalti e scontri in paese e anche nelle campagne circostanti. Gli immigrati fronteggiano a viso alto le bande finché negli scontri non ci sono armi da sparo; quando tuonano le fucilate essi ripiegano nei due fetidi dormitori. A Sud, a circa 100 metri dal dormitorio, si installa una banda munita di molotov e di armi da sparo. Il bilancio della giornata registra 53 feriti: 21 braccianti, 18 appartenenti alle forze dellordine, 14 locali.
La mancata solidarietà operaia,
il ripiegamento e linternamento nei "Cie"
..segue ./.
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