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La VOCE ANNO XXX N°6 | febbraio 2025 | PAGINA D - 36 |
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Segue da Pag.35: Privatizzare la Siria: Gli USA pianificano il collasso post-Assad
Terapia d'urto Nel lungo smantellamento politico ed economico della Siria si avvertono echi inquietanti della distruzione della Jugoslavia operata dall'Impero negli anni '90. Durante quel decennio, la disgregazione della federazione socialista multietnica ha prodotto aspre guerre d'indipendenza in Bosnia, Croazia e Slovenia - incoraggiate, finanziate, armate e prolungate in ogni fase dalle potenze occidentali. La percezione della centralità di Belgrado in questi brutali conflitti e la presunta complicità e sponsorizzazione di orrendi crimini di guerra hanno portato il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite a imporre sanzioni contro ciò che restava del Paese nel maggio 1992. Le misure furono le più dure mai imposte nella storia delle Nazioni Unite. A un certo punto, l'inflazione raggiunse il 5,578 quintilioni di punti percentuali, l'abuso di droghe, l'alcolismo, le morti evitabili e i suicidi salirono alle stelle, mentre la scarsità di beni - compresa l'acqua - era perenne. L'industria indipendente della Jugoslavia, un tempo fiorente, era paralizzata e la sua capacità di produrre persino le medicine di uso quotidiano era praticamente inesistente. Nel febbraio 1993, secondo la CIA, i cittadini medi si erano “abituati a carenze periodiche, lunghe file nei negozi, case fredde in inverno e restrizioni sull'elettricità”. Osservando il disastro anni dopo, la rivista statunitense Empire House Foreign Affairs notò che le sanzioni contro la Jugoslavia dimostrarono come “in pochi mesi o anni intere economie possono essere devastate” e tali misure possono servire come “armi di distruzione di massa” particolarmente letali contro le popolazioni civili dei Paesi bersaglio. Eppure, nonostante la desolazione e la miseria, per tutto questo periodo Belgrado ha resistito alla privatizzazione, alla proprietà straniera delle sue industrie o al saccheggio delle sue vaste risorse. La stragrande maggioranza dell'economia jugoslava era di proprietà dello Stato o dei lavoratori. Inoltre, come la Siria, la Jugoslavia non era membro del Fondo Monetario Internazionale, della Banca Mondiale o dell'Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC), il che ha contribuito a isolare il Paese dalla predazione economica occidentale. Nel 1998, tuttavia, le autorità hanno iniziato a condurre una pesante controinsurrezione contro l'Esercito di Liberazione del Kosovo, una milizia estremista legata ad Al Qaeda finanziata e armata dalla CIA e dall'MI6. Ciò fornì all'Impero il pretesto per portare finalmente a termine il lavoro di neutralizzazione di ciò che rimaneva del sistema socialista del Paese, attraverso i bombardamenti della NATO. Come ammise in seguito un funzionario dell'amministrazione Clinton: “È stata la resistenza della Jugoslavia alle più ampie tendenze di riforma politica ed economica [nell'Europa orientale] - non la situazione degli albanesi del Kosovo - a spiegare meglio la guerra della NATO”. Dal marzo al giugno 1999, l'alleanza militare attaccò la Jugoslavia per 78 giorni di fila. Tuttavia, l'esercito di Belgrado non è mai intervenuto sulla linea di combattimento. In totale, ufficialmente solo 14 carri armati jugoslavi furono distrutti dalla NATO, ma 372 diversi impianti industriali furono ridotti in frantumi, lasciando centinaia di migliaia di persone senza lavoro. L'alleanza si avvalse delle indicazioni delle aziende statunitensi su quali siti colpire, e non fu colpita nemmeno una fabbrica straniera o privata. L'assalto della NATO gettò le basi per la destituzione del leader jugoslavo Slobodan Milosevic attraverso una rivoluzione colorata sponsorizzata dalla CIA e dal National Endowment for Democracy nell'ottobre dell'anno successivo. Al suo posto è poi salito al potere un governo ostinatamente filo-occidentale, consigliato da un gruppo di economisti del libero mercato sponsorizzati dagli Stati Uniti. La loro missione esplicita era quella di “creare un ambiente economico favorevole agli investimenti privati e di altro tipo” a Belgrado. Appena insediato, il governo adottò misure devastanti di “terapia d'urto”, a danno di una popolazione già immiserita e impoverita. Nei decenni successivi, i vari governi dell'ex Jugoslavia sostenuti dall'UE e dagli Stati Uniti hanno attuato una serie infinita di “riforme” neoliberali, al fine di garantire un ambiente “favorevole agli investitori” in loco per i ricchi oligarchi e le società occidentali. Di pari passo, i bassi salari e la mancanza di opportunità di lavoro a livello locale persistono o peggiorano, mentre il costo della vita aumenta costantemente, producendo uno spopolamento di massa, tra gli altri effetti distruttivi. Inoltre, i funzionari statunitensi intimamente coinvolti nella disgregazione del Paese hanno cercato sfacciatamente di arricchirsi personalmente con la privatizzazione delle ex industrie statali. |
Un simile destino attende Damasco? Per Alexander McKay, la risposta è un
sonoro “sì”. Ora “libera”, la Siria sarà resa forzatamente sempre più “dipendente dalle importazioni dall'Occidente”. Questo non solo ingrassa i profitti dell'Impero, ma “limita fortemente la libertà di qualsiasi governo siriano di agire con un qualsiasi grado di indipendenza”. Egli osserva che sforzi simili sono stati intrapresi in tutto il mondo durante l'era post-1989 dell'unipolarismo statunitense. Questo è stato ben avviato in Russia durante gli anni '90, “fino a quando non è iniziata una svolta sotto Putin, dopo il 2000”:
“L'obiettivo è ridurre la Siria allo stesso status del Libano, con un'economia controllata dalle forze imperiali, un esercito utilizzato principalmente per la repressione interna e un'economia non più in grado di produrre nulla, ma solo di servire da mercato per le merci prodotte altrove e da sito di estrazione delle risorse. Gli Stati Uniti e i loro alleati non vogliono uno sviluppo indipendente dell'economia di nessuna nazione. Dobbiamo sperare che il popolo siriano possa resistere a questo ultimo atto di neocolonialismo”. (Traduzione de l'AntiDiplomatico) Gli Stati Uniti costruiscono una nuova base militare in Siria![]() Ieri, come ha riferito l’Osservatorio siriano per i diritti umani (OSDH) un convoglio di circa 50 camion, è entrato nelle aree controllate dalle milizie curde siriane, le cosiddette Forze Democratiche Siriane (SDF), sostenute da Washington, nella Siria nordorientale. I camion trasportavano stanze prefabbricate, telecamere di sorveglianza, blocchi di cemento e cisterne di carburante, tra le varie attrezzature L’OSDH ha precisato che, il convoglio, scortato dalle milizie delle SDF, si è diretto verso la zona di Ain al-Arab (Kobani), percorrendo l'autostrada Al-Hasaka-Al-Raqqa. La città strategica a maggioranza curda di Ain al-Arab, situata al confine tra Turchia e Siria, secondo quanto ipotizzato dai media locali, ospiterà la nuova struttura militare statunitense. Mercoledì scorso, gli Stati Uniti ha anche inviato un convoglio di rinforzi logistici ad Ain al-Arab, tra cui materiali da costruzione e macchinari per scavare trincee. I lavori di costruzione dovrebbero iniziare la prossima settimana, con il successivo arrivo di rinforzi militari, tra cui soldati, armi, veicoli blindati, radar e sistemi antiaerei. Approfittando del caos e delle tensioni militari e di sicurezza dopo la caduta del governo dell'ex presidente Bashar al-Assad e l'ascesa al potere dele milizie jihadiste, gli Stati Uniti hanno rafforzato la propria presenza militare in Siria, soprattutto, per proteggere i giacimenti petroliferi e di gas presenti in questa zona del paese arabo che saccheggiano da quasi dieci anni. Tecnologia ipersonica: la Cina sfida i limiti del calore estremo..segue ./.
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