La VOCE   COREA   CUBA   PALESTINA   RUSSIA   SCIENZA 

Stampa pagina

 Stampa inserto 

La VOCE

  P R E C E D E N T E   

    S U C C E S S I V A  

GIÙ

SU

La VOCE ANNO XXX N°6

febbraio 2025

PAGINA a         - 25

Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
"La VOCE" è un sito web di informazione indipendente e non rappresenta una testata giornalistica ai sensi della legge 62/2011.
Qualora le notizie o le immagini pubblicate violassero eventuali diritti d’autore, basta che ci scriviate e saranno immediatamente rimosse.

Da non dimenticare

La politica del tradimento: Jenin, Abbas e il paesaggio infernale di Gaza

di Abdaljawad Omar


La campagna mortale dell’ANP contro la resistenza a Jenin rompe i tabù di lunga data contro lo spargimento di sangue palestinese. Sta anche sollevando profondi interrogativi sul futuro della resistenza di fronte al genocidio di Gaza.

Da più di tre settimane, l’Autorità Nazionale Palestinese conduce “l’operazione per proteggere la nazione”, una campagna su larga scala per smantellare la resistenza palestinese organizzata nella parte settentrionale della Cisgiordania.

L’operazione mira a disarmare le fazioni, composte principalmente da giovani nei campi profughi, che si sono radicate a Jenin e nelle sue zone rurali negli ultimi due anni. A oggi, l’operazione ha causato la morte di tre palestinesi per mano delle forze di sicurezza palestinesi. Sono stati uccisi anche due ufficiali
dell’ANP.

Durante l’operazione, un video ampiamente diffuso ha ripreso un giovane combattente palestinese a Jenin che si confrontava con i membri delle Forze di sicurezza palestinesi (FSP), attimi pesanti delle tensioni irrisolte che frantumano la società palestinese.

La sua voce, ferma, afflitta e accusatrice, è l’unico suono che sentiamo. Essa taglia la scena sia come un’arma sia come un lamento, accusando le FSP di tradimento e di cordoglio per la disintegrazione di uno scopo nazionale condiviso.

Il giovane svergogna le FSP, evocando il ricordo dei soldati israeliani caduti o feriti sulla stessa strada che le Forze ora usano per affermare il controllo sul campo profughi di Jenin, un bruciante promemoria delle battaglie combattute dalla resistenza contro un nemico potente.

Una voce maschile che chiede alle FSP di ritrovare la virilità rifiutandosi di combattere la resistenza e di unirsi a essa. Parole irruenti colme di dolore e urgenza, che al contempo accusano le FSP di aver perduto la loro virilità e implorano di non costringere la resistenza a usare una forza letale.

Con un misto di furia e moderazione, egli indica la potenza della resistenza palestinese in Jenin: arrangiati ordigni esplosivi in agguato che non detonano, una calcolata moderazione per trasmettere forza e scopo, ma anche la scelta di non colpire le FSP.

Alla fine del video, la sua voce si alza in un crescendo angosciato: “Ya Ḥayif”, grida, un lamento che riverbera il peso del tradimento e della perdita, pronunciato in momenti di profonda delusione e incredulità.

La frase Ya Hayif è usata colloquialmente in tutto il Bilad al-Sham (NdT: Balad al-Sham indica la Grande Siria, da non confondere con la Siria odierna) per esprimere profondo dolore, rammarico o delusione di fronte a torti percepiti.

Nell’ultimo decennio, vari episodi hanno messo a nudo le profonde fratture all’interno della società palestinese, ma pochi hanno avuto una risonanza così profonda come la voce di Aseel Suliman.

Il 20 novembre 2020, in una puntata di due minuti, il conduttore radiofonico di una radio locale criticò ferocemente la decisione dell’ANP di riprendere il coordinamento della sicurezza con Israele, una mossa che il ministro del coordinamento civile, Hussein al-Sheikh, aveva inopportunamente salutato come una “vittoria per la Palestina”.

La voce di Suliman, tremante di indignazione, ha canalizzato la frustrazione di un pubblico a lungo disilluso dai tentativi dell’ANP di ridefinire la sottomissione come trionfo.

Le sue parole hanno smantellato la vuota retorica, troncando strati di atteggiamenti politici con cruda chiarezza. Alla fine della trasmissione, ha mandato in onda la poesia di Amal Dunqul, il poeta egiziano cantore del cuore spezzato e della sfida.

Dunqul nella sua poesia “Non conciliare” evoca lo spettro di un arabo svuotato dalla vergogna, una figura che tradisce l’innocenza dei ricordi d’infanzia e che, dopo anni di lotta, sceglie la via della normalizzazione con il nemico: una sottomissione tranquilla mascherata da pragmatismo.

“Il mio sangue si trasformerebbe in acqua nei tuoi occhi?” scrive, l’accusa risuona forte e intima. “Dimenticheresti i miei vestiti, bagnati di sangue? Ti copriresti tu stesso, sopra il mio sangue, con i vestiti d’argento e d’oro?”

Le sue parole sono implacabili, un’autopsia poetica del tradimento, che esplora le difficili intersezioni tra memoria, dignità e complicità. Sebbene la poesia di Dunqul sia stata scritta come un inno contro lo spettro incombente della pace egiziana con Israele nel 1976, da tempo ha superato il suo contesto immediato.
..segue ./.

  P R E C E D E N T E   

    S U C C E S S I V A  

Stampa pagina

 Stampa inserto 

La VOCE

 La VOCE   COREA   CUBA   PALESTINA   RUSSIA   SCIENZA 

Visite complessive:
Copyright - Tutti gli articoli possono essere liberamente riprodotti con obbligo di citazione della fonte.