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La VOCE 2103

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La VOCE ANNO XXIII N°7

marzo 2021

PAGINA 7

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segue da pag.6: l’anti-draghi. in altri termini, si potrebbe parlare di un vero e proprio complesso di cassandra o del grillo parlante, incapace di comprendere che, come non a caso si dice, la “ragione è dei fessi”. si tratterebbe, dunque, di abbandonare finalmente lo spirito donchisciottesco da uomo della virtù destinato immancabilmente a essere sconfitto dall’uomo del corso del mondo. in altri termini sarebbe necessario un sano bagno di realismo, ricordando che nel conflitto sociale – motore della storia in una società classista – ciò che conta effettivamente sono i rapporti di forza che si è in gradi di mettere in campo. da questo punto di vista bisognerebbe avere il coraggio di abbandonare le proprie abituali piccole ambizioni, di mera autoconservazione del proprio esistente – preoccupandosi essenzialmente del proprio particulare –, per sviluppare le grandi ambizioni di chi si impegna effettivamente nel processo di trasformazione del mondo. a questo scopo diviene indispensabile operare in funzione della ricostruzione del moderno principe in grado di costruire un blocco sociale alternativo e credibile, in quanto non più egemonizzato dalle distopie della piccola borghesia – che vagheggiano il ritorno a una presunta età dell’oro del capitalismo – ma dal proletariato, unica classe in sé rivoluzionaria. naturalmente non si deve cadere nel tipico errore dell’anarchico piccolo-borghese populista, che considera in modo infantile l’essere in sé come se fosse, in quanto tale, l’essere per sé. come se l’oppressione, lo sfruttamento, l’ingiustizia provocassero da sé il loro superamento rivoluzionario. da qui l’illusoria scorciatoia di sviluppare un populismo di sinistra che solo permetterebbe di porsi alla guida dei subalterni in quanto tali rivoluzionari. al contrario i subalterni sono tali non solo perché sono oppressi e sfruttati dalle classi dominanti, ma anche perché sono egemonizzati – in quanto privi di una visione del mondo realmente alternativa – dall’ideologia dominante. in tal modo, consentono ai ceti dominanti di mantenere il proprio dominio con il supporto attivo o passivo degli stessi ceti subalterni. del resto, se non c’è teoria rivoluzionaria non può esserci prassi rivoluzionaria. purtroppo la teoria rivoluzionaria non nasce spontaneamente dalle condizioni di oppressione e sfruttamento. perciò lo spontaneismo privo di una direzione consapevole può portare al massimo al tradeunionismo o alle jacqueries, come ci hanno ampliamente dimostrato, ancora una volta, le primavere arabe. d’altra parte, una direzione consapevole, per essere tale, deve dimostrarsi in grado di conquistarsi il ruolo di avanguardia all’interno di movimenti spontanei di massa. delle avanguardie prive di un largo seguito rischiano di rimanere i soliti ciarlieri generali senza esercito. peraltro, la riedizione del governo tecnico di unità nazionale non potrà che favorire lo sviluppo di quei presupposti oggettivi che sono la conditio sine qua non di ogni reale soggettività rivoluzionaria. quest’ultima naturalmente non sorge per partenogenesi, né può essere considerata idealisticamente come un prodotto coscienziale. anche in tal caso determinanti saranno non le aspirazioni soggettive, mai i fatti che si è oggettivamente in grado di produrre, anche perché l’unico giudizio universale non può che rimanere quello della storia. ora fra proletari e lavoratori dipendenti è spontaneamente presente la correlazione fra governo tecnico del grande capitale finanziario e necessità di mettere mano al portafoglio, da parte di chi è stato sempre costretto a pagare il conto in queste situazioni. d’altra parte, abbiamo visto nuovamente come i mezzi di comunicazione di massa si sono immediatamente messi all’opera, come un solo uomo, per mistificare ideologicamente il sano buon senso presente nelle classi subalterne. perciò, anche in questo caso sarà necessario attrezzarsi per una logorante guerra di posizione per cercare di strappare al nemico le casematte della società civile indispensabili per riuscire a mettere in discussione la capacità di egemonia della classi dominanti sui ceti subalterni. «lei ha pure famiglia».
biagio agnes, figlio di un capotreno delle ferrovie dello stato, è stato giornalista, dirigente pubblico e dirigente d’azienda italiano. nel 2002, per la precisione l’11 dicembre, è chiamato a deporre dinanzi alla commissione parlamentare di inchiesta sull’affare telekom-serbia in qualità di presidente pro tempore di stet. il colloquio tra il presidente della commissione e agnes, segnalatomi dal compagno angelo ruggeri e disponibile online, è illuminante su chi sia il nostro futuro presidente del consiglio, il dott. mario draghi. ne riporto le parti salienti. presidente: “abbiamo un’intervista apparsa su «il giornale» in data 7 febbraio 2000 dal titolo «fu romano prodi a farmi fuori dalla stet», in cui lei spiega l’incontro con draghi nel gennaio 1997 (...) che a suo dire fu molto cordiale ed estremamente piacevole. a neanche ventiquattro ore dall’incontro con draghi, lei riceve una telefonata a casa in cui apprende che il ministro del tesoro ciampi la attende alle ore 11 al ministero. lei, meravigliato, telefona a ernesto pascale, apprendendo che anche lui è stato convocato al ministero per le 9 del mattino. il giorno dopo lei attende in ufficio il ritorno di pascale che dice: «mi hanno chiesto le dimissioni; mi hanno detto che è meglio per me e io mi sono dimesso». il presidente agnes – cioè lei – dice che non si sarebbe dimesso, mentre pascale consiglia: «non fare sciocchezze, fallo!». alle ore 11 lei giunge al ministero del tesoro dove viene ricevuto da ciampi e draghi. il ministro la riempie di elogi tanto da farla arrossire, ma poi a freddo (si legge sul giornale) le comunica che sarebbe meglio se si dimettesse da stet: «lo vuole prodi» le confida draghi. ci vuole dire, per favore, che cosa è successo e se questo racconto ha bisogno di modifiche oppure è l’esatto specchio della situazione?” biagio agnes: “a parte gli orari, il resto è vero e dirò come è andata. vengo convocato la mattina per telefono mentre mi trovavo a casa per le ore 18.30 del pomeriggio. chiedo a pascale e apprendo che anche lui è stato convocato per le 15 del pomeriggio. alle 18.30, prima di andare all’appuntamento, vedo pascale il quale mi dice di essersi dimesso perché glielo hanno chiesto anche se non ha capito bene il motivo. rispondo che io non mi sarei dimesso perché non vedrei motivi per farlo. vado all’appuntamento e sono ricevuto dall’allora ministro del tesoro ciampi e dal dottor draghi. premetto che corrisponde al vero il fatto che ventiquattro ore prima avevo visto il dottor draghi, che non conoscevo, con cui ho parlato di strategie e della stet – che peraltro stava attraversando un buon momento – e con il quale ci siamo lasciati dicendo «ci rivediamo». il giorno dopo è avvenuto quello che è avvenuto. sono andato all’appuntamento al ministero del tesoro dove si è svolto un colloquio molto, molto civile con il ministro ciampi, presente draghi. alla richiesta di dimissioni, motivate dal fatto che era meglio che nuove forze facessero le privatizzazioni, ho opposto un diniego al quale il ministro del tesoro ha risposto: «la capisco, non posso dire che fa male, faccia come vuole». ci siamo salutati e il dottor draghi mi ha accompagnato alla macchina. insieme abbiamo preso l’ascensore e parlando, draghi mi ha chiesto: «perché non si vuole dimettere? l’ha fatto anche pascale». ho risposto: «pascale ha i suoi motivi, io ho i miei e non intendo dimettermi». ha continuato con: «ma chi glielo fa fare, chissà i giornali che cosa diranno...!» e io ho controbattuto: «diranno che non mi sono dimesso, non possono dire altro». «le conviene dimettersi, lei ha pure famiglia, perché non deve dimettersi? pensi a tante cose!».” (...) presidente: “abbiamo il testo dove lei dice, dopo una serie di omissis, «tutto appare improprio, illogico, ingiustificato, ma io non posso non accogliere questo invito per la tranquillità mia e della mia famiglia». che cosa vuol dire?” biagio agnes: ho ripetuto le stesse parole di draghi. sono andato via dal civilissimo incontro con il ministro del tesoro con la sicurezza di non dimettermi; dopo il colloquio in ascensore con draghi, ci ho ripensato, ho fatto qualche telefonata a mia moglie e mi sono dimesso. governo draghi, per chi suona la campanella. comitato promotore della campagna #no guerra #no nato. italia. manlio dinucci - (il manifesto, 16 febbraio 2021). con la tradizionale cerimonia della campanella, è avvenuto a palazzo chigi il passaggio di consegne tra giuseppe conte e mario draghi. in attesa di verificare quale sarà il programma politico del nuovo governo multipartisan, sostenuto da quasi l’intero arco parlamentare, se ne possono prevedere le linee guida attraverso i curricula di alcuni ministri e del presidente del consiglio. il fatto che alla difesa e agli esteri siano stati riconfermati roberto guerini (pd) e luigi di maio (5 stelle) indica che il governo draghi rafforzerà ulteriormente l’«atlantismo», ossia l’appartenenza dell’italia alla nato sotto comando usa. emblematici gli ultimi atti dei due ministri nel precedente governo. guerini si è recato sulla portaerei cavour, nave ammiraglia della marina militare, che da taranto salpava per gli stati uniti dove acquisirà la certificazione per operare con i caccia di 5a generazione f-35b della lockheed martin. dopo aver ribadito che «il rapporto transatlantico con gli stati uniti – una grande nazione con cui il nostro paese ha un legame profondo – riveste un ruolo essenziale per l’italia», il ministro ha sottolineato che «l’italia diventerà uno dei pochi paesi al mondo, insieme a stati uniti, gran bretagna e giappone, a esprimere una capacità portaerei con velivoli da combattimento di 5ª generazione». merito soprattutto del gruppo leonardo, il maggiore produttore bellico italiano, che partecipa alla costruzione degli f-35. di maio, sulla scia della strategia usa/nato, si è recato a riad dove ha firmato un memorandum d’intesa di «dialogo strategico» con l’arabia saudita, la monarchia assoluta che il gruppo leonardo assiste nell’uso dei caccia eurofighter typhoon che bombardano lo yemen, fornendole anche droni per individuare gli obiettivi da attaccare, e per la quale costruisce negli stati uniti navi da guerra del tipo più avanzato. lo stesso gruppo leonardo ricompare nel curriculum del fisico roberto cingolani, messo alla guida del nuovo «superministero» (richiesto da grillo) della transizione ecologica: cingolani, specializzato in nanotecnologia e robotica, dal 2019 è responsabile del dipartimento tecnologia e innovazione del gruppo leonardo, «protagonista globale nell’aerospazio, difesa e sicurezza», sempre più integrato nel gigantesco complesso militare-industriale usa. il 30% dell’azionariato del gruppo leonardo è posseduto dal ministero dello sviluppo economico, alla cui direzione è stato posto giancarlo giorgetti, numero due della lega e braccio destro di matteo salvini. definito «esperto di conti», penserà lui a gestire i 30 miliardi di euro già stanziati dal suo ministero a fini militari e gli altri 25 richiesti dal recovery fund, per portare la spesa militare italiana da 26 a 36 miliardi annui come richiesto da usa e nato. compito che sarà affidato anche al neo ministro dell'economia e finanze, daniele franco, già direttore generale della banca d’italia, ufficialmente istituto di diritto pubblico, al cui capitale partecipano 160 banche e fondi pensione. nel nuovo governo, i «tecnici» hanno più potere dei «politici». lo dimostra anzitutto il curriculum di mario draghi: da direttore esecutivo della banca mondiale a washington a direttore del ministero del tesoro a roma dove è artefice delle privatizzazioni delle maggiori aziende pubbliche italiane, da vicepresidente della statunitense goldman sachs (una delle più grandi banche d’affari del mondo) a governatore della banca d’italia e a presidente della banca centrale europea. draghi è allo stesso tempo uno dei protagonisti del gruppo dei trenta, potente organizzazione internazionale di finanzieri, con sede a washington, creata nel 1978 dalla fondazione rockefeller. si rafforza quindi, col governo draghi, il potere del complesso militare industriale e dell’alta finanza, con una ulteriore perdita dei principi di sovranità e ripudio della guerra sanciti dalla costituzione. se non è così, il ministero della transizione ecologica inizi la sua attività eliminando la maggiore minaccia che grava sul nostro ambiente di vita: le armi nucleari usa installate in italia.
Segue da Pag.6: L’Anti-Draghi

In altri termini, si potrebbe parlare di un vero e proprio complesso di Cassandra o del grillo parlante, incapace di comprendere che, come non a caso si dice, la “ragione è dei fessi”. 

Si tratterebbe, dunque, di abbandonare finalmente lo spirito donchisciottesco da uomo della virtù destinato immancabilmente a essere sconfitto dall’uomo del corso del mondo. In altri termini sarebbe necessario un sano bagno di realismo, ricordando che nel conflitto sociale – motore della storia in una società classista – ciò che conta effettivamente sono i rapporti di forza che si è in gradi di mettere in campo. 

Da questo punto di vista bisognerebbe avere il coraggio di abbandonare le proprie abituali piccole ambizioni, di mera autoconservazione del proprio esistente – preoccupandosi essenzialmente del proprio particulare –, per sviluppare le grandi ambizioni di chi si impegna effettivamente nel processo di trasformazione del mondo.

A questo scopo diviene indispensabile operare in funzione della ricostruzione del moderno principe in grado di costruire un blocco sociale alternativo e credibile, in quanto non più egemonizzato dalle distopie della piccola borghesia – che vagheggiano il ritorno a una presunta età dell’oro del capitalismo – ma dal proletariato, unica classe in sé rivoluzionaria. Naturalmente non si deve cadere nel tipico errore dell’anarchico piccolo-borghese populista, che considera in modo infantile l’essere in sé come se fosse, in quanto tale, l’essere per sé. Come se l’oppressione, lo sfruttamento, l’ingiustizia provocassero da sé il loro superamento rivoluzionario. Da qui l’illusoria scorciatoia di sviluppare un populismo di sinistra che solo permetterebbe di porsi alla guida dei subalterni in quanto tali rivoluzionari. Al contrario i subalterni sono tali non solo perché sono oppressi e sfruttati dalle classi dominanti, ma anche perché sono egemonizzati – in quanto privi di una visione del mondo realmente alternativa – dall’ideologia dominante. In tal modo, consentono ai ceti dominanti di mantenere il proprio dominio con il supporto attivo o passivo degli stessi ceti subalterni.

Del resto, se non c’è teoria rivoluzionaria non può esserci prassi rivoluzionaria. Purtroppo la teoria rivoluzionaria non nasce spontaneamente dalle condizioni di oppressione e sfruttamento. Perciò lo spontaneismo privo di una direzione consapevole può portare al massimo al tradeunionismo o alle jacqueries, come ci hanno ampliamente dimostrato, ancora una volta, le primavere arabe.

D’altra parte, una direzione consapevole, per essere tale, deve dimostrarsi in grado di conquistarsi il ruolo di avanguardia all’interno di movimenti spontanei di massa. Delle avanguardie prive di un largo seguito rischiano di rimanere i soliti ciarlieri generali senza esercito.

Peraltro, la riedizione del governo tecnico di unità nazionale non potrà che favorire lo sviluppo di quei presupposti oggettivi che sono la conditio sine qua non di ogni reale soggettività rivoluzionaria. Quest’ultima naturalmente non sorge per partenogenesi, né può essere considerata idealisticamente come un prodotto coscienziale. Anche in tal caso determinanti saranno non le aspirazioni soggettive, mai i fatti che si è oggettivamente in grado di produrre, anche perché l’unico giudizio universale non può che rimanere quello della storia.

Ora fra proletari e lavoratori dipendenti è spontaneamente presente la correlazione fra governo tecnico del grande capitale finanziario e necessità di mettere mano al portafoglio, da parte di chi è stato sempre costretto a pagare il conto in queste situazioni. D’altra parte, abbiamo visto nuovamente come i mezzi di comunicazione di massa si sono immediatamente messi all’opera, come un solo uomo, per mistificare ideologicamente il sano buon senso presente nelle classi subalterne. Perciò, anche in questo caso sarà necessario attrezzarsi per una logorante guerra di posizione per cercare di strappare al nemico le casematte della società civile indispensabili per riuscire a mettere in discussione la capacità di egemonia della classi dominanti sui ceti subalterni.


«Lei ha pure famiglia»



Biagio Agnes, figlio di un capotreno delle Ferrovie dello Stato, è stato giornalista, dirigente pubblico e dirigente d’azienda italiano. Nel 2002, per la precisione l’11 dicembre, è chiamato a deporre dinanzi alla Commissione parlamentare di inchiesta sull’affare Telekom-Serbia in qualità di presidente pro tempore di Stet. Il colloquio tra il presidente della Commissione e Agnes, segnalatomi dal compagno Angelo Ruggeri e disponibile online, è illuminante su chi sia il nostro futuro presidente del consiglio, il dott. Mario Draghi. Ne riporto le parti salienti.

Presidente: “Abbiamo un’intervista apparsa su «il Giornale» in data 7 febbraio 2000 dal titolo «Fu Romano Prodi a farmi fuori dalla Stet», in cui lei spiega l’incontro con Draghi nel gennaio 1997 (...) che a suo dire fu molto cordiale ed estremamente piacevole. A neanche ventiquattro ore dall’incontro con Draghi, lei riceve una telefonata a casa in cui apprende che il ministro del Tesoro Ciampi la attende alle ore 11 al ministero. Lei, meravigliato, telefona a Ernesto Pascale, apprendendo che anche lui è stato convocato al ministero per le 9 del mattino. Il giorno dopo lei attende in ufficio il ritorno di Pascale che dice: «mi hanno chiesto le dimissioni; mi hanno detto che è meglio per me e io mi sono dimesso». Il presidente Agnes – cioè lei – dice che non si sarebbe dimesso, mentre Pascale consiglia: «non fare sciocchezze, fallo!». Alle ore 11 lei giunge al ministero del Tesoro dove viene ricevuto da Ciampi e Draghi. Il ministro la riempie di elogi tanto da farla arrossire, ma poi a freddo (si legge sul giornale) le comunica che sarebbe meglio se si dimettesse da Stet: «lo vuole Prodi» le confida Draghi. Ci vuole dire, per favore, che cosa è successo e se questo racconto ha bisogno di modifiche oppure è l’esatto specchio della situazione?”

Biagio Agnes: “A parte gli orari, il resto è vero e dirò come è andata. Vengo convocato la mattina per telefono mentre mi trovavo a casa per le ore 18.30 del pomeriggio. Chiedo a Pascale e apprendo che anche lui è stato convocato per le 15 del pomeriggio. Alle 18.30, prima di andare all’appuntamento, vedo Pascale il quale mi dice di essersi dimesso perché glielo hanno chiesto anche se non ha capito bene il motivo. Rispondo che io non mi sarei dimesso perché non vedrei motivi per farlo. Vado all’appuntamento e sono ricevuto dall’allora ministro del Tesoro Ciampi e dal dottor Draghi. Premetto che corrisponde al vero il fatto che ventiquattro ore prima avevo visto il dottor Draghi, che non conoscevo, con cui ho parlato di strategie e della Stet – che peraltro stava attraversando un buon momento – e con il quale ci siamo lasciati dicendo «ci rivediamo». Il giorno dopo è avvenuto quello che è avvenuto. Sono andato all’appuntamento al ministero del Tesoro dove si è svolto un colloquio molto, molto civile con il ministro Ciampi, presente Draghi. Alla richiesta di dimissioni, motivate dal fatto che era meglio che nuove forze facessero le privatizzazioni, ho opposto un diniego al quale il ministro del Tesoro ha risposto: «la capisco, non posso dire che fa male, faccia come vuole». Ci siamo salutati e il dottor Draghi mi ha accompagnato alla macchina. Insieme abbiamo preso l’ascensore e parlando, Draghi mi ha chiesto: «Perché non si vuole dimettere? L’ha fatto anche Pascale». Ho risposto: «Pascale ha i suoi motivi, io ho i miei e non intendo dimettermi». Ha continuato con: «Ma chi glielo fa fare, chissà i giornali che cosa diranno...!» e io ho controbattuto: «Diranno che non mi sono dimesso, non possono dire altro». «Le conviene dimettersi, lei ha pure famiglia, perché non deve dimettersi? Pensi a tante cose!».

(...)

Presidente: “Abbiamo il testo dove lei dice, dopo una serie di omissis, «tutto appare improprio, illogico, ingiustificato, ma io non posso non accogliere questo invito per la tranquillità mia e della mia famiglia». Che cosa vuol dire?”

Biagio Agnes: Ho ripetuto le stesse parole di Draghi. Sono andato via dal civilissimo incontro con il ministro del tesoro con la sicurezza di non dimettermi; dopo il colloquio in ascensore con Draghi, ci ho ripensato, ho fatto qualche telefonata a mia moglie e mi sono dimesso.

GOVERNO DRAGHI, PER CHI SUONA LA CAMPANELLA

Comitato promotore della campagna #NO GUERRA #NO NATO
Italia
17 FEB 2021 —
Manlio Dinucci - (il manifesto, 16 febbraio 2021)

Con la tradizionale cerimonia della campanella, è avvenuto a Palazzo Chigi il passaggio di consegne tra Giuseppe Conte e Mario Draghi. In attesa di verificare quale sarà il programma politico del nuovo governo multipartisan, sostenuto da quasi l’intero arco parlamentare, se ne possono prevedere le linee guida attraverso i curricula di alcuni ministri e del presidente del Consiglio.

Il fatto che alla Difesa e agli Esteri siano stati riconfermati Roberto Guerini (Pd) e Luigi Di Maio (5 Stelle) indica che il governo Draghi rafforzerà ulteriormente l’«atlantismo», ossia l’appartenenza dell’Italia alla Nato sotto comando Usa. Emblematici gli ultimi atti dei due ministri nel precedente governo.

Guerini si è recato sulla portaerei Cavour, nave ammiraglia della Marina militare, che da Taranto salpava per gli Stati uniti dove acquisirà la certificazione per operare con i caccia di 5a generazione F-35B della Lockheed Martin. Dopo aver ribadito che «il rapporto transatlantico con gli Stati uniti – una grande nazione con cui il nostro paese ha un legame profondo – riveste un ruolo essenziale per l’Italia», il ministro ha sottolineato che «l’Italia diventerà uno dei pochi paesi al mondo, insieme a Stati uniti, Gran Bretagna e Giappone, a esprimere una capacità portaerei con velivoli da combattimento di 5ª generazione». Merito soprattutto del gruppo Leonardo, il maggiore produttore bellico italiano, che partecipa alla costruzione degli F-35.

Di Maio, sulla scia della strategia Usa/Nato, si è recato a Riad dove ha firmato un memorandum d’intesa di «dialogo strategico» con l’Arabia Saudita, la monarchia assoluta che il gruppo Leonardo assiste nell’uso dei caccia Eurofighter Typhoon che bombardano lo Yemen, fornendole anche droni per individuare gli obiettivi da attaccare, e per la quale costruisce negli Stati uniti navi da guerra del tipo più avanzato.

Lo stesso gruppo Leonardo ricompare nel curriculum del fisico Roberto Cingolani, messo alla guida del nuovo «superministero» (richiesto da Grillo) della Transizione ecologica: Cingolani, specializzato in nanotecnologia e robotica, dal 2019 è responsabile del dipartimento tecnologia e innovazione del gruppo Leonardo, «protagonista globale nell’Aerospazio, Difesa e Sicurezza», sempre più integrato nel gigantesco complesso militare-industriale Usa.

Il 30% dell’azionariato del gruppo Leonardo è posseduto dal Ministero dello Sviluppo economico, alla cui direzione è stato posto Giancarlo Giorgetti, numero due della Lega e braccio destro di Matteo Salvini. Definito «esperto di conti», penserà lui a gestire i 30 miliardi di euro già stanziati dal suo Ministero a fini militari e gli altri 25 richiesti dal Recovery Fund, per portare la spesa militare italiana da 26 a 36 miliardi annui come richiesto da Usa e Nato.

Compito che sarà affidato anche al neo ministro dell'Economia e Finanze, Daniele Franco, già direttore generale della Banca d’Italia, ufficialmente istituto di diritto pubblico, al cui capitale partecipano 160 banche e fondi pensione.

Nel nuovo governo, i «tecnici» hanno più potere dei «politici». Lo dimostra anzitutto il curriculum di Mario Draghi: da direttore esecutivo della Banca Mondiale a Washington a direttore del Ministero del Tesoro a Roma dove è artefice delle privatizzazioni delle maggiori aziende pubbliche italiane, da vicepresidente della statunitense Goldman Sachs (una delle più grandi banche d’affari del mondo) a governatore della Banca d’Italia e a presidente della Banca Centrale Europea.

Draghi è allo stesso tempo uno dei protagonisti del Gruppo dei Trenta, potente organizzazione internazionale di finanzieri, con sede a Washington, creata nel 1978 dalla Fondazione Rockefeller.

Si rafforza quindi, col governo Draghi, il potere del complesso militare industriale e dell’alta finanza, con una ulteriore perdita dei principi di sovranità e ripudio della guerra sanciti dalla Costituzione.

Se non è così, il Ministero della Transizione ecologica inizi la sua attività eliminando la maggiore minaccia che grava sul nostro ambiente di vita: le armi nucleari Usa installate in Italia.

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