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La VOCE 2101

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La VOCE ANNO XXIII N°5

gennaio 2021

PAGINA E        - 37

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segue da pag.36: desecretati gli atti: nixon e kissinger dietro il golpe in cile. adesso è ufficiale il ruolo perverso svolto dagli stati uniti nel golpe di pinochet in cile e ormai non sono illazioni o ipotesi. si tratta di tesi assai probabili sostenute da una certezza e, cioè, che il presidente nixon diede un sostegno concreto e fattivo per ben 17 anni alla più feroce dittatura militare del secolo scorso. infatti è tutto riportato in migliaia di documenti, trascrizioni, appunti, brogliacci, indicazioni, suggerimenti che fanno parte del file “politica sul cile”. cinquant’anni dopo l’elezione a presidente di salvador allende che avvenne il 5 novembre 1970, la nsa, che è la principale di tutte le agenzie di intelligence statunitensi, ha deciso di desecretare questa mole di documenti e li ha messi a disposizione del pubblico. si mise in opera una raffinata strategia che evitò di esporre gli usa a una condanna internazionale per un’interferenza o intervento considerato gravissimo, allende era stato eletto in una libera e democratica elezione. nonostante tutto ciò, per l’amministrazione americana si trattava del primo governo marxista in america latina e doveva essere abbattuto anche con il golpe. ecco quindi la testimonianza diretta di un intervento che venne portato avanti con una scelta politica e strategica che consentì il successo di augusto pinochet. iniziativa atta a logorare salvatore allende che aveva osato rompere il controllo usa sull’america latina, credendo di poter realizzare un progetto politico nuovo e diverso. si iniziò a fare pressioni sulle principali multinazionali affinché abbandonassero il cile, facendo crollare il prezzo del rame, tra i principali prodotti che il cile esportava, logorando la popolazione che si impoveriva e veniva gettata verso una condizione di povertà. fu l’azione, soprattutto, di henry kissinger, che all’epoca dal 1969-1974 svolse il ruolo di segretario alla sicurezza nazionale, a dettare al presidente richard nixon una linea d’intervento diretta, che, peraltro, non era molto condivisa dagli altri consiglieri della casa bianca che erano favorevoli invece a quella che fu chiamata la “strategia del modus vivendi”. tale ultima strategia consisteva nell’appoggiare i partiti dell’opposizione cilena, di centro e di destra, prima delle elezioni che si sarebbero tenute nel 1976. dalle trascrizioni degli appunti sulle convulse riunioni che fecero seguito all’elezione di un governo socialista in cile, si evidenziano con chiarezza le numerose manovre di kissinger per parlare da solo con nixon prima di riunire l’intero consiglio della sicurezza nazionale. infatti il segretario riuscì a far spostare la riunione convocata alla casa bianca per il 5 novembre, posticipandola 24 ore dopo. in tal modo ebbe il tempo per incontrare di persona il presidente e aggiornarlo sulla situazione in cile, dissuadendolo infine ad intervenire con azioni “meno ortodosse”. infatti nixon doveva decidere, e per kissinger ‘decidere bene’ significava non accettare una linea morbida e prudente degli altri consiglieri. il funzionario che annunciava lo spostamento della riunione riportò che kissinger avrebbe detto: “il cile finirà per essere il peggior disastro della nostra amministrazione: sarà la nostra cuba del 1972”. in tal modo mise in guardia tutti dal pericolo che costituiva il governo allende e che, quindi, a quel punto bisognava solo superare le titubanze e le obiezioni degli altri componenti del consiglio di sicurezza con gli inviti a non esporsi con interferenze che sarebbero state condannate a livello mondiale. gli restava solo da convincere nixon e l’incontro decisivo avviene nello studio ovale. per un’ora kissinger presentò lo studio dettagliato che suggeriva una linea dura e aggressiva di lunga durata nei confronti del governo allende. “nell’arco di sei mesi-un anno – avvertiva kissinger – gli effetti di questa svolta marxista andranno oltre le relazioni tra usa e cile”. si paventò il pericolo dell’incubo comunista e all’influenza dell’intero continente della via cilena al socialismo. “uno degli esempi più vistosi”, continuava il principale consigliere della casa bianca, “è l’impatto che avrà in altre parti del mondo, specialmente in italia. la propagazione emulativa di fenomeni simili in altri luoghi a sua volta colpirà in modo significativo l’equilibrio mondiale e la nostra stessa sfera di influenza”. alla fine nixon si convinse e si sapeva che, un anno prima, era stato già chiesto alla cia di attivarsi per mettere a punto segretamente un golpe preventivo per evitare che allende giungesse alla guida del cile. il consiglio di sicurezza si riunì il 6 novembre ed emersero subito posizioni diverse. il segretario di stato william rogers si oppose ad azioni aggressive e affermò: “possiamo debilitarlo, in caso, senza essere controproducenti”. il segretario alla difesa, melvin laird, suggerì un’azione più decisa: “dobbiamo fare di tutto per danneggiarlo e poi farlo crollare”. il direttore della cia, richard helms, si dichiarò a favore di quest’ultima posizione. si mostra anche un documento in cui si evidenziava che allende ha vinto per pochi voti in più e che il suo governo è composto da “militanti della linea dura”, che mostrava “la determinazione dei socialisti di affermare la loro politica più radicale sin dal principio”. alla fine tutti attendono in silenzio l’intervento di nixon. allora il presidente ruppe gli indugi . “se c’è un modo di rovesciare allende, è meglio farlo”, ordinò perentorio .questa è la frase riportata nei documenti che oggi sono declassificati. si sa come si agì e come andarono le cose. prima il lento logorio economico, il paese paralizzato dagli scioperi, poi le minacce continue, infine l’azione condotta dai militari guidati proprio da chi aveva avuto la fiducia di allende. augusto pinochet si mise alla testa del golpe senza scrupoli. era l’uomo prescelto per attuare il piano con i carri armati per le vie di santiago, il bombardamento della moneda, le fiamme, il presidente che ha resistito con l’elmetto in testa e il fucile automatico. la sua morte drammatica e l’inizio delle retate, gli stadi riempiti con migliaia di simpatizzanti, le sparizioni, le torture, le fucilazioni di massa. questo truce e orrendo regime dittatoriale rimase sino al 1990. una pagina buia e atroce della storia oggi trova una spiegazione ufficiale da chi operò per rovesciare un governo democratico. l'accordo militare tra india e usa minaccia la pace e la stabilità in asia. di mauro gemma. il partito comunista dell'india (marxista) ha criticato con fermezza l'accordo per lo scambio e la cooperazione (beca) tra india e stati uniti, che consente di condividere dati geospaziali in tempo reale, e ha sostenuto che non è nell'interesse indiano il perfezionamento di un'alleanza militare con gli stati uniti. il nuovo patto di difesa, che segna un momento chiave per gli interessi statunitensi in asia, è stato firmato il 27 ottobre a nuova delhi dai ministri della difesa rajnath singh e dagli affari esteri subrahmanyam jaishankar per la parte indiana e il segretario di stato usa, mike pompeo, e l'allora segretario alla difesa, mark esper, per la parte statunitense. i comunisti del pci(m) denunciano come l'accordo dimostri che washington sta usando l'india come pedina nel confronto con la repubblica popolare cinese. per il pc dell'india (marxista), invece nuova delhi deve avere una propria politica estera in sintonia con le sue tradizioni neutraliste, basata su buone relazioni con i paesi vicini, e assolutamente indipendente dall'influenza e dall'intervento straniero. qualsiasi controversia con un paese vicino, come la cina, deve essere risolta solo attraverso il dialogo bilaterale. i comunisti sottolineano che la sinergia tra comunicazioni e sistemi elettronici dei due paesi influenzerà negativamente l'integrità e il processo decisionale indipendente dalla struttura di difesa indiana e renderà l'india dipendente dall'apparato militare statunitense e dal controllo di washington.
il partito comunista dell'india (marxista) avverte che l'emergente alleanza militare con gli stati uniti avrà conseguenze a lungo termine per la politica estera indipendente e l'autonomia strategica dell'india e lederà irrimediabilmente i suoi interessi nazionali. per il pci (m), l'india dovrebbe continuare a negoziare con la cina al più alto livello politico e diplomatico per risolvere i problemi di confine senza alcuna subordinazione alla strategia geopolitica degli stati uniti in asia. lenin contro il socialpacifismo. i socialpacifisti condannano astrattamente ogni forma di guerra, senza distinguere fra aggressioni imperialiste, guerre di popolo, guerre per difendere l’indipendenza nazionale, guerre partigiane e guerre civili rivoluzionarie. di renato caputo 26/12/2020. in fasi di crisi economica, in cui il dominio ideologico borghese sulle masse s’incrina, diviene indispensabile per la classe al potere l’appoggio dell’aristocrazia operaia. in tali frangenti, particolarmente deleteria è la funzione dei “pontieri” socialpacifisti che si battono per l’unità del partito operaio, ovvero per l’unità fra internazionalisti e socialimperialisti. così, in modo esemplare, il rinnegato kautsky, ignorando lo sviluppo avutosi dal capitalismo all’imperialismo, nasconde la necessità di rompere con il partito operaio borghese. perciò, come denuncia lenin, “il pericolo del kautskismo consiste nel fatto che esso, utilizzando l’ideologia del passato, si studia di riappacificare il proletariato e difendere la sua unità con il «partito operaio borghese», di accrescere così il prestigio di questo partito”. [1] da questo punto di vista lenin polemizza aspramente con lo stesso trotskij, allora schierato su posizioni filomensceviche. a parere di lenin la presunta lotta condotta al frazionismo da trotskij è nei fatti scissionista in quanto rompe con la maggioranza della classe consapevole, che è favorevole alla rottura con la piccola borghesia. dunque, come denuncia lenin: “il «non-frazionismo» di trotskij è appunto scissionismo, in quanto è la più impudente violazione della volontà della maggioranza degli operai”. [2] peraltro, a parere di lenin, “proprio nella lotta di tendenze in seno al marxismo si manifesta l’ala piccolo-borghese e intellettuale della socialdemocrazia, cominciando dall’«economismo» (1895-1903) e continuando con il «menscevismo» (1903-1908) e il «liquidatorismo» (1908-1914)”. [3] per quanto riguarda quest’ultima componente lenin osserva: “quando parliamo del liquidatorismo, ci riferiamo a una corrente ideologica determinata, che si è formata nel corso di parecchi anni, che, nella storia ventennale del marxismo, ha messo le sue radici nel «menscevismo» e nell’«economicismo» e che si è legata alla politica e all’ideologia di una classe determinata, la borghesia liberale”. [4] perciò, lenin giunge alla conclusione che “i liquidatori sono un gruppo di legalitari che hanno abbandonato il partito e conducono una politica operaia liberale”. [5] da questo punto di vista, lenin sostiene che la mancata lotta contro le tendenze liberali nel partito, indica che trotskij non era in grado di distinguere nettamente fra socialismo e liberalismo. come osserva a questo proposito lenin: “trotskij non ha mai avuto alcuna «fisionomia», ma solo trapassi, transizioni dal liberalismo al marxismo e viceversa, solo brandelli di parole e belle frasi, rubacchiate qua e là. (...) di fatto, trincerandosi dietro frasi roboanti, vuote e nebulose, trotskij trae in inganno gli operai meno coscienti e difende i liquidatori, in quanto non parla del problema dell’organizzazione clandestina e nega l’esistenza di una politica operaia liberale ecc.”. [6]. al contrario, sebbene in taluni casi l’autonomia del partito rivoluzionario dai socialsciovinisti non sia immediatamente realizzabile, bisogna, a parere di lenin, comprendere che essa “è necessaria e inevitabile per la lotta rivoluzionaria del proletariato, poiché col passaggio dal capitalismo «pacifico» al capitalismo imperialistico, la storia ha preparato questa rottura”. [7] l’unificazione con i socialimperialisti comporterebbe, in effetti, il sostegno alla propria borghesia che sfrutta altre nazioni ostacolando l’indispensabile unificazione del proletariato internazionale. ma qual è il fondamento teorico delle posizioni socialpacifiste? i socialpacifisti non comprendono la natura dell’imperialismo, [8] in quanto separano astrattamente la politica dal suo fondamento economico. separando astrattamente e intellettualisticamente la politica dall’economia dell’imperialismo, il monopolio economico dal politico, i socialpacifisti fanno sorgere l’illusione nelle masse popolari nel disarmo e nell’ultraimperialismo. tale posizione appare evidente nel “pontiere” e principale esponente della concezione dell’ultraimperialismo: kautsky. quest’ultimo, come denuncia lenin, “stacca la politica dell’imperialismo dalla sua economia, stacca il monopolio nella politica dal monopolio nell’economia, per sgomberare la via al suo triviale riformismo borghese del genere del «disarmo», dell’«ultraimperialismo» e altre sciocchezze simili”. [9] in tal modo, smarrendo il nesso dialettico fra struttura e sovrastruttura, i socialpacifisti non intendono come sia lo stesso sviluppo monopolistico alla base della politica imperialista. si illudono, così, che sia sufficiente appoggiare la componente liberale della borghesia contro i settori più reazionari per arrestare la politica imperialista. al contrario i liberaldemocratici, forti della copertura a sinistra, spesso portano avanti una politica imperialista in modo ancora più deciso dei conservatori. ..segue ./.
Segue da Pag.36: DESECRETATI GLI ATTI: NIXON E KISSINGER DIETRO IL GOLPE IN CILE

Adesso è ufficiale il ruolo perverso svolto dagli Stati Uniti nel golpe di Pinochet in Cile e ormai non sono illazioni o ipotesi. Si tratta di tesi assai probabili sostenute da una certezza e, cioè, che il presidente Nixon diede un sostegno concreto e fattivo per ben 17 anni alla più feroce dittatura militare del secolo scorso.

Infatti è tutto riportato in migliaia di documenti, trascrizioni, appunti, brogliacci, indicazioni, suggerimenti che fanno parte del file “Politica sul Cile”.

Cinquant’anni dopo l’elezione a presidente di Salvador Allende che avvenne il 5 novembre 1970, la Nsa, che è la principale di tutte le agenzie di intelligence statunitensi, ha deciso di desecretare questa mole di documenti e li ha messi a disposizione del pubblico.

Si mise in opera una raffinata strategia che evitò di esporre gli Usa a una condanna internazionale per un’interferenza o intervento considerato gravissimo, Allende era stato eletto in una libera e democratica elezione. Nonostante tutto ciò, per l’amministrazione americana si trattava del primo governo marxista in America Latina e doveva essere abbattuto anche con il golpe.

Ecco quindi la testimonianza diretta di un intervento che venne portato avanti con una scelta politica e strategica che consentì il successo di Augusto Pinochet. Iniziativa atta a logorare Salvatore Allende che aveva osato rompere il controllo Usa sull’America Latina, credendo di poter realizzare un progetto politico nuovo e diverso.

Si iniziò a fare pressioni sulle principali multinazionali affinché abbandonassero il Cile, facendo crollare il prezzo del rame, tra i principali prodotti che il Cile esportava, logorando la popolazione che si impoveriva e veniva gettata verso una condizione di povertà.

Fu l’azione, soprattutto, di Henry Kissinger, che all’epoca dal 1969-1974 svolse il ruolo di segretario alla Sicurezza nazionale, a dettare al presidente Richard Nixon una linea d’intervento diretta, che, peraltro, non era molto condivisa dagli altri consiglieri della Casa Bianca che erano favorevoli invece a quella che fu chiamata la “Strategia del modus vivendi”.

Tale ultima strategia consisteva nell’appoggiare i partiti dell’opposizione cilena, di centro e di destra, prima delle elezioni che si sarebbero tenute nel 1976.

Dalle trascrizioni degli appunti sulle convulse riunioni che fecero seguito all’elezione di un governo socialista in Cile, si evidenziano con chiarezza le numerose manovre di Kissinger per parlare da solo con Nixon prima di riunire l’intero Consiglio della sicurezza nazionale.

Infatti il segretario riuscì a far spostare la riunione convocata alla Casa Bianca per il 5 novembre, posticipandola 24 ore dopo. In tal modo ebbe il tempo per incontrare di persona il presidente e aggiornarlo sulla situazione in Cile, dissuadendolo infine ad intervenire con azioni “meno ortodosse”.

Infatti Nixon doveva decidere, e per Kissinger ‘decidere bene’ significava non accettare una linea morbida e prudente degli altri consiglieri. Il funzionario che annunciava lo spostamento della riunione riportò che Kissinger avrebbe detto: “Il Cile finirà per essere il peggior disastro della nostra Amministrazione: sarà la nostra Cuba del 1972”.

In tal modo mise in guardia tutti dal pericolo che costituiva il governo Allende e che, quindi, a quel punto bisognava solo superare le titubanze e le obiezioni degli altri componenti del Consiglio di sicurezza con gli inviti a non esporsi con interferenze che sarebbero state condannate a livello mondiale.

Gli restava solo da convincere Nixon e l’incontro decisivo avviene nello Studio Ovale. Per un’ora Kissinger presentò lo studio dettagliato che suggeriva una linea dura e aggressiva di lunga durata nei confronti del governo Allende.

“Nell’arco di sei mesi-un anno – avvertiva Kissinger – gli effetti di questa svolta marxista andranno oltre le relazioni tra Usa e Cile”. Si paventò il pericolo dell’incubo comunista e all’influenza dell’intero continente della via cilena al socialismo. “Uno degli esempi più vistosi”, continuava il principale consigliere della Casa Bianca, “è l’impatto che avrà in altre parti del mondo, specialmente in Italia. La propagazione emulativa di fenomeni simili in altri luoghi a sua volta colpirà in modo significativo l’equilibrio mondiale e la nostra stessa sfera di influenza”.

Alla fine Nixon si convinse e si sapeva che, un anno prima, era stato già chiesto alla Cia di attivarsi per mettere a punto segretamente un golpe preventivo per evitare che Allende giungesse alla guida del Cile.

Il Consiglio di sicurezza si riunì il 6 novembre ed emersero subito posizioni diverse. Il segretario di Stato William Rogers si oppose ad azioni aggressive e affermò: “Possiamo debilitarlo, in caso, senza essere controproducenti”.

Il segretario alla Difesa, Melvin Laird, suggerì un’azione più decisa: “Dobbiamo fare di tutto per danneggiarlo e poi farlo crollare”.

Il direttore della Cia, Richard Helms, si dichiarò a favore di quest’ultima posizione. Si mostra anche un documento in cui si evidenziava che Allende ha vinto per pochi voti in più e che il suo governo è composto da “militanti della linea dura”, che mostrava “la determinazione dei socialisti di affermare la loro politica più radicale sin dal principio”.

Alla fine tutti attendono in silenzio l’intervento di Nixon. Allora il Presidente ruppe gli indugi . “Se c’è un modo di rovesciare Allende, è meglio farlo”, ordinò perentorio .Questa è la frase riportata nei documenti che oggi sono declassificati. Si sa come si agì e come andarono le cose. Prima il lento logorio economico, il Paese paralizzato dagli scioperi, poi le minacce continue, infine l’azione condotta dai militari guidati proprio da chi aveva avuto la fiducia di Allende.

Augusto Pinochet si mise alla testa del golpe senza scrupoli. Era l’uomo prescelto per attuare il piano con i carri armati per le vie di Santiago, il bombardamento della Moneda, le fiamme, il presidente che ha resistito con l’elmetto in testa e il fucile automatico.

La sua morte drammatica e l’inizio delle retate, gli stadi riempiti con migliaia di simpatizzanti, le sparizioni, le torture, le fucilazioni di massa. Questo truce e orrendo regime dittatoriale rimase sino al 1990. Una pagina buia e atroce della storia oggi trova una spiegazione ufficiale da chi operò per rovesciare un governo democratico.

L'accordo militare tra India e USA minaccia la pace e la stabilità in Asia

di Mauro Gemma

Il Partito Comunista dell'India (Marxista) ha criticato con fermezza l'accordo per lo scambio e la cooperazione (BECA) tra India e Stati Uniti, che consente di condividere dati geospaziali in tempo reale, e ha sostenuto che non è nell'interesse indiano il perfezionamento di un'alleanza militare con gli Stati Uniti.

Il nuovo patto di difesa, che segna un momento chiave per gli interessi statunitensi in Asia, è stato firmato il 27 ottobre a Nuova Delhi dai Ministri della Difesa Rajnath Singh e dagli Affari Esteri Subrahmanyam Jaishankar per la parte indiana e il Segretario di Stato USA, Mike Pompeo, e l'allora Segretario alla Difesa, Mark Esper, per la parte statunitense.

I comunisti del PCI(M) denunciano come l'accordo dimostri che Washington sta usando l'India come pedina nel confronto con la Repubblica Popolare Cinese. Per il PC dell'India (Marxista), invece Nuova Delhi deve avere una propria politica estera in sintonia con le sue tradizioni neutraliste, basata su buone relazioni con i paesi vicini, e assolutamente indipendente dall'influenza e dall'intervento straniero.

Qualsiasi controversia con un paese vicino, come la Cina, deve essere risolta solo attraverso il dialogo bilaterale.

I comunisti sottolineano che la sinergia tra comunicazioni e sistemi elettronici dei due paesi influenzerà negativamente l'integrità e il processo decisionale indipendente dalla struttura di difesa indiana e renderà l'India dipendente dall'apparato militare statunitense e dal controllo di Washington.

Il Partito Comunista dell'India (Marxista) avverte che l'emergente alleanza militare con gli Stati Uniti avrà conseguenze a lungo termine per la politica estera indipendente e l'autonomia strategica dell'India e lederà irrimediabilmente i suoi interessi nazionali.

Per il PCI (M), l'India dovrebbe continuare a negoziare con la Cina al più alto livello politico e diplomatico per risolvere i problemi di confine senza alcuna subordinazione alla strategia geopolitica degli Stati Uniti in Asia.

Lenin contro il socialpacifismo

I socialpacifisti condannano astrattamente ogni forma di guerra, senza distinguere fra aggressioni imperialiste, guerre di popolo, guerre per difendere l’indipendenza nazionale, guerre partigiane e guerre civili rivoluzionarie.

di Renato Caputo 26/12/2020

In fasi di crisi economica, in cui il dominio ideologico borghese sulle masse s’incrina, diviene indispensabile per la classe al potere l’appoggio dell’aristocrazia operaia. In tali frangenti, particolarmente deleteria è la funzione dei “pontieri” socialpacifisti che si battono per l’unità del partito operaio, ovvero per l’unità fra internazionalisti e socialimperialisti. Così, in modo esemplare, il rinnegato Kautsky, ignorando lo sviluppo avutosi dal capitalismo all’imperialismo, nasconde la necessità di rompere con il partito operaio borghese. Perciò, come denuncia Lenin, “il pericolo del kautskismo consiste nel fatto che esso, utilizzando l’ideologia del passato, si studia di riappacificare il proletariato e difendere la sua unità con il «partito operaio borghese», di accrescere così il prestigio di questo partito”. [1] Da questo punto di vista Lenin polemizza aspramente con lo stesso Trotskij, allora schierato su posizioni filomensceviche. A parere di Lenin la presunta lotta condotta al frazionismo da Trotskij è nei fatti scissionista in quanto rompe con la maggioranza della classe consapevole, che è favorevole alla rottura con la piccola borghesia. Dunque, come denuncia Lenin: “il «non-frazionismo» di Trotskij è appunto scissionismo, in quanto è la più impudente violazione della volontà della maggioranza degli operai”. [2] Peraltro, a parere di Lenin, “proprio nella lotta di tendenze in seno al marxismo si manifesta l’ala piccolo-borghese e intellettuale della socialdemocrazia, cominciando dall’«economismo» (1895-1903) e continuando con il «menscevismo» (1903-1908) e il «liquidatorismo» (1908-1914)”. [3] Per quanto riguarda quest’ultima componente Lenin osserva: “quando parliamo del liquidatorismo, ci riferiamo a una corrente ideologica determinata, che si è formata nel corso di parecchi anni, che, nella storia ventennale del marxismo, ha messo le sue radici nel «menscevismo» e nell’«economicismo» e che si è legata alla politica e all’ideologia di una classe determinata, la borghesia liberale”. [4] Perciò, Lenin giunge alla conclusione che “i liquidatori sono un gruppo di legalitari che hanno abbandonato il partito e conducono una politica operaia liberale”. [5] Da questo punto di vista, Lenin sostiene che la mancata lotta contro le tendenze liberali nel partito, indica che Trotskij non era in grado di distinguere nettamente fra socialismo e liberalismo. Come osserva a questo proposito Lenin“Trotskij non ha mai avuto alcuna «fisionomia», ma solo trapassi, transizioni dal liberalismo al marxismo e viceversa, solo brandelli di parole e belle frasi, rubacchiate qua e là. (...) Di fatto, trincerandosi dietro frasi roboanti, vuote e nebulose, Trotskij trae in inganno gli operai meno coscienti e difende i liquidatori, in quanto non parla del problema dell’organizzazione clandestina e nega l’esistenza di una politica operaia liberale ecc.”. [6]

Al contrario, sebbene in taluni casi l’autonomia del partito rivoluzionario dai socialsciovinisti non sia immediatamente realizzabile, bisogna, a parere di Lenin, comprendere che essa “è necessaria e inevitabile per la lotta rivoluzionaria del proletariato, poiché col passaggio dal capitalismo «pacifico» al capitalismo imperialistico, la storia ha preparato questa rottura”. [7] L’unificazione con i socialimperialisti comporterebbe, in effetti, il sostegno alla propria borghesia che sfrutta altre nazioni ostacolando l’indispensabile unificazione del proletariato internazionale.

Ma qual è il fondamento teorico delle posizioni socialpacifiste? I socialpacifisti non comprendono la natura dell’imperialismo, [8] in quanto separano astrattamente la politica dal suo fondamento economico. Separando astrattamente e intellettualisticamente la politica dall’economia dell’imperialismo, il monopolio economico dal politico, i socialpacifisti fanno sorgere l’illusione nelle masse popolari nel disarmo e nell’ultraimperialismo. Tale posizione appare evidente nel “pontiere” e principale esponente della concezione dell’ultraimperialismo: Kautsky. Quest’ultimo, come denuncia Lenin, “stacca la politica dell’imperialismo dalla sua economia, stacca il monopolio nella politica dal monopolio nell’economia, per sgomberare la via al suo triviale riformismo borghese del genere del «disarmo», dell’«ultraimperialismo» e altre sciocchezze simili”. [9] In tal modo, smarrendo il nesso dialettico fra struttura e sovrastruttura, i socialpacifisti non intendono come sia lo stesso sviluppo monopolistico alla base della politica imperialista. Si illudono, così, che sia sufficiente appoggiare la componente liberale della borghesia contro i settori più reazionari per arrestare la politica imperialista. Al contrario i liberaldemocratici, forti della copertura a sinistra, spesso portano avanti una politica imperialista in modo ancora più deciso dei conservatori

..segue ./.

  P R E C E D E N T E   

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