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La VOCE ANNO XXIII N°5

gennaio 2021

PAGINA d         - 28

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Segue da Pag.27: L’enorme aumento della violenza contro le donne in Israele incontra una scarsa risposta da parte del governo Tuttavia, quando il marito venne portato in tribunale per l’accusa, il giudice acconsentì alla richiesta del marito di impedire che il suo nome fosse reso pubblico, sostenendo che “la pubblicazione del nome del sospettato non avrebbe contribuito a consolidare e promuovere l’interesse pubblico”, sostenendo inoltre che una tale mossa avrebbe potuto danneggiare la reputazione dell’accusato e forse rovinare il suo rapporto con il figlio. Israeliane prendono parte a un finto funerale per lanciare l’allarme sul crescente numero di donne uccise in episodi di violenza domestica in Israele il 25 novembre 2010 a Tel Aviv (AFP) Nello stesso mese, un uomo sospettato di aver picchiato la moglie così gravemente che questa morì dopo diversi giorni in ospedale, ottenne gli arresti domiciliari. Infrangendo le condizioni di arresto, il marito si recò all’ospedale nel tentativo, secondo la polizia, di “finire il lavoro”. Un rapporto pubblicato dall’Israel Women’s Network ha rilevato che, contrariamente a molti altri Paesi, in Israele il problema della violenza si concentra sulla protezione delle donne e dei loro bambini. ‘Non solo i rifugi sono pieni dal 90 al 95% nel migliore dei casi, ma ora …con il lockdown, nessuno sta lasciando i rifugi e non c’è davvero spazio’ – Orit Sulitzeanu, Association of Rape Crisis Centers “L’emanazione nel 1991 della legge sulla prevenzione della violenza domestica (5751-1991) è stato il primo tentativo di creare una normativa per i programmi di trattamento clinico per gli autori della stessa “, si legge nel rapporto. “Tuttavia, la riabilitazione dei colpevoli deve ancora diventare obbligatoria. “Un’ulteriore significativa difficoltà emerge dall’assenza di comunicazione e coordinamento tra i vari programmi di trattamento esistenti”, continua il rapporto. “La scoperta più sconcertante è che tra gli autori di violenza incarcerati – compresi quelli definiti “pericolosi”, la maggioranza viene rilasciata senza essere inserita in un programma di riabilitazione e / o senza aver espresso l’impegno a iscriversi a tale programma”. A illustrare questa preoccupazione è il caso di un uomo che ad aprile uccise la sua ex moglie solo un mese dopo essere stato rilasciato dalla prigione dove aveva scontato una pena per aver commesso reati violenti contro di lei. Il ministero della Sicurezza interna aveva annunciato che entro settembre avrebbe istituito un’unità per monitorare e curare tali uomini dopo il loro rilascio dalla prigione, ma l’unità è ancora solo nella fase preliminare e la polizia e il ministero della Pubblica sicurezza si sono rifiutati di dire quando inizierà ad operare. Intervengono le ONG In assenza di un programma pubblico completo, da più di tre decenni in Israele le ONG femministe forniscono servizi alle donne che affrontano la violenza di genere. Diverse organizzazioni femministe israeliane, sia nella comunità di lingua araba che in quella di lingua ebraica, mantengono rifugi in cui le donne vittime di violenza estrema possono essere accolte; alcuni accolgono anche i bambini. Ma come osserva Orit Sulitzeanu dell’Association of Rape Crisis Centers, in questo momento questi rifugi da soli non possono fornire una soluzione completa al problema. “Non solo i rifugi sono pieni dal 90 al 95 per cento nel migliore dei casi”, dice, “ma ora … chiusi, nessuno sta lasciando i rifugi e non c’è davvero spazio”. Durante l’ultimo blocco, Gun-Free Kitchen Tables, una coalizione femminista ad hoc, è riuscita a convincere il ministro della sicurezza interna a incaricare tutte le società di sicurezza private di ritirare le armi da fuoco ai lavoratori licenziati. In risposta alle richieste delle organizzazioni femministe, gli assistenti sociali specializzati in violenza domestica continuano a lavorare regolarmente dopo essere stati esentati dal lockdown Le organizzazioni hanno lavorato con le comunità ebraiche e palestinesi all’interno di Israele nel tentativo di fornire risposte culturalmente sensibili alla violenza domestica. “I bisogni delle donne arabe sono stati a lungo trascurati dalle autorità statali”, ha detto Maya Shehade-Switat, avvocato di Itach-Ma’aki, usando il termine comune in Israele per riferirsi ai cittadini palestinesi di Israele. “La maggior parte di questi problemi non sono nuovi, ma la crisi del coronavirus ha creato nuovi problemi e posto una lente di ingrandimento sulla situazione esistente. “I livelli di femminicidio sono più alti nel settore arabo per molte ragioni”, ha osservato Shehade-Switat. “Ci sono anche un numero enorme di armi nella società araba, ma quasi tutte sono illegali, quindi sforzi come quelli di Gun-Free Kitchen Tables non forniscono soluzioni. “Inoltre, le famiglie arabe tendono ad essere più grandi, e poiché la popolazione araba è, in media, molto più povera della popolazione ebraica, le loro condizioni abitative sono più povere e molto più affollate”. Faziosità dei tribunali religiosi Lo status legale della religione gioca anche un ruolo sistemico nel perpetuare la violenza di genere. Poiché in Israele non esiste il matrimonio civile o il divorzio, per gli ebrei è possibile ottenere un divorzio legale solo attraverso tribunali rabbinici statali, mentre per i musulmani attraverso tribunali della sharia gestiti dallo stato. Questi tribunali conducono i procedimenti di divorzio secondo le loro interpretazioni del diritto religioso, che tendono a favorire gli uomini. ‘A meno che non riusciamo cambiare il modo in cui viene visto questo problema e a prendercene cura nel modo più opportuno, non ci saranno cambiamenti- Anita Friedman, presidente di Wizo Le donne sono quindi spesso legate a uomini violenti senza alcun modo legale per sottrarsi al matrimonio. Le attiviste femministe credono che la violenza di genere contro le donne continui perché è in gran parte vista come un problema delle donne. “Questa è una questione sociale”, ha detto Anita Friedman, presidente di Wizo. “‘A meno che non riusciamo cambiare il modo in cui viene visto questo problema e a prendercene cura nel modo più opportuno, non ci saranno cambiamenti . L’avvocatessa e ricercatrice senior presso l’Istituto nazionale per gli studi sulla sicurezza Pnina Sharvit Baruch scrive in un nuovo rapporto che “è giunto il momento che il governo si riferisca ai familiari violenti come a una minaccia alla sicurezza esistenziale”. “Come in materia di sicurezza, dovrebbe esserci un’autorità per coordinare tutti gli aspetti e i programmi che affrontano il problema”, afferma. “Questa autorità dovrebbe avere un quadro completo e basato sull’intelligence della situazione”. Soprattutto, conclude Baruch-Sharvit, “dobbiamo cambiare le nostre percezioni”. “Dobbiamo definire la violenza di genere come una minaccia nazionale che richiede l’attenzione dei responsabili delle decisioni ai massimi livelli”. Trad. Grazia Parolari “contro ogni specismo, contro ogni schiavitù” Invctapalestina.org
un gruppo di 122 accademici, giornalisti e intellettuali palestinesi e arabi esprimono le loro preoccupazioni sulla definizione dell’ihra fonte – english version - noi, i sottoscritti accademici, giornalisti e intellettuali palestinesi e arabi, con la presente dichiariamo le nostre opinioni sulla definizione di antisemitismo da parte dell’international holocaust remembrance alliance (ihra) e sul modo in cui questa definizione è stata applicata, interpretata e impiegata in diversi paesi d’europa e nord america. negli ultimi anni, la lotta all’antisemitismo è stata sempre più strumentalizzata dal governo israeliano e dai suoi sostenitori nel tentativo di delegittimare la causa palestinese e mettere a tacere i difensori dei diritti palestinesi. deviare la necessaria lotta contro l’antisemitismo per servire un tale programma minaccia di svilire questa lotta e quindi di screditarla e indebolirla. l’antisemitismo deve essere sfatato e combattuto. indipendentemente dalla forma, nessuna espressione di odio per gli ebrei in quanto ebrei dovrebbe essere tollerata in nessuna parte del mondo. l’antisemitismo si manifesta in ampie generalizzazioni e stereotipi sugli ebrei, riguardo al potere e al denaro in particolare, insieme a teorie del complotto e negazione dell’olocausto. consideriamo legittima e necessaria la lotta contro tali atteggiamenti. crediamo anche che le lezioni dell’olocausto, così come quelle di altri genocidi dei tempi moderni, debbano far parte dell’educazione delle nuove generazioni contro ogni forma di odio e pregiudizio razziale. la lotta contro l’antisemitismo, tuttavia, deve essere affrontata per principio, o si rischia di vanificarne lo scopo. attraverso gli “esempi” che fornisce, la definizione dell’ihra fonde il giudaismo con il sionismo nel presumere che tutti gli ebrei siano sionisti e che lo stato di israele nella sua realtà attuale incarni l’autodeterminazione di tutti gli ebrei. siamo profondamente in disaccordo con questo. la lotta all’antisemitismo non dovrebbe essere trasformata in uno stratagemma per delegittimare la lotta contro l’oppressione dei palestinesi, la negazione dei loro diritti e la continua occupazione della loro terra. consideriamo i seguenti principi fondamentali a tale riguardo: 1. la lotta all’antisemitismo deve essere dispiegata nel quadro del diritto internazionale e dei diritti umani. dovrebbe essere parte integrante della lotta contro tutte le forme di razzismo e xenofobia, compresa l’islamofobia e il razzismo anti-arabo e anti-palestinese. lo scopo di questa lotta è garantire libertà ed emancipazione a tutti i gruppi oppressi. è profondamente distorto quando è orientato alla difesa di uno stato oppressivo e predatore. 2. esiste un’enorme differenza tra la condizione in cui gli ebrei vennero individuati, oppressi e soppressi come minoranza da regimi o gruppi antisemiti e la condizione in cui l’autodeterminazione di una popolazione ebraica in palestina/israele è stata attuata nella forma di uno stato etnico esclusivista e territorialmente espansionista. così come esiste attualmente, lo stato di israele si basa sullo sradicamento della stragrande maggioranza dei nativi – quello che palestinesi e arabi chiamano nakba – e sul soggiogare quei nativi che vivono ancora nel territorio della palestina storica come cittadini di seconda classe o persone sotto occupazione, negando loro il diritto all’autodeterminazione. 3. la definizione dell’ihra di antisemitismo e le relative misure legali adottate in diversi paesi sono state impiegate principalmente contro gruppi di sinistra e per i diritti umani che sostengono i diritti dei palestinesi e la campagna boicottaggio, disinvestimento e sanzioni (bds), trascurando la minaccia reale verso gli ebrei proveniente da movimenti nazionalisti bianchi di destra in europa e negli stati uniti. la rappresentazione della campagna bds come antisemita è una grossolana distorsione di quello che è fondamentalmente un mezzo di lotta non violento legittimo per i diritti dei palestinesi. 4. l’affermazione della definizione dell’ihra secondo cui un esempio di antisemitismo è “negare al popolo ebraico il diritto all’autodeterminazione, ad esempio, affermando che l’esistenza di uno stato di israele è un’impresa razzista” è piuttosto strana. non si preoccupa di riconoscere che, in base al diritto internazionale, l’attuale stato di israele è una potenza occupante da oltre mezzo secolo, come riconosciuto dai governi dei paesi in cui viene confermata la definizione dell’ihra. non si preoccupa di considerare se questo diritto includa il diritto di creare una maggioranza ebraica attraverso la pulizia etnica o se debba essere bilanciato dai diritti del popolo palestinese. inoltre, la definizione dell’ihra potenzialmente scarta come antisemita ogni visione non sionista del futuro di uno stato israeliano, come quella di uno stato binazionale o democratico laico che rappresenti tutti i suoi cittadini allo stesso modo. un autentico sostegno al principio del diritto di un popolo all’autodeterminazione non può escludere la nazione palestinese, né nessun altra. 5. crediamo che nessun diritto all’autodeterminazione debba includere il diritto di sradicare un altro popolo e impedirgli di tornare nella sua terra, o qualsiasi altro mezzo per assicurarsi una maggioranza demografica all’interno di uno stato. la richiesta dei palestinesi per il loro diritto al ritorno nella terra da cui loro stessi, i loro genitori e nonni sono stati espulsi non può essere interpretata come antisemita. il fatto che una simile richiesta crei ansia tra gli israeliani non prova che sia ingiusta, né che sia antisemita. è un diritto riconosciuto dal diritto internazionale come rappresentato nella risoluzione 194 del 1948 dell’assemblea generale delle nazioni unite. 6. livellare l’accusa di antisemitismo contro chiunque consideri razzista l’attuale stato di israele, nonostante l’effettiva discriminazione istituzionale e costituzionale su cui si basa, equivale a garantire a israele l’impunità assoluta. israele può così deportare i suoi cittadini palestinesi, o revocarne la cittadinanza o negare loro il diritto di voto, ed essere comunque immune dall’accusa di razzismo. la definizione dell’ihra e il modo in cui viene impiegata bloccano qualsiasi discussione sullo stato israeliano in quanto basato sulla discriminazione etnico-religiosa. in tal modo violano la giustizia elementare e le norme fondamentali dei diritti umani e del diritto internazionale. 7. crediamo che la giustizia richieda il pieno sostegno del diritto dei palestinesi all’autodeterminazione, inclusa la richiesta di porre fine all’occupazione internazionalmente riconosciuta dei loro territori e all’apolidia e alla privazione dei rifugiati palestinesi. la soppressione dei diritti dei palestinesi nella definizione dell’ihra tradisce un atteggiamento che sostiene il privilegio ebraico in palestina invece dei diritti ebraici, e la supremazia ebraica sui palestinesi invece della sicurezza ebraica. crediamo che i valori e i diritti umani siano indivisibili e che la lotta all’antisemitismo debba andare di pari passo con la lotta a nome di tutti i popoli e gruppi oppressi per la dignità, l’uguaglianza e l’emancipazione. gentile lettore, dona restiamo fiduciosi, contro ogni previsione. ma la nostra speranza non è il prodotto di un pio desiderio o di qualsiasi delusione sulle sfide future, poiché quella speranza non farebbe che prolungare la nostra situazione coloniale. la nostra speranza è radicata nella ricca eredità di lotta del nostro popolo palestinese, nel consenso palestinese dietro la ponderata resistenza globalizzata del movimento bds all'oppressione e nella vostra ispirante solidarietà con la nostra lotta per la libertà, la giustizia e l'uguaglianza. siamo fiduciosi perché il tuo sostegno al movimento bds ha moltiplicato il suo impatto negli ultimi anni, indebolendo ulteriormente il regime di occupazione, colonialismo e apartheid di israele. la nostra speranza, come mostra il nostro ultimo video, è decolonizzata! controlla! abbiamo chiesto ai palestinesi di origini ed età diverse, cosa significa per loro il bds, e hanno rispecchiato il quasi consenso a sostegno del bds. rifugiati, attivisti veterani del boicottaggio della prima intifada, nonne, giovani e studenti universitari di acri, nablus e tulkarm, un prete, il capo del sindacato dei pescatori di gaza, hanno risposto tutti all'unisono: bds significa speranza di raggiungere i nostri diritti.
Segue da Pag.27: L’enorme aumento della violenza contro le donne in Israele incontra una scarsa risposta da parte del governo

Tuttavia, quando il marito venne portato in tribunale per l’accusa, il giudice acconsentì alla richiesta del marito di impedire che il suo nome fosse reso pubblico, sostenendo che “la pubblicazione del nome del sospettato non avrebbe contribuito a consolidare e promuovere l’interesse pubblico”, sostenendo inoltre che una tale mossa avrebbe potuto danneggiare la reputazione dell’accusato e forse rovinare il suo rapporto con il figlio.

Israeliane prendono parte a un finto funerale per lanciare l’allarme sul crescente numero di donne uccise in episodi di violenza domestica in Israele il 25 novembre 2010 a Tel Aviv (AFP) Nello stesso mese, un uomo sospettato di aver picchiato la moglie così gravemente che questa morì dopo diversi giorni in ospedale, ottenne gli arresti domiciliari. Infrangendo le condizioni di arresto, il marito si recò all’ospedale nel tentativo, secondo la polizia, di “finire il lavoro”.

Un rapporto pubblicato dall’Israel Women’s Network ha rilevato che, contrariamente a molti altri Paesi, in Israele il problema della violenza si concentra sulla protezione delle donne e dei loro bambini.

‘Non solo i rifugi sono pieni dal 90 al 95% nel migliore dei casi, ma ora …con il lockdown, nessuno sta lasciando i rifugi e non c’è davvero spazio’ – Orit Sulitzeanu, Association of Rape Crisis Centers

“L’emanazione nel 1991 della legge sulla prevenzione della violenza domestica (5751-1991) è stato il primo tentativo di creare una normativa per i programmi di trattamento clinico per gli autori della stessa “, si legge nel rapporto. “Tuttavia, la riabilitazione dei colpevoli deve ancora diventare obbligatoria.

“Un’ulteriore significativa difficoltà emerge dall’assenza di comunicazione e coordinamento tra i vari programmi di trattamento esistenti”, continua il rapporto.

“La scoperta più sconcertante è che tra gli autori di violenza incarcerati – compresi quelli definiti “pericolosi”, la maggioranza viene rilasciata senza essere inserita in un programma di riabilitazione e / o senza aver espresso l’impegno a iscriversi a tale programma”.

A illustrare questa preoccupazione è il caso di un uomo che ad aprile uccise la sua ex moglie solo un mese dopo essere stato rilasciato dalla prigione dove aveva scontato una pena per aver commesso reati violenti contro di lei.

Il ministero della Sicurezza interna aveva annunciato che entro settembre avrebbe istituito un’unità per monitorare e curare tali uomini dopo il loro rilascio dalla prigione, ma l’unità è ancora solo nella fase preliminare e la polizia e il ministero della Pubblica sicurezza si sono rifiutati di dire quando inizierà ad operare.

Intervengono le ONG

In assenza di un programma pubblico completo, da più di tre decenni in Israele le ONG femministe forniscono servizi alle donne che affrontano la violenza di genere.

Diverse organizzazioni femministe israeliane, sia nella comunità di lingua araba che in quella di lingua ebraica, mantengono rifugi in cui le donne vittime di violenza estrema possono essere accolte; alcuni accolgono anche i bambini. Ma come osserva Orit Sulitzeanu dell’Association of Rape Crisis Centers, in questo momento questi rifugi da soli non possono fornire una soluzione completa al problema.

“Non solo i rifugi sono pieni dal 90 al 95 per cento nel migliore dei casi”, dice, “ma ora … chiusi, nessuno sta lasciando i rifugi e non c’è davvero spazio”.

Durante l’ultimo blocco, Gun-Free Kitchen Tables, una coalizione femminista ad hoc, è riuscita a convincere il ministro della sicurezza interna a incaricare tutte le società di sicurezza private di ritirare le armi da fuoco ai lavoratori licenziati.

In risposta alle richieste delle organizzazioni femministe, gli assistenti sociali specializzati in violenza domestica continuano a lavorare regolarmente dopo essere stati esentati dal lockdown

Le organizzazioni hanno lavorato con le comunità ebraiche e palestinesi all’interno di Israele nel tentativo di fornire risposte culturalmente sensibili alla violenza domestica.

“I bisogni delle donne arabe sono stati a lungo trascurati dalle autorità statali”, ha detto Maya Shehade-Switat, avvocato di Itach-Ma’aki, usando il termine comune in Israele per riferirsi ai cittadini palestinesi di Israele.

“La maggior parte di questi problemi non sono nuovi, ma la crisi del coronavirus ha creato nuovi problemi e posto una lente di ingrandimento sulla situazione esistente.

“I livelli di femminicidio sono più alti nel settore arabo per molte ragioni”, ha osservato Shehade-Switat. “Ci sono anche un numero enorme di armi nella società araba, ma quasi tutte sono illegali, quindi sforzi come quelli di Gun-Free Kitchen Tables non forniscono soluzioni.

“Inoltre, le famiglie arabe tendono ad essere più grandi, e poiché la popolazione araba è, in media, molto più povera della popolazione ebraica, le loro condizioni abitative sono più povere e molto più affollate”.

Faziosità dei tribunali religiosi

Lo status legale della religione gioca anche un ruolo sistemico nel perpetuare la violenza di genere. Poiché in Israele non esiste il matrimonio civile o il divorzio, per gli ebrei è possibile ottenere un divorzio legale solo attraverso tribunali rabbinici statali, mentre per i musulmani attraverso tribunali della sharia gestiti dallo stato.

Questi tribunali conducono i procedimenti di divorzio secondo le loro interpretazioni del diritto religioso, che tendono a favorire gli uomini.

‘A meno che non riusciamo cambiare il modo in cui viene visto questo problema e a prendercene cura nel modo più opportuno, non ci saranno cambiamenti- Anita Friedman, presidente di Wizo

Le donne sono quindi spesso legate a uomini violenti senza alcun modo legale per sottrarsi al matrimonio.

Le attiviste femministe credono che la violenza di genere contro le donne continui perché è in gran parte vista come un problema delle donne. “Questa è una questione sociale”, ha detto Anita Friedman, presidente di Wizo. “‘A meno che non riusciamo cambiare il modo in cui viene visto questo problema e a prendercene cura nel modo più opportuno, non ci saranno cambiamenti .

L’avvocatessa e ricercatrice senior presso l’Istituto nazionale per gli studi sulla sicurezza Pnina Sharvit Baruch scrive in un nuovo rapporto che “è giunto il momento che il governo si riferisca ai familiari violenti come a una minaccia alla sicurezza esistenziale”.

“Come in materia di sicurezza, dovrebbe esserci un’autorità per coordinare tutti gli aspetti e i programmi che affrontano il problema”, afferma. “Questa autorità dovrebbe avere un quadro completo e basato sull’intelligence della situazione”.

Soprattutto, conclude Baruch-Sharvit, “dobbiamo cambiare le nostre percezioni”.

“Dobbiamo definire la violenza di genere come una minaccia nazionale che richiede l’attenzione dei responsabili delle decisioni ai massimi livelli”.

Trad. Grazia Parolari “contro ogni specismo, contro ogni schiavitù” Invctapalestina.org

Un gruppo di 122 accademici, giornalisti e intellettuali palestinesi e arabi esprimono le loro preoccupazioni sulla definizione dell’IHRA

Fonte – English version -

Noi, i sottoscritti accademici, giornalisti e intellettuali palestinesi e arabi, con la presente dichiariamo le nostre opinioni sulla definizione di antisemitismo da parte dell’International Holocaust Remembrance Alliance (IHRA) e sul modo in cui questa definizione è stata applicata, interpretata e impiegata in diversi paesi d’Europa e Nord America.

Negli ultimi anni, la lotta all’antisemitismo è stata sempre più strumentalizzata dal governo israeliano e dai suoi sostenitori nel tentativo di delegittimare la causa palestinese e mettere a tacere i difensori dei diritti palestinesi. Deviare la necessaria lotta contro l’antisemitismo per servire un tale programma minaccia di svilire questa lotta e quindi di screditarla e indebolirla.

L’antisemitismo deve essere sfatato e combattuto. Indipendentemente dalla forma, nessuna espressione di odio per gli ebrei in quanto ebrei dovrebbe essere tollerata in nessuna parte del mondo. L’antisemitismo si manifesta in ampie generalizzazioni e stereotipi sugli ebrei, riguardo al potere e al denaro in particolare, insieme a teorie del complotto e negazione dell’Olocausto. Consideriamo legittima e necessaria la lotta contro tali atteggiamenti. Crediamo anche che le lezioni dell’Olocausto, così come quelle di altri genocidi dei tempi moderni, debbano far parte dell’educazione delle nuove generazioni contro ogni forma di odio e pregiudizio razziale.

La lotta contro l’antisemitismo, tuttavia, deve essere affrontata per principio, o si rischia di vanificarne lo scopo. Attraverso gli “esempi” che fornisce, la definizione dell’IHRA fonde il giudaismo con il sionismo nel presumere che tutti gli ebrei siano sionisti e che lo stato di Israele nella sua realtà attuale incarni l’autodeterminazione di tutti gli ebrei. Siamo profondamente in disaccordo con questo. La lotta all’antisemitismo non dovrebbe essere trasformata in uno stratagemma per delegittimare la lotta contro l’oppressione dei palestinesi, la negazione dei loro diritti e la continua occupazione della loro terra. Consideriamo i seguenti principi fondamentali a tale riguardo:

1. La lotta all’antisemitismo deve essere dispiegata nel quadro del diritto internazionale e dei diritti umani. Dovrebbe essere parte integrante della lotta contro tutte le forme di razzismo e xenofobia, compresa l’islamofobia e il razzismo anti-arabo e anti-palestinese. Lo scopo di questa lotta è garantire libertà ed emancipazione a tutti i gruppi oppressi. È profondamente distorto quando è orientato alla difesa di uno stato oppressivo e predatore.

2. Esiste un’enorme differenza tra la condizione in cui gli ebrei vennero individuati, oppressi e soppressi come minoranza da regimi o gruppi antisemiti e la condizione in cui l’autodeterminazione di una popolazione ebraica in Palestina/Israele è stata attuata nella forma di uno stato etnico esclusivista e territorialmente espansionista. Così come esiste attualmente, lo stato di Israele si basa sullo sradicamento della stragrande maggioranza dei nativi – quello che palestinesi e arabi chiamano Nakba – e sul soggiogare quei nativi che vivono ancora nel territorio della Palestina storica come cittadini di seconda classe o persone sotto occupazione, negando loro il diritto all’autodeterminazione.

3. La definizione dell’IHRA di antisemitismo e le relative misure legali adottate in diversi paesi sono state impiegate principalmente contro gruppi di sinistra e per i diritti umani che sostengono i diritti dei palestinesi e la campagna Boicottaggio, disinvestimento e sanzioni (BDS), trascurando la minaccia reale verso gli ebrei proveniente da movimenti nazionalisti bianchi di destra in Europa e negli Stati Uniti. La rappresentazione della campagna BDS come antisemita è una grossolana distorsione di quello che è fondamentalmente un mezzo di lotta non violento legittimo per i diritti dei palestinesi.

4. L’affermazione della definizione dell’IHRA secondo cui un esempio di antisemitismo è “Negare al popolo ebraico il diritto all’autodeterminazione, ad esempio, affermando che l’esistenza di uno Stato di Israele è un’impresa razzista” è piuttosto strana. Non si preoccupa di riconoscere che, in base al diritto internazionale, l’attuale stato di Israele è una potenza occupante da oltre mezzo secolo, come riconosciuto dai governi dei paesi in cui viene confermata la definizione dell’IHRA. Non si preoccupa di considerare se questo diritto includa il diritto di creare una maggioranza ebraica attraverso la pulizia etnica o se debba essere bilanciato dai diritti del popolo palestinese. Inoltre, la definizione dell’IHRA potenzialmente scarta come antisemita ogni visione non sionista del futuro di uno stato israeliano, come quella di uno stato binazionale o democratico laico che rappresenti tutti i suoi cittadini allo stesso modo. Un autentico sostegno al principio del diritto di un popolo all’autodeterminazione non può escludere la nazione palestinese, né nessun altra.

5. Crediamo che nessun diritto all’autodeterminazione debba includere il diritto di sradicare un altro popolo e impedirgli di tornare nella sua terra, o qualsiasi altro mezzo per assicurarsi una maggioranza demografica all’interno di uno stato. La richiesta dei palestinesi per il loro diritto al ritorno nella terra da cui loro stessi, i loro genitori e nonni sono stati espulsi non può essere interpretata come antisemita. Il fatto che una simile richiesta crei ansia tra gli israeliani non prova che sia ingiusta, né che sia antisemita. È un diritto riconosciuto dal diritto internazionale come rappresentato nella risoluzione 194 del 1948 dell’assemblea generale delle Nazioni Unite.

6. Livellare l’accusa di antisemitismo contro chiunque consideri razzista l’attuale stato di Israele, nonostante l’effettiva discriminazione istituzionale e costituzionale su cui si basa, equivale a garantire a Israele l’impunità assoluta. Israele può così deportare i suoi cittadini palestinesi, o revocarne la cittadinanza o negare loro il diritto di voto, ed essere comunque immune dall’accusa di razzismo. La definizione dell’IHRA e il modo in cui viene impiegata bloccano qualsiasi discussione sullo stato israeliano in quanto basato sulla discriminazione etnico-religiosa. In tal modo violano la giustizia elementare e le norme fondamentali dei diritti umani e del diritto internazionale.

7. Crediamo che la giustizia richieda il pieno sostegno del diritto dei palestinesi all’autodeterminazione, inclusa la richiesta di porre fine all’occupazione internazionalmente riconosciuta dei loro territori e all’apolidia e alla privazione dei rifugiati palestinesi. La soppressione dei diritti dei palestinesi nella definizione dell’IHRA tradisce un atteggiamento che sostiene il privilegio ebraico in Palestina invece dei diritti ebraici, e la supremazia ebraica sui palestinesi invece della sicurezza ebraica. Crediamo che i valori e i diritti umani siano indivisibili e che la lotta all’antisemitismo debba andare di pari passo con la lotta a nome di tutti i popoli e gruppi oppressi per la dignità, l’uguaglianza e l’emancipazione.

Gentile lettore, DONA

Restiamo fiduciosi, contro ogni previsione. Ma la nostra speranza non è il prodotto di un pio desiderio o di qualsiasi delusione sulle sfide future, poiché quella speranza non farebbe che prolungare la nostra situazione coloniale.

La nostra speranza è radicata nella ricca eredità di lotta del nostro popolo palestinese, nel consenso palestinese dietro la ponderata resistenza globalizzata del movimento BDS all'oppressione e nella vostra ispirante solidarietà con la nostra lotta per la libertà, la giustizia e l'uguaglianza.

Siamo fiduciosi perché il tuo sostegno al movimento BDS ha moltiplicato il suo impatto negli ultimi anni, indebolendo ulteriormente il regime di occupazione, colonialismo e apartheid di Israele.

La nostra speranza, come mostra il nostro ultimo video, è decolonizzata! Controlla! Abbiamo chiesto ai palestinesi di origini ed età diverse, cosa significa per loro il BDS, e hanno rispecchiato il quasi consenso a sostegno del BDS. Rifugiati, attivisti veterani del boicottaggio della prima Intifada, nonne, giovani e studenti universitari di Acri, Nablus e Tulkarm, un prete, il capo del sindacato dei pescatori di Gaza, hanno risposto tutti all'unisono: BDS significa speranza di raggiungere i nostri diritti



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