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La VOCE 2101

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La VOCE ANNO XXIII N°5

gennaio 2021

PAGINA 2         - 18

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segue da pag.17: cosa succede in cile? intervistiamo una compagna cilena per sapere cosa stia succedendo in cile e come si stia organizzando il movimento di fronte alle sfide che gli vengono poste dalla classe politica e dalla classe dominante. di simone rossi. riporto qui l’intervista fatta alla compagna romina, che vive a santiago ed è stata coinvolta in prima persona nelle mobilitazioni che da più di un anno hanno sconvolto il panorama politico cileno; la ringrazio per la partecipazione a questa intervista. d. in cile si è da poco votato in uno storico referendum generato dalla pressione di un fortissimo movimento di massa e utilizzato come scappatoia da una classe politica che si sente franare il terreno sotto i piedi, che per la prima volta ha seriamente messo in discussione l’eredità di pinochet. che significato ha questo avvenimento nella storia cilena? r. per prima cosa è essenziale sottolineare e chiarire questo: il cambiamento di costituzione, il plebiscito, non è stato portato avanti dal movimento di massa, ma è stato uno sbocco alle pressioni in cui la classe politica si è trovata avvolta; era un modo per stabilire un certo ordine o pace o per raffreddare la situazione (e per questo motivo è stato chiamato patto per la pace sociale), ma non era uno slogan né faceva parte di una petizione popolare. e questo perché dal caos che ha avuto luogo nel novembre dello scorso anno la classe politica è uscita particolarmente sfinita, troppo sotto pressione per quello che stava succedendo in quel momento (…) si sono incendiate stazioni della metropolitana, ci sono state tantissime manifestazioni in tutto il cile (…) il paese si è praticamente fermato per una settimana, e all’interno di quel caos si chiedevano con forza dimissioni di piñera, la destituzione dei ministri e che il congresso si mettesse a lavorare; si chiedeva anche che si espellessero i politici. quindi, in questa situazione, i gruppi parlamentari sia di destra sia di sinistra si sono incontrati, a porte chiuse, senza la partecipazione della cittadinanza, e hanno portato a questo risultato, che è stato chiamato il patto per la pace sociale, che si basava sull’idea di fare un plebiscito per una nuova costituzione. oltre a tutto ciò, è necessario rimarcare come l’eredità di pinochet non possa essere chiamata “pinochetismo”. con il colpo di stato si è instaurato un nuovo modello economico, sostenuto anche dagli stati uniti, soprattutto perché la loro fonte di reddito era minacciata (il cile è uno dei principali esportatori di risorse naturali da cui gli stati uniti si riforniscono); quindi, visto quello che era successo con l’autonomia popolare e siccome stava guadagnando così tanta forza, si realizzò il colpo di stato guidato da pinochet con l’aiuto della cia e degli stati uniti. e tutto questo per instaurare il modello economico che c’era allora e continua a esserci ancora oggi, vale a dire il neoliberismo: capitalismo completamente puro. (…) e con la dittatura fu creata una giunta militare con molti esperti e avvocati e fu creata una nuova costituzione, ma la costituzione che avevamo era del 1929 (la costituzione precedente a quella che fu emanata durante il colpo di stato, ndr) ed era una costituzione che sanciva i diritti e garantiva un po’ più di protezione alla persona da parte dello stato. con la costituzione del colpo di stato, tutto ciò fu cancellato e fu creata una costituzione di stampo più liberale che invece di dare garanzie al popolo, le annullò e fece sì che le garanzie del popolo fossero portate avanti da privati. con questa costituzione dell’89, la gente ha cominciato a parlare di cose come l’educazione di mercato, la salute di mercato e un modo di vedere la vita, i bisogni e i diritti fondamentali delle persone come qualcosa da cui può essere ottenuto un profitto: che le persone debbano pagare per i loro bisogni di base. modificando quella costituzione, ciò che vogliamo è che si smetta di vedere la vita stessa come un bene di mercato. vogliamo tornare a una costituzione che garantisca ciò che è necessario affinché le persone si sviluppino in modo dignitoso. la costituzione deve stabilire questo: che le persone sì che hanno il diritto di accedere a qualcosa. oggi le persone non possono accedere, per esempio, a un’assistenza sanitaria dignitosa e di qualità, perché tutto è privatizzato; dobbiamo rimuovere questa privatizzazione dei bisogni fondamentali per creare una società più sana. d. con il passaggio ad ampia maggioranza del sì alla riforma della costituzione si è segnata una svolta decisiva o ti sembra ci sia ancora strada da fare? quale è stata la reazione popolare alla vittoria? le persone sono soddisfatte oppure ancora combattive? r. cambiare una costituzione è sicuramente un cambiamento importante, perché è “la grande madre” di tutto ciò che si trova sotto, quindi se la costituzione consacra e garantisce i diritti delle persone è una conquista, perché significa che anche le leggi dovranno assimilare che siano un fatto, in qualche modo, i diritti delle persone (diritti umani, del bambino, delle donne, degli indigeni, cioè dei popoli originari). tutti quei diritti che la costituzione politica dell’89 non contempla è ciò che vogliamo sia contemplato nella nuova costituzione. (…) io studio legge. per esempio, poniamo che si voglia redigere una legge che ripristini le terre dei popoli nativi: cosa succede? questo non si può fare oggi a causa del fatto che (nella costituzione, ndr) vengono concessi molti più diritti di quanti ne dovrebbero avere alle imprese private rispetto a ciò che le persone dovrebbero avere. (…) né c’è un’importanza o un riscatto culturale da parte delle leggi, non c’è niente di tutto ciò ora contemplato ma è chiaramente tutto rivolto a una vita di mercato, nel quale si lucra assolutamente con tutto. (…) in questo modo (tramite la riforma costituzionale, ndr) saranno garantiti i diritti delle persone, verranno garantite molte cose che non sono contemplate, quindi certamente è una conquista, ma non del tutto per più motivi. quello della riforma costituzionale non era lo slogan principale quando la gente è scesa in piazza, quella non era la prima bandiera di lotta, ma c’erano molte cose dietro come l’istruzione e la salute, che sono ciò che una nuova costituzione deve consacrare; quindi bisogna continuare a combattere e ampi settori sociali pensano che la nuova costituzione non basti e che la gente non debba smettere di protestare, che la gente non debba smettere di combattere perché con questo obiettivo (quello di fermare le proteste, ndr) si è pensato il plebiscito. la classe politica ha lanciato questo plebiscito per fermare le manifestazioni: non è quello che faremo noi, non è quello che farà la gente e non è quello che vuole la gente. questo è stato come un ciuccio per un bebè che sta piangendo, ma non è abbastanza. d. che organizzazione si è data il movimento popolare che sta mettendo in discussione lo status quo cileno per rispondere alle eventuali minacce di estrema destra e padronato? cosa stanno facendo i settori padronali per fermare l’avanzata del movimento popolare? r. da un lato c’è ancora organizzazione, ci sono ancora assemblee in tutto il cile. a santiago ci sono varie assemblee, e queste assemblee si stanno organizzando con la loro comunità parallelamente a quello che è stato il plebiscito. chi partecipa a queste assemblee non crede nella democrazia borghese e non è andato a votare, il suo modo di combattere e di far avanzare il movimento è attraverso l’organizzazione. ci sono ancora settori, molti, che si stanno organizzando, ci sono assemblee di persone che non si riconoscono in cosa sta succedendo e discutono di tutto ciò che sta succedendo a livello politico, di come è maturato quel processo e di come procederanno loro in una forma popolare, diversa dal modo istituzionale di cambiare la costituzione e molto più rivoluzionaria. queste persone non faranno un attentato a la moneda (che è dove si trova il presidente) e la prenderanno, non si tratta di questo, ma stanno cercando una via che nasca dalla società, dalle persone stesse, dal proprio popolo, e che faccia sì che siano le persone che prendono le decisioni e agiscono; tutto il contrario di ciò che implica il plebiscito, cioè dare alla classe politica il potere in modo che possa decidere per noi. questa è una forma di lotta dei settori popolari: attraverso l’organizzazione in assemblee. un’altra forma di lotta e di organizzazione dei settori popolari è attraverso le proteste, perché le proteste non si sono fermate con la mobilitazione di massa in piazza della dignità; quelle cose continuano a esistere, l’organizzazione c’è, è attiva e credo non lo sia mai stata così tanto. d’altra parte, quello che stanno facendo i settori padronali è cercare di placare le mobilitazioni rendendo felici le persone: stanno approvando molte leggi nella loro maggioranza (sia di destra sia di sinistra), distribuendo bonus ecc. allo stesso tempo, riguardo alle mobilitazioni, c’è ancora molta repressione e si stanno anche approvando leggi per reprimere: è stato approvato un compendio di leggi che servono a reprimere le manifestazioni, come la legge anti-incappucciati. quella legge è stata approvata il 28 novembre dello scorso anno e dice che tutte le persone che hanno il volto coperto devono essere incarcerate; ad oggi ci sono molti prigionieri politici a cui è stata applicata la legge anti-incappucciato. il settore politico sta dimostrando il fatto di essere controllato dal settore economico, dagli imprenditori: alcuni dei sistemi che i settori oligarchici stanno usando per operare sono la via istituzionale e le leggi a favore di quei settori e contro il popolo. grazie ancora alla compagna per questa preziosa testimonianza che apre uno scorcio sull’attuale situazione cilena. auguriamo buon lavoro ai compagni e alle compagne in cile e speriamo di tornare presto ad aggiornare anche lettrici e lettori con buone notizie. https://www.lacittafutura.it/esteri/cosa-succede-in-cile
venezuela. “dalla guerriglia al governo, lo stesso assalto al cielo”. intervista esclusiva al dirigente sindacale jacobo torres. jacobo, grazie per aver accettato questa intervista. vorremmo iniziare raccontando a chi non ti conosce a livello internazionale qual è stato il tuo percorso, durante la iv repubblica e poi con la rivoluzione bolivariana. ho 45 anni di militanza, praticamente tutta una vita. ho iniziato quando avevo 12 anni, prima con il partido de la revolución venezolana, el prv. a partire dal 1979, quando avevo 16 anni, ho accompagnato il comandante fausto, nome di battaglia nella guerriglia del nostro compianto compagno ali rodriguez araque, nella costruzione della tendencia revolucionaria. in seguito sono stato un militante internazionalista del ejercito revolucionario del pueblo, nel fronte farabundo marti per la liberazione nazionale (fmln), negli anni della guerra in salvador. ero membro della commissione politico-diplomatica dell’erp. poi, ovviamente, ho collaborato con i compagni sandinisti negli anni della guerra in nicaragua e sempre con i compagni cubani, come rivoluzionario conseguente dell’america del sud. in venezuela ho partecipato alle due insurrezioni civico militari del 4 febbraio e del 27 novembre 1992 contro le democrazie camuffate della quarta repubblica e da allora ho sempre seguito la causa del comandante supremo della rivoluzione bolivariana, hugo chavez. nella rivoluzione ho occupato sia incarichi di governo, di medio calibro possiamo dire, che sindacali, ma sempre dedicati all’azione politica. ho militato nella causa r e ho partecipato alla fondazione del ppt. sono stato coordinatore della fuerza bolivariana de trabajadores, fondata da chávez en 2000, e prima di questo ho fatto parte del frente nacional constituyente obrero nel 1998, ho coordinato il gruppo di discussione degli articoli a carattere sociale della costituzione bolivariana del 1999. sono stato militante del partido socialista unido de venezuela (psuv) dalla sua fondazione e prima ero membro del mvr. oggi sono militante quasi a tempo completo del movimiento obrero revolucionario “ali rodríguez araque ” (moara) nel settore elettrico. qual è il compito del moara e quali sono i suoi obiettivi? in base a un’indicazione del presidente nicolas maduro, il proposito è quello di costruire un forte polo rivoluzionario di lavoratori nel settore elettrico, uno dei più sensibili e strategici della nostra economia e della nostra vita quotidiana. dopo il terribile sabotaggio elettrico subito a marzo del 2019, superato grazie allo sforzo dei lavoratori, stiamo costruendo un movimento solido a partire dal consiglio produttivo dei lavoratori e delle lavoratrici, il nostro corpo combattente nel settore elettrico, che abbiamo deciso di dedicare al comandante fausto. per il recupero del sistema elettrico nazionale, è anche in costruzione la brigata novembre vittorioso, alla quale sto lavorando insieme a diversi compagni nel coordinamento nazionale. sempre rispondendo alla tua domanda sul mio ruolo oggi nella rivoluzione, oltre a essere stato eletto all’assemblea nazionale costituente, che terminerà i suoi lavori il 31 di dicembre, sono coordinatore nazionale della centrale bolivariana socialista dei lavoratori. lavoro con il compagno adan chavez nella vicepresidenza del partito e collaboro con la vicepresidenza operaia in tutti gli scenari che si presentano. qual è la tua lettura della congiuntura economica in corso in venezuela? la situazione permane assai complicata. veniamo da una guerra sistematica dagli anni del comandante chavez. una guerra che ha agito in tutti i campi, da quello economico a quello psicologico. dal golpe del 2002, che grazie alla coscienza del nostro popolo e all’unione civico-militare siamo riusciti a risolvere in 48 ore, fino a oggi, abbiamo dovuto resistere a ogni tipo di attacco, infiltrazioni, sabotaggi, che si sono intensificati dopo la morte di chavez. l’imperialismo e la destra hanno creduto che avrebbero potuto averla vinta con nicolas maduro. invece, il primo presidente chavista e operaio, ha saputo dar loro filo da torcere, si è rivelato uno statista, un grande dirigente, ovviamente accompagnato dalla coscienza del nostro popolo organizzato e da una classe operaia che ogni giorno si rafforza di più nella costruzione del nostro modello socialista, nonostante le difficoltà. dal 2015, da quando obama ha definito il venezuela “una minaccia inusuale e straordinaria per la sicurezza degli stati uniti”, si è acuito il bloqueo economico-finanziario e si sono inasprite le “sanzioni”, che venivano presentate come misure volte a colpire il “regime” di maduro e i funzionari dello stato. invece, se c’è una cosa chiarissima è che le misure coercitive unilaterali e l’insieme di attacchi che subiamo, non colpiscono solo la direzione chavista, ma l’intero popolo, indipendentemente dal colore politico. ci hanno sottratto la raffineria citgo, che ha sede negli stati uniti, l’impresa monomeros in colombia, si sono rubati gli attivi all’estero, ci hanno congelato i conti nelle banche europee, rubati i soldi destinati a cure mediche per i bambini malati di midollo osseo, già decise e pagate tramite citgo. ci hanno impedito di comparare all’estero alimenti e medicine, cercano di bloccarci dappertutto. ma il nostro governo è riuscito a ammortizzare l’effetto della dollarizzazione speculativa e della crisi economica indotta dal bloqueo, mediante i sussidi e i bonus erogati attraverso il carnet de la patria e le borse clap, i comitati di rifornimento e produzione che aiutano oltre 6 milioni di famiglie consegnando alimenti basici. di certo non abbiamo risolto, ma solo attutito il colpo, mentre sta andando avanti il piano produttivo per essere quanto più possibile autosufficienti. non riusciamo ancora a produrre tutto quel che consumiamo, ma almeno due elementi basici, il mais e il riso che mangiamo, oggi vengono prodotti in venezuela. il feroce blocco economico-finanziario imposto dagli stati uniti e dai loro vassalli ha indubbiamente peggiorato il livello di vita dei lavoratori e delle lavoratrici, polverizzando il loro potere d’acquisto, nonostante i sussidi del governo. perché si è arrivati a questo punto? non vi sono stati anche errori nella conduzione della politica economica? errori se ne fanno e se ne faranno ancora. siamo ancora di fronte a uno stato capitalista, contro il quale abbiamo disegnato la costruzione del nostro stato socialista, attraverso la comuna come unità primaria dello stato e con la nostra classe operaia organizzata nei consigli produttivi dei lavoratori e delle lavoratrici. un progetto che permetta il controllo della classe operaia e del popolo organizzato nella costruzione del nuovo modello. come lavoratori, ci impegniamo per la costruzione di un modello operaio contadino e comunale che, con questa simbiosi tra i fattori più importanti della rivoluzione arrivi al nuovo modello socialista come lo ha sognato chávez. certo, vi sono stati errori e ritardi sul piano economico riguardo al modo in cui smantellare il vecchio stato, e su come agire con quei funzionari che si comportano in modo burocratico e che frenano la spinta propulsiva verso il socialismo. a proposito della questione dei salari, soprattutto quelli di chi lavora nel settore pubblico, si è sviluppato un vivace dibattito tra due militanti della rivoluzione, il dirigente del psuv, jesus farias e l’economista marxista pasqualina curcio. come stavano le cose secondo te? premetto che il dibattito si è svolto tra due compagni molto rispettabili, le cui concezioni sono parte della stessa ottica politica rivoluzionaria, che hanno entrambi la mia stima. forse, però, avrebbero potuto governarlo meglio quel dibattito, tanto più che, per quel che ne penso, la questione dell’aumento salariale non era dirimente per come è stata posta. pasqualina l’ha fatto cercando delle strade per combattere il modello capitalista e il blocco economico, jesus ha argomentato da un punto di vista più pragmatico, partendo dalla necessità di venir fuori dalla crisi economica indotta dall’imperialismo. in entrambi i casi, il problema si è focalizzato sull’aumento salariale che, dal mio punto di vista, non è la questione principale. intendiamoci, l’attacco al potere acquisitivo dei lavoratori è forte, ma senza misure addizionali, qualunque aumento salariale si polverizza per via della dollarizzazione artificiale e della guerra economica. ..segue ./.
Segue da Pag.17: Cosa succede in Cile?

Intervistiamo una compagna cilena per sapere cosa stia succedendo in Cile e come si stia organizzando il movimento di fronte alle sfide che gli vengono poste dalla classe politica e dalla classe dominante.

di Simone Rossi

Riporto qui l’intervista fatta alla compagna Romina, che vive a Santiago ed è stata coinvolta in prima persona nelle mobilitazioni che da più di un anno hanno sconvolto il panorama politico cileno; la ringrazio per la partecipazione a questa intervista.

D. In Cile si è da poco votato in uno storico referendum generato dalla pressione di un fortissimo movimento di massa e utilizzato come scappatoia da una classe politica che si sente franare il terreno sotto i piedi, che per la prima volta ha seriamente messo in discussione l’eredità di Pinochet. Che significato ha questo avvenimento nella storia cilena?

R. Per prima cosa è essenziale sottolineare e chiarire questo: il cambiamento di Costituzione, il plebiscito, non è stato portato avanti dal movimento di massa, ma è stato uno sbocco alle pressioni in cui la classe politica si è trovata avvolta; era un modo per stabilire un certo ordine o pace o per raffreddare la situazione (e per questo motivo è stato chiamato patto per la pace sociale), ma non era uno slogan né faceva parte di una petizione popolare. E questo perché dal caos che ha avuto luogo nel novembre dello scorso anno la classe politica è uscita particolarmente sfinita, troppo sotto pressione per quello che stava succedendo in quel momento (…) si sono incendiate stazioni della metropolitana, ci sono state tantissime manifestazioni in tutto il Cile (…) il paese si è praticamente fermato per una settimana, e all’interno di quel caos si chiedevano con forza dimissioni di Piñera, la destituzione dei ministri e che il congresso si mettesse a lavorare; si chiedeva anche che si espellessero i politici. Quindi, in questa situazione, i gruppi parlamentari sia di destra sia di sinistra si sono incontrati, a porte chiuse, senza la partecipazione della cittadinanza, e hanno portato a questo risultato, che è stato chiamato il patto per la pace sociale, che si basava sull’idea di fare un plebiscito per una nuova Costituzione. Oltre a tutto ciò, è necessario rimarcare come l’eredità di Pinochet non possa essere chiamata “pinochetismo”. Con il colpo di Stato si è instaurato un nuovo modello economico, sostenuto anche dagli Stati Uniti, soprattutto perché la loro fonte di reddito era minacciata (il Cile è uno dei principali esportatori di risorse naturali da cui gli Stati Uniti si riforniscono); quindi, visto quello che era successo con l’autonomia popolare e siccome stava guadagnando così tanta forza, si realizzò il colpo di Stato guidato da Pinochet con l’aiuto della Cia e degli Stati Uniti. E tutto questo per instaurare il modello economico che c’era allora e continua a esserci ancora oggi, vale a dire il neoliberismo: capitalismo completamente puro. (…) e con la dittatura fu creata una giunta militare con molti esperti e avvocati e fu creata una nuova Costituzione, ma la costituzione che avevamo era del 1929 (la costituzione precedente a quella che fu emanata durante il colpo di Stato, NdR) ed era una costituzione che sanciva i diritti e garantiva un po’ più di protezione alla persona da parte dello Stato. Con la costituzione del colpo di Stato, tutto ciò fu cancellato e fu creata una Costituzione di stampo più liberale che invece di dare garanzie al popolo, le annullò e fece sì che le garanzie del popolo fossero portate avanti da privati. Con questa Costituzione dell’89, la gente ha cominciato a parlare di cose come l’educazione di mercato, la salute di mercato e un modo di vedere la vita, i bisogni e i diritti fondamentali delle persone come qualcosa da cui può essere ottenuto un profitto: che le persone debbano pagare per i loro bisogni di base. Modificando quella Costituzione, ciò che vogliamo è che si smetta di vedere la vita stessa come un bene di mercato. Vogliamo tornare a una Costituzione che garantisca ciò che è necessario affinché le persone si sviluppino in modo dignitoso. La Costituzione deve stabilire questo: che le persone sì che hanno il diritto di accedere a qualcosa. Oggi le persone non possono accedere, per esempio, a un’assistenza sanitaria dignitosa e di qualità, perché tutto è privatizzato; dobbiamo rimuovere questa privatizzazione dei bisogni fondamentali per creare una società più sana.

D. Con il passaggio ad ampia maggioranza del sì alla riforma della costituzione si è segnata una svolta decisiva o ti sembra ci sia ancora strada da fare? Quale è stata la reazione popolare alla vittoria? Le persone sono soddisfatte oppure ancora combattive?

R. Cambiare una Costituzione è sicuramente un cambiamento importante, perché è “la grande madre” di tutto ciò che si trova sotto, quindi se la Costituzione consacra e garantisce i diritti delle persone è una conquista, perché significa che anche le leggi dovranno assimilare che siano un fatto, in qualche modo, i diritti delle persone (diritti umani, del bambino, delle donne, degli indigeni, cioè dei popoli originari). Tutti quei diritti che la Costituzione politica dell’89 non contempla è ciò che vogliamo sia contemplato nella nuova Costituzione. (…) Io studio legge. Per esempio, poniamo che si voglia redigere una legge che ripristini le terre dei popoli nativi: cosa succede? Questo non si può fare oggi a causa del fatto che (nella Costituzione, NdR) vengono concessi molti più diritti di quanti ne dovrebbero avere alle imprese private rispetto a ciò che le persone dovrebbero avere. (…) Né c’è un’importanza o un riscatto culturale da parte delle leggi, non c’è niente di tutto ciò ora contemplato ma è chiaramente tutto rivolto a una vita di mercato, nel quale si lucra assolutamente con tutto. (…) In questo modo (tramite la riforma costituzionale, NdR) saranno garantiti i diritti delle persone, verranno garantite molte cose che non sono contemplate, quindi certamente è una conquista, ma non del tutto per più motivi. Quello della riforma costituzionale non era lo slogan principale quando la gente è scesa in piazza, quella non era la prima bandiera di lotta, ma c’erano molte cose dietro come l’istruzione e la salute, che sono ciò che una nuova Costituzione deve consacrare; quindi bisogna continuare a combattere e ampi settori sociali pensano che la nuova Costituzione non basti e che la gente non debba smettere di protestare, che la gente non debba smettere di combattere perché con questo obiettivo (quello di fermare le proteste, NdR) si è pensato il plebiscito. La classe politica ha lanciato questo plebiscito per fermare le manifestazioni: non è quello che faremo noi, non è quello che farà la gente e non è quello che vuole la gente. Questo è stato come un ciuccio per un bebè che sta piangendo, ma non è abbastanza.

D. Che organizzazione si è data il movimento popolare che sta mettendo in discussione lo status quo cileno per rispondere alle eventuali minacce di estrema destra e padronato? Cosa stanno facendo i settori padronali per fermare l’avanzata del movimento popolare?

R. Da un lato c’è ancora organizzazione, ci sono ancora assemblee in tutto il Cile. A Santiago ci sono varie assemblee, e queste assemblee si stanno organizzando con la loro comunità parallelamente a quello che è stato il plebiscito. Chi partecipa a queste assemblee non crede nella democrazia borghese e non è andato a votare, il suo modo di combattere e di far avanzare il movimento è attraverso l’organizzazione. Ci sono ancora settori, molti, che si stanno organizzando, ci sono assemblee di persone che non si riconoscono in cosa sta succedendo e discutono di tutto ciò che sta succedendo a livello politico, di come è maturato quel processo e di come procederanno loro in una forma popolare, diversa dal modo istituzionale di cambiare la costituzione e molto più rivoluzionaria. Queste persone non faranno un attentato a La Moneda (che è dove si trova il presidente) e la prenderanno, non si tratta di questo, ma stanno cercando una via che nasca dalla società, dalle persone stesse, dal proprio popolo, e che faccia sì che siano le persone che prendono le decisioni e agiscono; tutto il contrario di ciò che implica il plebiscito, cioè dare alla classe politica il potere in modo che possa decidere per noi. Questa è una forma di lotta dei settori popolari: attraverso l’organizzazione in assemblee. Un’altra forma di lotta e di organizzazione dei settori popolari è attraverso le proteste, perché le proteste non si sono fermate con la mobilitazione di massa in Piazza della Dignità; quelle cose continuano a esistere, l’organizzazione c’è, è attiva e credo non lo sia mai stata così tanto. D’altra parte, quello che stanno facendo i settori padronali è cercare di placare le mobilitazioni rendendo felici le persone: stanno approvando molte leggi nella loro maggioranza (sia di destra sia di sinistra), distribuendo bonus ecc. Allo stesso tempo, riguardo alle mobilitazioni, c’è ancora molta repressione e si stanno anche approvando leggi per reprimere: è stato approvato un compendio di leggi che servono a reprimere le manifestazioni, come la legge anti-incappucciati. Quella legge è stata approvata il 28 novembre dello scorso anno e dice che tutte le persone che hanno il volto coperto devono essere incarcerate; ad oggi ci sono molti prigionieri politici a cui è stata applicata la legge anti-incappucciato. Il settore politico sta dimostrando il fatto di essere controllato dal settore economico, dagli imprenditori: alcuni dei sistemi che i settori oligarchici stanno usando per operare sono la via istituzionale e le leggi a favore di quei settori e contro il popolo.

Grazie ancora alla compagna per questa preziosa testimonianza che apre uno scorcio sull’attuale situazione cilena. Auguriamo buon lavoro ai compagni e alle compagne in Cile e speriamo di tornare presto ad aggiornare anche lettrici e lettori con buone notizie.

https://www.lacittafutura.it/esteri/cosa-succede-in-cile

Venezuela. “Dalla guerriglia al governo, lo stesso assalto al cielo”. Intervista esclusiva al dirigente sindacale Jacobo Torres



Jacobo, grazie per aver accettato questa intervista. Vorremmo iniziare raccontando a chi non ti conosce a livello internazionale qual è stato il tuo percorso, durante la IV Repubblica e poi con la rivoluzione bolivariana

Ho 45 anni di militanza, praticamente tutta una vita. Ho iniziato quando avevo 12 anni, prima con il Partido de la Revolución Venezolana, el Prv. A partire dal 1979, quando avevo 16 anni, ho accompagnato il comandante Fausto, nome di battaglia nella guerriglia del nostro compianto compagno Ali Rodriguez Araque, nella costruzione della Tendencia Revolucionaria. In seguito sono stato un militante internazionalista del Ejercito Revolucionario del Pueblo, nel Fronte Farabundo Marti per la Liberazione Nazionale (FMLN), negli anni della guerra in Salvador. Ero membro della commissione politico-diplomatica dell’Erp. Poi, ovviamente, ho collaborato con i compagni sandinisti negli anni della guerra in Nicaragua e sempre con i compagni cubani, come rivoluzionario conseguente dell’America del Sud. In Venezuela ho partecipato alle due insurrezioni civico militari del 4 febbraio e del 27 novembre 1992 contro le democrazie camuffate della Quarta Repubblica e da allora ho sempre seguito la causa del comandante supremo della rivoluzione bolivariana, Hugo Chavez. Nella rivoluzione ho occupato sia incarichi di governo, di medio calibro possiamo dire, che sindacali, ma sempre dedicati all’azione politica. Ho militato nella Causa R e ho partecipato alla fondazione del PPT. Sono stato coordinatore della Fuerza Bolivariana de Trabajadores, fondata da Chávez en 2000, e prima di questo ho fatto parte del Frente Nacional Constituyente Obrero nel 1998, ho coordinato il gruppo di discussione degli articoli a carattere sociale della Costituzione Bolivariana del 1999. Sono stato militante del Partido Socialista Unido de Venezuela (PSUV) dalla sua fondazione e prima ero membro del MVR. Oggi sono militante quasi a tempo completo del Movimiento Obrero Revolucionario “Ali Rodríguez Araque ” (MOARA) nel settore elettrico.

Qual è il compito del MOARA e quali sono i suoi obiettivi?

In base a un’indicazione del presidente Nicolas Maduro, il proposito è quello di costruire un forte polo rivoluzionario di lavoratori nel settore elettrico, uno dei più sensibili e strategici della nostra economia e della nostra vita quotidiana. Dopo il terribile sabotaggio elettrico subito a marzo del 2019, superato grazie allo sforzo dei lavoratori, stiamo costruendo un movimento solido a partire dal Consiglio Produttivo dei Lavoratori e delle Lavoratrici, il nostro corpo combattente nel settore elettrico, che abbiamo deciso di dedicare al comandante Fausto. Per il recupero del sistema elettrico nazionale, è anche in costruzione la Brigata novembre vittorioso, alla quale sto lavorando insieme a diversi compagni nel coordinamento nazionale. Sempre rispondendo alla tua domanda sul mio ruolo oggi nella rivoluzione, oltre a essere stato eletto all’Assemblea Nazionale Costituente, che terminerà i suoi lavori il 31 di dicembre, sono coordinatore nazionale della Centrale Bolivariana Socialista dei Lavoratori. Lavoro con il compagno Adan Chavez nella vicepresidenza del partito e collaboro con la vicepresidenza operaia in tutti gli scenari che si presentano.

Qual è la tua lettura della congiuntura economica in corso in Venezuela?

La situazione permane assai complicata. Veniamo da una guerra sistematica dagli anni del comandante Chavez. Una guerra che ha agito in tutti i campi, da quello economico a quello psicologico. Dal golpe del 2002, che grazie alla coscienza del nostro popolo e all’unione civico-militare siamo riusciti a risolvere in 48 ore, fino a oggi, abbiamo dovuto resistere a ogni tipo di attacco, infiltrazioni, sabotaggi, che si sono intensificati dopo la morte di Chavez. L’imperialismo e la destra hanno creduto che avrebbero potuto averla vinta con Nicolas Maduro. Invece, il primo presidente chavista e operaio, ha saputo dar loro filo da torcere, si è rivelato uno statista, un grande dirigente, ovviamente accompagnato dalla coscienza del nostro popolo organizzato e da una classe operaia che ogni giorno si rafforza di più nella costruzione del nostro modello socialista, nonostante le difficoltà. Dal 2015, da quando Obama ha definito il Venezuela “una minaccia inusuale e straordinaria per la sicurezza degli Stati Uniti”, si è acuito il bloqueo economico-finanziario e si sono inasprite le “sanzioni”, che venivano presentate come misure volte a colpire il “regime” di Maduro e i funzionari dello Stato. Invece, se c’è una cosa chiarissima è che le misure coercitive unilaterali e l’insieme di attacchi che subiamo, non colpiscono solo la direzione chavista, ma l’intero popolo, indipendentemente dal colore politico. Ci hanno sottratto la raffineria Citgo, che ha sede negli Stati Uniti, l’impresa Monomeros in Colombia, si sono rubati gli attivi all’estero, ci hanno congelato i conti nelle banche europee, rubati i soldi destinati a cure mediche per i bambini malati di midollo osseo, già decise e pagate tramite Citgo. Ci hanno impedito di comparare all’estero alimenti e medicine, cercano di bloccarci dappertutto. Ma il nostro governo è riuscito a ammortizzare l’effetto della dollarizzazione speculativa e della crisi economica indotta dal bloqueo, mediante i sussidi e i bonus erogati attraverso il Carnet de la patria e le borse Clap, i Comitati di rifornimento e produzione che aiutano oltre 6 milioni di famiglie consegnando alimenti basici. Di certo non abbiamo risolto, ma solo attutito il colpo, mentre sta andando avanti il piano produttivo per essere quanto più possibile autosufficienti. Non riusciamo ancora a produrre tutto quel che consumiamo, ma almeno due elementi basici, il mais e il riso che mangiamo, oggi vengono prodotti in Venezuela.

Il feroce blocco economico-finanziario imposto dagli Stati Uniti e dai loro vassalli ha indubbiamente peggiorato il livello di vita dei lavoratori e delle lavoratrici, polverizzando il loro potere d’acquisto, nonostante i sussidi del governo. Perché si è arrivati a questo punto? Non vi sono stati anche errori nella conduzione della politica economica?

Errori se ne fanno e se ne faranno ancora. Siamo ancora di fronte a uno Stato capitalista, contro il quale abbiamo disegnato la costruzione del nostro Stato socialista, attraverso la comuna come unità primaria dello Stato e con la nostra classe operaia organizzata nei Consigli produttivi dei lavoratori e delle lavoratrici. Un progetto che permetta il controllo della classe operaia e del popolo organizzato nella costruzione del nuovo modello. Come lavoratori, ci impegniamo per la costruzione di un modello operaio contadino e comunale che, con questa simbiosi tra i fattori più importanti della rivoluzione arrivi al nuovo modello socialista come lo ha sognato Chávez. Certo, vi sono stati errori e ritardi sul piano economico riguardo al modo in cui smantellare il vecchio stato, e su come agire con quei funzionari che si comportano in modo burocratico e che frenano la spinta propulsiva verso il socialismo.

A proposito della questione dei salari, soprattutto quelli di chi lavora nel settore pubblico, si è sviluppato un vivace dibattito tra due militanti della rivoluzione, il dirigente del Psuv, Jesus Farias e l’economista marxista Pasqualina Curcio. Come stavano le cose secondo te?

Premetto che il dibattito si è svolto tra due compagni molto rispettabili, le cui concezioni sono parte della stessa ottica politica rivoluzionaria, che hanno entrambi la mia stima. Forse, però, avrebbero potuto governarlo meglio quel dibattito, tanto più che, per quel che ne penso, la questione dell’aumento salariale non era dirimente per come è stata posta. Pasqualina l’ha fatto cercando delle strade per combattere il modello capitalista e il blocco economico, Jesus ha argomentato da un punto di vista più pragmatico, partendo dalla necessità di venir fuori dalla crisi economica indotta dall’imperialismo. In entrambi i casi, il problema si è focalizzato sull’aumento salariale che, dal mio punto di vista, non è la questione principale. Intendiamoci, l’attacco al potere acquisitivo dei lavoratori è forte, ma senza misure addizionali, qualunque aumento salariale si polverizza per via della dollarizzazione artificiale e della guerra economica.
..segue ./.

  P R E C E D E N T E   

    S U C C E S S I V A  

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