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La VOCE 2102

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La VOCE ANNO XXIII N°6

febbraio 2021

PAGINA b         - 26

Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
segue da pag.25: l’albero dei soldi americani: la storia mai raccontata degli aiuti statunitensi ad israele. e’ dal febbraio 2019 che gli usa hanno ritirato ogni finanziamento all’autorità palestinese in cisgiordania, inoltre hanno tagliato gli aiuti all’agenzia onu per i profughi palestinesi (unrwa), l’ultima salvaguardia rimasta per assicurare istruzione di base e assistenza sanitaria a milioni di profughi palestinesi. a giudicare dalla sua tradizione di continuo sostegno nei confronti della macchina militare israeliana e della incessante espansione coloniale in cisgiordania, washington insiste nel ricoprire il ruolo di principale benefattore – se non partner diretto – di israele mentre respinge del tutto i palestinesi. aspettarsi che gli usa giochino un ruolo costruttivo nel conseguimento di una pace giusta in palestina non riflette solo un’insostenibile ingenuità, ma pure caparbia ignoranza. ramzy baroud è giornalista e curatore di the palestine chronicle. e’ autore di cinque libri, l’ultimo dei quali è “these chains will be broken: palestinian stories of struggle and defiance in israeli prisons” (clarity press, atlanta). il dott. baroud è ricercatore presso il centro per gli affari islamici e globali (ciga) della istanbul zaim university (izu). il suo website è www.ramzybaroud.net. traduzione dall’inglese di stefania fusero. israele ordina un’ondata di nuove demolizioni di case a silwan, gerusalemme. ibrahim husseini - 31 dicembre 2020 – al jazeera. gli abitanti temono che il comune di gerusalemme stia preparandosi a radere al suolo molte case palestinesi nelle prossime settimane. gerusalemme est – fakhri abu diab, 59 anni, potrebbe dover decidere a breve se contrattare una squadra [di muratori] per demolire la casa della sua famiglia. diab è un attivista della sua comunità e uno de molti abitanti palestinesi del quartiere al-bustan di silwan, nella gerusalemme est occupata, a cui in dicembre sono stati intimati ordini di demolizione da parte del comune di gerusalemme. ha costruito senza licenza edilizia il suo edificio, nelle cui tre unità abitative vivono 13 membri della famiglia, in quanto, dalla prima volta in cui ha fatto domanda nel 1987, essa gli è stata negata per quattro volte. se il comune metterà in pratica l’ordinanza di demolizione, notificata il 9 dicembre, il costo potrebbe essere di 30.000 dollari. diab dice che, se perderà la casa, “al momento non ho alternative se non piazzare una tenda.” dice che nel solo mese di dicembre ad al-bustan sono stati consegnati 21 ordini di demolizione. i proprietari di case e gli osservatori temono che il comune, con l’appoggio del primo ministro benjamin netanyahu, stia preparandosi a radere al suolo nelle prossime settimane un numero significativo di case palestinesi in città. le nuove elezioni politiche israeliane, fissate in marzo, e gli ultimi giorni alla casa bianca del presidente usa uscente donald trump potrebbero accelerare questa iniziativa. “ci sono molte pressioni da parte dell’estrema destra sia all’interno della città che a livello nazionale per approfittare del tempo che resta,” dice ad al jazeera laura wharton, consigliera municipale a gerusalemme per il partito di sinistra [sionista, ndtr.] israeliano meretz. wharton ritiene che il numero di ordini di demolizione pendenti a gerusalemme est sia addirittura di 30.000. tuttavia non prevede che tutti siano in pericolo immediato. nel solo 2020 le nazioni unite hanno registrato 170 demolizioni nella sola gerusalemme est e 644 nell’area c [in base agli accordi di oslo, sotto totale ma temporaneo controllo israeliano, ndtr.] della cisgiordania occupata. i dati indicano che questo è il secondo numero di demolizioni più alto dal 2016, dopo che nel 2009 l’onu ha iniziato a registrare le demolizioni nei territori palestinesi occupati. per contrastare la diffusione della pandemia da coronavirus, dal primo ottobre è entrato in vigore un congelamento delle demolizioni di case occupate a gerusalemme est. ma l’11 novembre l’amministrazione comunale di gerusalemme ha improvvisamente posto fine al congelamento. quando al jazeera ha contattato il comune di gerusalemme per ottenere risposte sui nuovi ordini di demolizione, esso non ha affrontato il problema ma ha affermato in una dichiarazione: “gerusalemme è una delle città leader al mondo nel farsi carico delle necessità dei suoi abitanti, di tutti i suoi abitanti, soprattutto durante questo difficile periodo.” silwan, che si trova a sud delle mura della città vecchia, è stato a lungo un bersaglio dei coloni religiosi ultranazionalisti che spesso influenzano il consiglio municipale di gerusalemme, afferma wharton: “è un problema quando ci sono estremisti all’interno del comune e a livello nazionale un primo ministro che sta cercando di farsi votare,” dice wharton ad al jazeera. lotta per silwan. a silwan vivono circa 30.000 palestinesi, molti in case scadenti e con scarse infrastrutture. circa 500 coloni ebrei vivono in insediamenti sparsi nel quartiere. la fondazione della città di david, una ong israeliana comunemente nota come el-ad (acronimo in ebraico che sta per “per la città di david”) venne fondata nel 1986 principalmente per avanzare rivendicazioni territoriali attraverso l’archeologia e l’insediamento di coloni a silwan. a metà degli anni ’90 venne contrattata per gestire il parco [archeologico, ndtr.] della città di david, che essa intende estendere da wadi hilweh fino ai dintorni al-bustan. il progetto implica la demolizione di circa 90 case palestinesi per far posto a un parco nazionale e a un nuovo sviluppo urbano per i coloni. in base al presupposto che migliaia di anni fa fosse un giardino dei re israeliti, il comune di gerusalemme ha ufficialmente cambiato il nome “al-bustan” in “gan hamelekh” (il giardino del re). il comune ha sistematicamente negato agli abitanti palestinesi di al-bustan i permessi edilizi perché, in base ad un programma chiamato “la valle del re”, esso è considerato “un’area paesaggistica aperta”. “la mia casa è distrutta”. “sono stato maltrattato in ogni modo, la mia casa è distrutta… mia moglie e i bambini ora stanno vivendo lontano da me,” dice ad al jazeera il ventottenne kazem abu shafe’a.
abu shafe’a aveva bisogno di una casa per la sua famiglia composta da quattro persone. ma, in quanto assistente sociale per anziani con uno stipendio modesto, non poteva permettersi di lasciare silwan. così in agosto ha deciso di costruire sopra la casa di sua madre, anch’essa con un ordine di demolizione, un’abitazione per la sua famiglia, senza presentare una richiesta di permesso. è entrato nell’ appartamento aggiunto all’inizio di novembre, ma il 17 dello stesso mese funzionari comunali hanno consegnato ad abu shafe’a un ordine di demolizione. ha consultato un avvocato, ma questi gli ha detto che non si poteva far annullare l’ordinanza. abu shafe’a ha iniziato a mettere in salvo i mobili, la moglie ha preso i figli ed è andata a vivere con i suoi genitori finché non troveranno un posto da affittare. abu shafe’a è rimasto a casa di sua madre. il 22 dicembre è arrivata la squadra per la demolizione, inclusi poliziotti e impiegati comunali. “era circa mezzogiorno, non c’è stato nessun preavviso,” dice abu shafe’a. “circa 30 poliziotti si sono sparpagliati nel quartiere e hanno operato la demolizione,” dice. impedire una capitale palestinese. a silwan, al-bustan non è l’unico quartiere che si trova sotto pressione da parte delle autorità israeliane. gli abitanti di baten el-hawa, nel cuore di silwan, devono affrontare ordini di demolizione dopo che organizzazioni di coloni sono riuscite a far riconoscere rivendicazioni di proprietà nei tribunali israeliani. peace now, un’associazione di monitoraggio delle colonie israeliane, afferma che le azioni legali dei coloni comporteranno l’espulsione di un’intera comunità a gerusalemme est, in base all’applicazione della legge del “diritto al ritorno”, che israele concede solo ai suoi cittadini ebrei. attraverso al-bustan i coloni otterranno la contiguità di tre località: il “parco della città di david” ai confini di wadi hilweh e baten el-hawa ad est. “il progetto è collegare tutte le colonie nei quartieri palestinesi,” dice ad al jazeera hagit ofran, ricercatore e portavoce di peace now [associazione israeliana contraria all’occupazione, ndtr.]. “per circondare la città vecchia e impedire che gerusalemme est sia la capitale dei palestinesi.” dal 2004, in netto contrasto con la politica di demolizioni dell’amministrazione comunale di gerusalemme nei confronti dei palestinesi, a batn el-hawa sorge un edificio di sei piani, abitato da coloni ebrei. la “casa di jonathan”, dal nome di jonathan pollard, un americano analista dell’intelligence che ha fatto la spia per israele, è stata costruita 20 anni fa senza permesso, eppure il comune ha ignorato un ordine del tribunale di svuotare e sigillare l’edificio ed ha lasciato intatto l’edificio. invece zuheir rajabi, 50 anni, e la sua famiglia di sei persone vivono a batn el-hawa a pochi metri dalla “casa di jonathan”. un tribunale israeliano ha deciso che la famiglia deve lasciare la propria casa dopo che l’associazione a favore dei coloni “ateret cohanim”, attraverso il custode israeliano delle proprietà degli assenti [che si occupa della gestione delle proprietà forzatamente abbandonate dai palestinesi, ndtr.] , si è impossessata della proprietà del terreno in nome di una fiduciaria benefica per ebrei yemeniti poveri immigrati oltre un secolo fa. ora a batn el-hawa ci sono 87 ordini di espulsione contro abitanti palestinesi in seguito a cause intentate da ateret cohanim. rajabi dice ad al jazeera che, se inizieranno a mettere in pratica le demolizioni, ci sarà una forte reazione da parte degli abitanti: “se tutte le famiglie rimangono unite contro questa politica, allora possiamo bloccare l’esecuzione degli ordini,” afferma rajabi. (traduzione dall’inglese di amedeo rossi). importante ong israeliana: israele è un regime d’apartheid. la stampa italiana… tace. per la prima volta, b’tselem, la più grande organizzazione israeliana per i diritti umani, conferma ciò che studiosi palestinesi e sudafricani affermano da anni: israele è un regime di apartheid, tanto nei territori palestinesi occupati come all'interno di israele. nel rapporto di b'tselem, “un regime di supremazia ebraica dal fiume giordano al mar mediterraneo: questo è apartheid”, si afferma che tutta l’area sotto controllo di israele “è organizzato secondo un unico principio: promuovere e cementare la supremazia di un gruppo - gli ebrei - su un altro - i palestinesi.” come dice la studiosa e poetessa palestinese rafeef ziadah, non è una novità per i palestinesi, e neanche per il movimento globale di solidarietà. il rapporto è un importante traguardo anche se ha il limite di non parlare dei profughi palestinesi, che rappresentano la metà del popolo palestinese, cui israele nega il sacrosanto diritto al ritorno. dovrebbe servire per aprire un dibattito più approfondito e incoraggiare misure concrete, come il boicottaggio e le sanzioni, per mettere israele di fronte alle proprie responsabilità. l’apartheid è un crimine contro l’umanità. la notizia è stata ripresa dalla stampa di tutto il mondo, come il guardian, l’associated press, la cnn, le monde e el país. dalle testate italiane…quasi niente. solo il manifesto ha dato la notizia. invitiamo a mandare una lettera ai giornali italiani chiedendo che diano la notizia di questo importante rapporto. se in piena crisi statunitense la cnn ci riesce, anche in piena crisi italiana i media possono e devono trovare spazio. esempio di lettera: ho letto con molto interesse sulla stampa internazionale del rapporto della più importante organizzazione israeliana per i diritti umani, b’tselem, che per la prima volta definisce israele come regime d’apartheid. il rapporto documenta come israele, in tutto il territorio sotto il suo controllo, progetta lo spazio geograficamente, demograficamente e fisicamente in modo da garantire contiguità territoriale e pieni diritti ai suoi cittadini ebrei, mentre ai palestinesi riserva frammenti di terra tra loro disgiunti e limitati diritti. così b’tselem demolisce il mito di israele come democrazia che attua un’occupazione militare “temporanea” da quasi 54 anni. sorprende, data l’attenzione mediatica internazionale, che la vostra testata non ne abbia ancora dato spazio. chiedo alla redazione di rimediare e dare ai suoi lettori la possibilità di essere informati su un argomento di grande rilevanza. indirizzi email (a scelta): lettere@avvenire.it, lettere@corriere.it, rubrica.lettere@repubblica.it, lettere@ilfattoquotidiano.it, lettere@lastampa.it. invitiamo tutti ad unirsi a bds italia per intensificare le campagne di boicottaggio e sanzioni mirate richieste da tempo dalla società civile palestinese fino a quando non si porrà fine all’apartheid israeliana che opprime milioni di palestinesi. https://bdsitalia.org/.
Segue da Pag.25: L’albero dei soldi americani: la storia mai raccontata degli aiuti statunitensi ad Israele

E’ dal febbraio 2019 che gli USA hanno ritirato ogni finanziamento all’Autorità Palestinese in Cisgiordania, inoltre hanno tagliato gli aiuti all’Agenzia ONU per i Profughi palestinesi (UNRWA), l’ultima salvaguardia rimasta per assicurare istruzione di base e assistenza sanitaria a milioni di profughi palestinesi.

A giudicare dalla sua tradizione di continuo sostegno nei confronti della macchina militare israeliana e della incessante espansione coloniale in Cisgiordania, Washington insiste nel ricoprire il ruolo di principale benefattore – se non partner diretto – di Israele mentre respinge del tutto i palestinesi.

Aspettarsi che gli USA giochino un ruolo costruttivo nel conseguimento di una pace giusta in Palestina non riflette solo un’insostenibile ingenuità, ma pure caparbia ignoranza.

Ramzy Baroud è giornalista e curatore di The Palestine Chronicle. E’ autore di cinque libri, l’ultimo dei quali è “These Chains Will Be Broken: Palestinian Stories of Struggle and Defiance in Israeli Prisons” (Clarity Press, Atlanta). Il dott. Baroud è ricercatore presso il Centro per gli Affari Islamici e Globali (CIGA) della Istanbul Zaim University (IZU). Il suo website è www.ramzybaroud.net

traduzione dall’inglese di Stefania Fusero

Israele ordina un’ondata di nuove demolizioni di case a Silwan, Gerusalemme



Ibrahim Husseini - 31 dicembre 2020 – Al Jazeera

Gli abitanti temono che il Comune di Gerusalemme stia preparandosi a radere al suolo molte case palestinesi nelle prossime settimane

Gerusalemme est – Fakhri Abu Diab, 59 anni, potrebbe dover decidere a breve se contrattare una squadra [di muratori] per demolire la casa della sua famiglia.

Diab è un attivista della sua comunità e uno de molti abitanti palestinesi del quartiere Al-Bustan di Silwan, nella Gerusalemme est occupata, a cui in dicembre sono stati intimati ordini di demolizione da parte del Comune di Gerusalemme.

Ha costruito senza licenza edilizia il suo edificio, nelle cui tre unità abitative vivono 13 membri della famiglia, in quanto, dalla prima volta in cui ha fatto domanda nel 1987, essa gli è stata negata per quattro volte. Se il Comune metterà in pratica l’ordinanza di demolizione, notificata il 9 dicembre, il costo potrebbe essere di 30.000 dollari.

Diab dice che, se perderà la casa, “al momento non ho alternative se non piazzare una tenda.”

Dice che nel solo mese di dicembre ad Al-Bustan sono stati consegnati 21 ordini di demolizione.

I proprietari di case e gli osservatori temono che il Comune, con l’appoggio del primo ministro Benjamin Netanyahu, stia preparandosi a radere al suolo nelle prossime settimane un numero significativo di case palestinesi in città.

Le nuove elezioni politiche israeliane, fissate in marzo, e gli ultimi giorni alla Casa Bianca del presidente USA uscente Donald Trump potrebbero accelerare questa iniziativa.

“Ci sono molte pressioni da parte dell’estrema destra sia all’interno della città che a livello nazionale per approfittare del tempo che resta,” dice ad Al Jazeera Laura Wharton, consigliera municipale a Gerusalemme per il partito di sinistra [sionista, ndtr.] israeliano Meretz.

Wharton ritiene che il numero di ordini di demolizione pendenti a Gerusalemme est sia addirittura di 30.000. Tuttavia non prevede che tutti siano in pericolo immediato.

Nel solo 2020 le Nazioni Unite hanno registrato 170 demolizioni nella sola Gerusalemme est e 644 nell’area C [in base agli accordi di Oslo, sotto totale ma temporaneo controllo israeliano, ndtr.] della Cisgiordania occupata.

I dati indicano che questo è il secondo numero di demolizioni più alto dal 2016, dopo che nel 2009 l’ONU ha iniziato a registrare le demolizioni nei territori palestinesi occupati.

Per contrastare la diffusione della pandemia da coronavirus, dal primo ottobre è entrato in vigore un congelamento delle demolizioni di case occupate a Gerusalemme est. Ma l’11 novembre l’amministrazione comunale di Gerusalemme ha improvvisamente posto fine al congelamento.

Quando Al Jazeera ha contattato il Comune di Gerusalemme per ottenere risposte sui nuovi ordini di demolizione, esso non ha affrontato il problema ma ha affermato in una dichiarazione: “Gerusalemme è una delle città leader al mondo nel farsi carico delle necessità dei suoi abitanti, di tutti i suoi abitanti, soprattutto durante questo difficile periodo.”

Silwan, che si trova a sud delle mura della Città Vecchia, è stato a lungo un bersaglio dei coloni religiosi ultranazionalisti che spesso influenzano il consiglio municipale di Gerusalemme, afferma Wharton: “È un problema quando ci sono estremisti all’interno del Comune e a livello nazionale un primo ministro che sta cercando di farsi votare,” dice Wharton ad Al Jazeera.

Lotta per Silwan

A Silwan vivono circa 30.000 palestinesi, molti in case scadenti e con scarse infrastrutture. Circa 500 coloni ebrei vivono in insediamenti sparsi nel quartiere.

La Fondazione della Città di David, una Ong israeliana comunemente nota come El-Ad (acronimo in ebraico che sta per “Per la Città di David”) venne fondata nel 1986 principalmente per avanzare rivendicazioni territoriali attraverso l’archeologia e l’insediamento di coloni a Silwan.

A metà degli anni ’90 venne contrattata per gestire il parco [archeologico, ndtr.] della Città di David, che essa intende estendere da Wadi Hilweh fino ai dintorni Al-Bustan.

Il progetto implica la demolizione di circa 90 case palestinesi per far posto a un parco nazionale e a un nuovo sviluppo urbano per i coloni.

In base al presupposto che migliaia di anni fa fosse un giardino dei re israeliti, il Comune di Gerusalemme ha ufficialmente cambiato il nome “Al-Bustan” in “Gan Hamelekh” (il Giardino del Re).

Il Comune ha sistematicamente negato agli abitanti palestinesi di Al-Bustan i permessi edilizi perché, in base ad un programma chiamato “La Valle del Re”, esso è considerato “un’area paesaggistica aperta”.

“La mia casa è distrutta”

“Sono stato maltrattato in ogni modo, la mia casa è distrutta… mia moglie e i bambini ora stanno
vivendo lontano da me,” dice ad Al Jazeera il ventottenne Kazem Abu Shafe’a.

Abu Shafe’a aveva bisogno di una casa per la sua famiglia composta da quattro persone. Ma, in quanto assistente sociale per anziani con uno stipendio modesto, non poteva permettersi di lasciare Silwan.

Così in agosto ha deciso di costruire sopra la casa di sua madre, anch’essa con un ordine di demolizione, un’abitazione per la sua famiglia, senza presentare una richiesta di permesso.

È entrato nell’ appartamento aggiunto all’inizio di novembre, ma il 17 dello stesso mese funzionari comunali hanno consegnato ad Abu Shafe’a un ordine di demolizione.

Ha consultato un avvocato, ma questi gli ha detto che non si poteva far annullare l’ordinanza.

Abu Shafe’a ha iniziato a mettere in salvo i mobili, la moglie ha preso i figli ed è andata a vivere con i suoi genitori finché non troveranno un posto da affittare. Abu Shafe’a è rimasto a casa di sua madre.

Il 22 dicembre è arrivata la squadra per la demolizione, inclusi poliziotti e impiegati comunali.

“Era circa mezzogiorno, non c’è stato nessun preavviso,” dice Abu Shafe’a. “Circa 30 poliziotti si sono sparpagliati nel quartiere e hanno operato la demolizione,” dice.

Impedire una capitale palestinese

A Silwan, al-Bustan non è l’unico quartiere che si trova sotto pressione da parte delle autorità israeliane.

Gli abitanti di Baten el-Hawa, nel cuore di Silwan, devono affrontare ordini di demolizione dopo che organizzazioni di coloni sono riuscite a far riconoscere rivendicazioni di proprietà nei tribunali israeliani.

Peace Now, un’associazione di monitoraggio delle colonie israeliane, afferma che le azioni legali dei coloni comporteranno l’espulsione di un’intera comunità a Gerusalemme est, in base all’applicazione della legge del “diritto al ritorno”, che Israele concede solo ai suoi cittadini ebrei.

Attraverso al-Bustan i coloni otterranno la contiguità di tre località: il “Parco della Città di David” ai confini di Wadi Hilweh e Baten el-Hawa ad est.

“Il progetto è collegare tutte le colonie nei quartieri palestinesi,” dice ad Al Jazeera Hagit Ofran, ricercatore e portavoce di Peace Now [associazione israeliana contraria all’occupazione, ndtr.]. “Per circondare la Città Vecchia e impedire che Gerusalemme est sia la capitale dei palestinesi.”

Dal 2004, in netto contrasto con la politica di demolizioni dell’amministrazione comunale di Gerusalemme nei confronti dei palestinesi, a Batn el-Hawa sorge un edificio di sei piani, abitato da coloni ebrei.

La “Casa di Jonathan”, dal nome di Jonathan Pollard, un americano analista dell’intelligence che ha fatto la spia per Israele, è stata costruita 20 anni fa senza permesso, eppure il Comune ha ignorato un ordine del tribunale di svuotare e sigillare l’edificio ed ha lasciato intatto l’edificio.

Invece Zuheir Rajabi, 50 anni, e la sua famiglia di sei persone vivono a Batn el-Hawa a pochi metri dalla “Casa di Jonathan”.

Un tribunale israeliano ha deciso che la famiglia deve lasciare la propria casa dopo che l’associazione a favore dei coloni “Ateret Cohanim”, attraverso il Custode Israeliano delle Proprietà degli Assenti [che si occupa della gestione delle proprietà forzatamente abbandonate dai palestinesi, ndtr.] , si è impossessata della proprietà del terreno in nome di una fiduciaria benefica per ebrei yemeniti poveri immigrati oltre un secolo fa.

Ora a Batn el-Hawa ci sono 87 ordini di espulsione contro abitanti palestinesi in seguito a cause intentate da Ateret Cohanim.

Rajabi dice ad Al Jazeera che, se inizieranno a mettere in pratica le demolizioni, ci sarà una forte reazione da parte degli abitanti: “Se tutte le famiglie rimangono unite contro questa politica, allora possiamo bloccare l’esecuzione degli ordini,” afferma Rajabi.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)

Importante ONG israeliana: Israele è un regime d’apartheid. La stampa italiana… tace.

Per la prima volta, B’Tselem, la più grande organizzazione israeliana per i diritti umani, conferma ciò che studiosi palestinesi e sudafricani affermano da anni: Israele è un regime di apartheid, tanto nei Territori palestinesi occupati come all'interno di Israele.

Nel rapporto di B'Tselem, “Un regime di supremazia ebraica dal fiume Giordano al Mar Mediterraneo: Questo è apartheid”, si afferma che tutta l’area sotto controllo di Israele “è organizzato secondo un unico principio: promuovere e cementare la supremazia di un gruppo - gli ebrei - su un altro - i palestinesi.”

Come dice la studiosa e poetessa palestinese Rafeef Ziadah, non è una novità per i palestinesi, e neanche per il movimento globale di solidarietà.
Il rapporto è un importante traguardo anche se ha il limite di non parlare dei profughi palestinesi, che rappresentano la metà del popolo palestinese, cui Israele nega il sacrosanto diritto al ritorno.

Dovrebbe servire per aprire un dibattito più approfondito e incoraggiare misure concrete, come il boicottaggio e le sanzioni, per mettere Israele di fronte alle proprie responsabilità. L’apartheid è un crimine contro l’umanità. La notizia è stata ripresa dalla stampa di tutto il mondo, come il Guardian, l’Associated Press, la CNN, Le Monde e El País.

Dalle testate italiane…quasi niente. Solo il manifesto ha dato la notizia.

Invitiamo a mandare una lettera ai giornali italiani chiedendo che diano la notizia di questo importante rapporto. Se in piena crisi statunitense la CNN ci riesce, anche in piena crisi italiana i media possono e devono trovare spazio.

Esempio di lettera:

Ho letto con molto interesse sulla stampa internazionale del rapporto della più importante organizzazione israeliana per i diritti umani, B’Tselem, che per la prima volta definisce Israele come regime d’apartheid. Il rapporto documenta come Israele, in tutto il territorio sotto il suo controllo, progetta lo spazio geograficamente, demograficamente e fisicamente in modo da garantire contiguità territoriale e pieni diritti ai suoi cittadini ebrei, mentre ai palestinesi riserva frammenti di terra tra loro disgiunti e limitati diritti. Così B’Tselem demolisce il mito di Israele come democrazia che attua un’occupazione militare “temporanea” da quasi 54 anni. Sorprende, data l’attenzione mediatica internazionale, che la vostra testata non ne abbia ancora dato spazio. Chiedo alla redazione di rimediare e dare ai suoi lettori la possibilità di essere informati su un argomento di grande rilevanza.

Indirizzi email (a scelta): lettere@avvenire.it, lettere@corriere.it, rubrica.lettere@repubblica.it, lettere@ilfattoquotidiano.it, lettere@lastampa.it

Invitiamo tutti ad unirsi a BDS Italia per intensificare le campagne di boicottaggio e sanzioni mirate richieste da tempo dalla società civile palestinese fino a quando non si porrà fine all’apartheid israeliana che opprime milioni di palestinesi.

https://bdsitalia.org/

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