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La VOCE 2102 |
P R E C E D E N T E | S U C C E S S I V A |
La VOCE ANNO XXIII N°6 | febbraio 2021 | PAGINA 3 - 23 |
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segue da pag.22: il fascismo di confine: laboratorio e stato d’eccezione.
l’esempio più eclatante di questa violenza è quello del 13 luglio 1920 con l’incendio del narodni dom e dell’hotel bal- kan. un centro culturale, nazionale degli sloveni nel centro di trieste, dove operavano anche dei croati. sarebbe interes- sante, ma non c’è il tempo, analizzare anche chi costruì que- sto edificio: noteremmo così, a parte l’architetto che lo pro- gettò, tutta la multiculturalità che arrivava a trieste da praga, da berlino, da lubiana, da tutta l’area centro-orientale. le biografie di questi personaggi sono di estremo interesse.
dobbiamo poi tener conto che nel disordine violento delle squadre, l’ordine veniva mantenuto da una disciplina interna molto forte, ma improntata sempre sulla violenza, sulla vittoria che la violenza poteva consentire di raggiunge- re. nell’arco di due-tre anni tutta l’area al confine orientale viene percorsa da mussolini che comprende che si tratta di un’area sensibile, dalla quale si può partire. giunge al con- fine orientale attraverso le migliaia di pellegrinaggi: a udine nel1922 cambia la sua scelta dalla repubblica allamonarchia, ogni volta che arriva a trieste si reca al sacrario di oberdan (oberdank) per cercare di far capire a tutti che lui proveni- va da quella tradizione e voleva rinforzarla. poi naturalmen- te ci sono tutti i passaggi attraverso i cimiteri di guerra, non quelli che conosciamo adesso. il cimitero grande di redipu- glia fu costruito nel 1938. non solomussolini rende omaggio a queste terre ritendendole simboliche e importanti, ma ab- biamo anche tutta una serie di pellegrinaggi che dal confine orientale vanno verso roma, al milite ignoto. leggendo le cronache dello spostamento della salma del milite ignoto (in tutta europa viene scelta questa figura) attraverso l’emilia- romagna, fino a condurre il sacrificio della guerra a roma, all’altare della patria, ci si rende conto di una cerimonia reli- giosa, quasi un presepio lungo il percorso. qualcosa di simile avviene anche con la salma di enrico toti, portata al cimitero del verano a roma.
il fascismo era stato preceduto anche da misure che ave- vano allontanato, ghettizzato e “depauperato” – evidenzio questo termine – le terre dell’area orientale della presenza di personalità e figure di altra nazionalità. gli sloveni che ven- gono espulsi erano intellettuali e professionisti, ma se ne van- no anche tedeschi e turchi. questa area orientale a un cer- to punto perde il suo capitale umano e, con esso, anche la sua potenzialità economica e culturale. è un aspetto molto importante del quale spesso ci si dimentica.
particolare accanimento è rivolto verso il clero cosiddet- to “slavo”, perché il clero sloveno e croato si rifiuta – almeno fino al 1929, fino ai patti lateranensi – di rivolgersi ai suoi fedeli unicamente in lingua italiana. accanto all’italianizza- zione, allo smembramento delle famiglie, agli internamenti,
ci si trova di fronte alle denunce, ai deferimenti al tribunale speciale per la difesa dello stato, alle condanne a morte nei confronti delle persone accusate di antifascismo, sloveni in particolare. per i sospettati di antifascismo c’è la reclusione. i dati delle prigioni si stanno studiando ora: per capire dagli elenchi, ad esempio, quante persone di nazionalità slovena, o il cui cognome può far risalire a una nazionalità slovena, siano state incarcerate e offese.
la propaganda e il disprezzo verso la popolazione slove- na e croata ha elementi di razzismo incontrovertibili. certa- mente siamo in un regime totalitario, in un regime di massa, quindi ci sono anche forme di adescamento attraverso l’as- sistenza sociale. il duce va e torna sul carso, nelle zone di campagna, offrendo benefici alla povera gente. se ci chiedia- mo fino a che punto si realizzò la “bonifica etnica”, così la chiamavano loro, ci troviamo di fronte a cifre che non sono assolutamente consolanti. un censimento riservato del 1939 mostra che, nonostante tutti gli spostamenti di popolazione, la consistenza numerica dei cosiddetti “allogeni” è ancora di 395.000 unità. sulle cifre ci si può sempre fraintendere, ma si tratta di una presenza assolutamente importante. elemen- ti simili al resto d’italia si riscontrano per quanto riguarda il confronto, scontro, riassorbimento tra fascisti e naziona- listi. e anche in questo caso sarebbe importante indagare le biografie.
arriviamo al 1938, momento più alto e più basso del regi- me fascista, quando la germania è ormai al confine dell’ita- lia, cosa che mussolini non gradisce affatto. è noto che c’era- no stati contrasti molto forti intorno alla questione austriaca negli anni precedenti, ma nel ’38 l’anschluss si compie. e si compie grazie a mussolini, che accetta questa condizione di vicinanza.
un altro elemento fa capire fino a che punto il regime to- talitario si sia incarnato nella realtà locale e nazionale: mus- solini parla pubblicamente delle leggi razziali da trieste, in piazza unità d’italia. il problema qual è? non solo questa proclamazione avviene mentre si sta dirigendo a monaco per le cosiddette trattative di pace – che poi di pace non sono – ma il problema è che tutti i dati del censimento degli ebrei presenti nell’area giuliana (sono moltissimi, la comunità era molto forte) vengono passati al consolato tedesco. anche attraverso un fitto sistema di informazioni, di spie, di italia- ni che forniscono le loro informazioni al consolato che nel ’43 saprà bene come farle fruttare. va tenuto conto anche del fatto che già prima il tema dell’esclusione era ben presen- te. un’altra lacerazione e un’altra perdita. si accende dunque un clima di antisemitismo, che pareva sconosciuto alla città di trieste. l’antisemitismo si coniuga molto bene con l’anti- slavismo, questi due termini rinfocolano gli elementi di vio- lenza nelle piazze e contro la popolazione civile. la cosa che meraviglia e lascia stupiti in questo contesto è lo zelo dei cit- tadini italiani nel denunciare gli ebrei. voglio ricordare solo l’episodio del rettore della giovanissima università di trieste che fa un proclama antisemita durissimo. il proclama viene pronunciato in pubblico, ma è cancellato dagli annuari del- 28 l’università perché negli altri atenei non tutti avevano avuto l’ardire di accuse così volgari nei confronti degli ebrei.
di lì a poco sarà la guerra e anche l’aggressione alla jugo- slavia, tema che affronterà la professoressa marta verginella.
in conclusione vorrei soltanto sottolineare due fatti. l’ag- gressione alla jugoslavia comporta una serie di tremende vio- lenze e, nello stesso tempo, il passaggio da un regime di occu- pazione a un regime di annessione. c’è una differenza fon- damentale tra le due cose. ciò significa anzitutto che le au- torità italiane vengono spostate dall’altra parte e che prende avvio un nuovo processo violento di snazionalizzazione. fi- no a quando la popolazione non si ribella, ma a questo punto si risponderà con i campi di concentramento, diffusi in tutta italia e presenti nell’area orientale.
il dramma delle foibe.
franco cecotti.
storico, già presidente dell’istituto regionale per la storia della resistenza e dell’età contemporanea nel friuli-venezia giulia.
per iniziare vorrei soltanto ricordare che la storia del con- fine orientale è una storia ben conosciuta. moltissimi storici se ne sono occupati e ne vorrei ricordare due, raoul pupo e roberto spazzali, che provengono dal nostro territorio (ma non sono gli unici) e che da decenni ormai si occupano del tema del confine orientale. tanti altri storici hanno trovato ospitalità nelle case editrici nazionali. infatti, non trovere- te editore – da donzelli, a einaudi, alle edizioni paoline – che non abbia in catalogo un libro dedicato e intitolato al confine orientale, o alle foibe, oppure all’esodo.
si tratta di vicende molto conosciute a livello storiografi- co, perché tanti archivi sono stati indagati, col ritrovamen- to di documenti dagli stati uniti, alla slovenia, all’inghil- terra, alla russia e anche all’italia. è stata dunque possibi- le una ricostruzione degli avvenimenti, che va dalla prima alla seconda guerra mondiale, in particolare, e alle sue fasi conclusive.
queste conoscenze sono abbastanza diffuse dal mondo della scuola, poiché negli ultimi anni, dopo l’istituzione del giorno del ricordo nel 2004, è aumentata enormemente la presenza di studenti che in primavera o in autunno vengono a visitare la città di trieste. ogni anno oltre 100.000 ragazzi, ma anche adulti, visitano la risiera di san sabba. a questo si aggiunge, da più di un decennio, anche la visita a basovizza, al campo profughi di padriciano. molte scolaresche si spin- gono fino a lubiana, per vedere cosa è successo là: fanno il giro in bicicletta sul tracciato del filo spinato che circonda- va la città al tempo dell’occupazione italiana; oppure visita- no l’istria, pola, rovigno, pirano, che è subito dopo il confi- ne, approcciandosi alla cultura istriana in genere. insomma, un fermento dovuto certamente alla diffusione di questi ar- gomenti, ovviamente per chi vuole informarsi, conoscere e aggiornarsi.
in questo quadro un ruolo importante è quello svolto dalle associazioni che si occupano dei profughi, dell’esodo, e dagli istituti di ricerca storica. in particolare, l’istituto della storia della resistenza ha diversi centri, a partire da quello di trieste. ma ve ne sono anche a torino, a grosseto e tantis- simi altri. a roma c’è la società studi fiumani, autorevole istituto per la cultura fiumana in tutti i suoi aspetti, non solo legati al novecento.
questa attenzione ha aiutato le conoscenze e la curiosità degli insegnanti, e anche la preparazione. ciò non significa che sia una cultura patrimonio di tutti, ma nelle scuole è più evidente, anche perché tanti ragazzi producono documenta- 32 zione sulla rete, materiale video, pubblicano libri sulla loro esperienza al confine orientale. qualche volta mi è capita- to di andare a presentare delle mostre realizzate nelle scuole, non in friuli o nella venezia giulia, ma in altre parti d’italia.
esiste un certo fermento anche per quanto riguarda l’e- splorazione di tante biografie di profughi. l’istituto della resistenza di torino, grazie a enrico mileto, ha condotto qualche anno fa una ricerca, che ora è on-line, con centinaia di testimonianze. altro punto di riferimento sono gli stu- di della ricercatrice gloria nemec in friuli-venezia giulia.
insomma, una vasta documentazione a disposizione di chi vuole informarsi, aggiornarsi, uscendo dalle polemiche per comprendere le problematiche.
perché sono partito da queste considerazioni? per dire che tutti i libri di storia affrontano l’argomento del confine orientale non certo dal 1945 o dal ’43. la commissione mista di storici italo-slovena parte dalla fine dell’ottocento. qual- cun altro dalla metà dell’ottocento con la nascita dell’idea di nazione e il nazionalismo. personalmente, di solito, pre- ferisco cominciare dalla prima guerra mondiale, perché è un momento terribile e rilevante, perché si è combattuta nella zona dell’attuale confine, sul carso, lungo l’isonzo. non è possibile partire da dopo, bisogna conoscere il complesso di quella storia.
oggi, invece – grazie agli interventi che mi hanno prece- duto e a quello che seguirà di marta verginella – mi soffer- merò, per stare nei tempi, su due momenti che caratterizza- no nel ’43 e nel ’45 la seconda guerra mondiale. le vittime di questa guerra si contano in numero enorme, sul confine orientale, tra tutte le parti in conflitto, così come ovunque nel mondo dove si è combattuto. quei due momenti tipici vengono individuati dagli storici per comprendere le ragio- ni e soprattutto le differenze tra ciò che è successo dopo l’8 settembre ’43 – quando l’esercito italiano si sfalda e nella zo- na dell’istria, della dalmazia e in tutta italia viene a cadere un controllo autorevole e forte – e poi nel ’45, quando viene sconfitto l’esercito tedesco, con la caduta della linea gotica, le stragi perpetrate dai nazifascisti, la fine dei combattimen- ti lungo il confine nella venezia giulia. il 1943 è l’anno delle “foibe istriane”, nel 1945 si verifica un episodio di violenza noto come “foibe giuliane”. nei mesi successivi all’ottobre del ’43 la crisi dell’esercito italiano fa sì che, come in tante altre parti d’italia, le armi abbandonate vengano in posses- so di insorti, di associazioni antifasciste (come si chiamava- no all’inizio, lungo la costa) e dei primissimi gruppi di parti- giani. va ricordato che l’istria interessata da questo momen- to drammatico di violenza è l’istria croata, che si trova nella parte mediana, non tanto quella slovena situata più a nord. dopo l’armistizio, si verifica un’insurrezione popolare – gli storici la chiamano così in quanto non vi è un afflusso, co- me spesso viene detto, di un esercito di partigiani di tito, im- pegnato contro i tedeschi in bosnia e ancora più a sud – da parte di partigiani e antifascisti locali. ma anche da parte di croati nazionalisti, perché chi era nato ancora sotto l’austria aveva in mente quel limitato regime liberale e ricordava che c’era libertà di lingua e libertà di espressione. quindi subito dopo l’8 settembre prendono la palla al balzo della disponi- bilità di armi e iniziano gli arresti. le violenze delle settima- ne successive cominciano intorno al giorno 18, per eliminare molte delle persone che erano state arrestate nella prima par- te del mese. ciò avviene in concomitanza con l’arrivo delle truppe tedesche che ormai hanno occupato trieste, fiume e organizzano rastrellamenti in istria. il risultato di questa fase del 1943 è che successivamente – tra ottobre e gennaio ’44 – vennero perlustrate tutte le cavi- tà note come foibe, presenti in quell’area mediana dell’istria, e in dodici di esse furono recuperati 217 corpi. tra questi si individuarono 18 militari e 116 civili, mentre per altre 83 per- sone mancava una determinazione sia dell’identità che della condizione.
il numero degli scomparsi senza lasciare traccia, mai ri- trovati, quindi uccisi e occultati in altre località o gettati in mare, non è definito. gli storici solitamente accennano a un numero totale di circa 500 vittime, per questo episodio delle foibe istriane del ’43. comprese le 217 riesumate, documen- tate dal maresciallo dei vigili del fuoco di pola e sulla stam- pa dell’epoca con le fotografie del recupero delle salme. sono stati stilati anche vari elenchi nominativi, per esempio dal- lo storico gaetano la perna, arrivando all’identificazione di circa 350-370 nominativi.
come spiegare quello che è successo? chi erano coloro che furono arrestati nel corso dell’insurrezione istriana? intanto possono essere individuati degli episodi, veri e propri assalti ai comuni, con l’incendio di alcuni archivi, op- pure ai depositi di granaglie a causa della fame provocata dal- la guerra. si scorgono anche i segni di una lotta sociale. per esempio, molte vittime sono state recuperate da alcune foi- be nella zona mineraria di arsia. lì viene colpita duramente la dirigenza delle miniere. scompaiono molte persone che provenivano dalla sardegna, dirigenti che erano stati trasfe- riti dal sulcis sardo per organizzare il lavoro. tra l’altro nel 1939, primo anno di guerra, si era verificato in quelle minie- re istriane un incidente con 180 morti. si tratterebbe dun- que, nel 1943, di una strage ben determinata, in una zona industriale, per la quale alcuni storici parlano di motivazio- ni sociali: dipendenti e operai che attaccano chi ritengono responsabile.
tra le vittime delle foibe istriane ci sono ovviamente i di- rigenti fascisti, i quadri del regime, podestà, proprietari ter- rieri – spesso italiani che avevano alle dipendenze dei croa- ti come coloni – e anche alcune figure rappresentative della borghesia italiana. ci si chiede spesso perché è stato ucciso quel maestro, quell’insegnante, oppure il farmacista, o il me- dico. quella del medico, ad esempio, era una professione de- licata e quando moriva un paziente a volte si poteva sospetta- re che non fosse stato curato bene. in generale, la borghesia non era facilmente distinguibile dal fascismo, proprio perché il regime aveva cercato sempre di mettere insieme italianità e fascismo. le conseguenze furono anche queste, moriro- no pure degli insegnanti. la caratteristica di un’insurrezione caotica, confusa, senza guida, è una motivazione plausibile di quanto è accaduto.
però non si può neppure dimenticare che a metà settem- bre si svolse a pisino una riunione nella quale il movimen- to di liberazione croato proclama l’annessione dell’istria al- la madrepatria croata. e questa è una decisione politica. era successo che dopo l’insurrezione spontanea, nel territorio delle province italiane (fino a quel momento) viene inviato un centinaio di ufficiali dall’esercito jugoslavo per controlla- re e cercare di capire cosa sta succedendo. l’intento principa- le è ovviamente quello politico e viene dichiarata l’annessio- ne. quel proclama viene ripreso successivamente dal movi- mento di liberazione croato (quello della croazia, non solo quello locale dell’istria) e poi fatto proprio dal movimento di tito.
la maggioranza degli italiani arrestati nel ’43 nell’istria mediana, provenivano dalle zone di parenzo, pola, pisino, rovigno, albona, fianona. in buona parte vengono con- centrati nel castello di pisino che funzionò per un breve pe- riodo (incombevano i tedeschi) come tribunale del popolo.
si ebbero condanne, alcune di esse sommarie, e uccisioni. al- cuni detenuti restarono nel castello e vennero poi liberati dai tedeschi. però in quell’occasione si verificarono numerose violenze. si trattò di scelte più o meno comprensibili oggi, ma dettate in quel momento dall’urgenza.
l’arrivo delle truppe tedesche pose fine a questo momen- to di insurrezione e all’ondata che provocò 500 morti. per l’istria si trattò di un momento tragico perché le vittime pro- vocate dalle due divisioni che attraversarono il territorio se- tacciando paese per paese, anche con mitragliamenti aerei su pisino e altre città, ammonta a 2.500 persone. sono tantissi- me, senza distinzioni tra partigiani, italiani, croati. i numeri sono documentati – con nomi, cognomi e cadaveri non iden- tificati – in un’opera recente, l’atlante delle stragi naziste e fasciste in italia, indagine portata avanti dall’insmli e dall’an- pi con finanziamenti del governo tedesco. il 1943 fu dunque un anno terribile per l’istria, con 3.000 morti da una parte e dall’altra. parlando di questi temi spesso si dimentica cos’è la guerra. la guerra è questo, non ci sono buoni o cattivi. semmai si può discutere sul perché si è combattuto, su chi sia stato l’invasore di chi. ma bisogna ricordare che la guerra è sempre violenza.
ora arriviamo alla fine della seconda guerra mondiale. è stato accennato alla presenza tedesca, al litorale adriatico, alla risiera di san sabba, alle deportazioni in germania. que- ste ultime colpiscono l’istria in maniera più forte che in ogni altra parte d’italia: le donne finiscono ad auschwitz, dal- l’istria, dal triestino, dal goriziano; gli uomini riempiono il campo di dachau. tra l’ottobre del 1943 e il ’45, in istria le forze partigiane croate e quelle italiane sono minime per l’in- gente presenza dei tedeschi. invece è vigorosa la lotta parti- giana nei territori occupati della slovenia, in friuli, nella val- le dell’isonzo. lì, sì, c’è una potenza partigiana, non nella zo- na dell’istria. la vigilanza e i rastrellamenti tedeschi limitano e bloccano ogni attività.
le forze armate jugoslave cominciano a liberare il pro- prio territorio nell’autunno del 1944. viene liberata belgra- do, poi inizia la risalita verso nord, inseguendo la lenta riti- rata dei tedeschi, come avviene in italia ad opera degli anglo- americani. due eserciti tra loro alleati: la quarta armata ju- goslava e l’ottava armata anglo-americana si muovono verso trieste e gorizia. e vi arrivano quasi contemporaneamente.
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Segue da Pag.22: Il fascismo di confine: laboratorio e stato d’eccezione
L’esempio più eclatante di questa violenza è quello del 13 luglio 1920 con l’incendio del Narodni Dom e dell’Hotel Bal- kan. Un centro culturale, nazionale degli sloveni nel centro di Trieste, dove operavano anche dei croati. Sarebbe interes- sante, ma non c’è il tempo, analizzare anche chi costruì que- sto edificio: noteremmo così, a parte l’architetto che lo pro- gettò, tutta la multiculturalità che arrivava a Trieste da Praga, da Berlino, da Lubiana, da tutta l’area centro-orientale. Le biografie di questi personaggi sono di estremo interesse. Dobbiamo poi tener conto che nel disordine violento delle Squadre, l’ordine veniva mantenuto da una disciplina interna molto forte, ma improntata sempre sulla violenza, sulla vittoria che la violenza poteva consentire di raggiunge- re. Nell’arco di due-tre anni tutta l’area al confine orientale viene percorsa da Mussolini che comprende che si tratta di un’area sensibile, dalla quale si può partire. Giunge al con- fine orientale attraverso le migliaia di pellegrinaggi: a Udine nel1922 cambia la sua scelta dalla Repubblica allaMonarchia, ogni volta che arriva a Trieste si reca al sacrario di Oberdan (Oberdank) per cercare di far capire a tutti che lui proveni- va da quella tradizione e voleva rinforzarla. Poi naturalmen- te ci sono tutti i passaggi attraverso i cimiteri di guerra, non quelli che conosciamo adesso. Il cimitero grande di Redipu- glia fu costruito nel 1938. Non soloMussolini rende omaggio a queste terre ritendendole simboliche e importanti, ma ab- biamo anche tutta una serie di pellegrinaggi che dal confine orientale vanno verso Roma, al Milite Ignoto. Leggendo le cronache dello spostamento della salma del Milite Ignoto (in tutta Europa viene scelta questa figura) attraverso l’Emilia- Romagna, fino a condurre il sacrificio della guerra a Roma, all’Altare della Patria, ci si rende conto di una cerimonia reli- giosa, quasi un presepio lungo il percorso. Qualcosa di simile avviene anche con la salma di Enrico Toti, portata al cimitero del Verano a Roma. Il fascismo era stato preceduto anche da misure che ave- vano allontanato, ghettizzato e “depauperato” – evidenzio questo termine – le terre dell’area orientale della presenza di personalità e figure di altra nazionalità. Gli sloveni che ven- gono espulsi erano intellettuali e professionisti, ma se ne van- no anche tedeschi e turchi. Questa area orientale a un cer- to punto perde il suo capitale umano e, con esso, anche la sua potenzialità economica e culturale. È un aspetto molto importante del quale spesso ci si dimentica. Particolare accanimento è rivolto verso il clero cosiddet- to “slavo”, perché il clero sloveno e croato si rifiuta – almeno fino al 1929, fino ai Patti Lateranensi – di rivolgersi ai suoi fedeli unicamente in lingua italiana. Accanto all’italianizza- zione, allo smembramento delle famiglie, agli internamenti, ci si trova di fronte alle denunce, ai deferimenti al Tribunale speciale per la difesa dello Stato, alle condanne a morte nei confronti delle persone accusate di antifascismo, sloveni in particolare. Per i sospettati di antifascismo c’è la reclusione. I dati delle prigioni si stanno studiando ora: per capire dagli elenchi, ad esempio, quante persone di nazionalità slovena, o il cui cognome può far risalire a una nazionalità slovena, siano state incarcerate e offese. La propaganda e il disprezzo verso la popolazione slove- na e croata ha elementi di razzismo incontrovertibili. Certa- mente siamo in un regime totalitario, in un regime di massa, quindi ci sono anche forme di adescamento attraverso l’as- sistenza sociale. Il duce va e torna sul Carso, nelle zone di campagna, offrendo benefici alla povera gente. Se ci chiedia- mo fino a che punto si realizzò la “bonifica etnica”, così la chiamavano loro, ci troviamo di fronte a cifre che non sono assolutamente consolanti. Un censimento riservato del 1939 mostra che, nonostante tutti gli spostamenti di popolazione, la consistenza numerica dei cosiddetti “allogeni” è ancora di 395.000 unità. Sulle cifre ci si può sempre fraintendere, ma si tratta di una presenza assolutamente importante. Elemen- ti simili al resto d’Italia si riscontrano per quanto riguarda il confronto, scontro, riassorbimento tra fascisti e naziona- listi. E anche in questo caso sarebbe importante indagare le biografie. Arriviamo al 1938, momento più alto e più basso del regi- me fascista, quando la Germania è ormai al confine dell’Ita- lia, cosa che Mussolini non gradisce affatto. È noto che c’era- no stati contrasti molto forti intorno alla questione austriaca negli anni precedenti, ma nel ’38 l’Anschluss si compie. E si compie grazie a Mussolini, che accetta questa condizione di vicinanza. Un altro elemento fa capire fino a che punto il regime to- talitario si sia incarnato nella realtà locale e nazionale: Mus- solini parla pubblicamente delle leggi razziali da Trieste, in Piazza Unità d’Italia. Il problema qual è? Non solo questa proclamazione avviene mentre si sta dirigendo a Monaco per le cosiddette trattative di pace – che poi di pace non sono – ma il problema è che tutti i dati del censimento degli ebrei presenti nell’area giuliana (sono moltissimi, la comunità era molto forte) vengono passati al Consolato tedesco. Anche attraverso un fitto sistema di informazioni, di spie, di italia- ni che forniscono le loro informazioni al Consolato che nel ’43 saprà bene come farle fruttare. Va tenuto conto anche del fatto che già prima il tema dell’esclusione era ben presen- te. Un’altra lacerazione e un’altra perdita. Si accende dunque un clima di antisemitismo, che pareva sconosciuto alla città di Trieste. L’antisemitismo si coniuga molto bene con l’anti- slavismo, questi due termini rinfocolano gli elementi di vio- lenza nelle piazze e contro la popolazione civile. La cosa che meraviglia e lascia stupiti in questo contesto è lo zelo dei cit- tadini italiani nel denunciare gli ebrei. Voglio ricordare solo l’episodio del rettore della giovanissima Università di Trieste che fa un proclama antisemita durissimo. Il proclama viene pronunciato in pubblico, ma è cancellato dagli annuari del- 28 l’Università perché negli altri atenei non tutti avevano avuto l’ardire di accuse così volgari nei confronti degli ebrei. Di lì a poco sarà la guerra e anche l’aggressione alla Jugo- slavia, tema che affronterà la professoressa Marta Verginella. In conclusione vorrei soltanto sottolineare due fatti. L’ag- gressione alla Jugoslavia comporta una serie di tremende vio- lenze e, nello stesso tempo, il passaggio da un regime di occu- pazione a un regime di annessione. C’è una differenza fon- damentale tra le due cose. Ciò significa anzitutto che le Au- torità italiane vengono spostate dall’altra parte e che prende avvio un nuovo processo violento di snazionalizzazione. Fi- no a quando la popolazione non si ribella, ma a questo punto si risponderà con i campi di concentramento, diffusi in tutta Italia e presenti nell’area orientale. Il dramma delle foibeStorico, già Presidente dell’Istituto regionale per la storia della Resistenza e dell’Età contemporanea nel Friuli-Venezia Giulia Per iniziare vorrei soltanto ricordare che la storia del con- fine orientale è una storia ben conosciuta. Moltissimi storici se ne sono occupati e ne vorrei ricordare due, Raoul Pupo e Roberto Spazzali, che provengono dal nostro territorio (ma non sono gli unici) e che da decenni ormai si occupano del tema del confine orientale. Tanti altri storici hanno trovato ospitalità nelle case editrici nazionali. Infatti, non trovere- te editore – da Donzelli, a Einaudi, alle Edizioni Paoline – che non abbia in catalogo un libro dedicato e intitolato al Confine orientale, o alle foibe, oppure all’esodo. Si tratta di vicende molto conosciute a livello storiografi- co, perché tanti archivi sono stati indagati, col ritrovamen- to di documenti dagli Stati Uniti, alla Slovenia, all’Inghil- terra, alla Russia e anche all’Italia. È stata dunque possibi- le una ricostruzione degli avvenimenti, che va dalla Prima alla Seconda guerra mondiale, in particolare, e alle sue fasi conclusive. Queste conoscenze sono abbastanza diffuse dal mondo della scuola, poiché negli ultimi anni, dopo l’istituzione del Giorno del ricordo nel 2004, è aumentata enormemente la presenza di studenti che in primavera o in autunno vengono a visitare la città di Trieste. Ogni anno oltre 100.000 ragazzi, ma anche adulti, visitano la Risiera di San Sabba. A questo si aggiunge, da più di un decennio, anche la visita a Basovizza, al campo profughi di Padriciano. Molte scolaresche si spin- gono fino a Lubiana, per vedere cosa è successo là: fanno il giro in bicicletta sul tracciato del filo spinato che circonda- va la città al tempo dell’occupazione italiana; oppure visita- no l’Istria, Pola, Rovigno, Pirano, che è subito dopo il confi- ne, approcciandosi alla cultura istriana in genere. Insomma, un fermento dovuto certamente alla diffusione di questi ar- gomenti, ovviamente per chi vuole informarsi, conoscere e aggiornarsi. In questo quadro un ruolo importante è quello svolto dalle associazioni che si occupano dei profughi, dell’esodo, e dagli istituti di ricerca storica. In particolare, l’Istituto della Storia della Resistenza ha diversi centri, a partire da quello di Trieste. Ma ve ne sono anche a Torino, a Grosseto e tantis- simi altri. A Roma c’è la Società Studi Fiumani, autorevole istituto per la cultura fiumana in tutti i suoi aspetti, non solo legati al Novecento. |
Questa attenzione ha aiutato le conoscenze e la curiosità
degli insegnanti, e anche la preparazione. Ciò non significa
che sia una cultura patrimonio di tutti, ma nelle scuole è più
evidente, anche perché tanti ragazzi producono documenta-
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zione sulla rete, materiale video, pubblicano libri sulla loro
esperienza al confine orientale. Qualche volta mi è capita-
to di andare a presentare delle mostre realizzate nelle scuole,
non in Friuli o nella Venezia Giulia, ma in altre parti d’Italia.
Esiste un certo fermento anche per quanto riguarda l’e- splorazione di tante biografie di profughi. L’Istituto della Resistenza di Torino, grazie a Enrico Mileto, ha condotto qualche anno fa una ricerca, che ora è on-line, con centinaia di testimonianze. Altro punto di riferimento sono gli stu- di della ricercatrice Gloria Nemec in Friuli-Venezia Giulia. Insomma, una vasta documentazione a disposizione di chi vuole informarsi, aggiornarsi, uscendo dalle polemiche per comprendere le problematiche. Perché sono partito da queste considerazioni? Per dire che tutti i libri di storia affrontano l’argomento del confine orientale non certo dal 1945 o dal ’43. La Commissione mista di storici italo-slovena parte dalla fine dell’Ottocento. Qual- cun altro dalla metà dell’Ottocento con la nascita dell’idea di Nazione e il nazionalismo. Personalmente, di solito, pre- ferisco cominciare dalla Prima guerra mondiale, perché è un momento terribile e rilevante, perché si è combattuta nella zona dell’attuale confine, sul Carso, lungo l’Isonzo. Non è possibile partire da dopo, bisogna conoscere il complesso di quella storia. Oggi, invece – grazie agli interventi che mi hanno prece- duto e a quello che seguirà di Marta Verginella – mi soffer- merò, per stare nei tempi, su due momenti che caratterizza- no nel ’43 e nel ’45 la Seconda guerra mondiale. Le vittime di questa guerra si contano in numero enorme, sul confine orientale, tra tutte le parti in conflitto, così come ovunque nel mondo dove si è combattuto. Quei due momenti tipici vengono individuati dagli storici per comprendere le ragio- ni e soprattutto le differenze tra ciò che è successo dopo l’8 settembre ’43 – quando l’Esercito italiano si sfalda e nella zo- na dell’Istria, della Dalmazia e in tutta Italia viene a cadere un controllo autorevole e forte – e poi nel ’45, quando viene sconfitto l’esercito tedesco, con la caduta della Linea gotica, le stragi perpetrate dai nazifascisti, la fine dei combattimen- ti lungo il confine nella Venezia Giulia. Il 1943 è l’anno delle “foibe istriane”, nel 1945 si verifica un episodio di violenza noto come “foibe giuliane”. Nei mesi successivi all’ottobre del ’43 la crisi dell’Esercito italiano fa sì che, come in tante altre parti d’Italia, le armi abbandonate vengano in posses- so di insorti, di associazioni antifasciste (come si chiamava- no all’inizio, lungo la costa) e dei primissimi gruppi di parti- giani. Va ricordato che l’Istria interessata da questo momen- to drammatico di violenza è l’Istria croata, che si trova nella parte mediana, non tanto quella slovena situata più a Nord. Dopo l’Armistizio, si verifica un’insurrezione popolare – gli storici la chiamano così in quanto non vi è un afflusso, co- me spesso viene detto, di un esercito di partigiani di Tito, im- pegnato contro i tedeschi in Bosnia e ancora più a Sud – da parte di partigiani e antifascisti locali. Ma anche da parte di croati nazionalisti, perché chi era nato ancora sotto l’Austria aveva in mente quel limitato regime liberale e ricordava che c’era libertà di lingua e libertà di espressione. Quindi subito dopo l’8 settembre prendono la palla al balzo della disponi- bilità di armi e iniziano gli arresti. Le violenze delle settima- ne successive cominciano intorno al giorno 18, per eliminare molte delle persone che erano state arrestate nella prima par- te del mese. Ciò avviene in concomitanza con l’arrivo delle truppe tedesche che ormai hanno occupato Trieste, Fiume e organizzano rastrellamenti in Istria. Il risultato di questa fase del 1943 è che successivamente – tra ottobre e gennaio ’44 – vennero perlustrate tutte le cavi- tà note come foibe, presenti in quell’area mediana dell’Istria, e in dodici di esse furono recuperati 217 corpi. Tra questi si individuarono 18 militari e 116 civili, mentre per altre 83 per- sone mancava una determinazione sia dell’identità che della condizione. Il numero degli scomparsi senza lasciare traccia, mai ri- trovati, quindi uccisi e occultati in altre località o gettati in mare, non è definito. Gli storici solitamente accennano a un numero totale di circa 500 vittime, per questo episodio delle foibe istriane del ’43. Comprese le 217 riesumate, documen- tate dal maresciallo dei Vigili del Fuoco di Pola e sulla stam- pa dell’epoca con le fotografie del recupero delle salme. Sono stati stilati anche vari elenchi nominativi, per esempio dal- lo storico Gaetano La Perna, arrivando all’identificazione di circa 350-370 nominativi. Come spiegare quello che è successo? Chi erano coloro che furono arrestati nel corso dell’insurrezione istriana? Intanto possono essere individuati degli episodi, veri e propri assalti ai Comuni, con l’incendio di alcuni archivi, op- pure ai depositi di granaglie a causa della fame provocata dal- la guerra. Si scorgono anche i segni di una lotta sociale. Per esempio, molte vittime sono state recuperate da alcune foi- be nella zona mineraria di Arsia. Lì viene colpita duramente la dirigenza delle miniere. Scompaiono molte persone che provenivano dalla Sardegna, dirigenti che erano stati trasfe- riti dal Sulcis sardo per organizzare il lavoro. Tra l’altro nel 1939, primo anno di guerra, si era verificato in quelle minie- re istriane un incidente con 180 morti. Si tratterebbe dun- que, nel 1943, di una strage ben determinata, in una zona industriale, per la quale alcuni storici parlano di motivazio- ni sociali: dipendenti e operai che attaccano chi ritengono responsabile. Tra le vittime delle foibe istriane ci sono ovviamente i di- rigenti fascisti, i quadri del regime, podestà, proprietari ter- rieri – spesso italiani che avevano alle dipendenze dei croa- ti come coloni – e anche alcune figure rappresentative della borghesia italiana. Ci si chiede spesso perché è stato ucciso quel maestro, quell’insegnante, oppure il farmacista, o il me- dico. Quella del medico, ad esempio, era una professione de- licata e quando moriva un paziente a volte si poteva sospetta- re che non fosse stato curato bene. In generale, la borghesia non era facilmente distinguibile dal fascismo, proprio perché il regime aveva cercato sempre di mettere insieme italianità e fascismo. Le conseguenze furono anche queste, moriro- no pure degli insegnanti. La caratteristica di un’insurrezione caotica, confusa, senza guida, è una motivazione plausibile di quanto è accaduto. Però non si può neppure dimenticare che a metà settem- bre si svolse a Pisino una riunione nella quale il Movimen- to di Liberazione croato proclama l’annessione dell’Istria al- la madrepatria croata. E questa è una decisione politica. Era successo che dopo l’insurrezione spontanea, nel territorio delle province italiane (fino a quel momento) viene inviato un centinaio di ufficiali dall’Esercito jugoslavo per controlla- re e cercare di capire cosa sta succedendo. L’intento principa- le è ovviamente quello politico e viene dichiarata l’annessio- ne. Quel proclama viene ripreso successivamente dal Movi- mento di Liberazione croato (quello della Croazia, non solo quello locale dell’Istria) e poi fatto proprio dal movimento di Tito. La maggioranza degli italiani arrestati nel ’43 nell’Istria mediana, provenivano dalle zone di Parenzo, Pola, Pisino, Rovigno, Albona, Fianona. In buona parte vengono con- centrati nel Castello di Pisino che funzionò per un breve pe- riodo (incombevano i tedeschi) come tribunale del popolo. Si ebbero condanne, alcune di esse sommarie, e uccisioni. Al- cuni detenuti restarono nel castello e vennero poi liberati dai tedeschi. Però in quell’occasione si verificarono numerose violenze. Si trattò di scelte più o meno comprensibili oggi, ma dettate in quel momento dall’urgenza. L’arrivo delle truppe tedesche pose fine a questo momen- to di insurrezione e all’ondata che provocò 500 morti. Per l’Istria si trattò di un momento tragico perché le vittime pro- vocate dalle due divisioni che attraversarono il territorio se- tacciando paese per paese, anche con mitragliamenti aerei su Pisino e altre città, ammonta a 2.500 persone. Sono tantissi- me, senza distinzioni tra partigiani, italiani, croati. I numeri sono documentati – con nomi, cognomi e cadaveri non iden- tificati – in un’opera recente, l’Atlante delle stragi naziste e fasciste in Italia, indagine portata avanti dall’Insmli e dall’An- pi con finanziamenti del governo tedesco. Il 1943 fu dunque un anno terribile per l’Istria, con 3.000 morti da una parte e dall’altra. Parlando di questi temi spesso si dimentica cos’è la guerra. La guerra è questo, non ci sono buoni o cattivi. Semmai si può discutere sul perché si è combattuto, su chi sia stato l’invasore di chi. Ma bisogna ricordare che la guerra è sempre violenza. Ora arriviamo alla fine della Seconda guerra mondiale. È stato accennato alla presenza tedesca, al litorale adriatico, alla Risiera di San Sabba, alle deportazioni in Germania. Que- ste ultime colpiscono l’Istria in maniera più forte che in ogni altra parte d’Italia: le donne finiscono ad Auschwitz, dal- l’Istria, dal triestino, dal goriziano; gli uomini riempiono il campo di Dachau. Tra l’ottobre del 1943 e il ’45, in Istria le forze partigiane croate e quelle italiane sono minime per l’in- gente presenza dei tedeschi. Invece è vigorosa la lotta parti- giana nei territori occupati della Slovenia, in Friuli, nella Val- le dell’Isonzo. Lì, sì, c’è una potenza partigiana, non nella zo- na dell’Istria. La vigilanza e i rastrellamenti tedeschi limitano e bloccano ogni attività. Le forze armate jugoslave cominciano a liberare il pro- prio territorio nell’autunno del 1944. Viene liberata Belgra- do, poi inizia la risalita verso Nord, inseguendo la lenta riti- rata dei tedeschi, come avviene in Italia ad opera degli anglo- americani. Due eserciti tra loro alleati: la quarta armata ju- goslava e l’ottava armata anglo-americana si muovono verso Trieste e Gorizia. E vi arrivano quasi contemporaneamente. ..segue ./.
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