Last name:

 La VOCE   COREA   CUBA   JUGOSLAVIA   PALESTINA   RUSSIA   SCIENZA   ARTE 

Stampa pagina

 Stampa inserto 

La VOCE 2009

  P R E C E D E N T E   

    S U C C E S S I V A  


GIÙ

SU


La VOCE ANNO XXIII N°1

settembre 2020

PAGINA E        - 37

Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
universita': rifondarla per rilanciarla come emendare il decreto legge “rilancio” e per cosa utilizzare i fondi europei. = “piano colao”: colpo finale? =. alla camera è cominciato l'iter parlamentare del decreto legge “rilancio” che dovrà concludersi entro 19 luglio 2020, pena la sua decadenza. in sede di conversione potranno essere apportate delle modifiche al testo del decreto. si ricorda che con il dl, nella versione attuale, si stanziano 55 miliardi, di cui 22 “ispirati” da confindustria e 3 per salvare ancora una volta alitalia. inoltre lo stato garantirà il prestito di 6,3 miliardi richiesto dalla fca. invece per l’intero comparto dell’università e della ricerca sono stati stanziati soltanto 1,4 miliardi; una miseria, dopo decenni di definanziamenti e di devastanti controriforme per abolire l'idea stessa di una università statale autonoma e libera, democratica e aperta a tutti, cardine per il rilancio culturale, sociale ed economico del paese e pilastro fondamentale del suo assetto democratico. l'università che si sta realizzando è caratterizzata da: pochi atenei cosiddetti eccellenti (chiudendo o emarginando tutti gli altri), riduzione del numero degli studenti sempre più discriminati sulla base del censo, precariato sempre più vasto e continuamente “rinnovato” (usa e getta), netta riduzione dei docenti di ruolo sempre più gerarchizzati, finti concorsi locali per assicurare la cooptazione personale con i “connessi” fenomeni di nepotismo “avallati” dalla foglia di fico delle asn (concorsi senza posti), perdita totale dell'autonomia del sistema nazionale universitario, gestione iper-verticistica degli atenei con i rettori-sovrani assoluti. questo piano di demolizione dell'università statale non viene certo messo in discussione dal “piano colao” che anzi lo accelererebbe: contrattualizzazione dei docenti, costituzione di “veri (sic!) poli di eccellenza”, premialità per strutture eccellenti, “lauree professionalizzanti”, nuovi corsi di dottorato applicati e paralleli a quelli attuali con borse maggiorate, ecc. tutto in una logica pseudo-meritocratica e competitiva dettata da quel “mercato del lavoro” che punta ad azzerare la libertà di insegnamento e di ricerca e a mettere l'università al servizio degli interessi concreti e immediati delle aziende e di coloro che vogliono gestire una istituzione pubblica in maniera privatistica (atenei aziende). il progetto di smantellamento dell'università va arrestato e va avviata la sua rifondazione a partire dal dl “rilancio” e dei finanziamenti europei. una rifondazione che deve comprendere la profonda riforma dell'organizzazione e della gestione del sistema nazionale universitario e dei singoli atenei e la ristrutturazione della docenza e dei meccanismi del reclutamento e degli avanzamenti di carriera. senza una contestuale trasformazione dell'intero assetto dell'università il necessario corposo finanziamento si tradurrebbe in un consolidamento, anzi in un aggravamento, dei mali propri dell'università italiana. rifondare l'università è un'impresa poderosa che deve fare i conti con poteri e interessi consistenti, esterni e interni. per rifondare l'università è perciò necessario un adeguato e tempestivo impegno che veda unite tutte le componenti del mondo universitario (studenti, precari, tecnici-amministrativi, docenti), abbandonando logiche corporative o sub-corporative. un movimento unitario e forte si può realizzare solo se si assume una visione complessiva e solo se si condividono obiettivi precisi e coerenti che vadano al di là delle appartenenze e delle compatibilità politico-accademiche (v. nota). cosa occorrerebbe cambiare nel dl “rilancio”. = studenti - borse di studio. vanno azzerate le tasse per il prossimo anno e va ampliato il numero dei beneficiari delle borse di studio, garantendo che vengano attribuite a tutti gli idonei, con criteri uguali per tutti gli atenei. - numero chiuso. occorre deliberare immediatamente un programma per l’abolizione del numero chiuso entro pochi anni (4-5), periodo durante il quale ogni anno si dovrebbe aumentare il numero degli accessi e si dovrebbero adeguare i corsi di laurea per accogliere gli studenti. in particolare, considerando anche che a breve mancheranno 45.000 medici, per quest’anno dovrebbero essere consentiti almeno 20.000 accessi a medicina, tenendo conto che lo strumento di selezione attraverso i test è, a giudizio di tutti, una vera e propria lotteria; una lotteria ancora più strampalata se si dovesse ricorrere ai test online. = dottorandi, assegnisti, docenti a contratto e rtda. e’ indispensabile prevedere la proroga, a domanda, per tutti gli attuali precari fino all’espletamento dei concorsi straordinari a professore di ruolo. = scuole di specializzazione di medicina. e’ indispensabile l’abolizione immediata del numero chiuso per le scuole di specializzazione, consentendo a tutti i laureati in medicina di accedere ad esse, per assicurare un più adeguato numero di specializzati al sistema sanitario (che nell'emergenza ha dovuto ricorrere ad aiuti esterni) e per impedire che ancora una volta si lascino senza sbocchi migliaia di laureati. = reclutamento nella docenza (rtdb) e precariato. e' indispensabile bandire a partire da quest’anno, su fondi nazionali e oltre al naturale turnover, almeno 20.000 (5000 all’anno) posti di professore di ruolo, unico modo per recuperare i circa 15.000 posti in ruolo persi in oltre un decennio (e ogni anno se ne perderanno circa 1500 per pensionamenti) e per dare un credibile sbocco a buona parte degli attuali precari, circa il 90% dei quali sarebbe altrimenti destinato all’espulsione dall’università dopo anni e anni di sfruttamento. l'obiettivo non deve essere solo quello di fare rientrare chi è stato costretto a lavorare all'estero (“cervelli in fuga”), ma deve essere contestualmente quello di valorizzare e mantenere all'università coloro che vi si sono formati e che da anni lavorano negli atenei italiani, contribuendo in maniera determinate allo svolgimento della didattica e della ricerca. inoltre, per impedire la formazione di nuovo precariato, occorre superare tutte le attuali figure precarie per sostituirle con una sola figura pre-ruolo di breve durata (tre anni), in numero rapportato agli sbocchi in ruolo, autonoma e adeguatamente garantita e retribuita. la distribuzione dei posti deve prescindere dalle indicazioni dell’anvur (agenzia da abolire, assieme alle “connesse” asn) e deve mirare a sostenere gli atenei messi più in difficoltà dai definanziamenti e dalle ripartizioni volte a privilegiare gli atenei cosiddetti eccellenti. bisogna altresì sottrarre la “gestione” dei concorsi (finti) agli atenei e prevedere commissioni nazionali interamente sorteggiate tra tutti i professori, escludendo quelli che fanno parte degli atenei direttamente interessati. = rti e associati. e’ necessario prevedere per tutti i ricercatori di ruolo e per tutti gli associati che hanno conseguito l’asn, il passaggio di fascia, immediato e automatico (senza ulteriori verifiche), con i relativi eventuali incrementi economici a carico dello stato. e’ infatti inaccettabile che ricercatori di ruolo e associati con asn si trovino ingiustamente discriminati rispetto ad altri colleghi nelle stesse condizioni. - nota. per leggere la proposta organica dell'andu per rifondare l'università v. link in fondo a: http://www.andu-universita.it/2020/06/09/uni/. ==== la storia della devastazione dell'università, iniziata da più di trentanni, può essere approfondita nel sito dell'andu ( http://www.andu-universita.it/ ) utilizzando la “ricerca avanzata”, in alto a sinistra. ========================= posted by andrea martocchia.
aboliamo il carcere! e costruiamo un sistema penale più giusto e utile. thomas galli ha lavorato per 15 anni nell'ambito del sistema penitenziario, dirigendo anche alcune carceri. oggi dice che la prigione va abolita, e avanza diverse proposte per un sistema penale più giusto, basato sui princìpi della giustizia riparativa, che sposta il focus dalla colpa alla responsabilità. di katharina wiegmann, da perspective daily (7 luglio 2020). foto di ronald hansch. una cosa è certa: i reati vanno puniti. senza regole la convivenza sociale non funziona. quando qualcuno viola una legge, ci devono essere delle conseguenze. e qui la cosa già si complica: quale pena è proporzionata? e quale scopo deve avere? per molto tempo come società abbiamo rinunciato a porci queste domande, delegandole interamente al sistema penale. la risposta dello stato a chi supera i limiti è: prigione. in germania nel 2018 i detenuti per reati vari erano circa 51mila. thomas galli conosce il carcere. ha lavorato per 15 anni nell'ambito del sistema penale e molti li ha trascorsi come direttore del carcere di zeithain, in sassonia. poco prima di dimettersi, alla domanda di una giornalista che gli chiedeva cosa avrebbe fatto dei 400 detenuti del suo carcere se fosse dipeso interamente da lui, rispose: “li libererei tutti”. nel suo recente libro weggesperrt [rinchiusi, edition körber 2020], galli spiega come la gestione quotidiana di una prigione lo abbia convinto del fatto che abbiamo bisogno di cambiare radicalmente il modo di pensare e applicare il sistema delle pene. thomas galli, lei ha lavorato per molti anni nel sistema penale, oggi è un attivista contro il carcere. avrebbe semplicemente potuto cambiare lavoro, perché invece ritiene sia così importante ripensare il sistema penale? è stato un percorso che ha sorpreso anche me, di certo non lo avevo programmato. dopo 15 anni nel sistema penale mi sono convinto che in esso c'è molto di sbagliato. ci sono molte ingiustizie e problemi di cui è necessario parlare pubblicamente. attorno al sistema penale e carcerario girano moltissime idee sbagliate e c'è un grande bisogno di informazione. grazie alla mia esperienza penso di poter essere utile in questo dibattito e ho deciso di impegnarmi per diminuire il livello di violenza della nostra società. cosa c'è che non funziona nel sistema carcerario secondo lei? si tratta di un ambiente in cui si esercita una forma estrema di potere. i detenuti subiscono una forte svalutazione della loro umanità e non c'è spazio per un rapporto alla pari. a partire dal fatto che spesso i detenuti devono indossare una divisa. e poi ci sono migliaia di piccoli e grandi meccanismi che concorrono a questa deumanizzazione: i detenuti devono fare richieste formali per qualunque cosa, altri decidono con chi possono avere contatti, chi può venire a far loro visita ecc. se si fa lo sforzo di mettersi nei panni dei senza potere, allora diventa chiaro che una simile situazione non può portare a nulla di buono ma solo alimentare frustrazione e aggressività. una condizione che conduce il detenuto ad allontanarsi ancora di più dalla società. e che effetto fa in coloro che lavorano nel sistema penitenziario? privare qualcuno della libertà significa infliggergli un male. il che ha un effetto, più o meno consapevole, anche su chi lavora ogni giorno nelle carceri. la maggior parte dei lavoratori che io ho conosciuto nei miei anni di lavoro nelle carceri sono persone impegnate socialmente, che non provano nessun piacere a far soffrire altre persone. e tuttavia sono costrette a trattare i detenuti con metodi molto repressivi, altrimenti semplicemente la struttura non funzionerebbe. perché no? nelle carceri sono di norma rinchiuse centinaia di persone, spesso giovani uomini, in spazi molto ristretti. una simile situazione naturalmente non potrebbe funzionare se ciascuno di loro avesse la possibilità di scegliere la propria cella, di stabilire a che ora svegliarsi, cosa fare durante il giorno ecc. la cosa funziona solo se c'è una rigida tabella di marcia regolata al minuto: chi lavora dove, chi deve partecipare a quale misura, quando si può andare in cortile ecc. per i detenuti c'è davvero pochissima libertà, anche per quel che riguarda l'organizzazione del loro tempo. nel suo libro parla della “gestione delle persone”, in cui c'è qualcosa di disumano che in verità parrebbe contraddire l'obiettivo dichiarato della pena, ossia la risocializzazione e il reinserimento in società. ma se è così chiaro che il carcere non è utile a nessuno per raggiungere questo scopo, per quale motivo esiste ancora in questa forma? il carcere non serve allo scopo che il sistema gli assegna ufficialmente. non garantisce nessuna giustizia, la società non è protetta meglio grazie al carcere e non ha effetti tali sui detenuti da produrre una riduzione della criminalità. ma naturalmente questo sistema produce profitti, di cui alcuni, più o meno consapevolmente, si avvantaggiano. per non parlare del fatto che ci sono persone che con questo sistema ci guadagnano, a partire dagli avvocati come me. ma il problema principale è che molte persone hanno semplicemente un'idea sbagliata delle prigioni. nel corso di presentazioni e dibattiti faccio sempre questa domanda al pubblico: che idea avete del carcere? molti pensano che in carcere ci siano principalmente stupratori e assassini e non riescono a crederci quando si dice loro che circa la età dei detenuti sono responsabili di reati contro il patrimonio e che addirittura molti sono in carcere per aver viaggiato senza biglietto[1]. da dove proviene questa falsa percezione? certamente c'è un deficit comunicativo del sistema giustizia. il carcere svolge una sorta di funzione di distrazione. quel che viene comunicato è: lo stato fa qualcosa contro le ingiustizie e contro le persone che provocano danni ad altri. in ultima analisi, però, di solito lo fa dove è più facile e dove c'è meno resistenza. punisce il tossicodipendente che viaggia senza biglietto e che, sorpreso da un poliziotto al supermercato a rubare una bottiglia di liquore, reagisce. mentre ci sono persone che provocano molti più danni alla società, dal punto di vista politico ed economico. certamente si tratta di problemi che non possono tutti essere risolti con il diritto penale, ma c'è una tendenza a guardare altrove per distrarre l'attenzione. i piccoli criminali svolgono in una certa misura la funzione di capro espiatorio. dopo la morte di george floyd una delle ragioni che ha spinto le persone a scendere in piazza sia negli stati uniti sia nel resto del mondo è proprio la richiesta di un sistema pensale più giusto. ma se non con il carcere, come si soddisfa il bisogno sociale che chi viola le leggi venga punito? c'è un bisogno di giustizia molto radicato negli esseri umani, confermato da diverse ricerche sociali psicologiche, e naturalmente è comprensibile che si sia profondamente arrabbiati e indignati se un poliziotto responsabile della morte di una persona ne uscisse pulito. ma io invito sempre a riflettere su questo bisogno così profondamente radicato in noi. probabilmente l'indignazione di chi sta protestando nelle ultime settimane non ha tanto a che fare con il modo in cui quell'uomo sarà punito quanto piuttosto con il fatto che quel che ha compiuto non sia ufficialmente riconosciuto come un'ingiustizia. le persone vogliono che si ammetta che si tratta di un fatto che non possiamo lasciar correre senza fare nulla, che si dica: è accaduta un'ingiustizia. quale pena viene concretamente comminata è molto meno importante, come mostrano molti sondaggi fra le vittime. oggi tuttavia lo stato parla una sola lingua per esprimere ingiustizia e disapprovazione: ed è la lingua della pena detentiva, che si articola solo per la sua durata. una lingua che dobbiamo cambiare. ..segue ./.

UNIVERSITA': RIFONDARLA PER RILANCIARLA come emendare il Decreto Legge “Rilancio” e per cosa utilizzare i fondi europei

= “Piano Colao”: colpo finale? =

Alla Camera è cominciato l'iter parlamentare del Decreto Legge “Rilancio” che dovrà concludersi entro 19 luglio 2020, pena la sua decadenza. In sede di conversione potranno essere apportate delle modifiche al testo del Decreto.
Si ricorda che con il DL, nella versione attuale, si stanziano 55 miliardi, di cui 22 “ispirati” da Confindustria e 3 per salvare ancora una volta Alitalia. Inoltre lo Stato garantirà il prestito di 6,3 miliardi richiesto dalla FCA.
Invece per l’intero comparto dell’Università e della Ricerca sono stati stanziati soltanto 1,4 miliardi; una miseria, dopo decenni di definanziamenti e di devastanti controriforme per abolire l'idea stessa di una Università statale autonoma e libera, democratica e aperta a tutti, cardine per il rilancio culturale, sociale ed economico del Paese e pilastro fondamentale del suo assetto democratico.
L'Università che si sta realizzando è caratterizzata da: pochi Atenei cosiddetti eccellenti (chiudendo o emarginando tutti gli altri), riduzione del numero degli studenti sempre più discriminati sulla base del censo, precariato sempre più vasto e continuamente “rinnovato” (usa e getta), netta riduzione dei docenti di ruolo sempre più gerarchizzati, finti concorsi locali per assicurare la cooptazione personale con i “connessi” fenomeni di nepotismo “avallati” dalla foglia di fico delle ASN (concorsi senza posti), perdita totale dell'autonomia del sistema nazionale universitario, gestione iper-verticistica degli Atenei con i rettori-sovrani assoluti.
Questo piano di demolizione dell'Università statale non viene certo messo in discussione dal “Piano Colao” che anzi lo accelererebbe:
contrattualizzazione dei docenti, costituzione di “veri (sic!) poli di eccellenza”, premialità per strutture eccellenti, “lauree professionalizzanti”, nuovi corsi di dottorato applicati e paralleli a quelli attuali con borse maggiorate, ecc. Tutto in una logica pseudo-meritocratica e competitiva dettata da quel “mercato del lavoro” che punta ad azzerare la libertà di insegnamento e di ricerca e a mettere l'Università al servizio degli interessi concreti e immediati delle aziende e di coloro che vogliono gestire una Istituzione pubblica in maniera privatistica (atenei aziende).
Il progetto di smantellamento dell'Università va arrestato e va avviata la sua rifondazione a partire dal DL “Rilancio” e dei finanziamenti europei.
Una rifondazione che deve comprendere la profonda riforma dell'organizzazione e della gestione del Sistema nazionale universitario e dei singoli Atenei e la ristrutturazione della docenza e dei meccanismi del reclutamento e degli avanzamenti di carriera. Senza una contestuale trasformazione dell'intero assetto dell'Università il necessario corposo finanziamento si tradurrebbe in un consolidamento, anzi in un aggravamento, dei mali propri dell'Università italiana.
Rifondare l'Università è un'impresa poderosa che deve fare i conti con poteri e interessi consistenti, esterni e interni.
Per rifondare l'Università è perciò necessario un adeguato e tempestivo impegno che veda unite tutte le componenti del mondo universitario (studenti, precari, tecnici-amministrativi, docenti), abbandonando logiche corporative o sub-corporative. Un movimento unitario e forte si può realizzare solo se si assume una visione complessiva e solo se si condividono obiettivi precisi e coerenti che vadano al di là delle appartenenze e delle compatibilità politico-accademiche (v. nota).

COSA OCCORREREBBE CAMBIARE NEL DL “RILANCIO”

= STUDENTI - Borse di studio
Vanno azzerate le tasse per il prossimo anno e va ampliato il numero dei beneficiari delle borse di studio, garantendo che vengano attribuite a tutti gli idonei, con criteri uguali per tutti gli Atenei.
- Numero chiuso
Occorre deliberare immediatamente un programma per l’abolizione del numero chiuso entro pochi anni (4-5), periodo durante il quale ogni anno si dovrebbe aumentare il numero degli accessi e si dovrebbero adeguare i corsi di laurea per accogliere gli studenti.
In particolare, considerando anche che a breve mancheranno 45.000 medici, per quest’anno dovrebbero essere consentiti almeno 20.000 accessi a medicina, tenendo conto che lo strumento di selezione attraverso i test è, a giudizio di tutti, una vera e propria lotteria; una lotteria ancora più strampalata se si dovesse ricorrere ai test online.

= DOTTORANDI, ASSEGNISTI, DOCENTI A CONTRATTO E RTDA
E’ indispensabile prevedere la proroga, a domanda, per tutti gli attuali precari fino all’espletamento dei concorsi straordinari a professore di ruolo.

= SCUOLE DI SPECIALIZZAZIONE DI MEDICINA
E’ indispensabile l’abolizione immediata del numero chiuso per le scuole di specializzazione, consentendo a tutti i laureati in medicina di accedere ad esse, per assicurare un più adeguato numero di specializzati al Sistema sanitario (che nell'emergenza ha dovuto ricorrere ad aiuti esterni) e per impedire che ancora una volta si lascino senza sbocchi migliaia di laureati.

= RECLUTAMENTO NELLA DOCENZA (RTDB) E PRECARIATO
E' indispensabile bandire a partire da quest’anno, su fondi nazionali e oltre al naturale turnover, almeno 20.000 (5000 all’anno) posti di professore di ruolo, unico modo per recuperare i circa 15.000 posti in ruolo persi in oltre un decennio (e ogni anno se ne perderanno circa 1500 per pensionamenti) e per dare un credibile sbocco a buona parte degli attuali precari, circa il 90% dei quali sarebbe altrimenti destinato all’espulsione dall’Università dopo anni e anni di sfruttamento.
L'obiettivo non deve essere solo quello di fare rientrare chi è stato costretto a lavorare all'estero (“cervelli in fuga”), ma deve essere contestualmente quello di valorizzare e mantenere all'Università coloro che vi si sono formati e che da anni lavorano negli Atenei italiani, contribuendo in maniera determinate allo svolgimento della didattica e della ricerca.
Inoltre, per impedire la formazione di nuovo precariato, occorre superare tutte le attuali figure precarie per sostituirle con una sola figura pre-ruolo di breve durata (tre anni), in numero rapportato agli sbocchi in ruolo, autonoma e adeguatamente garantita e retribuita.
La distribuzione dei posti deve prescindere dalle indicazioni dell’ANVUR (Agenzia da abolire, assieme alle “connesse” ASN) e deve mirare a sostenere gli Atenei messi più in difficoltà dai definanziamenti e dalle ripartizioni volte a privilegiare gli Atenei cosiddetti eccellenti.
Bisogna altresì sottrarre la “gestione” dei concorsi (finti) agli Atenei e prevedere commissioni nazionali interamente sorteggiate tra tutti i professori, escludendo quelli che fanno parte degli Atenei direttamente interessati.

= RTI E ASSOCIATI
E’ necessario prevedere per tutti i ricercatori di ruolo e per tutti gli associati che hanno conseguito l’ASN, il passaggio di fascia, immediato e automatico (senza ulteriori verifiche), con i relativi eventuali incrementi economici a carico dello Stato. E’ infatti inaccettabile che ricercatori di ruolo e associati con ASN si trovino ingiustamente discriminati rispetto ad altri colleghi nelle stesse condizioni.

- Nota. Per leggere la Proposta organica dell'ANDU per rifondare l'Università v. link in fondo a:
http://www.andu-universita.it/2020/06/09/uni/

==== La storia della devastazione dell'Università, iniziata da più di trentanni, può essere approfondita nel sito dell'ANDU ( http://www.andu-universita.it/ ) utilizzando la “ricerca avanzata”, in alto a sinistra. =========================

Posted by Andrea Martocchia

Aboliamo il carcere! E costruiamo un sistema penale più giusto e utile



Thomas Galli ha lavorato per 15 anni nell'ambito del sistema penitenziario, dirigendo anche alcune carceri. Oggi dice che la prigione va abolita, e avanza diverse proposte per un sistema penale più giusto, basato sui princìpi della giustizia riparativa, che sposta il focus dalla colpa alla responsabilità.

di Katharina Wiegmann, da Perspective Daily (7 luglio 2020)
foto di Ronald Hansch

Una cosa è certa: i reati vanno puniti. Senza regole la convivenza sociale non funziona. Quando qualcuno viola una legge, ci devono essere delle conseguenze. E qui la cosa già si complica: quale pena è proporzionata? E quale scopo deve avere?

Per molto tempo come società abbiamo rinunciato a porci queste domande, delegandole interamente al sistema penale. La risposta dello Stato a chi supera i limiti è: prigione. In Germania nel 2018 i detenuti per reati vari erano circa 51mila.

Thomas Galli conosce il carcere. Ha lavorato per 15 anni nell'ambito del sistema penale e molti li ha trascorsi come direttore del carcere di Zeithain, in Sassonia. Poco prima di dimettersi, alla domanda di una giornalista che gli chiedeva cosa avrebbe fatto dei 400 detenuti del suo carcere se fosse dipeso interamente da lui, rispose: “Li libererei tutti”. Nel suo recente libro Weggesperrt [Rinchiusi, Edition Körber 2020], Galli spiega come la gestione quotidiana di una prigione lo abbia convinto del fatto che abbiamo bisogno di cambiare radicalmente il modo di pensare e applicare il sistema delle pene.

Thomas Galli, lei ha lavorato per molti anni nel sistema penale, oggi è un attivista contro il carcere. Avrebbe semplicemente potuto cambiare lavoro, perché invece ritiene sia così importante ripensare il sistema penale?
È stato un percorso che ha sorpreso anche me, di certo non lo avevo programmato. Dopo 15 anni nel sistema penale mi sono convinto che in esso c'è molto di sbagliato. Ci sono molte ingiustizie e problemi di cui è necessario parlare pubblicamente. Attorno al sistema penale e carcerario girano moltissime idee sbagliate e c'è un grande bisogno di informazione. Grazie alla mia esperienza penso di poter essere utile in questo dibattito e ho deciso di impegnarmi per diminuire il livello di violenza della nostra società.

Cosa c'è che non funziona nel sistema carcerario secondo lei?
Si tratta di un ambiente in cui si esercita una forma estrema di potere. I detenuti subiscono una forte svalutazione della loro umanità e non c'è spazio per un rapporto alla pari. A partire dal fatto che spesso i detenuti devono indossare una divisa. E poi ci sono migliaia di piccoli e grandi meccanismi che concorrono a questa deumanizzazione: i detenuti devono fare richieste formali per qualunque cosa, altri decidono con chi possono avere contatti, chi può venire a far loro visita ecc. Se si fa lo sforzo di mettersi nei panni dei senza potere, allora diventa chiaro che una simile situazione non può portare a nulla di buono ma solo alimentare frustrazione e aggressività. Una condizione che conduce il detenuto ad allontanarsi ancora di più dalla società.

E che effetto fa in coloro che lavorano nel sistema penitenziario?
Privare qualcuno della libertà significa infliggergli un male. Il che ha un effetto, più o meno consapevole, anche su chi lavora ogni giorno nelle carceri. La maggior parte dei lavoratori che io ho conosciuto nei miei anni di lavoro nelle carceri sono persone impegnate socialmente, che non provano nessun piacere a far soffrire altre persone. E tuttavia sono costrette a trattare i detenuti con metodi molto repressivi, altrimenti semplicemente la struttura non funzionerebbe.

Perché no?
Nelle carceri sono di norma rinchiuse centinaia di persone, spesso giovani uomini, in spazi molto ristretti. Una simile situazione naturalmente non potrebbe funzionare se ciascuno di loro avesse la possibilità di scegliere la propria cella, di stabilire a che ora svegliarsi, cosa fare durante il giorno ecc. La cosa funziona solo se c'è una rigida tabella di marcia regolata al minuto: chi lavora dove, chi deve partecipare a quale misura, quando si può andare in cortile ecc. Per i detenuti c'è davvero pochissima libertà, anche per quel che riguarda l'organizzazione del loro tempo.

Nel suo libro parla della “gestione delle persone”, in cui c'è qualcosa di disumano che in verità parrebbe contraddire l'obiettivo dichiarato della pena, ossia la risocializzazione e il reinserimento in società. Ma se è così chiaro che il carcere non è utile a nessuno per raggiungere questo scopo, per quale motivo esiste ancora in questa forma?
Il carcere non serve allo scopo che il sistema gli assegna ufficialmente. Non garantisce nessuna giustizia, la società non è protetta meglio grazie al carcere e non ha effetti tali sui detenuti da produrre una riduzione della criminalità. Ma naturalmente questo sistema produce profitti, di cui alcuni, più o meno consapevolmente, si avvantaggiano. Per non parlare del fatto che ci sono persone che con questo sistema ci guadagnano, a partire dagli avvocati come me. Ma il problema principale è che molte persone hanno semplicemente un'idea sbagliata delle prigioni. Nel corso di presentazioni e dibattiti faccio sempre questa domanda al pubblico: che idea avete del carcere? Molti pensano che in carcere ci siano principalmente stupratori e assassini e non riescono a crederci quando si dice loro che circa la età dei detenuti sono responsabili di reati contro il patrimonio e che addirittura molti sono in carcere per aver viaggiato senza biglietto[1].

Da dove proviene questa falsa percezione?
Certamente c'è un deficit comunicativo del sistema giustizia. Il carcere svolge una sorta di funzione di distrazione. Quel che viene comunicato è: lo Stato fa qualcosa contro le ingiustizie e contro le persone che provocano danni ad altri. In ultima analisi, però, di solito lo fa dove è più facile e dove c'è meno resistenza. Punisce il tossicodipendente che viaggia senza biglietto e che, sorpreso da un poliziotto al supermercato a rubare una bottiglia di liquore, reagisce. Mentre ci sono persone che provocano molti più danni alla società, dal punto di vista politico ed economico. Certamente si tratta di problemi che non possono tutti essere risolti con il diritto penale, ma c'è una tendenza a guardare altrove per distrarre l'attenzione. I piccoli criminali svolgono in una certa misura la funzione di capro espiatorio.

Dopo la morte di George Floyd una delle ragioni che ha spinto le persone a scendere in piazza sia negli Stati Uniti sia nel resto del mondo è proprio la richiesta di un sistema pensale più giusto. Ma se non con il carcere, come si soddisfa il bisogno sociale che chi viola le leggi venga punito?
C'è un bisogno di giustizia molto radicato negli esseri umani, confermato da diverse ricerche sociali psicologiche, e naturalmente è comprensibile che si sia profondamente arrabbiati e indignati se un poliziotto responsabile della morte di una persona ne uscisse pulito. Ma io invito sempre a riflettere su questo bisogno così profondamente radicato in noi. Probabilmente l'indignazione di chi sta protestando nelle ultime settimane non ha tanto a che fare con il modo in cui quell'uomo sarà punito quanto piuttosto con il fatto che quel che ha compiuto non sia ufficialmente riconosciuto come un'ingiustizia. Le persone vogliono che si ammetta che si tratta di un fatto che non possiamo lasciar correre senza fare nulla, che si dica: è accaduta un'ingiustizia. Quale pena viene concretamente comminata è molto meno importante, come mostrano molti sondaggi fra le vittime. Oggi tuttavia lo Stato parla una sola lingua per esprimere ingiustizia e disapprovazione: ed è la lingua della pena detentiva, che si articola solo per la sua durata. Una lingua che dobbiamo cambiare.

..segue ./.

  P R E C E D E N T E   

    S U C C E S S I V A  

Stampa pagina

 Stampa inserto 

La VOCE 2009

 La VOCE   COREA   CUBA   JUGOSLAVIA   PALESTINA   RUSSIA   SCIENZA   ARTE 

Visite complessive:
Copyright - Tutti gli articoli possono essere liberamente riprodotti con obbligo di citazione della fonte.