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La VOCE 2009 |
P R E C E D E N T E | S U C C E S S I V A |
La VOCE ANNO XXIII N°1 | settembre 2020 | PAGINA 3 - 23 |
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segue da pag.22: imperialismo e movimento contro la guerra nel trentennio della ricolonizzazione.
distrutta la libia (napolitano dirà graziosamente che l’unità di quel paese non rappresenta più un valore…), rimaneva pendente la questione siriana, trasformatasi in un inquietante groviglio, nel quale il governo e lo stato legittimi mantenevano le proprie posizioni, militari e politiche, anche grazie al sostegno russo. si provò a dare qualche spallata con nuove fake news riguardanti "attacchi chimici" e “torture”: sui primi, non bastò la consegna e distruzione sotto controllo onu di tutto l’arsenale chimico siriano per placare la disinformazione dei media; sulle seconde, fu organizzata persino una mostra fotografica itinerante basata sugli scatti di un inesistente agente segreto siriano dal nome in codice caesar. entrambe le operazioni, teleguidate da un ufficio di londra denominato “osservatorio democratico siriano”, sono state smascherate ad esempio sul sito sibialiria.org .
comunque, la produzione industriale di fake news da parte occidentale non ha mutato le sorti del conflitto siriano, che oggi, analogamente a quello afghano, ha assunto tutte le caratteristiche di una ulteriore guerra persa per l’imperialismo euro-americano. ciò non toglie che più di un decennio di intromissioni dei paesi nato hanno causato morte, centinaia di migliaia di profughi, e la distruzione di tesori assoluti della cultura mondiale. inoltre, i jihadisti di ritorno in occidente hanno provocato e provocheranno sanguinosi attentati nelle nostre città, in una specie di nemesi storica ben meritata.
vale la pena, a questo riguardo, fare un inciso sul ruolo giocato da albania e kosovo come hub per la formazione e l'invio di quegli jihadisti di servizioin siria:
secondo il kosovar center for security, sono 330 i combattenti kosovari partiti negli ultimi anni per siria e iraq, di cui 40 donne. numeri che molti esperti ritengono troppo bassi vista l’impressionante efficacia mostrata nel “siraq” dall’imponente “brigata balcanica” comandata dal “macellaio dei balcani” lavdrim muhaxheri, ex dipendente di una base nato in kosovo [sic] divenuto celebre per la ferocia mostrata e condivisa sui social network del califfato.
muhaxheri, che si faceva chiamare anche abu abdullah al kosovi, si era trasferito in siria nel 2012 per affiliarsi prima a jabhat fateh al-sham e di seguito all’isis. dopo molte “morti presunte” è stato ucciso da un drone usa nel 2017, ma il suo nome risuona ancora forte tra le moltissime cellule terroristiche islamiche del kosovo visto che era riuscito nell’impresa di federare diverse formazioni jihadiste balcaniche composte da combattenti macedoni, albanesi, bosniaci oltre che da kosovari, molti dei quali provenienti dalla zona di kacanik (piccola città del kosovo al confine con la macedonia, importante centro di reclutamento di jihadisti).
(fonte: kosovo, la “fabbrica” di mujaheddin, di stefano piazza, 4/7/2018). si potrebbe approfondire con numerose altre citazioni relative alla coltivazione “in provetta” della “opposizione siriana” in albania e kosovo, ma ci limitiamo a riportare l’epilogo, così come sintetizzato nel titolo di un articolo di contropiano di aprile 2019: la siria rimpatria 110 kosovari, alcuni sono miliziani dell’isis. aereo usa a pristina (sic).
l’era trump.
la sconfitta dei democratici – rappresentati dalla clinton di cui sopra – alle elezioni usa del 2016 ha segnato una svolta sostanziale nella politica statunitense e nei rapporti internazionali. dal punto di vista sovrastrutturale, l’opzione trump nell’opinione pubblica ha rispecchiato la crisi della egemonia ideologica dell’imperialismo etico “democratico”, cioè la presa di coscienza dell’essere stati presi per i fondelli anche in frangenti gravi come quello dell’11 settembre; dal punto di vista strutturale, essa ha significato la torsione in senso isolazionista e la rivincita di settori sociali messi da parte troppo a lungo, quelli cioè legati alla produzione di beni materiali, contro il capitalismo meramente finanziario-speculativo “globalista” dei dem.
è stato detto da più parti che tale tendenza isolazionista e anti-globalista incarnata da trump si traduce in un tendenziale disimpegno degli usa dai teatri di crisi, con conseguenze pesanti per la “progettualità” della nato – le quali, peraltro, sono state esplicitate dai diretti interessati: si pensi alla clamorosa dichiarazione del presidente francese macron sulla “morte cerebrale” della alleanza. è un dato di fatto che da quando trump è presidente, dal punto di vista militare gli usa sono intervenuti direttamente solo due volte: la prima con un repentino attacco a un aeroporto militare in siria, la seconda con l’assassinio di qasem soleimani, capo delle guardie della rivoluzione iraniane (episodio che ha dato lo spunto per questa nostra riflessione). questo non sta a significare che trump sia un “pacifista” rispetto ai suoi predecessori, ma solo che la sua politica estera e militare si pone come priorità quella della diminuzione dei costi, economici e umani, che erano finora direttamente a carico degli usa. in tal senso trump è stato molto chiaro, con dichiarazioni assolutamente esplicite rivolte agli “alleati”.
tra gli alleati degli usa ce n’è però uno che ha un peso ben diverso rispetto agli altri, anche per la sua collocazione geografica: israele. parliamo di una entità coloniale per antonomasia – dalla genesi alla gestione dei territori palestinesi occupati. nello staff di trump è stata ben evidente la presenza di portatori diretti degli interessi israeliani: in varie circostanze è sembrato persino che le mosse diplomatiche e militari degli usa nella presidenza trump fossero dettate da israele – fatto non completamente nuovo, certo, ma che risalta come dato contraddittorio e insieme caratterizzante di un’epoca altrimenti segnata solo dall’apparente disimpegno. la dettatura israeliana della politica estera usa ha conseguenze politico-diplomatiche pesantissime, che si intravvedono nella filigrana del riconoscimento di gerusalemme capitale e del recentissimo “piano di pace” per la palestina, dal carattere assolutamente eversivo e sprezzante di tutte le risoluzioni onu degli ultimi 70 anni.
l’iran, un problema soprattutto israeliano.
al termine della parabola che abbiamo fin qui tracciato, ripercorrendo un trentennio di interventi imperialisti a guida usa, incappiamo dunque nella questione iraniana. già nell’ottobre 2019 yossi cohen, capo del mossad israeliano, aveva apertamente alluso all’uccisione del generale soleimani: “lui sa molto bene che il suo assassinio non è impossibile,” aveva detto cohen in un’intervista. e viceversa, soleimani era ben consapevole di essere nel mirino del mossad, essendosi vantato che israele cercò di ucciderlo nel 2006 senza riuscirci. con l’assassinio di soleimani e dei rappresentanti sciiti iracheni a lui più vicini, gli usa di trump hanno dunque reso innanzitutto un chiaro servizio a israele.
d’altronde, per israele, l’iran è il problema più grosso, l’avversario più minaccioso. l’iran è il paese di gran lunga più grande e potente della regione, con forze armate di tutto rispetto; esso non riconosce israele e viceversa appoggia soggetti regionali, come hezbollah in libano e il legittimo governo in siria, che più degli altri gli danno filo da torcere.
la strage in cui è morto soleimani assomiglia agli “omicidi mirati extragiudiziari” di cui il mossad è esperto. si tratta di atti di puro terrorismo, compiuti con crassa protervia al di fuori e contro ogni norma di diritto, interno o internazionale, di guerra o di pace. per compiere un crimine del genere non ci si avvale nemmeno più della disinformazione strategica (anche se non è mancata la paradossale accusa a soleimani di essere stato un "terrorista", proprio lui che aveva diretto le operazioni che hanno portato a sconfiggere l’isis in terra irachena!). ciò che si deve mostrare è infatti solo l’esercizio del proprio potere di vita o di morte sulle persone e sui popoli.
peraltro, i dispositivi militari iraniani, per quanto possenti, non sono in grado di rispondere adeguatamente con attacchi convenzionali, poiché la controparte israelo-statunitense è dominante nel campo della guerra elettronica. proprio un attacco di guerra elettronica pare infatti essere stato all’origine dell’abbattimento per errore di un aereo passeggeri ucraino, da parte iraniana sul proprio suolo, pochi giorni dopo la strage in cui è stato ucciso soleimani.
il problema politico posto dalla strage – la levata di scudi antiamericana nel governo dell’iraq – può essere “brillantemente” risolto a proprio favore da trump, il quale (come ha fatto notare manlio dinucci) chiede di sostituire, totalmente o in parte, le truppe usa in iraq con quelle degli alleati europei, che verrebbero così a trovarsi, sotto bandiera nato, nelle situazioni più pericolose. nel frattempo, come già in siria, i soldati usa sarebbero redislocati in basi e portaerei geograficamente anche prossime ma in condizione molto meno rischiosa.
la storia novecentesca dei rapporti tra occidente e iran è una storia di intrighi e crimini con alterne vicende. il leader mossadeq fu scalzato con un golpe mosso soprattutto da parte britannica, per instaurare la dittatura filo-occidentale dello scià reza pahlevi e garantirsi l’accesso al petrolio. l’opposizione allo scià vide protagoniste molte diverse fazioni, le quali tutte – incluso il marxista partito tudeh– contribuirono al successo della rivoluzione nel 1979; tuttavia al momento della presa del potere, a prevalere fu l’ala islamista dell’ayatollah khomeini che instaurò una teocrazia e fece piazza pulita degli altri partiti. nonostante tutto, va riconosciuto al regime khomeinista il più ampio successo nella gestione e nella difesa di uno stato sovrano, qual è attualmente l’iran.
subito dopo la rivoluzione, gli studenti assaltarono la ambasciata usa a teheranprendendo molte decine di ostaggi statunitensi: la liberazione di questi ultimi poté avvenire solo dietro esborso di palate di dollari, racimolati tramite operazioni poco limpide da parte dell’establishment usa (da cui lo scandalo cosiddetto iran-contras). si trattò della maggiore sconfitta diplomatica statunitense di tutto il novecento, laddove in tema di sconfitte militari si dovrebbe invece guardare magari al vietnam. non poteva dunque non covare un desiderio di vendetta profondo verso l’iran, che portò a ripetuti tentativi di destabilizzazione e crimini – come le manovre per aizzargli contro l’iraq (guerra iran-iraq) o l’abbattimento dell’airbus a300 della iran air con a bordo 290 civili (66 erano bambini) il 3 luglio 1988 da parte dell’incrociatore vincennes, crimine per il quale washington pagò un indennizzo di 131 milioni di dollari ma non ammise mai l’errore né porse le sue scuse.
una più recente “colpa” dell'iran verso gli stati uniti è stata quella di iniziare a rifiutare le transazioni delle materie prime (spec. petrolio) in dollari.
sia consentito a questo punto un nuovo inciso riguardante kosovo e albania come hub per la formazione e l'invio di terroristi. in albania, la base ashraf-3 ospita almeno 3mila persone: sono i mujaheddin del popolo (mujahedin-e khalq), organizzazione rimossa nel 2012 dalla lista usa delle organizzazioni terroristiche. ricorda qualcosa?... forse l'uck kosovaro?... guardacaso, l'ayatollah khamenei il 9 gennaio 2020 – pochi giorni dopo l’assassinio di soleimani – ha pubblicamente dichiarato l'albania "nemica dell'iran".
va rimarcata la spregiudicatezza con cui da parte usa e occidentale sono state spesso variate le alleanze nell’area, al solo scopo di impedire la stabilizzazione di una regione, quella mediorientale, segnata all’ “origine” dall’instabilità insita nella spartizione colonialista degli accordi sykes-picot (1916). ecco dunque gli usa appoggiare saddam contro l'iran, poi scagliarsi contro l’iraq in ben due guerre del golfo; ecco ancora gli usa vezzeggiare i curdi siriani contro il loro legittimo governo, mentre prima e dopo gli stessi curdi erano lasciati da soli alla repressione turca; e così via.
cosa aspettarci per il futuro da tale immoralità occidentale? certamente, un candidato a prossime operazioni eversive da parte israeliana e occidentale è il libano.
conclusioni.
subito dopo il “crollo del muro di berlino” abbiamo assistito all’immediato riaffacciarsi dell’interventismo imperialista-occidentale con finalità di ri-colonizzazione. mentre la presa di controllo dei paesi mediorientali risponde all’esigenza di accaparrarsi i combustibili fossili, il soggiogamento dell’europa centro-orientale post-socialista è finalizzato a garantirsi le linee di approvvigionamento delle risorse oltreché le risorse stesse (jugoslavia, cecenia, ucraina, campagna anti-russa globale).
la questione energetica rimane dunque, ad avviso di chi scrive, chiave di interpretazione ineludibile, assieme alla questione della crisi tendenziale del saggio di profitto in occidente che nell’interpretazione marx-leninista classica è sempre alla base delle proiezioni imperialiste.
in questo quadro, gli usa mostrano di avere le loro specifiche strategie e motivazioni. assieme al tentativo disperato di difendere il dollaro come valuta “obbligatoria” per le transazioni energetiche, gli usa provano a imporre il loro petrolio di scisto mentre gettano nel caos paesi produttori di petrolio “pulito”; in contesti come quello ucraino impongono addirittura l’acquisto del proprio gas, benché sia assolutamente antieconomico rispetto al gas prodotto nelle immediate vicinanze (russia).
con la presidenza trump gli usa hanno inaugurato un nuovo corso politico e militare, per cui cercano di minimizzare il proprio impegno finanziario e umano nelle “missioni”, nondimeno concordano con israele azioni eversive di natura diplomatica e/o terroristica. dopo che nel ventennio precedente si era lavorato per distruggere la funzione dell’onu “sostituendola” con la nato, nella nuova fase è la stessa nato a entrare in fibrillazione e si palesano contraddizioni crescenti nel campo imperialista.
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Segue da Pag.22: IMPERIALISMO E MOVIMENTO CONTRO LA GUERRA NEL TRENTENNIO DELLA RICOLONIZZAZIONE
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