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La VOCE 2003

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La VOCE ANNO XXII N°7

marzo 2003

PAGINA c         - 31

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segue da pag.30: analisi della configurazione e della possibile evoluzione dell’attuale crisi in medio oriente. la guerra in siria è davvero finita? la guerra in siria non è affatto finita. come ho avuto modo di sottolineare in alcuni articoli pubblicati dalla rivista di studi geopolitici “eurasia”, l’operazione “sorgente di pace” (la terza operazione militare turca all’interno dei confini siriani dall’inizio del conflitto) ha più o meno indirettamente prodotto anche una nuova insorgenza dello stato islamico nelle regioni di confine tra iraq e siria e nella provincia di deir ezzour. questo, inoltre, è un altro prodotto dell’assassinio di qassem soleimani che della lotta al gruppo terroristico fece la sua ragione di vita negli ultimi anni. e non sorprende che tale insorgenza sia avvenuta nel momento in cui il parlamento iracheno ha richiesto alle truppe occupanti nordamericane di lasciare il proprio territorio. non dobbiamo dimenticare anche il fatto che gli usa, nonostante le propagandistiche dichiarazioni di ritiro, continuano ad occupare illegalmente il nord-est della siria perpetrando un vero e proprio saccheggio delle risorse petrolifere del paese levantino. tale occupazione, oltre al pesante regime sanzionatorio imposto a damasco, è la garanzia che non vi possa essere in alcun modo una ripresa economica tale da consentire alla siria un nuovo ed eccessivo rafforzamento. tra l’altro, a partire dal 2023, la siria (con ampia partecipazione russa) dovrebbe iniziare ad estrarre gas dai giacimenti lungo le sue coste. e non escludo affatto che vi possa essere un nuovo intervento turco per impedire che ciò avvenga. sembra esistere un focolaio strategico a muro, divisorio fra europa e russia, il quale forma una fascia geografica che parte dalle repubbliche baltiche, attraversa ucraina, balcani, e arriva fino al caucaso, alla turchia e al medio oriente. in queste regioni inoltre si trovano importanti basi militari controllate dagli usa che accerchiano la russia. che cosa motiva il fermento crescente in queste regioni? il geopolitologo tedesco karl haushofer era convinto del fatto che una condivisione di intenti e di confini tra germania e russia (potenze prettamente “tellurocratiche”) avrebbe inevitabilmente prodotto la crisi del sistema “talassocratico” imposto, a suo tempo, dalla gran bretagna. con la fine della seconda guerra mondiale, gli stati uniti hanno rapidamente sostituito il regno unito nel suo ruolo di potenza marittima. e, alla pari dei britannici, anche dopo il crollo dell’urss, hanno continuato a ritenere la suddetta possibilità come una minaccia alla loro egemonia sul continente europeo. in questo senso deve essere letta la rapida espansione della nato nell’europa orientale a seguito dell’implosione del blocco socialista e la transizione violenta dal socialismo al capitalismo in paesi come romania e jugoslavia. la romania, ad esempio, situata lungo la diagonale di navigazione interna più importante dell’europa (il fiume danubio), insieme alla bulgaria, nei piani della nato doveva necessariamente svolgere il ruolo di garante del corridoio terrestre tra i nuovi ingressi settentrionali e mitteleuropei dell’alleanza atlantica (paesi baltici, polonia, slovacchia, ungheria) ed il suo membro più orientale: la turchia. in poche parole si è cercato di creare un vero e proprio “cordone sanitario” attorno alla russia recentemente rinvigorito dall’iniziativa “tre mari”. questa, studiata dall’amministrazione obama ma portata a compimento sotto trump, unisce dodici paesi (estonia, lituania, lettonia, polonia, slovacchia, repubblica ceca, ungheria, austria, slovenia, croazia, romania e bulgaria) lungo l’asse verticale che dal mar baltico arriva fino al mar nero ed al mar adriatico. l’obiettivo di tale iniziativa, neanche a dirlo, è la riduzione delle esportazioni gassifere della russia verso l’europa e la costruzione di terminali per lo stoccaggio e la distribuzione del gas liquefatto proveniente dagli usa. dunque, potremmo tranquillamente affermare che il fermento in queste regioni sia determinato dalla volontà di impedire un legame commerciale sempre più stretto tra russia ed europa e, di conseguenza, ogni potenziale sviluppo di una europa unita fino a vladivostok. lo stesso discorso può valere per il medio oriente. l’unica strategia che può consentire agli stati uniti di mantenere intatta la sua “sovraestensione imperiale” ed una qualche egemonia globale (anche in un contesto multipolare) è il sempre valido divide et impera. a me pare che, per capire lo scenario geopolitico, non si possa prescindere da israele, al vertice fra le potenze dell’occidente a mio avviso. sembra che i rapporti fra israele e russia siano ottimi eppure washington sta combattendo contro mosca. come si spiega questa contraddizione? israele e usa: chi comanda chi? senza la piena sovranità sul proprio mare interno (il mediterraneo), l’europa mai potrà ambire ad una qualsiasi forma di reale e completa sovranità. in questo senso, israele, avamposto dell’“occidente” nel vicino oriente, rappresenta la ragione “geopolitica” della presenza in pianta stabile nel mediterraneo della vi flotta nordamericana. israele, dunque, è il principale ostacolo ad una reale sovranità del continente europeo sul suo spazio marittimo interno. per ciò che concerne il rapporto russo-israeliano, lo studioso youssef hindi ha fatto notare come tel aviv da un lato cerchi di mantenere ottimi rapporti diplomatici con mosca e, dall’altro, muova costantemente guerra a tutti i suoi alleati regionali. anche in questo caso si può parlare di una sostanziale ambiguità tra le parti. è bene premettere che mosca, sin dall’era sovietica, dopo gli errori di calcolo stalianiani che portarono all’erroneo aiuto alla causa sionista in chiave anti-britannica, non si è mai sbilanciata sulla possibilità di una liberazione della palestina. oggi, la posizione ufficiale della russia rimane quella dell’urss: ovvero, la creazione di due stati lungo i confini antecendenti al conflitto del 1967. tuttavia, c’è una sostanziale differenza rispetto al passato. con il crollo dell’unione sovietica, l’immigrazione di ebrei russi verso lo “stato ebraico” (ancora una volta ampiamente finanziata dagli usa ed ancora oggi in atto) ne ha modificato radicalmente la costituzione etnica. israele, attualmente, è un paese in buona parte russofono. questo consente al cremlino di pensare che, nel lungo periodo, attraverso un’abile azione di penetrazione diplomatico-commerciale, possa riuscire ad erodere il legame tra washington e tel aviv portando israele dalla sua parte. ciò comporterebbe per la russia nuove possibilità di azione in uno spazio mediterraneo in cui la presenza nordamericana verrebbe percepita come non più necessaria. inutile dire che un simile progetto è attuabile solo in tempi estremamente lunghi e che la potente lobby sionista nelle istituzioni statunitensi difficilmente consentirà un simile cambio di registro. come stanno reagendo pechino e mosca di fronte alle tensioni crescenti? ciò che russia e cina possono fare (e che in effetti stanno già facendo) è proseguire nel processo di integrazione dello spazio eurasiatico. tale processo, tuttavia, deve compiersi su due livelli: uno economico-commerciale fondato sulla de-dollarizzazione negli scambi bilaterali e sulla cooperazione energetica; e l’altro, più politico, fondato sulla cooperazione anche in ambito militare e sui temi della sicurezza per evitare, ad esempio, i rischi di nuova destabilizzazione e “balcanizzazione” delle aree di passaggio della “nuova via della seta”. in altre parole, ancora una volta, debbono cercare di erodere progressivamente gli spazi di azione per le potenze estranee al continente eurasiatico anche in termini di guerra asimettrica o di rischio di nuove “rivoluzioni colorate”. posso concludere sbilanciandomi con una previsione: la tregua commerciale tra usa e cina non durerà che un istante. daniele perra a partire dal 2017 collabora attivamente con “eurasia. rivista di studi geopolitici” e con il relativo sito informatico. le sue analisi sono incentrate principalmente sul rapporto che intercorre tra geopolitica, filosofia e storia delle religioni. laureato in scienze politiche e relazioni internazionali, ha conseguito nel 2015 il diploma di master in middle eastern studies presso aseri – alta scuola di economia e relazioni internazionali dell’università cattolica del sacro cuore di milano. nel 2018 il suo saggio “sulla necessità dell’impero come entità geopolitica unitaria per l’eurasia” è stato inserito nel vol. vi dei “quaderni della sapienza” pubblicati da irfan edizioni. collabora assiduamente con numerosi siti informatici italiani ed esteri ed ha rilasciato diverse interviste all’emittente iraniana radio irib. è autore del libro “essere e rivoluzione. ontologia heideggeriana e politica di liberazione”, prefazione di c. mutti (novaeuropa 2019). la deputata ucraina inna ivanochko ha sostenuto pubblicamente il nuovo progetto di negoziati "sul donbass", a cui partecipano ucraina, russia, francia e germania, e denunciato la situazione sociale nel paese. di enrico vigna.
la leader del partito “scelta ucraina. il diritto del popolo”, nella regione di leopoli, inna ivanochko, ha sostenuto il nuovo format di negoziati sul donbass, al quale hanno partecipato ucraina, federazione russa, germania e francia. una coraggiosa presa di posizione pubblica di questa deputata che già aveva subito attacchi violenti per la sua partecipazione alla commemorazione del 9 maggio, giornata della vittoria, lo scorso anno e di cui avevo scritto su www.civg.it. la ivanochko ha dichiarato in un intervista: “questi colloqui sono promettenti e molto necessari. più persone sono coinvolte nel processo di negoziazione, meglio è. dopotutto, ognuno ha un proprio punto di vista su ciò che sta accadendo e spesso questi punti di vista contraddicono completamente la posizione ufficiale di una delle parti nel processo di negoziazione. quindi lasciare che tutti esprimano posizioni e punti di vista è una buona cosa, dal momento che un simile percorso può rendere possibile giungere a una posizione comune nel processo di negoziazione, così sarà molto più efficace e, soprattutto, più produttivo che stare con le braccia conserte. penso che allargare il format andrà a beneficio di tutti. spero che prima o poi, ma meglio, ovviamente, prima, gli stessi incontri inizieranno anche a livello popolare, nello sport, possibilmente con i sindacato e altre organizzazioni. dopotutto, nessuna propaganda della tv può interrompere la comunicazione diretta tra d noi. siamo tutti cittadini di un paese e dovremmo tornare a vivere in pace, qualunque cosa accada ”, ha aggiunto la deputata ucraina di leopoli. ha sottolineato che il nuovo formato dei negoziati sarà più efficace, poiché "vi sarà una minore pressione sulle persone singole specifiche. e non importa da quale parte è usata la pressione stessa, da negoziatori o dalla gente. dopotutto, anche la persona più forte e motivata, è sempre e solo un individuo, e ancora di più in processi così complessi in cui la vita o il destino di qualcuno dipende dalla tua decisione. gli svantaggi potrebbero essere il ritardo nel processo di negoziazione, perché frattanto i cittadini ucraini soffrono e muoiono”, ha aggiunto l'attivista. ivanochko ritiene che cambiare il format sia vantaggioso anche per la federazione russa, perché ritardare i negoziati non andrà a beneficio di nessuno dei due paesi. “per molte ragioni, ulteriori prolungamenti dei negoziati e l'incertezza della situazione in ucraina stressano non solo noi ucraini, ma anche i cittadini russi. nessuno con la mente e la memoria sane vuole avere un vicino preoccupante alla porta accanto. e l'espansione del format offre più spazio di manovra”, ha affermato. la federazione russa ha avviato per ora positivamente un "nuovo format" per il donbass: un'iniziativa per organizzare il dialogo interparlamentare nel "formato normanno" (ucraina, russia, germania, francia). sulla situazione nel paese. prendendo spunto dalla lotta degli infermieri e medici per migliori condizioni salariali e di lavoro nella sanità ucraina, la ivanochko ha dichiarato: “sui nostri media e nel paese si discute degli stipendi del parlamento o del governo dei ministri, ma allo stesso tempo, degli stipendi di medici, infermieri e altri settori vulnerabili della popolazione, senza i quali, tra l'altro, è difficile sopravvivere, nessuno è interessato...noi non siamo in grado di imporlo, ma almeno una parola per sostenere coloro da cui vivono questa parola dipende dalla nostra vita….provate a immaginare che non ci sia una sola infermiera per. ..segue ./.
Segue da Pag.30: Analisi della configurazione e della possibile evoluzione dell’attuale crisi in Medio Oriente.

La guerra in Siria è davvero finita?

La guerra in Siria non è affatto finita. Come ho avuto modo di sottolineare in alcuni articoli pubblicati dalla rivista di studi geopolitici “Eurasia”, l’operazione “Sorgente di Pace” (la terza operazione militare turca all’interno dei confini siriani dall’inizio del conflitto) ha più o meno indirettamente prodotto anche una nuova insorgenza dello Stato Islamico nelle regioni di confine tra Iraq e Siria e nella provincia di Deir Ezzour. Questo, inoltre, è un altro prodotto dell’assassinio di Qassem Soleimani che della lotta al gruppo terroristico fece la sua ragione di vita negli ultimi anni. E non sorprende che tale insorgenza sia avvenuta nel momento in cui il Parlamento iracheno ha richiesto alle truppe occupanti nordamericane di lasciare il proprio territorio. Non dobbiamo dimenticare anche il fatto che gli USA, nonostante le propagandistiche dichiarazioni di ritiro, continuano ad occupare illegalmente il Nord-Est della Siria perpetrando un vero e proprio saccheggio delle risorse petrolifere del Paese levantino. Tale occupazione, oltre al pesante regime sanzionatorio imposto a Damasco, è la garanzia che non vi possa essere in alcun modo una ripresa economica tale da consentire alla Siria un nuovo ed eccessivo rafforzamento. Tra l’altro, a partire dal 2023, la Siria (con ampia partecipazione russa) dovrebbe iniziare ad estrarre gas dai giacimenti lungo le sue coste. E non escludo affatto che vi possa essere un nuovo intervento turco per impedire che ciò avvenga.

Sembra esistere un focolaio strategico a muro, divisorio fra Europa e Russia, il quale forma una fascia geografica che parte dalle repubbliche baltiche, attraversa Ucraina, Balcani, e arriva fino al Caucaso, alla Turchia e al Medio Oriente. In queste regioni inoltre si trovano importanti basi militari controllate dagli USA che accerchiano la Russia. Che cosa motiva il fermento crescente in queste regioni?

Il geopolitologo tedesco Karl Haushofer era convinto del fatto che una condivisione di intenti e di confini tra Germania e Russia (potenze prettamente “tellurocratiche”) avrebbe inevitabilmente prodotto la crisi del sistema “talassocratico” imposto, a suo tempo, dalla Gran Bretagna. Con la fine della Seconda Guerra Mondiale, gli Stati Uniti hanno rapidamente sostituito il Regno Unito nel suo ruolo di potenza marittima. E, alla pari dei britannici, anche dopo il crollo dell’URSS, hanno continuato a ritenere la suddetta possibilità come una minaccia alla loro egemonia sul continente europeo. In questo senso deve essere letta la rapida espansione della NATO nell’Europa orientale a seguito dell’implosione del blocco socialista e la transizione violenta dal socialismo al capitalismo in Paesi come Romania e Jugoslavia. La Romania, ad esempio, situata lungo la diagonale di navigazione interna più importante dell’Europa (il fiume Danubio), insieme alla Bulgaria, nei piani della NATO doveva necessariamente svolgere il ruolo di garante del corridoio terrestre tra i nuovi ingressi settentrionali e mitteleuropei dell’alleanza atlantica (Paesi baltici, Polonia, Slovacchia, Ungheria) ed il suo membro più orientale: la Turchia. In poche parole si è cercato di creare un vero e proprio “cordone sanitario” attorno alla Russia recentemente rinvigorito dall’iniziativa “Tre Mari”. Questa, studiata dall’amministrazione Obama ma portata a compimento sotto Trump, unisce dodici paesi (Estonia, Lituania, Lettonia, Polonia, Slovacchia, Repubblica Ceca, Ungheria, Austria, Slovenia, Croazia, Romania e Bulgaria) lungo l’asse verticale che dal Mar Baltico arriva fino al Mar Nero ed al Mar Adriatico. L’obiettivo di tale iniziativa, neanche a dirlo, è la riduzione delle esportazioni gassifere della Russia verso l’Europa e la costruzione di terminali per lo stoccaggio e la distribuzione del gas liquefatto proveniente dagli USA. Dunque, potremmo tranquillamente affermare che il fermento in queste regioni sia determinato dalla volontà di impedire un legame commerciale sempre più stretto tra Russia ed Europa e, di conseguenza, ogni potenziale sviluppo di una Europa unita fino a Vladivostok. Lo stesso discorso può valere per il Medio Oriente. L’unica strategia che può consentire agli Stati Uniti di mantenere intatta la sua “sovraestensione imperiale” ed una qualche egemonia globale (anche in un contesto multipolare) è il sempre valido divide et impera.

A me pare che, per capire lo scenario geopolitico, non si possa prescindere da Israele, al vertice fra le Potenze dell’Occidente a mio avviso. Sembra che i rapporti fra Israele e Russia siano ottimi eppure Washington sta combattendo contro Mosca. Come si spiega questa contraddizione? Israele e Usa: chi comanda chi?

Senza la piena sovranità sul proprio mare interno (il Mediterraneo), l’Europa mai potrà ambire ad una qualsiasi forma di reale e completa sovranità. In questo senso, Israele, avamposto dell’“Occidente” nel Vicino Oriente, rappresenta la ragione “geopolitica” della presenza in pianta stabile nel Mediterraneo della VI Flotta nordamericana. Israele, dunque, è il principale ostacolo ad una reale sovranità del continente europeo sul suo spazio marittimo interno. Per ciò che concerne il rapporto russo-israeliano, lo studioso Youssef Hindi ha fatto notare come Tel Aviv da un lato cerchi di mantenere ottimi rapporti diplomatici con Mosca e, dall’altro, muova costantemente guerra a tutti i suoi alleati regionali. Anche in questo caso si può parlare di una sostanziale ambiguità tra le parti. È bene premettere che Mosca, sin dall’era sovietica, dopo gli errori di calcolo stalianiani che portarono all’erroneo aiuto alla causa sionista in chiave anti-britannica, non si è mai sbilanciata sulla possibilità di una liberazione della Palestina. Oggi, la posizione ufficiale della Russia rimane quella dell’URSS: ovvero, la creazione di due Stati lungo i confini antecendenti al conflitto del 1967. Tuttavia, c’è una sostanziale differenza rispetto al passato. Con il crollo dell’Unione Sovietica, l’immigrazione di ebrei russi verso lo “Stato ebraico” (ancora una volta ampiamente finanziata dagli USA ed ancora oggi in atto) ne ha modificato radicalmente la costituzione etnica. Israele, attualmente, è un Paese in buona parte russofono. Questo consente al Cremlino di pensare che, nel lungo periodo, attraverso un’abile azione di penetrazione diplomatico-commerciale, possa riuscire ad erodere il legame tra Washington e Tel Aviv portando Israele dalla sua parte. Ciò comporterebbe per la Russia nuove possibilità di azione in uno spazio mediterraneo in cui la presenza nordamericana verrebbe percepita come non più necessaria. Inutile dire che un simile progetto è attuabile solo in tempi estremamente lunghi e che la potente lobby sionista nelle istituzioni statunitensi difficilmente consentirà un simile cambio di registro.

Come stanno reagendo Pechino e Mosca di fronte alle tensioni crescenti?

Ciò che Russia e Cina possono fare (e che in effetti stanno già facendo) è proseguire nel processo di integrazione dello spazio eurasiatico. Tale processo, tuttavia, deve compiersi su due livelli: uno economico-commerciale fondato sulla de-dollarizzazione negli scambi bilaterali e sulla cooperazione energetica; e l’altro, più politico, fondato sulla cooperazione anche in ambito militare e sui temi della sicurezza per evitare, ad esempio, i rischi di nuova destabilizzazione e “balcanizzazione” delle aree di passaggio della “Nuova Via della Seta”. In altre parole, ancora una volta, debbono cercare di erodere progressivamente gli spazi di azione per le potenze estranee al continente eurasiatico anche in termini di guerra asimettrica o di rischio di nuove “rivoluzioni colorate”. Posso concludere sbilanciandomi con una previsione: la tregua commerciale tra USA e Cina non durerà che un istante.

Daniele Perra a partire dal 2017 collabora attivamente con “Eurasia. Rivista di studi geopolitici” e con il relativo sito informatico. Le sue analisi sono incentrate principalmente sul rapporto che intercorre tra geopolitica, filosofia e storia delle religioni. Laureato in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali, ha conseguito nel 2015 il Diploma di Master in Middle Eastern Studies presso ASERI – Alta Scuola di Economia e Relazioni Internazionali dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Nel 2018 il suo saggio “Sulla necessità dell’Impero come entità geopolitica unitaria per l’Eurasia” è stato inserito nel vol. VI dei “Quaderni della Sapienza” pubblicati da Irfan Edizioni. Collabora assiduamente con numerosi siti informatici italiani ed esteri ed ha rilasciato diverse interviste all’emittente iraniana Radio Irib. È autore del libro “Essere e Rivoluzione. Ontologia heideggeriana e politica di liberazione”, Prefazione di C. Mutti (NovaEuropa 2019).

La deputata ucraina Inna Ivanochko ha sostenuto pubblicamente il nuovo progetto di negoziati "sul Donbass", a cui partecipano Ucraina, Russia, Francia e Germania, e denunciato la situazione sociale nel paese.
di Enrico Vigna




La leader del partito “Scelta Ucraina. Il diritto del popolo”, nella regione di Leopoli, Inna Ivanochko, ha sostenuto il nuovo format di negoziati sul Donbass, al quale hanno partecipato Ucraina, Federazione Russa, Germania e Francia.
Una coraggiosa presa di posizione pubblica di questa deputata che già aveva subito attacchi violenti per la sua partecipazione alla commemorazione del 9 maggio, Giornata della Vittoria, lo scorso anno e di cui avevo scritto su
www.civg.it


 


La Ivanochko ha dichiarato in un intervista: 
“questi colloqui sono promettenti e molto necessari. Più persone sono coinvolte nel processo di negoziazione, meglio è. Dopotutto, ognuno ha un proprio punto di vista su ciò che sta accadendo e spesso questi punti di vista contraddicono completamente la posizione ufficiale di una delle parti nel processo di negoziazione. Quindi lasciare che tutti esprimano posizioni e punti di vista è una buona cosa, dal momento che un simile percorso può rendere possibile giungere a una posizione comune nel processo di negoziazione, così sarà molto più efficace e, soprattutto, più produttivo che stare con le braccia conserte. Penso che allargare il format andrà a beneficio di tutti. Spero che prima o poi, ma meglio, ovviamente, prima, gli stessi incontri inizieranno anche a livello popolare, nello sport, possibilmente con i sindacato e altre organizzazioni. Dopotutto, nessuna propaganda della TV può interrompere la comunicazione diretta tra d noi. Siamo tutti cittadini di un paese e dovremmo tornare a vivere in pace, qualunque cosa accada ”, ha aggiunto la deputata ucraina di Leopoli.
Ha sottolineato che il nuovo formato dei negoziati sarà più efficace, poiché "
vi sarà una minore pressione sulle persone singole specifiche. E non importa da quale parte è usata la pressione stessa, da negoziatori o dalla gente. Dopotutto, anche la persona più forte e motivata, è sempre e solo un individuo, e ancora di più in processi così complessi in cui la vita o il destino di qualcuno dipende dalla tua decisione. Gli svantaggi potrebbero essere il ritardo nel processo di negoziazione, perché frattanto i cittadini ucraini soffrono e muoiono”, ha aggiunto l'attivista.
Ivanochko ritiene che cambiare il format sia vantaggioso anche per la Federazione Russa, perché ritardare i negoziati non andrà a beneficio di nessuno dei due paesi.
Per molte ragioni, ulteriori prolungamenti dei negoziati e l'incertezza della situazione in Ucraina stressano non solo noi ucraini, ma anche i cittadini russi. Nessuno con la mente e la memoria sane vuole avere un vicino preoccupante alla porta accanto. E l'espansione del format offre più spazio di manovra”, ha affermato.
La Federazione Russa ha avviato per ora positivamente un "nuovo format" per il Donbass: un'iniziativa per organizzare il dialogo interparlamentare nel "formato normanno" (Ucraina, Russia, Germania, Francia).


Sulla situazione nel paese

Prendendo spunto dalla lotta degli infermieri e medici per migliori condizioni salariali e di lavoro nella sanità ucraina, la Ivanochko ha dichiarato: “Sui nostri media e nel paese si discute degli stipendi del Parlamento o del governo dei Ministri, ma allo stesso tempo, degli stipendi di medici, infermieri e altri settori vulnerabili della popolazione, senza i quali, tra l'altro, è difficile sopravvivere, nessuno è interessato...Noi non siamo in grado di imporlo, ma almeno una parola per sostenere coloro da cui vivono questa parola dipende dalla nostra vita….Provate a immaginare che non ci sia una sola infermiera per

..segue ./.

  P R E C E D E N T E   

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