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La VOCE 2003

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La VOCE ANNO XXII N°7

marzo 2003

PAGINA 8

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segue da pag.7: mappe e percorsi per abitare la complessità. descrittivo (non si tratta soltanto di descrivere quali sia la natura dei nuovi canali mediali) ad un altro “valutativo” (il che vuol dire porre al centro un’etica della comunicazione, che risponda ai “perché”, e non soltanto ai “come”), pur dovendo fare i conti con le molteplici e confliggenti weltschauungen (o scuole di pensiero) che, da sempre, emergono nell’ambito dei discorsi sull’educazione, sulla comunicazione e, più in particolare, sui media e sui nuovi ecosistemi iperconnessi. ciò – come spiega l’autore – rende ancora più necessaria una riflessione etica che renda conto di un contesto storico-sociale radicalmente mutato, di nuove soggettività più autonome, ma non per questo più responsabili. nel primo capitolo, dominici analizza, in prima istanza, la questione riguardante la natura complessa e ambigua della comunicazione, una natura tutt’altro che semplice e lineare, perché «comunicazione è complessità»[5]. se la comunicazione è un processo sociale di condivisione della conoscenza (potere)[6], essa deve fare i conti «con tipi e modalità di relazione non riconducibili al principio di causalità», e dunque non-lineari e con un alto grado di imprevedibilità; la comunicazione si configura, pertanto, come «un’interazione sociale caratterizzata da un sistema di relazioni nel quale azione e retroazione» rendono difficile qualsiasi tentativo di individuare regolarità e compiere previsioni. ciò richiede, secondo dominici, un approccio “sistemico” e multidisciplinare/interdisciplinare alla complessità, che non può sostanziarsi nella luhmanniana riduzione della complessità. l’autore, peraltro, ritorna più volte sulla “crisi del pensiero” che, da tempo, segna i sistemi sociali e “l’inadeguatezza dei processi educativi e formativi”, esito inevitabile di questa “assenza di un sistema di pensiero”[7]. temi e questioni, su cui lavora da molti anni, che l’hanno condotto a proporre una nuova concezione del sapere capace di pensare la totalità, i livelli di interconnessione che la caratterizzano, e le contraddizioni che compongono il quadro frammentato di una realtà multidimensionale e incerta[8]. in altre parole, per dirla con le sue parole, di “ripensare l’architettura complessiva dei saperi”[9] per poter provare ad “abitare l’ipercomplessità”. nel capitolo successivo, dominici analizza l’avvento della “società di massa” al fine di evidenziarne gli elementi di continuità e le analogie con il mutamento globale successivo. una società di massa che vede l’emersione di un nuovo soggetto “consumatore” di cultura - dai forti tratti conformistici. essa ha rappresentato un’importante fase di transizione, che ha posto le fondamenta per quel grande “processo di trasformazione globale” della società dell’informazione e della conoscenza (ci torneremo più avanti). la critica alla società di massa pone le basi per un’altra critica, rivolta all’industria culturale e ai mass-media, la quale è accusata di utilizzare i nuovi mezzi di comunicazione per esercitare una funzione di controllo delle masse. controllo e sorveglianza: questioni di vitale importanza anche nella società iperconnessa. accanto alle stilettate indirizzate dai principali esponenti della scuola di francoforte (adorno, horkheimer e marcuse) – secondo un chiaro riferimento alla “teoria critica” - contro la forza propagandistica e manipolatoria dei mass media (successivamente descritti da packard alla stregua di “poteri occulti”, e definite dal baudrillard e da chomsky quali “delitto perfetto della realtà” e “illusioni necessarie”), vi sono anche altri studi e ricerche secondo le quali quest’ultimi avrebbero, all’opposto, favorito forme di adesione più “popolari”, e pertanto più estese, alle espressioni culturali-artistiche prodotte dalla grande industria dello spettacolo; alcune delle quali assegnano ai soggetti consumatori un ruolo assai più attivo nella fruizione dei contenuti offerti dai media, si ritiene cioè che questi soddisferebbero negli stessi dei bisogni primari, incontrando, in tal modo, la loro soddisfazione. centrali, ancora una volta, nella rilettura critica di teorie e ricerche, le questioni della cittadinanza e della democrazia. la riflessione, compiuta dall’autore, sulla società di massa, sui media e sul loro ruolo decisivo, non intende tanto focalizzarsi su di essi, bensì offrire numerosi spunti e percorsi per affrontare la proposta di un’etica per un nuovo ecosistema comunicativo”, il cui principale proponimento risiede nel tentativo di congiungere lo straordinario sviluppo dell’innovazione tecnologica ad un analogo progresso umano e culturale degli individui (approfondiremo successivamente il concetto di persona, così come definito da dominici). temi e questioni affrontate, peraltro, nel quadro di una visione ecologica dei media e dei nuovi ambienti interconnessi. ma l’obiettivo è soprattutto quello di evidenziare i numerosi elementi di continuità tra la società di massa e la cd. società interconnessa/iperconnessa. d’altro canto, come pone in evidenza dominici, la “crisi delle grandi meta-narrazioni” (f.lyotard, 1979) dell’età moderna ha, per così dire, messo in crisi quell’ordine su cui si fondavano concezioni positivistiche della storia, il cui addentellato era riconducibile all’ambizioso progetto illuminista e al suo razionalismo (emancipatore) della conoscenza. un progetto, quello della modernità, che – secondo l’autore – come tutti i processi sociali e culturali, ha prodotto anche derive e cambiamenti inattesi, non ultimi quelli dell’egemonia dei valori individualistici e dell’indebolimento del legame sociale. interdipendenza vs frammentazione, questa la coppia concettuale proposta dall’autore, nel tentativo di inquadrare dilemmi e paradossi della civiltà ipertecnologica. la presa d’atto di questa crisi (transizione), che ha assunto le forme di un “grande sradicamento”, ha generato, entro un enorme quadro entropico, il pensiero che qualsivoglia processo di acquisizione della conoscenza non potesse in alcun modo ancorarsi in una verità assoluta, ma che fosse anzi il risultato di un “processo di acquisizione intersoggettiva”[10]. il passaggio compiuto in direzione della cosiddetta “società della conoscenza” ha registrato in maniera permanente un profondo cambiamento di paradigma, favorendo un inedito sistema di produzione, ora fondato sul possesso, la capacità e l’elaborazione delle conoscenze. alla “grande illusione del post-moderno” è subentrata una “modernità complessa”, ed è, pertanto, emersa una nuova economia interconnessa, grazie alla quale la conoscenza inizia ad essere vieppiù concepita come un “bene comune”. vi è dunque l’esigenza – marcatamente esplicitata dall’autore –, a partire dalla definizione di nuova “società asimmetrica” – una società segnata da nuove “regole d’ingaggio della cittadinanza” - di ricercare un nuovo assetto che renda conto dei mutati rapporti di potere e di forme di conflitto generate dal nuovo ecosistema globale comunicativo: un ecosistema globale nel quale “l’accesso è divenuto la nuova misura dei rapporti sociali[11]” (generatrice di nuove eguaglianze/disuguaglianze). bisogna aggiungere che le “nuove tecnologie della connessione”[12], dismettendo le vecchie forme di mediazione sociale, economica e politica, pur avendo moltiplicato esponenzialmente il numero di interazioni tra gli individui (abitanti della rete), non sono tuttavia bastevoli a garantire il realizzarsi di processi comunicativi e relazionali genuinamente inclusivi e più orizzontali. la tradizionale sfera pubblica “intermediata” (in senso habermasiano) ha lasciato il posto ad un’architettura di rete “multidimensionale e circolare” caratterizzata da una crescente complessità, che è riuscita a far saltare le vecchie gerarchie e logiche di potere, ma anche a determinare nuove asimmetrie e disuguaglianze. “la società in rete” (così come l’ha identificata castells) ha operato sostanziali trasformazioni nei sistemi sociali, determinando maggiori opportunità di emancipazione e inclusione all’interno di uno spazio pubblico illimitato, ma anche nuovi rischi di esclusione e di emarginazione: all’interno di un rapporto dialettico, nel quale alla “orizzontalità totale” e ad una sfera di relazioni interconnesse si è accompagnato un processo di progressiva frammentazione delle identità e delle credenze, ponendo le condizione per la fine del legame sociale. la questione concernente l’accesso a internet – che è un accesso a informazione e conoscenza - viene ad assumere, dunque, carattere conoscitivo e culturale, allorché da essa dipendono l’organizzazione e la realizzazione di una cittadinanza realmente inclusiva e “non eterodiretta”; ciò dipende, occorre ancora una volta ribadirlo, da come si intenderà finalizzare lo sviluppo delle nuove forme di produzione sociale della conoscenza, affinché siano basate su una “comunicazione intersoggettiva”, intesa come «processo sociale di condivisione della conoscenza»[13]. l’autore chiarisce, nel quinto capitolo, l’importanza cruciale di una possibile apertura ad un “discorso etico della comunicazione”, che non si focalizzi segnatamente sulla natura specifica dei media e alla loro presunta capacità di influenzare l’opinione pubblica, bensì sulla “libertà” e la “responsabilità” legata ai nuovi flussi comunicativi di chi produce e condivide conoscenza. il rischio, ancora una volta, come per i processi educativi e la stessa democrazia è, chiarisce bene l’autore, quello di nuove tentazioni riduzionistiche funzionali alla radicale semplificazione di tutte le dinamiche. dominici, a tal proposito, ci tiene a riaffermare come la “semplificazione” non sia un valore assoluto. si possono semplificare i linguaggi, le procedure, la burocrazia, ma la democrazia - come l’educazione e la comunicazione – no, non si può semplificare. nella consapevolezza di valorizzare “diversità” e “conflitto” dentro e fuori i processi educativi e formativi. la parola d’ordine – come precisa l’autore – è “’interattività”, entro un sistema comunicativo che anziché favorire il carattere “relazionale[14]” della comunicazione, ne privilegia “la simulazione” con l’ausilio delle innovazioni tecnologiche. la condivisione della conoscenza è divenuta non soltanto la leva di un’economia interconnessa, ma la “regola d’ingaggio” per una nuova cittadinanza (digitale) globale, che ponga “la persona al centro”. il progetto di ricollocare la persona al centro – portatrice di diritti e doveri, ma anche di modelli culturali – nasce dall’esigenza di considerare l’innovazione tecnologica, pur riconoscendone l’importanza, come un mezzo e non come un fine, e di discutere sulle funzioni strategiche svolte dalla cultura: ad una cultura che ha dismesso i panni di un sapere oracolare, calato dall’altro, per divenire un processi di acquisizione intersoggettiva, che si riconosce nello sforzo di raggiungere l’ “altro”, valorizzandone ogni dimensione; ma anche la capacità della cultura, intesa nel senso appena descritto, di fornire agli attori sociali, gli strumenti per potersi orientare in una realtà caotica e complessa, priva di orizzonti di verità dotati di certezza. dominici, a tal proposito, scrive: «la comunicazione è, in tal senso, alla base del nuovo contratto sociale[15]», se consideriamo come a partire dal linguaggio (e dal suo “uso” logico), e dal suo codice di simboli, scaturiscano processi di tipo culturale, che hanno a che fare con la capacità del linguaggio di mediare e (ri)significare il reale. la questione è sì culturale, e riguarda «la libertà, la formazione e l’aggiornamento di chi informa/comunica»[16], giacché l’atto comunicativo si inserisce all’interno di un legame di interdipendenza e di “reciprocità” (declinabile.
esclusivamente in chiave relazionale). l’autore giunge, pertanto, a chiedersi se le nuove reti sociali e i social network, pur avendo aumentato esponenzialmente il numero di (inter)connessioni, garantiscano un vero scambio, non soltanto “interattivo”, bensì orizzontale e simmetrico: «possiamo parlare di comunicazione oppure di sistemi complessi basati sulla sola connessione?»[17]. parliamo cioè di comunicazione o di “simulazione della comunicazione” (e, allo stesso tempo, della partecipazione)?[18]. il rischio paventato da dominici è che l’atto comunicativo si risolva in uno scambio meccanizzato di dati neutri, o di regole e tecniche di persuasione, deprivando la comunicazione stessa dei suoi elementi essenziali. altra importante questione concerne la cosiddetta “riforma del pensiero”, già auspicata da edgar morin, le cui architravi non potranno che essere “scuola” ed “educazione”, affinché si costituiscano come agenti di riscatto sociale, e non creino «le condizioni strutturali per una società diseguale[19]». tale questione “culturale” salda, in via definitiva, il problema esistente tra educazione e cittadinanza, tra cultura dell’inclusione e una nuove dimensioni della soggettività: perché è necessario si educhi dapprima la “persona”, la quale diverrà poi “cittadino”. ai fini della costituzione di un “nuovo contratto sociale” (per una società volta alla relazione, allo scambio e alla condivisione della conoscenza) è necessario, secondo dominici, riconoscere e definire con precisione “l’errore degli errori : l’errata indistinzione tra ciò che è “complesso” e ciò che è “complicato”[20] (stabilendo false equivalenze); una società ciecamente imperniata sui concetti di “controllo e “prevedibilità” si è rivelata totalmente incapace di far risaltare l’ “essere umani” nella civiltà ipertecnologica (creatività, cultura dell’errore, epistemologia del dubbio[21]). “il grande equivoco” (come lo definisce l’autore), che ha fondamento culturale-educativo (ritornano scuola e università) si concretizza “tenendo separate cultura e tecnologia” e pensando che “per questa civiltà ipertecnologica e iperconnessa, servano esclusivamente un’educazione ed una formazione di tipo tecnico (e tecnicistico). una visione/prospettiva miope che punta al progressivo ridimensionamento dello spazio per le discipline umanistiche e più creative (arti e forme estetiche comprese), considerate, in fondo, inutili. partendo da questi presupposti, si continuano a riprodurre e alimentare quelle che ho definito in passato “false dicotomie”[22], convinti che fattore tecnologico e fattore giuridico bastino a comprendere e educare, a gestire e ad abitare l’ipercomplessità. bisogna mettere radicalmente in discussione la nostra idea (o visione) di educazione (digitale), la quale deve essere ripensata quale “cultura della complessità” e come “educazione alla responsabilità”; un’”educazione civica digitale” che non si limiti all’indottrinamento di conoscenze tecniche o “all’addestramento ad essere meri esecutori di funzioni e di regole”[23], cioè che dia più spazio a ciò che ci rende umani e che ci distingue dalle macchine: l’imprevedibilità e l’errore[24]. quanto scritto precedentemente, ci riporta al pensiero espresso da dominici per cui un’educazione alla complessità passi necessariamente per il superamento dei vecchi steccati disciplinari e nella costruzione di un vero e proprio ponte tra i diversi saperi, con l’intento fondamentale di suturare quella antica frattura che separa tecnologia e cultura[25]. superare le “false dicotomie” (natura/cultura; naturale/artificiale; razionalità/emozioni; pensiero/azione; umano/tecnologico; cultura/tecnologia; interdisciplinarità/iper-specializzazione[26]) vuol dire educare ad una “cultura dell’errore, ad “un’epistemologia del dubbio”; perché “essere umani” non debba significare “aspirare” ad assomigliare sempre più alle macchine, vedendo anche le tecnologie come “strumenti complessi” in grado di rendere effettivi diritti e doveri. in conclusione, si può affermare che educare e formare ad una “cultura dell’iper-complessità” voglia dire, da una parte, assumere maggiore consapevolezza dell’importante fase di trasformazione antropologica (cambiamento di paradigma), che ha visto un progressivo ribaltamento dell’interazione complessa tra evoluzione biologica ed evoluzione culturale[27], dal momento che «gli esseri umani, in altre parole, si stanno progressivamente impossessando delle “leve” della propria evoluzione» [28]; dall’altra, resistere alla forte tentazione di ricorrere a scorciatoie logico-argomentative e a riduzionismi[29]: evitando di “ricercare soluzioni semplici a problemi che sono “complessi”(cit.). vorrei chiudere con una domanda: sarà mai possibile coniugare innovazione tecnologica e progresso morale? [30], pur consapevoli dell’asserto heideggeriano per cui «per cui l’essenza della tecnica non è nulla di tecnico, bisogna che la meditazione con la tecnica e il confronto decisivo con essa avvengano in un ambito che da un lato è affine all’essenza della tecnica e dall’altro ne è tuttavia completamente distinto»[31]. note. [1] si deve segnalare che si tratta di una nuova edizione (la prima, oggetto di più ristampe, è del 2014) pubblicata in seguito ad alcuni riconoscimenti scientifici internazionali, tra i quali il “premio scientifico internazionale elisa frauenfelder – sezione cultura e innovazione”. [2] fellow della world academy of art & science, è scientific director del complexity education project e director (scientific listening) presso il global listening centre. insegna presso l’università degli studi di perugia, partecipa a progetti di ricerca internazionali ed è autore di numerose pubblicazioni scientifiche. [3] i numerosi riferimenti e percorsi bibliografici sono ricavati da sociologia e filosofia, da studi e ricerche relative alla complessità ed alla teoria dei sistemi, dalla communication research e, più di recente, dai social media studies. [4] cfr. in particolare pp. 20-21. [5] ivi, p. 17. [6] questa è la definizione proposta da dominici nel lontano 1996. [7] si veda, in particolare, p.153. [8] a tal proposito, dominici scrive: «[…] ci richiede «di pensare senza mai chiudere i concetti, di spezzare le sfere chiuse, di ristabilire le articolazioni tra ciò che è disgiunto, di sforzarci di comprendere la multidimensionalità, di pensare con la singolarità, con la località, con la temporalità, di non dimenticare mai le totalità integratrici. è la tensione verso il sapere totale». (op.cit., p. 18.) [9] si vedano, tra le altre, p.71 e p.184. [10] ivi, p. 80. [11] ivi, p. 87. [12] piero dominici rimarca, in questo stesso volume, la differenza con quelle che altri studiosi definiscono “tecnologie della comunicazione”: «in altre parole, la rete crea un nuovo ecosistema della comunicazione (1996) ma, pur ridefinendo lo spazio del sapere, non può garantire, in sé e per sé, orizzontalità o relazioni più simmetriche. la differenza, ancora una volta, è nelle persone e negli utilizzi che si fanno della tecnologia, al di là dei tanti interessi in gioco. per queste stesse ragioni, parleremo di “tecnologie della connessione” e non di “tecnologie della comunicazione”» (op. cit., p. 21). [13] ivi, p. 74. [14] per ulteriori chiarimenti: «perché la comunicazione, come processo sociale di condivisione della conoscenza implica, non solo a livello di comunicazione interpersonale, un im- pegno verso l’altro e il mettersi in gioco. di conseguenza, se accettiamo questa definizione, accettiamo anche un presupposto forte: la “vera” comunicazione non può che essere etica, nel senso di costruita sull’altro e con l’altro (sul destinatario individuale e collettivo), e responsabile». (op. cit., p. 126). [15] ivi, p 132. [16] ivi, p. 136. [17] ivi. p. 138. [18] ivi, p.104 e p.148. [19] ivi p. 142. [20] come scrive dominici: «i sistemi complicati (meccanici, artificiali etc.), oltre ad essere “chiusi” sono caratterizzati da relazioni/interazioni lineari: a determina b, l’input determina l’output. i sistemi complessi sono, per esempio, i sistemi biologici, sociali, relazionali, umani» (op. cit. p. 156). [21] ibidem pp.186-190. [22] ibidem pp.160-161. [23] ibidem p.173. [24] le questioni legate all’imprevedibilità ed all’importanza dell’errore sono centrali in tutta l’opera e nelle ricerche di dominici. [25] l’autore spiega, nel primo capitolo, come la tecnologia costituisca «una sintesi culturale complessa» e come sia «entrata a far parte della sintesi di nuovi valori e criteri di giudizio». [26] si guardi la tabella raffigurata a pag, 172. il concetto e la definizione operativa di “false dicotomie” sono stati, da dominici, proposti diversi anni fa. [27] questa è la definizione proposta dall’autore in passato (1995 e sgg.). [28] ivi, p. 21. [29] ivi pp.13-14. [30] ivi, p. 73. [31] m. heidegger, la questione della tecnica, in saggi e discorsi, mursia, milano 2014 op. cit., p. 27.
Segue da Pag.7: Mappe e percorsi per abitare la complessità

descrittivo (non si tratta soltanto di descrivere quali sia la natura dei nuovi canali mediali) ad un altro “valutativo” (il che vuol dire porre al centro un’etica della comunicazione, che risponda ai “perché”, e non soltanto ai “come”), pur dovendo fare i conti con le molteplici e confliggenti Weltschauungen (o scuole di pensiero) che, da sempre, emergono nell’ambito dei discorsi sull’educazione, sulla comunicazione e, più in particolare, sui media e sui nuovi ecosistemi iperconnessi. Ciò – come spiega l’autore – rende ancora più necessaria una riflessione etica che renda conto di un contesto storico-sociale radicalmente mutato, di nuove soggettività più autonome, ma non per questo più responsabili. Nel primo capitolo, Dominici analizza, in prima istanza, la questione riguardante la natura complessa e ambigua della comunicazione, una natura tutt’altro che semplice e lineare, perché «comunicazione è complessità»[5]. Se la comunicazione è un processo sociale di condivisione della conoscenza (potere)[6], essa deve fare i conti «con tipi e modalità di relazione non riconducibili al principio di causalità», e dunque non-lineari e con un alto grado di imprevedibilità; la comunicazione si configura, pertanto, come «un’interazione sociale caratterizzata da un sistema di relazioni nel quale azione e retroazione» rendono difficile qualsiasi tentativo di individuare regolarità e compiere previsioni. Ciò richiede, secondo Dominici, un approccio “sistemico” e multidisciplinare/interdisciplinare alla complessità, che non può sostanziarsi nella luhmanniana riduzione della complessità. L’autore, peraltro, ritorna più volte sulla “crisi del pensiero” che, da tempo, segna i sistemi sociali e “l’inadeguatezza dei processi educativi e formativi”, esito inevitabile di questa “assenza di un sistema di pensiero”[7]. Temi e questioni, su cui lavora da molti anni, che l’hanno condotto a proporre una nuova concezione del sapere capace di pensare la totalità, i livelli di interconnessione che la caratterizzano, e le contraddizioni che compongono il quadro frammentato di una realtà multidimensionale e incerta[8]. In altre parole, per dirla con le sue parole, di “ripensare l’architettura complessiva dei saperi”[9] per poter provare ad “abitare l’ipercomplessità”.

Nel capitolo successivo, Dominici analizza l’avvento della “società di massa” al fine di evidenziarne gli elementi di continuità e le analogie con il mutamento globale successivo. Una società di massa che vede l’emersione di un nuovo soggetto “consumatore” di cultura - dai forti tratti conformistici. Essa ha rappresentato un’importante fase di transizione, che ha posto le fondamenta per quel grande “processo di trasformazione globale” della società dell’informazione e della conoscenza (ci torneremo più avanti). La critica alla società di massa pone le basi per un’altra critica, rivolta all’industria culturale e ai mass-media, la quale è accusata di utilizzare i nuovi mezzi di comunicazione per esercitare una funzione di controllo delle masse. Controllo e sorveglianza: questioni di vitale importanza anche nella società iperconnessa. Accanto alle stilettate indirizzate dai principali esponenti della Scuola di Francoforte (Adorno, Horkheimer e Marcuse) – secondo un chiaro riferimento alla “Teoria critica” - contro la forza propagandistica e manipolatoria dei mass media (successivamente descritti da Packard alla stregua di “poteri occulti”, e definite dal Baudrillard e da Chomsky quali “delitto perfetto della realtà” e “illusioni necessarie”), vi sono anche altri studi e ricerche secondo le quali quest’ultimi avrebbero, all’opposto, favorito forme di adesione più “popolari”, e pertanto più estese, alle espressioni culturali-artistiche prodotte dalla grande industria dello spettacolo; alcune delle quali assegnano ai soggetti consumatori un ruolo assai più attivo nella fruizione dei contenuti offerti dai media, si ritiene cioè che questi soddisferebbero negli stessi dei bisogni primari, incontrando, in tal modo, la loro soddisfazione. Centrali, ancora una volta, nella rilettura critica di teorie e ricerche, le questioni della cittadinanza e della democrazia. La riflessione, compiuta dall’autore, sulla società di massa, sui media e sul loro ruolo decisivo, non intende tanto focalizzarsi su di essi, bensì offrire numerosi spunti e percorsi per affrontare la proposta di un’etica per un nuovo ecosistema comunicativo”, il cui principale proponimento risiede nel tentativo di congiungere lo straordinario sviluppo dell’innovazione tecnologica ad un analogo progresso umano e culturale degli individui (approfondiremo successivamente il concetto di Persona, così come definito da Dominici). Temi e questioni affrontate, peraltro, nel quadro di una visione ecologica dei media e dei nuovi ambienti interconnessi. Ma l’obiettivo è soprattutto quello di evidenziare i numerosi elementi di continuità tra la società di massa e la cd. società interconnessa/iperconnessa.

D’altro canto, come pone in evidenza Dominici, la “crisi delle grandi meta-narrazioni” (F.Lyotard, 1979) dell’età moderna ha, per così dire, messo in crisi quell’ordine su cui si fondavano concezioni positivistiche della storia, il cui addentellato era riconducibile all’ambizioso progetto illuminista e al suo razionalismo (emancipatore) della conoscenza. Un progetto, quello della Modernità, che – secondo l’Autore – come tutti i processi sociali e culturali, ha prodotto anche derive e cambiamenti inattesi, non ultimi quelli dell’egemonia dei valori individualistici e dell’indebolimento del legame sociale. Interdipendenza vs frammentazione, questa la coppia concettuale proposta dall’autore, nel tentativo di inquadrare dilemmi e paradossi della civiltà ipertecnologica. La presa d’atto di questa crisi (transizione), che ha assunto le forme di un “grande sradicamento”, ha generato, entro un enorme quadro entropico, il pensiero che qualsivoglia processo di acquisizione della conoscenza non potesse in alcun modo ancorarsi in una verità assoluta, ma che fosse anzi il risultato di un “processo di acquisizione intersoggettiva”[10]. Il passaggio compiuto in direzione della cosiddetta “società della conoscenza” ha registrato in maniera permanente un profondo cambiamento di paradigma, favorendo un inedito sistema di produzione, ora fondato sul possesso, la capacità e l’elaborazione delle conoscenze. Alla “grande illusione del post-moderno” è subentrata una “modernità complessa”, ed è, pertanto, emersa una nuova economia interconnessa, grazie alla quale la conoscenza inizia ad essere vieppiù concepita come un “bene comune”. Vi è dunque l’esigenza – marcatamente esplicitata dall’autore –, a partire dalla definizione di nuova “Società asimmetrica” – una società segnata da nuove “regole d’ingaggio della cittadinanza” - di ricercare un nuovo assetto che renda conto dei mutati rapporti di potere e di forme di conflitto generate dal nuovo ecosistema globale comunicativo: un ecosistema globale nel quale “l’accesso è divenuto la nuova misura dei rapporti sociali[11]” (generatrice di nuove eguaglianze/disuguaglianze). Bisogna aggiungere che le “nuove tecnologie della connessione”[12], dismettendo le vecchie forme di mediazione sociale, economica e politica, pur avendo moltiplicato esponenzialmente il numero di interazioni tra gli individui (abitanti della rete), non sono tuttavia bastevoli a garantire il realizzarsi di processi comunicativi e relazionali genuinamente inclusivi e più orizzontali. La tradizionale sfera pubblica “intermediata” (in senso habermasiano) ha lasciato il posto ad un’architettura di rete “multidimensionale e circolare” caratterizzata da una crescente complessità, che è riuscita a far saltare le vecchie gerarchie e logiche di potere, ma anche a determinare nuove asimmetrie e disuguaglianze. “La società in rete” (così come l’ha identificata Castells) ha operato sostanziali trasformazioni nei sistemi sociali, determinando maggiori opportunità di emancipazione e inclusione all’interno di uno spazio pubblico illimitato, ma anche nuovi rischi di esclusione e di emarginazione: all’interno di un rapporto dialettico, nel quale alla “orizzontalità totale” e ad una sfera di relazioni interconnesse si è accompagnato un processo di progressiva frammentazione delle identità e delle credenze, ponendo le condizione per la fine del legame sociale. La questione concernente l’accesso a internet – che è un accesso a informazione e conoscenza - viene ad assumere, dunque, carattere conoscitivo e culturale, allorché da essa dipendono l’organizzazione e la realizzazione di una cittadinanza realmente inclusiva e “non eterodiretta”; ciò dipende, occorre ancora una volta ribadirlo, da come si intenderà finalizzare lo sviluppo delle nuove forme di produzione sociale della conoscenza, affinché siano basate su una “comunicazione intersoggettiva”, intesa come «processo sociale di condivisione della conoscenza»[13]. L’autore chiarisce, nel quinto capitolo, l’importanza cruciale di una possibile apertura ad un “discorso etico della comunicazione”, che non si focalizzi segnatamente sulla natura specifica dei media e alla loro presunta capacità di influenzare l’opinione pubblica, bensì sulla “libertà” e la “responsabilità” legata ai nuovi flussi comunicativi di chi produce e condivide conoscenza. Il rischio, ancora una volta, come per i processi educativi e la stessa democrazia è, chiarisce bene l’autore, quello di nuove tentazioni riduzionistiche funzionali alla radicale semplificazione di tutte le dinamiche. Dominici, a tal proposito, ci tiene a riaffermare come la “semplificazione” non sia un valore assoluto. Si possono semplificare i linguaggi, le procedure, la burocrazia, ma la democrazia - come l’educazione e la comunicazione – no, non si può semplificare. Nella consapevolezza di valorizzare “diversità” e “conflitto” dentro e fuori i processi educativi e formativi. La parola d’ordine – come precisa l’autore – è “’interattività”, entro un sistema comunicativo che anziché favorire il carattere “relazionale[14]” della comunicazione, ne privilegia “la simulazione” con l’ausilio delle innovazioni tecnologiche.

La condivisione della conoscenza è divenuta non soltanto la leva di un’economia interconnessa, ma la “regola d’ingaggio” per una nuova cittadinanza (digitale) globale, che ponga “la persona al centro”. Il progetto di ricollocare la Persona al centro – portatrice di diritti e doveri, ma anche di modelli culturali – nasce dall’esigenza di considerare l’innovazione tecnologica, pur riconoscendone l’importanza, come un mezzo e non come un fine, e di discutere sulle funzioni strategiche svolte dalla cultura: ad una cultura che ha dismesso i panni di un sapere oracolare, calato dall’altro, per divenire un processi di acquisizione intersoggettiva, che si riconosce nello sforzo di raggiungere l’ “Altro”, valorizzandone ogni dimensione; ma anche la capacità della cultura, intesa nel senso appena descritto, di fornire agli attori sociali, gli strumenti per potersi orientare in una realtà caotica e complessa, priva di orizzonti di verità dotati di certezza. Dominici, a tal proposito, scrive: «la comunicazione è, in tal senso, alla base del nuovo contratto sociale[15]», se consideriamo come a partire dal linguaggio (e dal suo “uso” logico), e dal suo codice di simboli, scaturiscano processi di tipo culturale, che hanno a che fare con la capacità del linguaggio di mediare e (ri)significare il reale. La questione è sì culturale, e riguarda «la libertà, la formazione e l’aggiornamento di chi informa/comunica»[16], giacché l’atto comunicativo si inserisce all’interno di un legame di interdipendenza e di “reciprocità” (declinabile
esclusivamente in chiave relazionale). L’autore giunge, pertanto, a chiedersi se le nuove reti sociali e i Social Network, pur avendo aumentato esponenzialmente il numero di (inter)connessioni, garantiscano un vero scambio, non soltanto “interattivo”, bensì orizzontale e simmetrico: «possiamo parlare di comunicazione oppure di sistemi complessi basati sulla sola connessione?»[17]. Parliamo cioè di comunicazione o di “simulazione della comunicazione” (e, allo stesso tempo, della partecipazione)?[18]. Il rischio paventato da Dominici è che l’atto comunicativo si risolva in uno scambio meccanizzato di dati neutri, o di regole e tecniche di persuasione, deprivando la comunicazione stessa dei suoi elementi essenziali. Altra importante questione concerne la cosiddetta “riforma del pensiero”, già auspicata da Edgar Morin, le cui architravi non potranno che essere “scuola” ed “educazione”, affinché si costituiscano come agenti di riscatto sociale, e non creino «le condizioni strutturali per una società diseguale[19]». Tale questione “culturale” salda, in via definitiva, il problema esistente tra educazione e cittadinanza, tra cultura dell’inclusione e una nuove dimensioni della soggettività: perché è necessario si educhi dapprima la “Persona”, la quale diverrà poi “cittadino”. Ai fini della costituzione di un “nuovo contratto sociale” (per una società volta alla relazione, allo scambio e alla condivisione della conoscenza) è necessario, secondo Dominici, riconoscere e definire con precisione “l’errore degli errori : l’errata indistinzione tra ciò che è “complesso” e ciò che è “complicato”[20] (stabilendo false equivalenze); una società ciecamente imperniata sui concetti di “controllo e “prevedibilità” si è rivelata totalmente incapace di far risaltare l’ “essere umani” nella civiltà ipertecnologica (creatività, cultura dell’errore, epistemologia del dubbio[21]). “Il grande equivoco” (come lo definisce l’autore), che ha fondamento culturale-educativo (ritornano scuola e università) si concretizza “tenendo separate cultura e tecnologia” e pensando che “per questa civiltà ipertecnologica e iperconnessa, servano esclusivamente un’educazione ed una formazione di tipo tecnico (e tecnicistico). Una visione/prospettiva miope che punta al progressivo ridimensionamento dello spazio per le discipline umanistiche e più creative (arti e forme estetiche comprese), considerate, in fondo, inutili. Partendo da questi presupposti, si continuano a riprodurre e alimentare quelle che ho definito in passato “false dicotomie”[22], convinti che fattore tecnologico e fattore giuridico bastino a comprendere e educare, a gestire e ad abitare l’ipercomplessità. Bisogna mettere radicalmente in discussione la nostra idea (o visione) di educazione (digitale), la quale deve essere ripensata quale “cultura della complessità” e come “educazione alla responsabilità”; un’”educazione civica digitale” che non si limiti all’indottrinamento di conoscenze tecniche o “all’addestramento ad essere meri esecutori di funzioni e di regole”[23], cioè che dia più spazio a ciò che ci rende umani e che ci distingue dalle macchine: l’imprevedibilità e l’errore[24]. Quanto scritto precedentemente, ci riporta al pensiero espresso da Dominici per cui un’educazione alla complessità passi necessariamente per il superamento dei vecchi steccati disciplinari e nella costruzione di un vero e proprio ponte tra i diversi saperi, con l’intento fondamentale di suturare quella antica frattura che separa tecnologia e cultura[25]. Superare le “false dicotomie” (Natura/Cultura; naturale/artificiale; razionalità/emozioni; pensiero/azione; umano/tecnologico; cultura/tecnologia; interdisciplinarità/iper-specializzazione[26]) vuol dire educare ad una “cultura dell’errore, ad “un’epistemologia del dubbio”; perché “essere umani” non debba significare “aspirare” ad assomigliare sempre più alle macchine, vedendo anche le tecnologie come “strumenti complessi” in grado di rendere effettivi diritti e doveri. In conclusione, si può affermare che educare e formare ad una “cultura dell’iper-complessità” voglia dire, da una parte, assumere maggiore consapevolezza dell’importante fase di trasformazione antropologica (cambiamento di paradigma), che ha visto un progressivo ribaltamento dell’interazione complessa tra evoluzione biologica ed evoluzione culturale[27], dal momento che «gli esseri umani, in altre parole, si stanno progressivamente impossessando delle “leve” della propria evoluzione» [28]; dall’altra, resistere alla forte tentazione di ricorrere a scorciatoie logico-argomentative e a riduzionismi[29]: evitando di “ricercare soluzioni semplici a problemi che sono “complessi”(cit.). Vorrei chiudere con una domanda: sarà mai possibile coniugare innovazione tecnologica e progresso morale? [30], pur consapevoli dell’asserto heideggeriano per cui «per cui l’essenza della tecnica non è nulla di tecnico, bisogna che la meditazione con la tecnica e il confronto decisivo con essa avvengano in un ambito che da un lato è affine all’essenza della tecnica e dall’altro ne è tuttavia completamente distinto»[31].

NOTE.
[1] Si deve segnalare che si tratta di una nuova edizione (la prima, oggetto di più ristampe, è del 2014) pubblicata in seguito ad alcuni riconoscimenti scientifici internazionali, tra i quali il “Premio Scientifico Internazionale Elisa Frauenfelder – sezione Cultura e Innovazione”
[2] Fellow della World Academy of Art & Science, è Scientific Director del Complexity Education Project e Director (Scientific Listening) presso il Global Listening Centre. Insegna presso l’Università degli Studi di Perugia, partecipa a progetti di ricerca internazionali ed è autore di numerose pubblicazioni scientifiche.
[3] I numerosi riferimenti e percorsi bibliografici sono ricavati da sociologia e filosofia, da studi e ricerche relative alla complessità ed alla teoria dei sistemi, dalla communication research e, più di recente, dai social media studies.
[4] Cfr. in particolare pp. 20-21.
[5] Ivi, p. 17.
[6] Questa è la definizione proposta da Dominici nel lontano 1996.
[7] Si veda, in particolare, p.153.
[8] A tal proposito, Dominici scrive: «[…] ci richiede «di pensare senza mai chiudere i concetti, di spezzare le sfere chiuse, di ristabilire le articolazioni tra ciò che è disgiunto, di sforzarci di comprendere la multidimensionalità, di pensare con la singolarità, con la località, con la temporalità, di non dimenticare mai le totalità integratrici. È la tensione verso il sapere totale». (Op.cit., p. 18.)
[9] Si vedano, tra le altre, p.71 e p.184.
[10] Ivi, p. 80
[11] Ivi, p. 87
[12] Piero Dominici rimarca, in questo stesso volume, la differenza con quelle che altri studiosi definiscono “tecnologie della comunicazione”: «In altre parole, la Rete crea un nuovo ecosistema della comunicazione (1996) ma, pur ridefinendo lo spazio del sapere, non può garantire, in sé e per sé, orizzontalità o relazioni più simmetriche. La differenza, ancora una volta, è nelle persone e negli utilizzi che si fanno della tecnologia, al di là dei tanti interessi in gioco. Per queste stesse ragioni, parleremo di “tecnologie della connessione” e non di “tecnologie della comunicazione”» (Op. cit., p. 21)
[13] Ivi, p. 74.
[14] Per ulteriori chiarimenti: «Perché la comunicazione, come processo sociale di condivisione della conoscenza implica, non solo a livello di comunicazione interpersonale, un im- pegno verso l’Altro e il mettersi in gioco. Di conseguenza, se accettiamo questa definizione, accettiamo anche un presupposto forte: la “vera” comunicazione non può che essere etica, nel senso di costruita sull’altro e con l’Altro (sul destinatario individuale e collettivo), e responsabile». (Op. cit., p. 126).
[15] Ivi, p 132.
[16] Ivi, p. 136.
[17] Ivi. P. 138.
[18] Ivi, p.104 e p.148
[19] Ivi p. 142.
[20] Come scrive Dominici: «I sistemi complicati (meccanici, artificiali etc.), oltre ad essere “chiusi” sono caratterizzati da relazioni/interazioni lineari: A determina B, l’input determina l’output. I sistemi complessi sono, per esempio, i sistemi biologici, sociali, relazionali, umani» (Op. cit. p. 156).
[21] Ibidem pp.186-190.
[22] Ibidem pp.160-161.
[23] Ibidem p.173.
[24] Le questioni legate all’imprevedibilità ed all’importanza dell’errore sono centrali in tutta l’opera e nelle ricerche di Dominici.
[25] L’autore spiega, nel primo capitolo, come la tecnologia costituisca «una sintesi culturale complessa» e come sia «entrata a far parte della sintesi di nuovi valori e criteri di giudizio».
[26] Si guardi la tabella raffigurata a pag, 172. Il concetto e la definizione operativa di “false dicotomie” sono stati, da Dominici, proposti diversi anni fa.
[27] Questa è la definizione proposta dall’autore in passato (1995 e sgg.)
[28] Ivi, p. 21.
[29] Ivi pp.13-14.
[30] Ivi, p. 73.
[31] M. Heidegger, La questione della tecnica, in Saggi e discorsi, Mursia, Milano 2014 op. cit., p. 27.

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