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La VOCE 2001

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La VOCE ANNO XXII N°5

gennaio 2020

PAGINA A         - 33

scienza, scienziati, guerre, ecologia. un interessante articolo di angelo baracca pubblicato dalla rivista “contropiano”, dal titolo “scienza e guerra”, ha innescato un dibattito sul significato ed il ruolo della scienza e degli scienziati. giustamente baracca critica il ruolo di quegli scienziati che usano le proprie competenze per progettare armi di distruzione di massa, virus aggressivi che potrebbero annientare l’umanità, prodotti ad alto tasso di inquinamento, e per manipolazioni genetiche da cui nascono gli ogm le cui conseguenze sono ancora poco chiare. baracca – i cui intenti pacifisti ed ecologisti condivido pienamente – ha citato, a sostegno delle proprie tesi nel corso del dibattito, anche il noto saggio scritto negli anni ’70 dal fisico marcello cini, e da altri fisici dell’università la sapienza di roma, “l’ape e l’architetto”, recentemente ripubblicato nel 2011 con l’aggiunta di altri saggi. quest’opera, che tutti coloro che si interessano ai problemi della scienza dovrebbero leggere, anche solo per prenderne le distanze (come nel mio caso), solleva una serie di fondamentali questioni. la tesi che più ha destato scalpore è quella di una presunta non-neutralità della scienza che non avrebbe un valore oggettivo, ma sarebbe legata all’attività ed al modo di schierarsi dello scienziato nella società. ricordo che, quando ero giovane ricercatore al cnen (comitato nazionale energia nucleare), oggi divenuto enea (ente nazionale per le energie alternative e l’ambiente), ed ero diventato (per caso) uno dei leaderini della contestazione sessantottina che travolse per lungo tempo le attività di quell’istituto di ricerca, la tematica sollevata da cini era molto sentita. un gruppo di ricercatori del cnen scrisse un articolo, divenuto abbastanza noto, su una rivista molto in auge durante quegli anni di contestazione, “i quaderni piacentini”, dal titolo significativo “la ricerca al servizio delle masse”. in questo scritto si dava molta importanza al ruolo “speciale” dello scienziato le cui scelte ed il cui lavoro particolare e specialistico potrebbero favorire un particolare sviluppo della scienza ed influire sullo sviluppo della società. pur stando dalla stessa parte di questi colleghi e compagni, e dalla stessa parte di cini e di baracca, la loro impostazione mi ha sempre sollevato delle perplessità. schematicamente possiamo dire che le mie perplessità sono fondate su due ordini di motivi. il primo è che considero la scienza, ma anche la conoscenza in genere, come qualcosa di obiettivo che noi umani sviluppiamo attraverso l’esperienza, i sensi, l’osservazione della realtà, l’uso di apparecchiature di misura sempre più perfezionate, integrati dal successivo sviluppo di concetti e ragionamenti. certamente le (false) ideologie correnti possono portarci fuori strada, ma se usiamo il metodo sperimentale di osservare con attenzione la realtà, e di verificare continuamente le idee che ne abbiamo ricavato, alla fine riusciamo ad avere una visione corretta, se pur parziale, del mondo reale. e ciò vale in linea di massima, anche se con molti problemi in più, non solo per le cosiddette “scienze esatte”, come la fisica, la chimica, o la biologia, ma anche per la politica, la sociologia, l’economia, la psicologia, e le altre scienze “umane”. parlare di scienza buona e scienza cattiva, in riferimento all’uso che se ne fa, è fuorviante. e qui passo al secondo punto, connesso al primo, che riguarda la figura del ricercatore e dello scienziato. e’ sbagliato, a mio parere, vedere la figura di chi lavora nel campo scientifico, come quella di un lavoratore “speciale” con un’aura particolare. gli scienziati sono inseriti nella società e lavorano sempre per qualche governo o qualche istituzione, soprattutto oggi in tempi moderni. ci sono i manovali e gli operai specializzati, i tecnici, gli ingegneri e i ricercatori. questi ultimi sono pagati un po' di più, hanno più autonomia, a volte sono o si sentono dei capetti facenti parte della classe media, ma al fondo sono essenzialmente lavoratori intellettuali specializzati. archimede lavorava per il tiranno di siracusa gerone; progettava grandi navi per la sua flotta. quando i romani assediarono la città divenne un patriota e progettò armi per colpire le navi romane. i grandi scienziati di alessandria d’egitto lavoravano ed erano stipendiati dal governo dei tolomei. galilei era stipendiato prima dalla repubblica di venezia, cui vendette anche i cannocchiali che aveva
progettato, e poi dal governo fiorentino dei medici. maxwell, boltzmann, mach, poincarè, rutherford, bohr, heisemberg, ecc. erano tutti professori universitari pagati dallo stato. einstein lo divenne dopo aver lavorato all’ufficio brevetti di zurigo come impiegato. alcuni dei maggiori scienziati sperimentatori della storia, come robert hooke e faraday, avevano iniziato come semplici operai autodidatti ed assistenti stipendiati di due ricercatori chimici (rispettivamente robert boyle e davy); poi divennero formidabili ricercatori ed inventori di ingegnose apparecchiature sperimentali. alcuni di questi scienziati sono stati coinvolti in scelte sbagliate, o discutibili. i due valenti chimici tedeschi (entrambi premi nobel) otto hahn e fritz haber produssero gas velenosi per l’esercito del kaiser durante la prima guerra mondiale. fermi, oppenheimer, von neumann , ecc. sono stati stipendiati dal governo usa per produrre quella bomba atomica che ha sterminato gli abitanti di hiroshima e nagasaki (anche se inizialmente il progetto manhattan aveva lo scopo di fronteggiare l’analogo progetto nucleare nazista poi fallito). in questi esempi si vede che gli scienziati possono fare scelte sbagliate, o giuste, magari preferendo farsi licenziare e mettersi contro chi comanda; ma si vede anche che è sempre la politica che detta le condizioni entro cui possono farsi queste scelte. anche gli operai della fabbrica tedesca posta in sardegna, che produce le bombe con cui l’arabia saudita massacra gli yemeniti, possono scegliere di licenziarsi e perdere il lavoro, o magari – al contrario - si arrabbiano con i pacifisti che vorrebbero chiudere l’attività. bertold brecht nell’opera omonima ha criticato galilei per non aver abiurato alle sue idee eterodosse, per non finire bruciato come il più coraggioso giordano bruno (ma penso che brecht volesse solo illustrare i rapporti tra scienza e potere, e non rivolgere un attacco moralistico al grande scienziato pisano). il nucleo del problema è che si dovrebbe lottare contro il sistema politico che permette un uso delle competenze scientifiche nocivo per la vita della specie umana, e di tutte le altre specie: tanto per essere chiari l’imperialismo, fase suprema del capitalismo. fare appelli alla coscienza di singoli scienziati è giusto, ma rischia di restare in un ambito moralistico: al limite è invece apprezzabile il lavoro di quegli scienziati sovietici degli anni ’50 o di quegli scienziati dell’attuale corea popolare che, lavorando nei rispettivi programmi nucleari, hanno contribuito a creare una situazione di equilibrio strategico che blocca le mire imperiali basate sulla superiorità militare. discorso analogo va fatto per l’ecologia, che è certamente uno dei problemi fondamentali del nostro tempo. è inutile rivolgere appelli moralistici dal non troppo celato tono anti-scientifico e fondamentalista. il ritorno ad un passato meno tecnologico rispetto alle ultime acquisizioni scientifiche e tecnologiche è solo un sogno romantico. bisognerebbe studiare “scientificamente” le vie per cui l’umanità possa evitare di mettere in crisi l’intero sistema-terra. gli attuali movimenti come quello di extinction rebellion, fridays for future, greta thunberg, ecc. non lo fanno. si fissano, ad esempio, solo sul problema dei gas serra, alimentando il sospetto di manipolazioni da parte di quei gruppi capitalisti che vorrebbero rilanciare i profitti con una nuova rivoluzione tecnologica rappresentata dalla “green economy”. ma chi dice che lo smaltimento di milioni di batterie elettriche sia poco inquinante e che i vari imperialismi non siano disponibili a nuove guerre per procurarsi i materiali rari che servono per le nuove tecnologie “pulite”? voglio lanciare solo un segnale per sottolineare l’inadeguatezza delle analisi attuali: si parla solo raramente di un argomento fondamentale per l’equilibrio ambientale: il controllo delle nascite, che è argomento inviso a chiese di ogni tipo e benpensanti liberali (solo in cina il problema è stato affrontato seriamente). siamo già 7 miliardi e se continuiamo a crescere esponenzialmente, nessuna tecnica o regime politico potrà salvarci dalla catastrofe. e con questo invito ad un atteggiamento meno emozionale ed aperto ad ogni manipolazione, ma più razionale e “scientifico”, vi lascio a meditare. roma. 31.12.2019, vincenzo brandi.

SCIENZA, SCIENZIATI, GUERRE, ECOLOGIA

Un interessante articolo di Angelo Baracca pubblicato dalla rivista “Contropiano”, dal titolo “Scienza e Guerra”, ha innescato un dibattito sul significato ed il ruolo della Scienza e degli scienziati. Giustamente Baracca critica il ruolo di quegli scienziati che usano le proprie competenze per progettare armi di distruzione di massa, virus aggressivi che potrebbero annientare l’umanità, prodotti ad alto tasso di inquinamento, e per manipolazioni genetiche da cui nascono gli OGM le cui conseguenze sono ancora poco chiare. Baracca – i cui intenti pacifisti ed ecologisti condivido pienamente – ha citato, a sostegno delle proprie tesi nel corso del dibattito, anche il noto saggio scritto negli anni ’70 dal fisico Marcello Cini, e da altri fisici dell’Università La Sapienza di Roma, “L’Ape e l’Architetto”, recentemente ripubblicato nel 2011 con l’aggiunta di altri saggi. Quest’opera, che tutti coloro che si interessano ai problemi della Scienza dovrebbero leggere, anche solo per prenderne le distanze (come nel mio caso), solleva una serie di fondamentali questioni. La tesi che più ha destato scalpore è quella di una presunta non-neutralità della Scienza che non avrebbe un valore oggettivo, ma sarebbe legata all’attività ed al modo di schierarsi dello scienziato nella società. Ricordo che, quando ero giovane ricercatore al CNEN (Comitato Nazionale Energia Nucleare), oggi divenuto ENEA (Ente Nazionale per le Energie Alternative e l’Ambiente), ed ero diventato (per caso) uno dei leaderini della contestazione sessantottina che travolse per lungo tempo le attività di quell’Istituto di Ricerca, la tematica sollevata da Cini era molto sentita. Un gruppo di ricercatori del CNEN scrisse un articolo, divenuto abbastanza noto, su una rivista molto in auge durante quegli anni di contestazione, “I Quaderni Piacentini”, dal titolo significativo “La Ricerca al Servizio delle Masse”. In questo scritto si dava molta importanza al ruolo “speciale” dello scienziato le cui scelte ed il cui lavoro particolare e specialistico potrebbero favorire un particolare sviluppo della Scienza ed influire sullo sviluppo della società.

Pur stando dalla stessa parte di questi colleghi e compagni, e dalla stessa parte di Cini e di Baracca, la loro impostazione mi ha sempre sollevato delle perplessità. Schematicamente possiamo dire che le mie perplessità sono fondate su due ordini di motivi. Il primo è che considero la Scienza, ma anche la conoscenza in genere, come qualcosa di obiettivo che noi umani sviluppiamo attraverso l’esperienza, i sensi, l’osservazione della realtà, l’uso di apparecchiature di misura sempre più perfezionate, integrati dal successivo sviluppo di concetti e ragionamenti. Certamente le (false) ideologie correnti possono portarci fuori strada, ma se usiamo il metodo sperimentale di osservare con attenzione la realtà, e di verificare continuamente le idee che ne abbiamo ricavato, alla fine riusciamo ad avere una visione corretta, se pur parziale, del mondo reale. E ciò vale in linea di massima, anche se con molti problemi in più, non solo per le cosiddette “scienze esatte”, come la fisica, la chimica, o la biologia, ma anche per la politica, la sociologia, l’economia, la psicologia, e le altre scienze “umane”. Parlare di Scienza Buona e Scienza Cattiva, in riferimento all’uso che se ne fa, è fuorviante. E qui passo al secondo punto, connesso al primo, che riguarda la figura del ricercatore e dello scienziato.

È sbagliato, a mio parere, vedere la figura di chi lavora nel campo scientifico, come quella di un lavoratore “speciale” con un’aura particolare. Gli scienziati sono inseriti nella società e lavorano sempre per qualche Governo o qualche istituzione, soprattutto oggi in tempi moderni. Ci sono i manovali e gli operai specializzati, i tecnici, gli ingegneri e i ricercatori. Questi ultimi sono pagati un po' di più, hanno più autonomia, a volte sono o si sentono dei capetti facenti parte della classe media, ma al fondo sono essenzialmente lavoratori intellettuali specializzati. Archimede lavorava per il tiranno di Siracusa Gerone; progettava grandi navi per la sua flotta. Quando i Romani assediarono la città divenne un patriota e progettò armi per colpire le navi romane. I grandi scienziati di Alessandria d’Egitto lavoravano ed erano stipendiati dal Governo dei Tolomei. Galilei era stipendiato prima dalla Repubblica di Venezia, cui vendette anche i cannocchiali che aveva

progettato, e poi dal Governo fiorentino dei Medici. Maxwell, Boltzmann, Mach, Poincarè, Rutherford, Bohr, Heisemberg, ecc. erano tutti professori universitari pagati dallo Stato. Einstein lo divenne dopo aver lavorato all’Ufficio Brevetti di Zurigo come impiegato. Alcuni dei maggiori scienziati sperimentatori della storia, come Robert Hooke e Faraday, avevano iniziato come semplici operai autodidatti ed assistenti stipendiati di due ricercatori chimici (rispettivamente Robert Boyle e Davy); poi divennero formidabili ricercatori ed inventori di ingegnose apparecchiature sperimentali. Alcuni di questi scienziati sono stati coinvolti in scelte sbagliate, o discutibili. I due valenti chimici tedeschi (entrambi premi Nobel) Otto Hahn e Fritz Haber produssero gas velenosi per l’esercito del Kaiser durante la Prima Guerra Mondiale. Fermi, Oppenheimer, Von Neumann , ecc. sono stati stipendiati dal Governo USA per produrre quella bomba atomica che ha sterminato gli abitanti di Hiroshima e Nagasaki (anche se inizialmente il Progetto Manhattan aveva lo scopo di fronteggiare l’analogo progetto nucleare nazista poi fallito).

In questi esempi si vede che gli scienziati possono fare scelte sbagliate, o giuste, magari preferendo farsi licenziare e mettersi contro chi comanda; ma si vede anche che è sempre la politica che detta le condizioni entro cui possono farsi queste scelte. Anche gli operai della fabbrica tedesca posta in Sardegna, che produce le bombe con cui l’Arabia Saudita massacra gli Yemeniti, possono scegliere di licenziarsi e perdere il lavoro, o magari – al contrario - si arrabbiano con i pacifisti che vorrebbero chiudere l’attività. Bertold Brecht nell’opera omonima ha criticato Galilei per non aver abiurato alle sue idee eterodosse, per non finire bruciato come il più coraggioso Giordano Bruno (ma penso che Brecht volesse solo illustrare i rapporti tra Scienza e Potere, e non rivolgere un attacco moralistico al grande scienziato pisano). Il nucleo del problema è che si dovrebbe lottare contro il sistema politico che permette un uso delle competenze scientifiche nocivo per la vita della specie umana, e di tutte le altre specie: tanto per essere chiari l’Imperialismo, fase suprema del Capitalismo. Fare appelli alla coscienza di singoli scienziati è giusto, ma rischia di restare in un ambito moralistico: Al limite è invece apprezzabile il lavoro di quegli scienziati sovietici degli anni ’50 o di quegli scienziati dell’attuale Corea Popolare che, lavorando nei rispettivi programmi nucleari, hanno contribuito a creare una situazione di equilibrio strategico che blocca le mire imperiali basate sulla superiorità militare.

Discorso analogo va fatto per l’ecologia, che è certamente uno dei problemi fondamentali del nostro tempo. È inutile rivolgere appelli moralistici dal non troppo celato tono anti-scientifico e fondamentalista. Il ritorno ad un passato meno tecnologico rispetto alle ultime acquisizioni scientifiche e tecnologiche è solo un sogno romantico. Bisognerebbe studiare “scientificamente” le vie per cui l’umanità possa evitare di mettere in crisi l’intero sistema-Terra. Gli attuali movimenti come quello di Extinction Rebellion, Fridays for Future, Greta Thunberg, ecc. non lo fanno. Si fissano, ad esempio, solo sul problema dei gas serra, alimentando il sospetto di manipolazioni da parte di quei gruppi capitalisti che vorrebbero rilanciare i profitti con una nuova rivoluzione tecnologica rappresentata dalla “Green Economy”. Ma chi dice che lo smaltimento di milioni di batterie elettriche sia poco inquinante e che i vari imperialismi non siano disponibili a nuove guerre per procurarsi i materiali rari che servono per le nuove tecnologie “pulite”? Voglio lanciare solo un segnale per sottolineare l’inadeguatezza delle analisi attuali: si parla solo raramente di un argomento fondamentale per l’equilibrio ambientale: il controllo delle nascite, che è argomento inviso a chiese di ogni tipo e benpensanti liberali (solo in Cina il problema è stato affrontato seriamente). Siamo già 7 miliardi e se continuiamo a crescere esponenzialmente, nessuna tecnica o regime politico potrà salvarci dalla catastrofe. E con questo invito ad un atteggiamento meno emozionale ed aperto ad ogni manipolazione, ma più razionale e “scientifico”, vi lascio a meditare.

Roma. 31.12.2019, Vincenzo Brandi

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