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La VOCE 2001

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La VOCE ANNO XXII N°5

gennaio 2020

PAGINA b         - 26

segue da pag.25: la tortura sistematica dei palestinesi nelle carceri israeliane. privazione del sonno: ai detenuti viene impedito di riposare o dormire e sono sottoposti a lunghe sessioni di interrogatorio. tortura sessuale: uomini, donne e bambini palestinesi sono soggetti a stupri, molestie fisiche e minacce di violenza sessuale. le molestie sessuali verbali sono una pratica particolarmente comune in cui i detenuti sono esposti a commenti su loro stessi o sui loro familiari. questo tipo di tortura è spesso considerato efficace perché la vergogna per l’oltraggio sessuale impedisce ai detenuti di rivelarla. minacce per i familiari: i detenuti [devono] ascoltare minacce di violenza contro i familiari per essere spinti a fornire delle informazioni. ci sono stati casi in cui membri della famiglia sono stati arrestati e interrogati in una stanza vicina in modo che il detenuto potesse sentire mentre erano sottoposti a tortura. i suddetti metodi di tortura lasciano danni permanenti. mentre la tortura fisica può lasciare gravi danni fisici, tra cui ossa rotte e dolori muscolari e articolari cronici, soprattutto a causa di posizioni forzate o dell’essere costretti in un piccolo spazio, il danno psicologico può essere ancora peggiore, con condizioni come depressione profonda e duratura , allucinazioni, ansia, insonnia e pensieri suicidi. molti meccanismi di tortura richiedono la complicità degli attori all’interno del sistema giudiziario militare israeliano, incluso il personale medico. ciò si verifica nonostante il codice deontologico, come definito dalla dichiarazione di tokyo e dal protocollo di istanbul, includa la clausola secondo cui i medici non devono collaborare con gli agenti che conducano interrogatori che comportino torture, non devono condividere informazioni mediche con i torturatori e devono opporsi attivamente alla tortura. in realtà i medici israeliani sono stati a lungo complici della tortura di detenuti e prigionieri palestinesi. nel corso degli anni i giornalisti hanno scoperto documenti che rivelano che i medici approvano la tortura e riportano il falso per giustificare le lesioni inflitte durante gli interrogatori. i medici sono anche complici dell’alimentazione forzata, un altro meccanismo di tortura, sebbene meno comune, usato dal regime israeliano. l’alimentazione forzata richiede che un detenuto sia legato mentre un tubo sottile viene inserito attraverso una narice e spinto fino allo stomaco. il liquido viene quindi iniettato attraverso il tubo nel tentativo di alimentare il corpo. il personale medico deve posizionare il tubo, che può finire per passare attraverso la bocca o la trachea invece che per l’esofago, nel qual caso deve essere retratto e sostituito. questo non solo provoca grande dolore, ma può anche portare a gravi complicazioni mediche e persino alla morte. negli anni ’70 e ’80 diversi prigionieri palestinesi morirono per essere stati nutriti con la forza, provocando un ordine di cessazione da parte della corte suprema israeliana. tuttavia, una legge della knesset del 2012 ha ripristinato la legalità dell’alimentazione forzata nel tentativo di interrompere gli scioperi della fame dei palestinesi. in un documento inviato al primo ministro israeliano nel giugno 2015, l’associazione medica mondiale [organizzazione internazionale che rappresenta i medici di tutto il mondo, ndtr.] ha affermato che “l’alimentazione forzata è violenta, spesso dolorosa e contraria al principio di autonomia individuale. è un trattamento degradante, disumano e può equivalere a tortura.” fermare la tortura israeliana. per i palestinesi, la tortura è solo uno degli aspetti della violenza strutturale che affrontano nelle mani del regime israeliano, che li rinchiude in una prigione a cielo aperto e li priva dei loro diritti fondamentali. ed è anche un aspetto che riceve scarsa attenzione dalla comunità internazionale, di solito perché le autorità israeliane usano argomenti relativi alla sicurezza dello stato, rafforzati dalla narrativa della “guerra al terrore”. questo è stato il caso di samer arbeed, che i media israeliani hanno definito un terrorista, facendo sì che la maggior parte degli stati mantenga il silenzio sul suo trattamento nonostante sia stato presentata una petizione e siano state fatte pressioni da molte organizzazioni palestinesi e internazionali per i diritti umani. come per tutte le violazioni contro il popolo palestinese, la tortura israeliana sollecita una messa in discussione sull’utilità dell’ordinamento giuridico internazionale. il 13 maggio 2016, il comitato delle nazioni unite contro la tortura ha raccomandato a israele più di 50 misure a seguito di una revisione della sua conformità alla convenzione contro la tortura, tra cui il fatto che tutti gli interrogatori dovrebbero avere una documentazione audio e visiva, che ai detenuti dovrebbero essere concessi esami medici indipendenti e che la detenzione amministrativa dovrebbe essere eliminata. queste sono, naturalmente, raccomandazioni importanti e si dovrebbe fare in modo che israele le rispetti. tuttavia, in un momento in cui gli attori di paesi terzi non sono generalmente disposti a ritenere israele responsabile della violazione del diritto internazionale e dei diritti dei palestinesi, non sono sufficienti. di seguito vengono riportati alcuni passaggi che coloro che si impegnano per i diritti dei palestinesi nei contesti internazionali e nazionali possono adottare allo scopo di interrompere il carattere sistematico della tortura israeliana: le organizzazioni e i gruppi dovrebbero raccogliere prove sulla responsabilità penale individuale, al di fuori di israele e palestina, di coloro che sono coinvolti nella tortura dei palestinesi. la responsabilità può essere estesa non solo a coloro che commettono la tortura, ma anche a coloro che aiutano, favoriscono e omettono informazioni al riguardo. ciò include il personale che interroga, i giudici militari, le guardie carcerarie e i medici. poiché la tortura è un crimine di guerra dello jus cogens, è soggetta alla giurisdizione universale, il che significa che terze parti possono presentare denunce penali contro singoli individui. 4) sebbene la responsabilità penale individuale non affronti necessariamente la struttura sistematica della tortura contro i palestinesi, essa mette sotto pressione le persone israeliane coinvolte limitando i loro movimenti e i viaggi all’estero. in quanto unico organo giudiziario indipendente a cui è possibile accedere in grado di porre fine all’impunità per le violazioni dei diritti dei palestinesi, la corte penale internazionale ha il compito di ritenere israele responsabile. l’ufficio del procuratore, con tutte le informazioni e le relazioni dettagliate che gli sono state presentate, dovrebbe avviare un’indagine formale sulle violazioni all’interno del sistema carcerario israeliano. gli stati firmatari delle convenzioni di ginevra e le organizzazioni internazionali per i diritti umani devono fare pressione sul comitato internazionale della croce rossa affinché ottemperi al proprio mandato al fine di proteggere i detenuti palestinesi e aprire un’indagine su tutte le accuse di tortura. (5) la società civile e le istituzioni palestinesi dovrebbero continuare a sostenere coloro che lavorano per aiutare le vittime della tortura. tale sostegno può essere potenziato da uno sforzo mirato e specifico per espandere tali risorse e renderle accessibili in tutte le aree della cisgiordania e della striscia di gaza. ciò dovrebbe includere anche l’impegno rivolto a rompere il tabù della ricerca di interventi terapeutici e l’eliminazione dello stigma riguardante la violenza sessuale. le aggressioni sessuali di solito non vengono trattate interamente perché le vittime si vergognano troppo di raccontare il loro calvario e il fatto di non parlarne rende la guarigione più difficile. creare spazi più sicuri per le testimonianze individuali e collettive è la chiave per aiutare i sopravvissuti a riprendersi. con tali azioni concertate, i palestinesi e i loro alleati possono lavorare per limitare la pratica della tortura così profondamente radicata nel sistema carcerario israeliano e coperta dalla legge israeliana, impegnandosi anche per aiutare a guarire coloro che ne hanno subito le conseguenze dolorose. l’autrice desidera ringraziare basil farraj, suhail taha e randa wahbe per il loro supporto e competenza nella stesura di questo articolo. note: questo documento è stato prodotto con il supporto di heinrich-böll-stiftung [fondazione politica, con sede a berlino, nata nel 1997 col nome del noto scrittore, e facente parte del partito dei verdi tedeschi, ndtr.]. le opinioni espresse nel presente documento sono quelle dell’autrice e pertanto non riflettono necessariamente l’opinione dell’heinrich-böll-stiftung. secondo b’tselem [associazione israeliana per i diritti umani, ndtr-], “israele sostiene di non essere vincolato dalle leggi internazionali sui diritti umani nei territori occupati, poiché essi non costituiscono un territorio israeliano ufficialmente sovrano. mentre è vero che israele non ha sovranità sui territori occupati, questo fatto non basta a sminuire il suo dovere di ottemperare alle disposizioni internazionali in materia di diritti umani. i giuristi internazionali non sono d’accordo con la posizione di israele sulla questione, e questa è stata ripetutamente respinta dalla corte internazionale di giustizia (cig) e da tutte le commissioni delle nazioni unite che sovrintendono all’attuazione delle varie convenzioni sui diritti umani. questi organismi internazionali hanno ripetutamente affermato che gli stati devono rispettare le disposizioni sui diritti umani ovunque esercitino un controllo effettivo.” nel 2009 israele ha istituito un tribunale militare minorile per perseguire i minori di 16 anni – l’unico paese al mondo a farlo. secondo l’unicef, esso utilizza le stesse
strutture e lo stesso personale giudiziario del tribunale militare per adulti. lo dimostra il caso di tzipi livni; livni è stata il ministro degli esteri israeliano durante l’attacco a gaza del 2009 che ha visto l’uccisione di oltre 1.400 palestinesi. nello stesso anno, un gruppo di avvocati con sede nel regno unito è riuscito a ottenere che un tribunale britannico emettesse un mandato di arresto nei suoi confronti. di conseguenza [livni] ha dovuto annullare il suo viaggio nel regno unito ed è stata costretta ugualmente ad annullare il viaggio in belgio nel 2017, quando la procura belga ha annunciato l’intenzione di arrestarla e di interrogarla sul suo ruolo nell’attacco. di recente, in seguito all’arresto e alla tortura di samer arbeed, il comitato internazionale della croce rossa ha rilasciato una dichiarazione, ma invece di condannare le violazioni israeliane ha condannato gli attivisti che hanno manifestato e occupato l’ufficio della cicr a ramallah per protestare contro il silenzio dell’organizzazione su arbeed. yara hawari. yara hawari è il membro anziano per la politica palestinese di al-shabaka: the palestinian policy network [al shabaka significa “la rete”, è un’agenzia indipendente palestinese di informazioni politiche, ndtr.]. ha completato il suo dottorato di ricerca in politica mediorientale presso l’università di exeter. la sua ricerca si è concentrata su progetti di storia orale e politiche della memoria, inquadrati più ampiamente all’interno degli studi autoctoni. yara ha tenuto vari corsi universitari presso l’università di exeter e continua a lavorare come giornalista indipendente, pubblicando per vari media, tra cui al jazeera in inglese, middle east eye e the indipendent. (traduzione dall’inglese di aldo lotta). manifestazione davanti alla corte penale internazionale. invictapalestina. salvare il cibo dimenticato della palestina. invictapalestina. l’india si unisce a 164 paesi votando a favore del diritto all’autodeterminazione dei palestinesi mentre in occasione del terzo comitato dell’assemblea generale delle nazioni unite l’india e altre 165 nazioni hanno votato a favore della risoluzione intitolata “il diritto del popolo palestinese all’autodeterminazione”, gli stati uniti, israele, nauru, micronesia e le isole marshall hanno votato contro. geeta mohan – 21 novembre 2019. immagine di copertina: la risoluzione ha riconosciuto il diritto all’autodeterminazione del popolo palestinese e ha sottolineato la necessità che “occupazione israeliana iniziata nel 1967”abbia fine (reuters). attenendosi alla sua storica posizione nei confronti della causa palestinese, l’india è stata tra le 166 nazioni che hanno sostenuto il “diritto all’autodeterminazione” del popolo palestinese. ..segue ./.
Segue da Pag.25: La tortura sistematica dei palestinesi nelle carceri israeliane

  • Privazione del sonno: ai detenuti viene impedito di riposare o dormire e sono sottoposti a lunghe sessioni di interrogatorio.
  • Tortura sessuale: uomini, donne e bambini palestinesi sono soggetti a stupri, molestie fisiche e minacce di violenza sessuale. Le molestie sessuali verbali sono una pratica particolarmente comune in cui i detenuti sono esposti a commenti su loro stessi o sui loro familiari. Questo tipo di tortura è spesso considerato efficace perché la vergogna per l’oltraggio sessuale impedisce ai detenuti di rivelarla.
  • Minacce per i familiari: i detenuti [devono] ascoltare minacce di violenza contro i familiari per essere spinti a fornire delle informazioni. Ci sono stati casi in cui membri della famiglia sono stati arrestati e interrogati in una stanza vicina in modo che il detenuto potesse sentire mentre erano sottoposti a tortura.
I suddetti metodi di tortura lasciano danni permanenti. Mentre la tortura fisica può lasciare gravi danni fisici, tra cui ossa rotte e dolori muscolari e articolari cronici, soprattutto a causa di posizioni forzate o dell’essere costretti in un piccolo spazio, il danno psicologico può essere ancora peggiore, con condizioni come depressione profonda e duratura , allucinazioni, ansia, insonnia e pensieri suicidi.

Molti meccanismi di tortura richiedono la complicità degli attori all’interno del sistema giudiziario militare israeliano, incluso il personale medico. Ciò si verifica nonostante il codice deontologico, come definito dalla Dichiarazione di Tokyo e dal Protocollo di Istanbul, includa la clausola secondo cui i medici non devono collaborare con gli agenti che conducano interrogatori che comportino torture, non devono condividere informazioni mediche con i torturatori e devono opporsi attivamente alla tortura. In realtà i medici israeliani sono stati a lungo complici della tortura di detenuti e prigionieri palestinesi. Nel corso degli anni i giornalisti hanno scoperto documenti che rivelano che i medici approvano la tortura e riportano il falso per giustificare le lesioni inflitte durante gli interrogatori.

I medici sono anche complici dell’alimentazione forzata, un altro meccanismo di tortura, sebbene meno comune, usato dal regime israeliano. L’alimentazione forzata richiede che un detenuto sia legato mentre un tubo sottile viene inserito attraverso una narice e spinto fino allo stomaco. Il liquido viene quindi iniettato attraverso il tubo nel tentativo di alimentare il corpo. Il personale medico deve posizionare il tubo, che può finire per passare attraverso la bocca o la trachea invece che per l’esofago, nel qual caso deve essere retratto e sostituito. Questo non solo provoca grande dolore, ma può anche portare a gravi complicazioni mediche e persino alla morte.

Negli anni ’70 e ’80 diversi prigionieri palestinesi morirono per essere stati nutriti con la forza, provocando un ordine di cessazione da parte della Corte Suprema israeliana. Tuttavia, una legge della Knesset del 2012 ha ripristinato la legalità dell’alimentazione forzata nel tentativo di interrompere gli scioperi della fame dei palestinesi. In un documento inviato al primo ministro israeliano nel giugno 2015, l’Associazione Medica Mondiale [organizzazione internazionale che rappresenta i medici di tutto il mondo, ndtr.] ha affermato che “l’alimentazione forzata è violenta, spesso dolorosa e contraria al principio di autonomia individuale. È un trattamento degradante, disumano e può equivalere a tortura.”

Fermare la tortura israeliana

Per i palestinesi, la tortura è solo uno degli aspetti della violenza strutturale che affrontano nelle mani del regime israeliano, che li rinchiude in una prigione a cielo aperto e li priva dei loro diritti fondamentali. Ed è anche un aspetto che riceve scarsa attenzione dalla comunità internazionale, di solito perché le autorità israeliane usano argomenti relativi alla sicurezza dello Stato, rafforzati dalla narrativa della “guerra al terrore”. Questo è stato il caso di Samer Arbeed, che i media israeliani hanno definito un terrorista, facendo sì che la maggior parte degli Stati mantenga il silenzio sul suo trattamento nonostante sia stato presentata una petizione e siano state fatte pressioni da molte organizzazioni palestinesi e internazionali per i diritti umani. Come per tutte le violazioni contro il popolo palestinese, la tortura israeliana sollecita una messa in discussione sull’utilità dell’ordinamento giuridico internazionale.

Il 13 maggio 2016, il Comitato delle Nazioni Unite contro la tortura ha raccomandato a Israele più di 50 misure a seguito di una revisione della sua conformità alla Convenzione contro la tortura, tra cui il fatto che tutti gli interrogatori dovrebbero avere una documentazione audio e visiva, che ai detenuti dovrebbero essere concessi esami medici indipendenti e che la detenzione amministrativa dovrebbe essere eliminata. Queste sono, naturalmente, raccomandazioni importanti e si dovrebbe fare in modo che Israele le rispetti. Tuttavia, in un momento in cui gli attori di Paesi terzi non sono generalmente disposti a ritenere Israele responsabile della violazione del diritto internazionale e dei diritti dei palestinesi, non sono sufficienti.

Di seguito vengono riportati alcuni passaggi che coloro che si impegnano per i diritti dei palestinesi nei contesti internazionali e nazionali possono adottare allo scopo di interrompere il carattere sistematico della tortura israeliana:
  • Le organizzazioni e i gruppi dovrebbero raccogliere prove sulla responsabilità penale individuale, al di fuori di Israele e Palestina, di coloro che sono coinvolti nella tortura dei palestinesi. La responsabilità può essere estesa non solo a coloro che commettono la tortura, ma anche a coloro che aiutano, favoriscono e omettono informazioni al riguardo. Ciò include il personale che interroga, i giudici militari, le guardie carcerarie e i medici. Poiché la tortura è un crimine di guerra dello jus cogens, è soggetta alla giurisdizione universale, il che significa che terze parti possono presentare denunce penali contro singoli individui. 4) Sebbene la responsabilità penale individuale non affronti necessariamente la struttura sistematica della tortura contro i palestinesi, essa mette sotto pressione le persone israeliane coinvolte limitando i loro movimenti e i viaggi all’estero.
  • In quanto unico organo giudiziario indipendente a cui è possibile accedere in grado di porre fine all’impunità per le violazioni dei diritti dei palestinesi, la Corte Penale Internazionale ha il compito di ritenere Israele responsabile. L’ufficio del procuratore, con tutte le informazioni e le relazioni dettagliate che gli sono state presentate, dovrebbe avviare un’indagine formale sulle violazioni all’interno del sistema carcerario israeliano.
  • Gli Stati firmatari delle Convenzioni di Ginevra e le organizzazioni internazionali per i diritti umani devono fare pressione sul Comitato Internazionale della Croce Rossa affinché ottemperi al proprio mandato al fine di proteggere i detenuti palestinesi e aprire un’indagine su tutte le accuse di tortura. (5)
  • La società civile e le istituzioni palestinesi dovrebbero continuare a sostenere coloro che lavorano per aiutare le vittime della tortura. Tale sostegno può essere potenziato da uno sforzo mirato e specifico per espandere tali risorse e renderle accessibili in tutte le aree della Cisgiordania e della Striscia di Gaza. Ciò dovrebbe includere anche l’impegno rivolto a rompere il tabù della ricerca di interventi terapeutici e l’eliminazione dello stigma riguardante la violenza sessuale. Le aggressioni sessuali di solito non vengono trattate interamente perché le vittime si vergognano troppo di raccontare il loro calvario e il fatto di non parlarne rende la guarigione più difficile. Creare spazi più sicuri per le testimonianze individuali e collettive è la chiave per aiutare i sopravvissuti a riprendersi.

Con tali azioni concertate, i palestinesi e i loro alleati possono lavorare per limitare la pratica della tortura così profondamente radicata nel sistema carcerario israeliano e coperta dalla legge israeliana, impegnandosi anche per aiutare a guarire coloro che ne hanno subito le conseguenze dolorose.

L’autrice desidera ringraziare Basil Farraj, Suhail Taha e Randa Wahbe per il loro supporto e competenza nella stesura di questo articolo.

Note:

Questo documento è stato prodotto con il supporto di Heinrich-Böll-Stiftung [fondazione politica, con sede a Berlino, nata nel 1997 col nome del noto scrittore, e facente parte del partito dei Verdi tedeschi, ndtr.]. Le opinioni espresse nel presente documento sono quelle dell’autrice e pertanto non riflettono necessariamente l’opinione dell’Heinrich-Böll-Stiftung.
Secondo B’tselem [associazione israeliana per i diritti umani, ndtr-], “Israele sostiene di non essere vincolato dalle leggi internazionali sui diritti umani nei territori occupati, poiché essi non costituiscono un territorio israeliano ufficialmente sovrano. Mentre è vero che Israele non ha sovranità sui territori occupati, questo fatto non basta a sminuire il suo dovere di ottemperare alle disposizioni internazionali in materia di diritti umani. I giuristi internazionali non sono d’accordo con la posizione di Israele sulla questione, e
questa è stata ripetutamente respinta dalla Corte Internazionale di Giustizia (CIG) e da tutte le commissioni delle Nazioni Unite che sovrintendono all’attuazione delle varie convenzioni sui diritti umani. Questi organismi internazionali hanno ripetutamente affermato che gli Stati devono rispettare le disposizioni sui diritti umani ovunque esercitino un controllo effettivo.”
Nel 2009 Israele ha istituito un tribunale militare minorile per perseguire i minori di 16 anni – l’unico Paese al mondo a farlo. Secondo l’UNICEF, esso utilizza le stesse strutture e lo stesso personale giudiziario del tribunale militare per adulti.
Lo dimostra il caso di Tzipi Livni; Livni è stata il ministro degli Esteri israeliano durante l’attacco a Gaza del 2009 che ha visto l’uccisione di oltre 1.400 palestinesi. Nello stesso anno, un gruppo di avvocati con sede nel Regno Unito è riuscito a ottenere che un tribunale britannico emettesse un mandato di arresto nei suoi confronti. Di conseguenza [Livni] ha dovuto annullare il suo viaggio nel Regno Unito ed è stata costretta ugualmente ad annullare il viaggio in Belgio nel 2017, quando la procura belga ha annunciato l’intenzione di arrestarla e di interrogarla sul suo ruolo nell’attacco.
Di recente, in seguito all’arresto e alla tortura di Samer Arbeed, il Comitato internazionale della Croce Rossa ha rilasciato una dichiarazione, ma invece di condannare le violazioni israeliane ha condannato gli attivisti che hanno manifestato e occupato l’ufficio della CICR a Ramallah per protestare contro il silenzio dell’organizzazione su Arbeed.
Yara Hawari

Yara Hawari è il Membro Anziano per la politica palestinese di Al-Shabaka: The Palestinian Policy Network [Al Shabaka significa “La Rete”, è un’agenzia indipendente palestinese di informazioni politiche, ndtr.]. Ha completato il suo dottorato di ricerca in politica mediorientale presso l’Università di Exeter. La sua ricerca si è concentrata su progetti di storia orale e politiche della memoria, inquadrati più ampiamente all’interno degli studi autoctoni. Yara ha tenuto vari corsi universitari presso l’Università di Exeter e continua a lavorare come giornalista indipendente, pubblicando per vari media, tra cui Al Jazeera in inglese, Middle East Eye e The Indipendent.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)

Manifestazione davanti alla Corte Penale Internazionale

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Salvare il cibo dimenticato della Palestina

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L’India si unisce a 164 Paesi votando a favore del diritto all’autodeterminazione dei palestinesi

Mentre in occasione del terzo comitato dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite l’India e altre 165 nazioni hanno votato a favore della risoluzione intitolata “Il diritto del popolo palestinese all’autodeterminazione”, gli Stati Uniti, Israele, Nauru, Micronesia e le Isole Marshall hanno votato contro.

Geeta Mohan – 21 novembre 2019

Immagine di copertina: La risoluzione ha riconosciuto il diritto all’autodeterminazione del popolo palestinese e ha sottolineato la necessità che “occupazione israeliana iniziata nel 1967”abbia fine (Reuters)

Attenendosi alla sua storica posizione nei confronti della causa palestinese, l’India è stata tra le 166 nazioni che hanno sostenuto il “diritto all’autodeterminazione” del popolo palestinese.
..segue ./.

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