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La VOCE 2001

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La VOCE ANNO XXII N°5

gennaio 2020

PAGINA 8

segue da pag.7: troppe sardine piacciono a troppi? le “sardine” sono un movimento magmatico, tumultuosamente in fieri. un embrione ormai esploso, senza un dna preciso, però: dunque potrà evolvere secondo linee assai differenti. qualcosa comunque già sappiamo. partiamo dai due soggetti principali, i fondatori e i cittadini che si mobilitano. i quattro amici trentenni di bologna, che hanno lanciato il primo appuntamento, sono decisamente antifascisti (ma questo dovrebbe valere per ogni cittadino, visto che la costituzione, il patto che tiene tutti noi italiani insieme, che ci rende con-cittadini, nasce dalla resistenza e ne esprime i valori). decidono di ribellarsi e chiamano alla mobilitazione in piazza quando la politica diventa barbarie, diventa salvini e i suoi pasdaran. alla politica becera rispondono con la mobilitazione insieme allegra e seria, una sorta di festa permanente della costituzione. non invitano i partiti, ne diffidano, ma non sono contro. probabilmente sono di quei cittadini che vorrebbero che il pd assomigliasse più a loro che ai dirigenti del pd, e sperano che una qualche metamorfosi del genere sia ancora possibile. le decine di migliaia di cittadini che scendono in piazza al loro invito, città dopo città (e un mare a roma sabato 14, speriamo), hanno probabilmente sensibilità politiche diverse, in quello spettro (in entrambi i sensi della parola!) che si definiva un tempo “sinistra”. un fatto li unisce, però. se quattro amici lanciano il segnale, si mobilitano. alle convocazioni del pd, da anni hanno fatto orecchie da mercante. se a bologna, con le stesse parole d’ordine, la manifestazione anti-salvini l’avesse convocata il pd si sarebbero trovati in quattro gatti meno qualcosa. il che viene a dire: quattro amici della società civile li prendiamo sul serio, sono credibili, ci fidiamo, i dirigenti del pd no. questa oggi è l’essenza del movimento che si sta formando, la materia della galassia “sardine”. si tratterà di essere coerenti con questo fatto e con la volontà di applicare, realizzare, praticare, la costituzione. vedremo come organizzeranno la manifestazione del 14, la prima con programmata visibilità nazionale (se qualche rete televisiva facesse davvero informazione la darebbe in diretta, ovviamente). quali temi sottolineeranno, come cominceranno ad articolare in obiettivi di lotta quell’esigentissimo programma che è l’attuazione della costituzione. che forme organizzative si daranno, come selezioneranno i propri leader (che ovviamente dichiareranno di non essere tali), come affronteranno prima o poi le scadenze elettorali, quali campagne “pro”, e non solo “contro” decideranno di lanciare. vedremo se saranno un fuoco di paglia, come siamo stati (colpevolmente!) noi girotondi (per cui lo spazio della sacrosanta protesta è stata monopolizzata per dieci anni dal vaffa di grillo), o se sapranno dare corpo alla speranza di “giustizia-e-libertà” che a livello di massa continua a percorrere come un fiume carsico la società civile democratica, da trent’anni, senza riuscire a trovare mai la sua adeguata espressione politica. vedremo. ma l’esito dipenderà anche dal non essere semplici spettatori, dall’impegnarsi in questo magma. abbasso le sardine. ma soprattutto viva le sardine. ndr. le sardine fanno il vuoto attorno a salvini nelle piazze. il fenomeno che ovunque riempie le piazze contro la peggior destra dal dopoguerra in poi ha un programma vago ma piace perché risponde a una domanda inevasa di cambiamento. dove andrà? a chi porterà voti? è ancora presto per saperlo, intanto oggi nell’era del salvinismo le sardine costruiscono senso comune, affermano temi progressisti e rappresentano un risveglio delle coscienze. di questi tempi, non è poco: coi limiti del caso, nuotano dalla parte giusta. di matteo pucciarelli e giacomo russo spena -(2 dicembre 2019). premessa: chi scrive non pensa che le sardine rappresentino la panacea contro i mali della società, una avanguardia rivoluzionaria né il movimento per eccellenza. non hanno un programma definito né una posizione prevalente su temi centrali come lavoro, precarietà, lotta alle disuguaglianze, europa. è anche inutile chiedersi perché non esprimano un’opinione pubblica, ad esempio, sul tav torino-lione o sul mes. gli stessi portavoce bolognesi del movimento durante i loro interventi possono apparire superficiali: si limitano ad affermare che manifestano contro chi in questi anni, alla ricerca di consenso facile, «ha disgregato il tessuto sociale del nostro paese», spiegava ieri alla folla di milano mattia sartori, uno dei ragazzi bolognesi che nel capoluogo emiliano ha inaugurato la stagione di piazza. sono considerazioni giuste ma generiche, tanto da far ipotizzare a qualcuno che il movimento possa dissolversi in un breve lasso di tempo per mancanza di sostanza o perché sussunto dal pd e dal centrosinistra nel suo complesso. eppure bisogna interrogarci su un aspetto: le sardine crescono. sono ovunque, da nord a sud. riempiono le piazze in modo eterogeneo, sono adulti e sono giovani, uomini e donne che hanno in comune una cosa: si sentono abbandonati dalla politica tradizionale. il movimento chiama a sé persone non strettamente politicizzate, che però partecipano mossi da sentimenti di umanità e repulsione verso una propaganda cattiva e inquinatrice del vivere collettivo. si rivolgono al governo – ideato per arginare ed evitare la vittoria alle urne dello spauracchio matteo salvini – sottolineandone l’insufficienza e la delusione. oltre al frontismo contro la destra, si affianca così la critica all’attuale centrosinistra. nelle loro piazze si parla, in primis, di antifascismo, solidarietà e difesa della costituzione, respingendo la cultura dell’odio rivolto verso i più deboli. nate in emilia romagna, all’interno di una competizione elettorale che ha valenza nazionale, anche per portare voti al candidato del centrosinistra stefano bonaccini, le sardine si sono diffuse fino a convocare la manifestazione nazionale a roma del prossimo 14 dicembre. crescono perché colmano un vuoto e i vuoti in politica non esistono. rispondono, semplicemente, a un sentimento di smarrimento e insieme a una domanda inevasa di cambiamento. nella discussione pubblica crediamo ci sia un equivoco di fondo. chi pensa che gli italiani abbiano attitudini quasi antropologiche verso il salvinismo o ritiene ormai il paese perduto, non si rende conto dei numerosi conflitti che attraversano la società. il belpaese è stato per anni il laboratorio politico e sociale dell’alternativa, fin dai tempi del movimento alterglobalista, tanto da essere modello da emulare. in italia si è assistito, per citare qualche esempio, all’immensa manifestazione per la pace del 15 febbraio 2003, alle comunità ribelli, alla vittoria referendaria del 2011 per l’acqua pubblica e contro il nucleare o la più recente consultazione per difendere la costituzione dalla riforma del governo renzi. resiste un tessuto sociale radicato sui territori e composto da movimenti sociali, associazionismo, reti per i beni comuni: quel che manca da anni a sinistra è una rappresentanza coerente con questi valori. le sardine si inseriscono in questo contesto: fanno propria una richiesta di discontinuità con lo status quo, una domanda che non si esprime ancora in un programma definito. la loro forza è nello spontaneismo. intanto mettono davanti i propri corpi, come elemento prepolitico utile per riscoprire un elemento di incontro fisico e allo stesso tempo per togliere alla destra la retorica della conquista della piazza popolare. utilizzano un linguaggio diretto, fresco e comprensibile. acclamano l’unità dopo anni e anni di divisioni a sinistra. e ciò, in tempi di magra, è sufficiente per diventare catalizzatori di un risveglio di coscienze. in questa fase storica di ascesa non solo politica ma culturale di una destra violenta tentano di esercitare una battaglia per l’egemonia attraverso una narrazione alternativa: no, non esiste solo un paese che si esalta per le esibizioni muscolari del leader di turno. le sardine insomma possono costruire senso comune ripartendo dai fondamentali, che oggi sarebbe sbagliato dare per scontati. riportano al centro del dibattito una grammatica basilare fatta di partecipazione, online e offline e riconquista di un protagonismo diffuso. apartitici ma fortemente politici, perché la politica siamo anche noi, individualmente e collettivamente. anche simbolicamente la sardina, pesce povero, che da solo rimane indifeso ma che assieme ai propri.
simili si protegge, porta con sé un messaggio politico fortissimo che ha in realtà molto da insegnare a una sinistra incapace da troppi anni di definirsi e farsi capire dal resto del mondo. porsi la domanda del come andrà a finire è prematuro. al momento le sardine non parlano di rappresentanza e questo movimento non si pone il problema. di certo, il protagonismo delle sardine costringe tutti a fare i conti con l’assenza di una reale alternativa politica. obbligano il paese e il dibattito pubblico a confrontarsi su temi come diritti, antirazzismo, solidarietà in contrapposizione a chi quotidianamente foraggia paure e xenofobia. a voler giudicare un fenomeno capace di portare centinaia di migliaia di persone in piazza nel giro di pochi giorni si peccherebbe di alterigia, specie se il punto di partenza è il poco più del nulla di una sinistra, quella moderata e quella radicale, in stato di afasia. piuttosto sarebbe più utile contaminare il movimento, provare a plasmarlo, a indirizzare il banco di sardine verso il suo naturale sbocco: quello di una radicalità nei contenuti e nelle proposte imprescindibile di fronte all’urgenza delle sfide del presente. di certo salvini non si sconfigge con operazioni politiciste di palazzo – chi scrive lo pensa fin da quando è nato il governo conte 2 – ma nelle pieghe della società e dei suoi conflitti. con i limiti del caso enunciati, le sardine nuotano dalla parte giusta. ben venga quindi un mare di pesci il prossimo 14 dicembre a roma. un oceano, altro che un mare. e ora, sardine, coraggio! foto (c) radioluiss. di paolo flores d’arcais - (15 dicembre 2019). entusiasmante, impressionante, appassionante, commovente. allegra, entusiasta, raggiante, gioiosa. gigantesca oltre ogni irragionevole aspettativa. questa è stata la piazza san giovanni delle sardine a roma, anno domini 2019, addì sabato 14 dicembre, festa di san giovanni della croce e san pompeo. una data che potrebbe segnare uno spartiacque nella storia politica della repubblica. i numeri, innanzitutto, incredibilmente sottostimati. il corriere della sera, in un servizio on line di luca zanini del 21 marzo 2010, a seguito delle polemiche fra berlusconi (che pretendeva di aver portato in piazza un milione di persone) e la questura (che ne accreditava 150 mila, in una pazza san giovanni piena per quasi due terzi ma senza folla “pressata”) studiò la capienza delle piazze romane sedi di manifestazione. 140 mila metri quadri il circo massimo, 42,700 san giovanni, 17.100 piazza del popolo, 12,970 piazza navona, 4.250 piazza ss.apostoli. per san giovanni prendiamo la cifra tonda di 40 mila metri quadrati (la piazza è molto asimmetrica e a seconda di come se ne considerino i confini altri calcoli danno cifre un poco inferiori). l’articolo del corriere già citato ricordava che per metro quadro si valutano normalmente tra 2,5 e 4 persone, con punte di 6 quando la folla è molto pigiata. in una ricognizione con nanni moretti, olivia sleiter e mia moglie anna alla vigilia della manifestazione dei girotondi avevamo identificato proprio queste misure. ieri sono arrivato a piazza san giovanni alle 13,45. c’erano solo alcuni capannelli di persone, e un piccolo affollarsi di giornalisti e telecamere attorno al pianale del tir che avrebbe fatto da palco. alle tre meno un quarto la piazza si presentava a chiazze di presenze, piena per meno della metà. tra le tre meno e un quarto e le tre e un quarto si è riempita, compressa, ha debordato, con una rapidità impressionante, davvero a vista d’occhio. ero vicino, ma non vicinissimo, al palco durante l’intervento della presidente dell’anpi e del medico di lampedusa. in vita mia non ho mai sofferto di claustrofobia e ho partecipato a decine e decine di manifestazioni con folle molto “affollate”. ieri, tuttavia, a un certo momento la compattezza e la compressione era tale che ho avvertito un crescente disagio fisico. ho iniziato a spostarmi contando che più lontano dal palco l’affollamento si diradasse un poco, in realtà accadeva solo in una piccola porzione del viale che corre dalla scalinata della basilica verso la statua di san francesco, dividendo il grande prato. poco dopo le 16,30, raggiunta mia nipote e i suoi due bambini (10 anni il ragazzino, 8 la bambina, affettuosamente peste1 e peste2) con grandissima lentezza siamo riusciti ad abbandonare la piazza, seguendo un flusso in uscita cui faceva pendant un identico flusso in entrata. mio fratello, arrivato più tardi e andato via verso le 17,30 mi ha raccontato che la situazione era identica: folla compatta, flusso in uscita e flusso in entrata. dalle cronache leggo che la manifestazione si è sciolta verso le 19. a questo punto il calcolo non è difficile. direi che nel momento di massimo “affollamento” ci fossero (almeno) cinque persone per metro quadro. a piazza piena 200 mila. ma la piazza debordava per decine di metri su via carlo felice in direzione santa croce in gerusalemme. l’ho constatato di persone facendomi issare da due gentili manifestanti su una panchina per una panoramica di foto. non sono in grado di dire se analogo fenomeno vi fosse anche verso via merulana. e per almeno due ore vi è stato un continuo ricambio di presenze, un vero e proprio flusso di folla che usciva e altra folla che entrava. credo perciò che ipotizzare 350400 mila presenze sia più che ragionevole, perfino prudenziale. è la prima volta da quando partecipo a manifestazioni (quasi sessant’anni) che i promotori annunciano un numero di partecipanti largamente inferiore alla realtà. mattia santori ha gridato “siamo più di centomila”, ma ieri su quella piazza il numero dei cittadini che ha manifestato è stato gargantuescamente più grande. nei decenni scorsi, dalla cgil a veltroni a berlusconi ai concerti del 1 maggio si sono “sparate” cifre di uno o due milioni, palesemente wishful thinking. che le sardine siano andate in assoluta controcorrente, sottostimando numericamente in modo incredibile il loro stesso exploit, rende la loro modestia ancora più simpatica e promettente (la cifra di 35 mila fornita dalla questura è invece un insulto all’intelligenza di chi l’ha formulata): non si sono montati la testa, sono più che credibili. l’enorme partecipazione di ieri ha avuto un’altra caratteristica: c’erano molti giovani, ma c’erano anche, forse perfino di più, molti “non giovani”, potremmo dire molte “sardine d’argento”, oltre i cinquanta, i sessanta, i settanta, anche gli ottanta. un intero mondo di potenziali militanti dell’introvabile partito “la costituzione presa sul serio”, che non era scomparso, viveva solo la fase di immersione dei fiumi carsici, ma non vedeva l’ora che un catalizzatore, una scarica di speranza, quattro amici di bologna con un gesto di serietà e di allegria, lo facesse riemergere da un percorso troppo lungo di rassegnazione, frustrazione, dolorosa apatia. qualcuno, in quella stessa piazza, aveva ascoltato perfino di vittorio, e poi il sessantotto, e poi i girotondi, e poi … ieri dal nonpalco udibile solo in una porzione assai limitata della piazza, i promotori hanno chiamato tutti i partecipanti ad essere “i partigiani del 2020”. quella piazza, che per nove decimi non poteva udire chi parlava dal pianale del tir, aveva già risposto in anticipi e ha continuato a farlo per tutte le trequattro tre della manifestazione, intonando senza tregua “bella ciao” e altri canti della resistenza. nel “decalogo con cui hanno chiamato a manifestare”, le sardine avevano scritto al punto 5 “protagonista è la piazza, non gli organizzatori. crediamo nella partecipazione”. ora sono riuniti in 150, animatori delle manifestazioni di quasi cento città, allo “spin time labs”, una grande palazzina occupata e autogestita, salita alle cronache perché fu l’elemosiniere del papa a violare i sigilli dell’energia elettrica e riattivarla. vedremo quali proposte faranno perché ogni cittadino che era in quella piazza possa da domani attivarsi per prendere iniziative che non lascino andare dispersa una sola oncia delle energie di passione civile risvegliate. ..segue ./.
Segue da Pag.7: Troppe sardine piacciono a troppi?

Le “sardine” sono un movimento magmatico, tumultuosamente in fieri. Un embrione ormai esploso, senza un DNA preciso, però: dunque potrà evolvere secondo linee assai differenti. Qualcosa comunque già sappiamo. Partiamo dai due soggetti principali, i fondatori e i cittadini che si mobilitano.

I quattro amici trentenni di Bologna, che hanno lanciato il primo appuntamento, sono decisamente antifascisti (ma questo dovrebbe valere per ogni cittadino, visto che la Costituzione, il patto che tiene tutti noi italiani insieme, che ci rende con-cittadini, nasce dalla Resistenza e ne esprime i valori). Decidono di ribellarsi e chiamano alla mobilitazione in piazza quando la politica diventa barbarie, diventa Salvini e i suoi pasdaran. Alla politica becera rispondono con la mobilitazione insieme allegra e seria, una sorta di festa permanente della Costituzione. Non invitano i partiti, ne diffidano, ma non sono contro. Probabilmente sono di quei cittadini che vorrebbero che il Pd assomigliasse più a loro che ai dirigenti del Pd, e sperano che una qualche metamorfosi del genere sia ancora possibile.

Le decine di migliaia di cittadini che scendono in piazza al loro invito, città dopo città (e un mare a Roma sabato 14, speriamo), hanno probabilmente sensibilità politiche diverse, in quello spettro (in entrambi i sensi della parola!) che si definiva un tempo “sinistra”. Un fatto li unisce, però. Se quattro amici lanciano il segnale, si mobilitano. Alle convocazioni del Pd, da anni hanno fatto orecchie da mercante. Se a Bologna, con le stesse parole d’ordine, la manifestazione anti-Salvini l’avesse convocata il Pd si sarebbero trovati in quattro gatti meno qualcosa.

Il che viene a dire: quattro amici della società civile li prendiamo sul serio, sono credibili, ci fidiamo, i dirigenti del Pd no. Questa oggi è l’essenza del movimento che si sta formando, la materia della galassia “sardine”. Si tratterà di essere coerenti con questo fatto e con la volontà di applicare, realizzare, praticare, la Costituzione. Vedremo come organizzeranno la manifestazione del 14, la prima con programmata visibilità nazionale (se qualche rete televisiva facesse davvero informazione la darebbe in diretta, ovviamente). Quali temi sottolineeranno, come cominceranno ad articolare in obiettivi di lotta quell’esigentissimo programma che è l’attuazione della Costituzione. Che forme organizzative si daranno, come selezioneranno i propri leader (che ovviamente dichiareranno di non essere tali), come affronteranno prima o poi le scadenze elettorali, quali campagne “pro”, e non solo “contro” decideranno di lanciare.

Vedremo se saranno un fuoco di paglia, come siamo stati (colpevolmente!) noi Girotondi (per cui lo spazio della sacrosanta protesta è stata monopolizzata per dieci anni dal Vaffa di Grillo), o se sapranno dare corpo alla speranza di “giustizia-e-libertà” che a livello di massa continua a percorrere come un fiume carsico la società civile democratica, da trent’anni, senza riuscire a trovare mai la sua adeguata espressione politica. Vedremo. Ma l’esito dipenderà anche dal non essere semplici spettatori, dall’impegnarsi in questo magma.

Abbasso le sardine.
Ma soprattutto viva le sardine


Ndr. Le Sardine fanno il vuoto attorno a Salvini nelle piazze

Il fenomeno che ovunque riempie le piazze contro la peggior destra dal Dopoguerra in poi ha un programma vago ma piace perché risponde a una domanda inevasa di cambiamento. Dove andrà? A chi porterà voti? È ancora presto per saperlo, intanto oggi nell’era del salvinismo le sardine costruiscono senso comune, affermano temi progressisti e rappresentano un risveglio delle coscienze. Di questi tempi, non è poco: coi limiti del caso, nuotano dalla parte giusta.

di Matteo Pucciarelli e Giacomo Russo Spena -(2 dicembre 2019)

Premessa: chi scrive non pensa che le sardine rappresentino la panacea contro i mali della società, una avanguardia rivoluzionaria né il movimento per eccellenza. Non hanno un programma definito né una posizione prevalente su temi centrali come lavoro, precarietà, lotta alle disuguaglianze, Europa. È anche inutile chiedersi perché non esprimano un’opinione pubblica, ad esempio, sul Tav Torino-Lione o sul Mes. Gli stessi portavoce bolognesi del movimento durante i loro interventi possono apparire superficiali: si limitano ad affermare che manifestano contro chi in questi anni, alla ricerca di consenso facile, «ha disgregato il tessuto sociale del nostro Paese», spiegava ieri alla folla di Milano Mattia Sartori, uno dei ragazzi bolognesi che nel capoluogo emiliano ha inaugurato la stagione di piazza. Sono considerazioni giuste ma generiche, tanto da far ipotizzare a qualcuno che il movimento possa dissolversi in un breve lasso di tempo per mancanza di sostanza o perché sussunto dal Pd e dal centrosinistra nel suo complesso.

Eppure bisogna interrogarci su un aspetto: le sardine crescono. Sono ovunque, da nord a sud. Riempiono le piazze in modo eterogeneo, sono adulti e sono giovani, uomini e donne che hanno in comune una cosa: si sentono abbandonati dalla politica tradizionale. Il movimento chiama a sé persone non strettamente politicizzate, che però partecipano mossi da sentimenti di umanità e repulsione verso una propaganda cattiva e inquinatrice del vivere collettivo. Si rivolgono al governo – ideato per arginare ed evitare la vittoria alle urne dello spauracchio Matteo Salvini – sottolineandone l’insufficienza e la delusione. Oltre al frontismo contro la destra, si affianca così la critica all’attuale centrosinistra. Nelle loro piazze si parla, in primis, di antifascismo, solidarietà e difesa della Costituzione, respingendo la cultura dell’odio rivolto verso i più deboli.

Nate in Emilia Romagna, all’interno di una competizione elettorale che ha valenza nazionale, anche per portare voti al candidato del centrosinistra Stefano Bonaccini, le sardine si sono diffuse fino a convocare la manifestazione nazionale a Roma del prossimo 14 dicembre. Crescono perché colmano un vuoto e i vuoti in politica non esistono. Rispondono, semplicemente, a un sentimento di smarrimento e insieme a una domanda inevasa di cambiamento.

Nella discussione pubblica crediamo ci sia un equivoco di fondo. Chi pensa che gli italiani abbiano attitudini quasi antropologiche verso il salvinismo o ritiene ormai il Paese perduto, non si rende conto dei numerosi conflitti che attraversano la società. Il belpaese è stato per anni il laboratorio politico e sociale dell’alternativa, fin dai tempi del movimento alterglobalista, tanto da essere modello da emulare. In Italia si è assistito, per citare qualche esempio, all’immensa manifestazione per la Pace del 15 febbraio 2003, alle comunità ribelli, alla vittoria referendaria del 2011 per l’acqua pubblica e contro il nucleare o la più recente consultazione per difendere la Costituzione dalla riforma del governo Renzi. Resiste un tessuto sociale radicato sui territori e composto da movimenti sociali, associazionismo, reti per i beni comuni: quel che manca da anni a sinistra è una rappresentanza coerente con questi valori.

Le sardine si inseriscono in questo contesto: fanno propria una richiesta di discontinuità con lo status quo, una domanda che non si esprime ancora in un programma definito. La loro forza è nello spontaneismo. Intanto mettono davanti i propri corpi, come elemento prepolitico utile per riscoprire un elemento di incontro fisico e allo stesso tempo per togliere alla destra la retorica della conquista della piazza popolare. Utilizzano un linguaggio diretto, fresco e comprensibile. Acclamano l’unità dopo anni e anni di divisioni a sinistra. E ciò, in tempi di magra, è sufficiente per diventare catalizzatori di un risveglio di coscienze. In questa fase storica di ascesa non solo politica ma culturale di una destra violenta tentano di esercitare una battaglia per l’egemonia attraverso una narrazione alternativa: no, non esiste solo un Paese che si esalta per le esibizioni muscolari del leader di turno.

Le sardine insomma possono costruire senso comune ripartendo dai fondamentali, che oggi sarebbe sbagliato dare per scontati. Riportano al centro del dibattito una grammatica basilare fatta di partecipazione, online e offline e riconquista di un protagonismo diffuso. Apartitici ma fortemente politici, perché la politica siamo anche noi, individualmente e collettivamente. Anche simbolicamente la sardina, pesce povero, che da solo rimane indifeso ma che assieme ai propri
simili si protegge, porta con sé un messaggio politico fortissimo che ha in realtà molto da insegnare a una sinistra incapace da troppi anni di definirsi e farsi capire dal resto del mondo.

Porsi la domanda del come andrà a finire è prematuro. Al momento le sardine non parlano di rappresentanza e questo movimento non si pone il problema. Di certo, il protagonismo delle sardine costringe tutti a fare i conti con l’assenza di una reale alternativa politica. Obbligano il Paese e il dibattito pubblico a confrontarsi su temi come diritti, antirazzismo, solidarietà in contrapposizione a chi quotidianamente foraggia paure e xenofobia.

A voler giudicare un fenomeno capace di portare centinaia di migliaia di persone in piazza nel giro di pochi giorni si peccherebbe di alterigia, specie se il punto di partenza è il poco più del nulla di una sinistra, quella moderata e quella radicale, in stato di afasia. Piuttosto sarebbe più utile contaminare il movimento, provare a plasmarlo, a indirizzare il banco di sardine verso il suo naturale sbocco: quello di una radicalità nei contenuti e nelle proposte imprescindibile di fronte all’urgenza delle sfide del presente. Di certo Salvini non si sconfigge con operazioni politiciste di Palazzo – chi scrive lo pensa fin da quando è nato il governo Conte 2 – ma nelle pieghe della società e dei suoi conflitti. Con i limiti del caso enunciati, le sardine nuotano dalla parte giusta.

Ben venga quindi un mare di pesci il prossimo 14 dicembre a Roma.

Un oceano, altro che un mare.
E ora, sardine, coraggio!


Foto (c) RadioLuiss

di Paolo Flores d’Arcais - (15 dicembre 2019)

Entusiasmante, impressionante, appassionante, commovente. Allegra, entusiasta, raggiante, gioiosa. Gigantesca oltre ogni irragionevole aspettativa. Questa è stata la piazza san Giovanni delle sardine a Roma, Anno domini 2019, addì sabato 14 dicembre, festa di san Giovanni della Croce e san Pompeo. Una data che potrebbe segnare uno spartiacque nella storia politica della repubblica.

I numeri, innanzitutto, incredibilmente sottostimati. Il Corriere della Sera, in un servizio on line di Luca Zanini del 21 marzo 2010, a seguito delle polemiche fra Berlusconi (che pretendeva di aver portato in piazza un milione di persone) e la questura (che ne accreditava 150 mila, in una pazza san Giovanni piena per quasi due terzi ma senza folla “pressata”) studiò la capienza delle piazze romane sedi di manifestazione. 140 mila metri quadri il Circo Massimo, 42,700 san Giovanni, 17.100 piazza del Popolo, 12,970 piazza Navona, 4.250 piazza Ss.Apostoli.

Per san Giovanni prendiamo la cifra tonda di 40 mila metri quadrati (la piazza è molto asimmetrica e a seconda di come se ne considerino i confini altri calcoli danno cifre un poco inferiori). L’articolo del Corriere già citato ricordava che per metro quadro si valutano normalmente tra 2,5 e 4 persone, con punte di 6 quando la folla è molto pigiata. In una ricognizione con Nanni Moretti, Olivia Sleiter e mia moglie Anna alla vigilia della manifestazione dei girotondi avevamo identificato proprio queste misure.

Ieri sono arrivato a piazza san Giovanni alle 13,45. C’erano solo alcuni capannelli di persone, e un piccolo affollarsi di giornalisti e telecamere attorno al pianale del Tir che avrebbe fatto da palco. Alle tre meno un quarto la piazza si presentava a chiazze di presenze, piena per meno della metà. Tra le tre meno e un quarto e le tre e un quarto si è riempita, compressa, ha debordato, con una rapidità impressionante, davvero a vista d’occhio.

Ero vicino, ma non vicinissimo, al palco durante l’intervento della presidente dell’Anpi e del medico di Lampedusa. In vita mia non ho mai sofferto di claustrofobia e ho partecipato a decine e decine di manifestazioni con folle molto “affollate”. Ieri, tuttavia, a un certo momento la compattezza e la compressione era tale che ho avvertito un crescente disagio fisico. Ho iniziato a spostarmi contando che più lontano dal palco l’affollamento si diradasse un poco, in realtà accadeva solo in una piccola porzione del viale che corre dalla scalinata della basilica verso la statua di san Francesco, dividendo il grande prato.

Poco dopo le 16,30, raggiunta mia nipote e i suoi due bambini (10 anni il ragazzino, 8 la bambina, affettuosamente Peste1 e Peste2) con grandissima lentezza siamo riusciti ad abbandonare la piazza, seguendo un flusso in uscita cui faceva pendant un identico flusso in entrata. Mio fratello, arrivato più tardi e andato via verso le 17,30 mi ha raccontato che la situazione era identica: folla compatta, flusso in uscita e flusso in entrata. Dalle cronache leggo che la manifestazione si è sciolta verso le 19.

A questo punto il calcolo non è difficile. Direi che nel momento di massimo “affollamento” ci fossero (almeno) cinque persone per metro quadro. A piazza piena 200 mila. Ma la piazza debordava per decine di metri su via Carlo Felice in direzione Santa Croce in Gerusalemme. L’ho constatato di persone facendomi issare da due gentili manifestanti su una panchina per una panoramica di foto. Non sono in grado di dire se analogo fenomeno vi fosse anche verso via Merulana. E per almeno due ore vi è stato un continuo ricambio di presenze, un vero e proprio flusso di folla che usciva e altra folla che entrava. Credo perciò che ipotizzare 350400 mila presenze sia più che ragionevole, perfino prudenziale.

È la prima volta da quando partecipo a manifestazioni (quasi sessant’anni) che i promotori annunciano un numero di partecipanti largamente inferiore alla realtà. Mattia Santori ha gridato “siamo più di centomila”, ma ieri su quella piazza il numero dei cittadini che ha manifestato è stato gargantuescamente più grande. Nei decenni scorsi, dalla Cgil a Veltroni a Berlusconi ai concerti del 1 maggio si sono “sparate” cifre di uno o due milioni, palesemente wishful thinking. Che le sardine siano andate in assoluta controcorrente, sottostimando numericamente in modo incredibile il loro stesso exploit, rende la loro modestia ancora più simpatica e promettente (la cifra di 35 mila fornita dalla questura è invece un insulto all’intelligenza di chi l’ha formulata): non si sono montati la testa, sono più che credibili.

L’enorme partecipazione di ieri ha avuto un’altra caratteristica: c’erano molti giovani, ma c’erano anche, forse perfino di più, molti “non giovani”, potremmo dire molte “sardine d’argento”, oltre i cinquanta, i sessanta, i settanta, anche gli ottanta. Un intero mondo di potenziali militanti dell’introvabile partito “la Costituzione presa sul serio”, che non era scomparso, viveva solo la fase di immersione dei fiumi carsici, ma non vedeva l’ora che un catalizzatore, una scarica di speranza, quattro amici di Bologna con un gesto di serietà e di allegria, lo facesse riemergere da un percorso troppo lungo di rassegnazione, frustrazione, dolorosa apatia. Qualcuno, in quella stessa piazza, aveva ascoltato perfino Di Vittorio, e poi il sessantotto, e poi i Girotondi, e poi …

Ieri dal nonpalco udibile solo in una porzione assai limitata della piazza, i promotori hanno chiamato tutti i partecipanti ad essere “i partigiani del 2020”. Quella piazza, che per nove decimi non poteva udire chi parlava dal pianale del Tir, aveva già risposto in anticipi e ha continuato a farlo per tutte le trequattro tre della manifestazione, intonando senza tregua “Bella ciao” e altri canti della Resistenza.

Nel “decalogo con cui hanno chiamato a manifestare”, le sardine avevano scritto al punto 5 “Protagonista è la piazza, non gli organizzatori. Crediamo nella partecipazione”. Ora sono riuniti in 150, animatori delle manifestazioni di quasi cento città, allo “Spin Time Labs”, una grande palazzina occupata e autogestita, salita alle cronache perché fu l’elemosiniere del Papa a violare i sigilli dell’energia elettrica e riattivarla. Vedremo quali proposte faranno perché ogni cittadino che era in quella piazza possa da domani attivarsi per prendere iniziative che non lascino andare dispersa una sola oncia delle energie di passione civile risvegliate.

..segue ./.

  P R E C E D E N T E   

    S U C C E S S I V A  

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