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La VOCE 1910

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La VOCE ANNO XXII N°2

ottobre 2019

PAGINA 8

l'italia non potrà ritenersi un paese civile finché non varerà una legge soddisfacente contro la tortura quindi possiamo applicare lo stesso principio allo stato di israele e vogliamo ricordarlo in occasione dell'anniversario di sabra e shatila, con un documento della dottoressa rachel stroumsa. da 20 anni lo shin bet continua a torturare illegalmente i palestinesi. dott.ssa rachel stroumsa - 11 settembre 2019 - haaretz. la scorsa settimana di vent’anni fa, gli interrogatori del servizio di sicurezza shin bet cambiarono all’improvviso. l’alta corte di giustizia sentenziò in modo preciso ed esaustivo sui metodi utilizzati nelle stanze per gli interrogatori dello shin bet e mise totalmente fuorilegge la tortura. la sentenza venne pronunciata cinque anni dopo che la commissione pubblica contro la tortura in israele aveva presentato il primo esposto sull’argomento, e solo dopo una serie di morti, di cui la più nota fu quella di abdel samad harizat [sospettato di essere a capo di hamas a hebron, ndtr.], avvenute in seguito ad interrogatori dello shin bet. il presidente della corte suprema aharon barak scrisse nella sentenza che un interrogatorio “accettabile” non include la tortura. la sentenza fu talmente radicale e sorprendente che lo shin bet decise quello stesso giorno di applicarla integralmente: ami ayalon, che all’epoca guidava lo shin bet, disse che l’organismo avrebbe “seguito le regole” della sentenza dell’alta corte. è difficile esagerare l’importanza del cambiamento avvenuto il 6 settembre 1999. prima di quella data ogni anno centinaia di palestinesi erano sottoposti a gravi violenze fisiche e psicologiche come parte integrante di ogni arresto e di ogni interrogatorio relativo alla sicurezza; da quel momento, come attestato da persone sottoposte a interrogatorio, da avvocati e da incaricati degli interrogatori, non si ripeterono le scene di detenuti picchiati e torturati. il metodo dello “shaking” – l’improvviso e violento scuotimento della parte superiore del corpo del soggetto, che faceva in modo che il cervello colpisse l’interno del cranio –, che veniva ampiamente utilizzato, è praticamente sparito. lo “shabah”, un insieme di metodi che includevano la pratica di piegare la schiena del soggetto e legarlo a una sedia inclinata, mettendo la testa della persona in una busta maleodorante e sparando musica ad alto volume, non viene più utilizzato. non ci sono molti altri casi di successi così chiari e indubitabili. è raro che la sentenza di una corte modifichi la realtà in modo così drastico. il cambiamento in israele si inserisce in una tendenza generale. oggi difficilmente una democrazia occidentale è disposta ad ammettere esplicitamente di consentire che il proprio personale addetto alla sicurezza utilizzi la tortura e provochi dolore per punire qualcuno o ottenere informazioni. perciò, se il cambiamento del settembre 1999 è stato un successo così sorprendente, perché stiamo ancora parlando di tortura in israele? perché la commissione pubblica contro la tortura non ha chiuso bottega appena gli effetti della sentenza sono risultati evidenti? in primo luogo perché in israele, come in altri paesi, la tortura non è stata totalmente eliminata, nonostante tutte le dichiarazioni del contrario. lo shin bet continua a utilizzare gravi violenze fisiche e psicologiche negli interrogatori, con il consenso e l’approvazione del ministero della giustizia, sotto il termine eufemistico di “metodi speciali”. continuiamo a distogliere lo sguardo e ad illuderci che in questo modo otterremo informazioni affidabili, nonostante numerosi studi testimonino il contrario. la semantica non può nascondere quello che è chiaro a chiunque abbia occhi per vedere e legga le testimonianze: i piegamenti in avanti, la pressione su giunture e ossa, i colpi e gli schiaffi sono semplicemente torture in veste diversa. la corte ha confermato l’illegalità di questi metodi quando sono stati citati lo scorso anno durante il processo ai presunti assassini dei duma [famiglia palestinese bruciata viva nella propria abitazione a causa del lancio di molotov da parte di coloni, ndtr.]: in quel caso il tribunale ha giustamente sentenziato che le confessioni ottenute con l’uso della tortura sono inammissibili. un anno fa, nel settembre 2018, il presidente francese emmanuel macron ha fatto una dichiarazione storica e imprevista, in cui ha riconosciuto ed ammesso la responsabilità nell’uso indiscriminato della tortura da parte della francia contro migliaia di algerini e decine di francesi negli anni ’50 e ’60. questa dichiarazione ha avuto un forte impatto in francia ed ha permesso che ferite rimaste aperte per 60 anni inizino a guarire. qui siamo ben lontani da un passo simile: israele continua a distogliere lo sguardo da quello che normalmente avviene nelle stanze per gli interrogatori dello shin bet e della polizia; è ancora lontano dal riconoscere quello che è stato fatto per anni ai corpi e alle menti di moltissime persone. anche se la sentenza dell’alta corte di due decenni fa viene studiata nelle facoltà di giurisprudenza ovunque, la situazione in israele non è motivo di vanto. dopo 20 anni è tempo che quello che avviene nelle stanze per gli interrogatori risponda agli elevati standard che il giudice barak aveva così eloquentemente descritto nella sentenza votata a maggioranza del settembre 1999. il cambiamento positivo iniziato allora non è stato pienamente realizzato. è tempo che le nostre forze di sicurezza dedichino tutte le proprie energie a mezzi più raffinati e informazioni di intelligence, che non a piegare un soggetto interrogato con percosse e privazione del sonno. la dottoressa stroumsa è direttrice esecutiva della commisione pubblica contro la tortura in israele. (traduzione dall’inglese di amedeo rossi) . 35° anniversario del massacro israeliano a sabra e shatila. il 16 settembre ricorre il 37° anniversario dei massacri dei campi palestinesi di beirut di sabra e shatila. quando le forze fasciste libanesi (i falangisti) sotto il controllo e la diretta direzione del ministro della difesa israeliano, ariel sharon, entrarono nei campi e per intere lunghe 40 ore fecero una dei più atroci e orrendi massacri della storia umana. più di 3.000 cadaveri mutilati, dilaniati, stuprati, lasciati marcire al sole. bambini, donne e anziani, vengono barbaramente uccisi e sepolti in fosse comuni o trasportati sui camion autorizzati dal comando diretto di sharon. l'orrendo massacro fu compiuto dopo l'uscita delle forze dell'olp di yasser arafat, (dopo 88 giorni di eroica resistenza contro l'esercito invasore israeliano entrato in libano il 4 giugno 1982) e la ritirata prematura della forza di pace internazionale (francesi, italiani e americani) che doveva garantire la sicurezza dei campi di beirut. l'8 febbraio 1983 ariel sharon fu costretto alle dimissione da ministro della difesa del governo di menahim begin, sulla base della condanna della commissione israeliana di indagine kahan, condanna che poteva anche essere confermata nel giugno 2001, dalla corte di cassazione belga per i crimini di guerra e contro l'umanità, ma che per l'assenza del testimone chiave del primo responsabile materiale dell'eccidio, il falangista libanese elie hobeika, ucciso a beirut in un strano attentato il giorno prima della sua testimonianza contro ariel sharon (il 24/1/2002), non fu confermata, appunto. oggi e dopo 35 anni, il popolo palestinese continua ad aspettare giustizia e una giusta condanna per i carnefici. la verità non ha bisogno di tribunali e di giudizi, perché la verità è chiara, scritta e visibile anche per chi come l'onu e la comunità internazionale dopo settantuno anni non riescono e non vogliono trovare una soluzione giusta, equa e duratura del conflitto arabo-
israeliano. non esiste pace senza giustizia, come non esiste la palestina senza gerusalemme. "il mio popolo ha sette vite,ogni volta che muore rinasce più giovane e bello", il grande poeta palestinese mahmoud darwish. roma, 16 settembre 2019 . dr. yousef salman . presidente della comunità palestinese di roma e del lazio . delegato della mezza luna rossa palestinese in italia . appello contro la censura e per la tutela della libertà di espressione. "e' inquietante che solo poche ore dopo l'approvazione di una mozione revisionista da parte delle istituzioni dell'unione europea che equipara i crimini del nazismo alla resistenza antifascista dell'unione sovietica, con una brutale ed evidente strumentalizzazione in chiave politica dell'uso della storia. questo capolavoro di propaganda fa il paio con la decisione di facebook di chiudere pagine e profili o di minacciarne la chiusura, dimostrando un restringimento dello spazio democratico che le istituzioni comunitarie e le piattaforme private statunitensi stanno operando in queste ore per ridurre i luoghi (fisici e virtuali) del dissenso e dell'informazione non asservita al mainstream dominante. come marx21 conosciamo bene questo tema, avendo subito la censura di facebook con la chiusura della nostra pagina facebook solo pochi mesi fa. all'epoca, quello che dava fastidio era la nostra informazione costante su quanto stesse avvenendo in ucraina e sul ruolo delle bande neofasciste che hanno preso il potere in questi anni, a seguito del colpo di stato appoggiato e sostenuto da tutto l'occidente e dai media asserviti. per queste ragioni aderiamo all'"appello contro al censura e per la tutela della libertà di espressione" lanciata da l'antidiplomatico" . [l'appello che segue è stato pubblicato su l'antidiplomatico in data 25 settembre 2019. è disponibile in formato pdf su academia o liberamente scaricabile dal seguente link] . “poi vennero a prendere i comunisti, e io non dissi niente, perché non ero comunista. un giorno vennero a prendere me, e non c'era rimasto nessuno a protestare” (martin niemöller, pastore protestante tedesco, oppositore del nazismo) la mannaia della censura ha colpito, in sole quarantotto ore, decine di blog di taglio politico, storico-culturale, giornalistico, satirico presenti sul social network facebook. locchi ingiustificati e rimozione di pagine senza possibilità di replica alcuna si sono scagliati contro chiunque, in questi anni, abbia provato a raccontare, seppur in chiave ironica e satirica, in modo più o meno velato e tranchant, l'odierna realtà politica e sociale. tra le vittime si segnalano in particolare diverse pagine di area comunista, progressista e antimperialista. sono state bloccate: -lo zio di christian de sica. -pastorizia e perestrojka. -comitato centrale per la difesa dell'ortodossia. -premio goebbels per la disinformazione. -fronte dei popoli. -socialisti gaudenti (poi “sbloccata”). hanno ricevuto avvisi di possibile chiusura: -i maestri del socialismo. -la destra del partito. -minniti skinhead. -interisti stalinisti. -becero stalinismo di provincia. -drive isays - il keynes delle murge . sono ancora esistenti ma al momento impossibilitate a pubblicare nuovi contenuti: -ufficio sinistri. -scintilla rossa. -cuba. geografia del desiderio . hanno avuto o hanno tuttora restrizioni di accesso ai propri profili personali: -alessandro pascale, scrittore. -roberto vallepiano, scrittore. -omar minniti, giornalista . questo è per ora solo un censimento parziale e in costante aggiornamento e riguarda pagine che sono seguite complessivamente da centinaia di migliaia di utenti. la tecnica utilizzata è stata quella di bloccare immagini e post di vario tipo che inneggerebbero, secondo i parametri aziendali, alla violenza, al suicidio, all'odio, ecc.. censurati, perché accompagnati da immagini utilizzate come fonti storiche, anche post come quello del professor santomassimo dell'università di siena, sul ruolo di luigi einaudi durante il fascismo ed il carattere politico della sua presidenza della repubblica; censurato anche un estratto del libro il totalitarismo liberale che descrive le tecniche mediatiche utilizzate da goebbels nel terzo reich nazista. è evidente che è stata fatta partire una manovra di ampio raggio e che verosimilmente ci siano responsabilità interne all'azienda, salvo l'ipotesi di un attacco organizzato da hacker e singoli. in una società in cui il principale canale comunicativo è diventato un social network, ciò significa nella sostanza un attentato alla libertà di critica, di cultura e del libero pensiero. facebook è un'azienda e come tale decide le proprie regole da applicare, ma è evidente che tale azienda svolge ormai un ruolo e un servizio pubblico, diventando uno dei principali canali di divulgazione e comunicazione politica, come testimoniano ormai le pagine dei politici italiani (e non solo) più famosi. ostacolando o chiudendo alcuni canali politici alternativi, che svolgono una concreta e sana attività di informazione e di critica, facebook va a ledere i principi liberali garantiti dalla costituzione repubblicana italiana, la quale vede la firma di un comunista, umberto terracini. forse il dato era scontato, ma in tempi di revisionismo storico è utile ricordarlo. la repubblica italiana può accettare che un'azienda privata possa decidere quali forze politiche non abbiano diritto di parola? l'italia è una repubblica fondata sull'antifascismo, sulla gloriosa resistenza partigiana. organizzazioni fasciste non dovrebbero neanche esistere e non esisterebbero, se non fossero stati compiuti molti errori nel periodo “costituente” della repubblica. il fatto che siano state cancellate dal web si è rivelato in sé un atto più avanzato rispetto alla situazione vigente realmente nelle città italiane. nella costituzione è espresso il divieto di ricostituzione di organizzazioni fasciste, anche se molte di queste forze dominano la politica italiana dopo essersi opportunamente travestite e mascherate. la censura alle organizzazioni fasciste non può però diventare un pretesto per avviare una repressione di ogni forma di critica che non sia conforme ai . ..segue ./.

L'Italia non potrà ritenersi un Paese civile finché non varerà una legge soddisfacente contro la tortura

Quindi possiamo applicare lo stesso principio allo Stato di Israele e vogliamo ricordarlo in occasione dell'anniversario di Sabra e Shatila, con un documento della dottoressa Rachel Stroumsa.

Da 20 anni lo Shin Bet continua a torturare illegalmente i palestinesi

Dott.ssa Rachel Stroumsa - 11 settembre 2019 - Haaretz.

La scorsa settimana di vent’anni fa, gli interrogatori del servizio di sicurezza Shin Bet cambiarono all’improvviso. L’Alta Corte di Giustizia sentenziò in modo preciso ed esaustivo sui metodi utilizzati nelle stanze per gli interrogatori dello Shin Bet e mise totalmente fuorilegge la tortura. La sentenza venne pronunciata cinque anni dopo che la Commissione Pubblica contro la Tortura in Israele aveva presentato il primo esposto sull’argomento, e solo dopo una serie di morti, di cui la più nota fu quella di Abdel Samad Harizat [sospettato di essere a capo di Hamas a Hebron, ndtr.], avvenute in seguito ad interrogatori dello Shin Bet. Il presidente della Corte Suprema Aharon Barak scrisse nella sentenza che un interrogatorio “accettabile” non include la tortura.
La sentenza fu talmente radicale e sorprendente che lo Shin Bet decise quello stesso giorno di applicarla integralmente: Ami Ayalon, che all’epoca guidava lo Shin Bet, disse che l’organismo avrebbe “seguito le regole” della sentenza dell’Alta Corte. È difficile esagerare l’importanza del cambiamento avvenuto il 6 settembre 1999. Prima di quella data ogni anno centinaia di palestinesi erano sottoposti a gravi violenze fisiche e psicologiche come parte integrante di ogni arresto e di ogni interrogatorio relativo alla sicurezza; da quel momento, come attestato da persone sottoposte a interrogatorio, da avvocati e da incaricati degli interrogatori, non si ripeterono le scene di detenuti picchiati e torturati.
Il metodo dello “shaking” – l’improvviso e violento scuotimento della parte superiore del corpo del soggetto, che faceva in modo che il cervello colpisse l’interno del cranio –, che veniva ampiamente utilizzato, è praticamente sparito. Lo “shabah”, un insieme di metodi che includevano la pratica di piegare la schiena del soggetto e legarlo a una sedia inclinata, mettendo la testa della persona in una busta maleodorante e sparando musica ad alto volume, non viene più utilizzato.
Non ci sono molti altri casi di successi così chiari e indubitabili. È raro che la sentenza di una corte modifichi la realtà in modo così drastico. Il cambiamento in Israele si inserisce in una tendenza generale. Oggi difficilmente una democrazia occidentale è disposta ad ammettere esplicitamente di consentire che il proprio personale addetto alla sicurezza utilizzi la tortura e provochi dolore per punire qualcuno o ottenere informazioni.
Perciò, se il cambiamento del settembre 1999 è stato un successo così sorprendente, perché stiamo ancora parlando di tortura in Israele? Perché la Commissione Pubblica contro la Tortura non ha chiuso bottega appena gli effetti della sentenza sono risultati evidenti? In primo luogo perché in Israele, come in altri Paesi, la tortura non è stata totalmente eliminata, nonostante tutte le dichiarazioni del contrario. Lo Shin Bet continua a utilizzare gravi violenze fisiche e psicologiche negli interrogatori, con il consenso e l’approvazione del ministero della Giustizia, sotto il termine eufemistico di “metodi speciali”. Continuiamo a distogliere lo sguardo e ad illuderci che in questo modo otterremo informazioni affidabili, nonostante numerosi studi testimonino il contrario.
La semantica non può nascondere quello che è chiaro a chiunque abbia occhi per vedere e legga le testimonianze: i piegamenti in avanti, la pressione su giunture e ossa, i colpi e gli schiaffi sono semplicemente torture in veste diversa. La corte ha confermato l’illegalità di questi metodi quando sono stati citati lo scorso anno durante il processo ai presunti assassini dei Duma [famiglia palestinese bruciata viva nella propria abitazione a causa del lancio di molotov da parte di coloni, ndtr.]: in quel caso il tribunale ha giustamente sentenziato che le confessioni ottenute con l’uso della tortura sono inammissibili.

Un anno fa, nel settembre 2018, il presidente francese Emmanuel Macron ha fatto una dichiarazione storica e imprevista, in cui ha riconosciuto ed ammesso la responsabilità nell’uso indiscriminato della tortura da parte della Francia contro migliaia di algerini e decine di francesi negli anni ’50 e ’60. Questa dichiarazione ha avuto un forte impatto in Francia ed ha permesso che ferite rimaste aperte per 60 anni inizino a guarire. Qui siamo ben lontani da un passo simile: Israele continua a distogliere lo sguardo da quello che normalmente avviene nelle stanze per gli interrogatori dello Shin Bet e della polizia; è ancora lontano dal riconoscere quello che è stato fatto per anni ai corpi e alle menti di moltissime persone.
Anche se la sentenza dell’Alta Corte di due decenni fa viene studiata nelle facoltà di giurisprudenza ovunque, la situazione in Israele non è motivo di vanto. Dopo 20 anni è tempo che quello che avviene nelle stanze per gli interrogatori risponda agli elevati standard che il giudice Barak aveva così eloquentemente descritto nella sentenza votata a maggioranza del settembre 1999. Il cambiamento positivo iniziato allora non è stato pienamente realizzato. È tempo che le nostre forze di sicurezza dedichino tutte le proprie energie a mezzi più raffinati e informazioni di intelligence, che non a piegare un soggetto interrogato con percosse e privazione del sonno.
La dottoressa Stroumsa è direttrice esecutiva della Commisione Pubblica contro la Tortura in Israele.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)

35° Anniversario del massacro israeliano a Sabra e Shatila



Il 16 settembre ricorre il 37° anniversario dei massacri dei campi palestinesi di Beirut di Sabra e Shatila. Quando le forze fasciste libanesi (i falangisti) sotto il controllo e la diretta direzione del ministro della Difesa israeliano, Ariel Sharon, entrarono nei campi e per intere lunghe 40 ore fecero una dei più atroci e orrendi massacri della storia umana. Più di 3.000 cadaveri mutilati, dilaniati, stuprati, lasciati marcire al sole. Bambini, donne e anziani, vengono barbaramente uccisi e sepolti in fosse comuni o trasportati sui camion autorizzati dal comando diretto di Sharon.
L'orrendo massacro fu compiuto dopo l'uscita delle forze dell'Olp di Yasser Arafat, (dopo 88 giorni di eroica resistenza contro l'esercito invasore israeliano entrato in Libano il 4 giugno 1982) e la ritirata prematura della forza di pace internazionale (francesi, italiani e americani) che doveva garantire la sicurezza dei campi di Beirut.
L'8 febbraio 1983 Ariel Sharon fu costretto alle dimissione da Ministro della Difesa del governo di Menahim Begin, sulla base della condanna della Commissione israeliana di indagine Kahan, condanna che poteva anche essere confermata nel giugno 2001, dalla Corte di Cassazione Belga per i crimini di guerra e contro l'umanità, ma che per l'assenza del testimone chiave del primo responsabile materiale dell'eccidio, il falangista libanese Elie Hobeika, ucciso a Beirut in un strano attentato il giorno prima della sua testimonianza contro Ariel Sharon (il 24/1/2002), non fu confermata, appunto.
Oggi e dopo 35 anni, il popolo palestinese continua ad aspettare giustizia e una giusta condanna per i carnefici. La verità non ha bisogno di tribunali e di giudizi, perché la verità è chiara, scritta e visibile anche per chi come l'Onu e la Comunità internazionale dopo settantuno anni non riescono e non vogliono trovare una soluzione giusta, equa e duratura del conflitto arabo-
israeliano.

Non esiste pace senza giustizia, come non esiste la Palestina senza Gerusalemme.

"Il mio popolo ha sette vite,ogni volta che muore rinasce più giovane e bello", il grande poeta palestinese Mahmoud Darwish.

Roma, 16 settembre 2019
Dr. Yousef Salman
Presidente della Comunità Palestinese di Roma e del Lazio
Delegato della Mezza Luna Rossa Palestinese in Italia

Appello contro la censura e per la tutela della libertà di espressione

"E' inquietante che solo poche ore dopo l'approvazione di una mozione revisionista da parte delle istituzioni dell'Unione Europea che equipara i crimini del nazismo alla resistenza antifascista dell'Unione Sovietica, con una brutale ed evidente strumentalizzazione in chiave politica dell'uso della storia. Questo capolavoro di propaganda fa il paio con la decisione di Facebook di chiudere pagine e profili o di minacciarne la chiusura, dimostrando un restringimento dello spazio democratico che le istituzioni comunitarie e le piattaforme private statunitensi stanno operando in queste ore per ridurre i luoghi (fisici e virtuali) del dissenso e dell'informazione non asservita al mainstream dominante.

Come Marx21 conosciamo bene questo tema, avendo subito la censura di Facebook con la chiusura della nostra pagina Facebook solo pochi mesi fa. All'epoca, quello che dava fastidio era la nostra informazione costante su quanto stesse avvenendo in Ucraina e sul ruolo delle bande neofasciste che hanno preso il potere in questi anni, a seguito del colpo di stato appoggiato e sostenuto da tutto l'occidente e dai media asserviti.

Per queste ragioni aderiamo all'"appello contro al censura e per la tutela della libertà di espressione" lanciata da l'antidiplomatico"

[L'Appello che segue è stato pubblicato su L'AntiDiplomatico in data 25 settembre 2019. È disponibile in formato pdf su Academia o liberamente scaricabile dal seguente link]

“Poi vennero a prendere i comunisti,
e io non dissi niente,
perché non ero comunista.
Un giorno vennero a prendere me,
e non c'era rimasto nessuno a protestare”
(Martin Niemöller, pastore protestante tedesco, oppositore del nazismo)


La mannaia della censura ha colpito, in sole quarantotto ore, decine di blog di taglio politico, storico-culturale, giornalistico, satirico presenti sul social network Facebook.

locchi ingiustificati e rimozione di pagine senza possibilità di replica alcuna si sono scagliati contro chiunque, in questi anni, abbia provato a raccontare, seppur in chiave ironica e satirica, in modo più o meno velato e tranchant, l'odierna realtà politica e sociale. Tra le vittime si segnalano in particolare diverse pagine di area comunista, progressista e antimperialista.

Sono state bloccate:
-Lo Zio di Christian De Sica
-Pastorizia e Perestrojka
-Comitato Centrale per la difesa dell'Ortodossia
-Premio Goebbels per la Disinformazione
-Fronte dei Popoli
-Socialisti Gaudenti (poi “sbloccata”)

Hanno ricevuto avvisi di possibile chiusura:
-I Maestri del Socialismo
-La Destra del Partito
-Minniti Skinhead
-Interisti Stalinisti
-Becero stalinismo di provincia
-Drive ISays - Il Keynes delle Murge

Sono ancora esistenti ma al momento impossibilitate a pubblicare nuovi contenuti:
-Ufficio Sinistri
-Scintilla Rossa
-Cuba. Geografia del desiderio

Hanno avuto o hanno tuttora restrizioni di accesso ai propri profili personali:
-Alessandro Pascale, scrittore
-Roberto Vallepiano, scrittore
-Omar Minniti, giornalista

Questo è per ora solo un censimento parziale e in costante aggiornamento e riguarda pagine che sono seguite complessivamente da centinaia di migliaia di utenti.

La tecnica utilizzata è stata quella di bloccare immagini e post di vario tipo che inneggerebbero, secondo i parametri aziendali, alla violenza, al suicidio, all'odio, ecc..

Censurati, perché accompagnati da immagini utilizzate come fonti storiche, anche post come quello del Professor Santomassimo dell'università di Siena, sul ruolo di Luigi Einaudi durante il fascismo ed il carattere politico della sua presidenza della Repubblica; censurato anche un estratto del libro Il Totalitarismo liberale che descrive le tecniche mediatiche utilizzate da Goebbels nel Terzo Reich nazista.

È evidente che è stata fatta partire una manovra di ampio raggio e che verosimilmente ci siano responsabilità interne all'azienda, salvo l'ipotesi di un attacco organizzato da hacker e singoli.

In una società in cui il principale canale comunicativo è diventato un social network, ciò significa nella sostanza un attentato alla libertà di critica, di cultura e del libero pensiero.

Facebook è un'azienda e come tale decide le proprie regole da applicare, ma è evidente che tale azienda svolge ormai un ruolo e un servizio pubblico, diventando uno dei principali canali di divulgazione e comunicazione politica, come testimoniano ormai le pagine dei politici italiani (e non solo) più famosi.

Ostacolando o chiudendo alcuni canali politici alternativi, che svolgono una concreta e sana attività di informazione e di critica, Facebook va a ledere i principi liberali garantiti dalla Costituzione Repubblicana Italiana, la quale vede la firma di un comunista, Umberto Terracini.

Forse il dato era scontato, ma in tempi di revisionismo storico è utile ricordarlo.

La Repubblica Italiana può accettare che un'azienda privata possa decidere quali forze politiche non abbiano diritto di parola? L'Italia è una Repubblica fondata sull'antifascismo, sulla gloriosa Resistenza partigiana. Organizzazioni fasciste non dovrebbero neanche esistere e non esisterebbero, se non fossero stati compiuti molti errori nel periodo “Costituente” della Repubblica. Il fatto che siano state cancellate dal web si è rivelato in sé un atto più avanzato rispetto alla situazione vigente realmente nelle città italiane.

Nella Costituzione è espresso il divieto di ricostituzione di organizzazioni fasciste, anche se molte di queste forze dominano la politica italiana dopo essersi opportunamente travestite e mascherate. La censura alle organizzazioni fasciste non può però diventare un pretesto per avviare una repressione di ogni forma di critica che non sia conforme ai
..segue ./.

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