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La VOCE 1803 |
P R E C E D E N T E | S U C C E S S I V A |
La VOCE ANNO XXII N°3 | novembre 2019 | PAGINA 3 |
Onorificenza Internazionale Medaglia della Amicizia col Popolo della RPD di Corea alla Partigiana Miriam Pellegrini Ferri. Invito all Ambasciata di Cuba in Italia dal Consigliere Politico Yamila Pita Montes. Colaboracion con Radio Habana Cuba. - Curriculum Miriam |
miriam su facebook.
segue da pag.2: l’alimentazione non è business. e’ un fattore di emancipazione e sovranità.
in questo contesto quale deve essere il ruolo del sindacato di classe?
a livello internazionale sono impressionanti i dati ufficiali che vedono impegnati nell’agricoltura lavoratori al di sotto dei 17 anni, al tempo stesso sono ugualmente critici i dati che evidenziano come una percentuale molto alta di infortuni sul lavoro e di incidenti mortali avvengono nel settore della agricoltura.
ugualmente il livello di sfruttamento lavorativo e di preponderante violazione dei diritti minimi dei lavoratori salariati, in agricoltura raggiunge livelli altissimi.
un altro elemento che non possiamo sottacere è l’utilizzo nella produzione agricola di prodotti chimici con -conseguenze dannose gravi per i lavoratori ed i contadini, ma con conseguenze gravi sulla salute anche dei consumatori.in italia la situazione non è affatto migliore: gli infortuni sul lavoro in agricoltura sono all’ordine del giorno,tanto da farlo ritenere anche dall’inail uno dei settori con maggior numero di decessi e di malattie professionali.
il costante aumento, anche in italia, della produzione di cibo di bassa qualità ed a basso prezzo evidenzia come il segmento della alimentazione è uno dei più importanti settori dove, da parte dell’agroindustria, della grande distribuzione organizzata,dei grandi latifondisti, si cerca di massimizzare il profitto creando ondizioni di sfruttamento elevato sia nei confronti dei piccoli produttori: i contadini, sia nei confronti dei lavoratori salariati: i braccianti; a questi si aggiunga lo sfruttamento del personale impegnato nella trasformazione e nella logistica e del personale impegnato nelle attività della vendita al dettaglio. per ottenere questi massimi profitti le multinazionali del cibo impongono direttamente ed indirettamente condizioni lavorative che non permettono condizioni di vita decente.
riportiamo per opportuna conoscenza la posizione della fao in merito ai lavoratori della terra: dal sito della fao: “….. la fao definisce il lavoro decente come quel lavoro che proporziona un salario adeguato per vivere in condizioni di lavoro ragionevole. si fa riferimento ad un lavoro salariato e degno che permette alle persone che siano lavoratori indipendenti o dipendenti di mantenere se stessi e le proprie famiglie. i lavoratori devono poter realizzare il proprio lavoro in condizioni che garantiscano la propria salute e sicurezza così come tener la possibilità di esprimersi nel loro lavoro. posto che si tratta di un aspetto centrale della sua missione, la fao appoggia in maniera attiva i paesi che promuovono il lavoro decente in agricoltura e nelle zone rurali.”
nella settimana dal 13 al 18 ottobre l’unione sindacale di base parteciperà per nome e per conto della uis agricole, settore agricolo della federazione sindacale mondiale alla 46° sessione del comitato per la sicurezza alimentare mondiale che si svolgerà all’interno della fao in quella occasione inviteremo i dirigenti della fao a visitare le campagne italiane per verificare le condizioni di vita dei braccianti.
appare chiaro che l’intervento sindacale sia a livello internazionale che a livello italiano deve considerare la questione alimentare nel suo complesso e come un settore determinante per il controllo degli equilibri internazionali.
il sindacato deve quindi affrontare la questione del cibo, con la parola d’ordine cibo sano, lavoro sano rivolgendosi complessivamente a tutti gli attori inclusi nel sistema agricolo.il sindacato deve avere la forza di porre sul tavolo della contrattazione sia a livello italiano che a livello europeo( fortemente coinvolto con l’enorme fetta di finanziamenti europei, la pac) i punti prioritari che riguardano il settore agricolo:
rispetto delle condizioni contrattuali per tutti i lavoratori agricoli
rispetto delle condizioni abitative e sanitarie
regolarizzazione di tutti i braccianti migranti impegnati in agricoltura
condizionalità dei contributi europei alle aziende agricole al rispetto delle condizioni contrattuali
favorire la produzione agricola dei piccoli produttori, intervenendo su leggi e regolamenti.
contrastare l’uso intensivo di prodotti chimici nella coltivazione e nell’allevamento che causano malattie gravi e intolleranze alimentari.
su questi temi l’unione sindacale di base parteciperà al seminario che si svolgerà il 16 ottobre all’università degli studi di roma “la sapienza su “la sovranità alimentare, un’alternativa per il diritto al cibo”.
*unione sindacale di base.
per le informazioni cliccare su appuntamento.
la censura contro i comunisti colpisce anche in italia
i padroni di internet ed i governi imperialisti dell’occidente innalzano il livello dello scontro nei confronti dei comunisti. massima solidarietà ai compagni colpiti.
di redazione 27/10/2019.
ad inizio settembre, le cronache social sono state movimentate dalla notizia che facebook chiudeva gli account ad alcune organizzazioni di estrema destra perché producono odio e falsità. i commentatori si sono sostanzialmente divisi in due schieramenti: chi plaudeva alla decisione e chi la criticava. i primi notando che mark zuckerberg riusciva ad applicare la nostra costituzione - che vieta la ricostituzione del partito fascista sotto qualsiasi forma - meglio di politici e magistrati. i secondi, al contrario, lamentando che oggi tocca a loro e domani potrebbe toccare anche ad altri.
poi, lo scorso 19 settembre, il parlamento europeo ha votato una vergognosa risoluzione che equipara nazisti e comunisti e con una solerzia a dir poco sospetta sono cominciate le ritorsioni anche nei confronti dei compagni nostrani. sia chiaro, la censura informatica che colpisce i gruppi di estrema destra non può che essere salutata positivamente ma essa non deve essere sopravvalutata in quanto non li elimina dalla società che li riproduce ma li presuppone e ne presuppone anche la sorveglianza, la conoscenza e dunque la tolleranza da parte delle autorità. inoltre a ben vedere, questa censura assomiglia al fiore all’occhiello del boia. facebook, infatti, sta compiendo un vero e proprio rastrellamento che non colpisce solo i fascisti del secondo o terzo millennio ma soprattutto chi questo odio lo combatte, vale a dire i gruppi di estrema sinistra, per lo più comunisti.
questo non è un atteggiamento nuovo. già nell’agosto 2018 zuckerberg aveva oscurato l’account di telesur e da oltre un anno i motori di ricerca e i social network si sono attrezzati per rendere maggiormente difficile la ricerca di determinati contenuti e quindi, a contrario, la promozione di altri [1]. ma tre giorni dopo l’approvazione della risoluzione europea, la rappresaglia ha cominciato a colpire anche nel nostro paese i profili di singoli compagni e organizzazioni comuniste tra cui anche un nostro collaboratore, alessandro pascale, e successivamente altri, tra cui l’ex opg occupato je so pazzo di napoli.
e questa volta l’offensiva non si limita ad impedire la promozione a pagamento di determinati contenuti o l’oscuramento di foto compromettenti, segno di un innalzamento del livello dello scontro. e non si tratta solo di facebook. anche tiscali, il noto provider sardo, ha censurato il partito marxista-leninista italiano, imponendogli la rimozione di due articoli sulle malefatte di denis verdini risalenti al lontano 2010-2011, pena l’oscuramento dell’intero sito internet in caso di inadempienza.
ai compagni colpiti diamo la nostra solidarietà ed offriamo, se lo desiderano, lo spazio sui nostri canali per diffondere le comunicazioni importanti.
nel complesso, si tratta di censure gravissime che mostrano ancora una volta come la borghesia non è più in grado di tenere in piedi neanche la parvenza del liberalismo e viaggia sempre più rapidamente verso metodi apertamente coercitivi. con il parlamento europeo a decretarne l’istituzionalizzazione, l’odio e la falsità legalizzati che lasciano morire gli immigrati ai confini dell’europa, degli usa, dell’australia e del giappone, sono ora più forti, dovendo chi pratica o anche solo propaganda l’odio di classe - l’odio per la classe degli oppressori - e la verità rivoluzionaria, guardarsi non solo dalla polizia politica e dalla magistratura, sempre pronte ad affibbiare un 270 (bis, ter, quater, quinquies, sexies e chi più ne ha, più ne metta) ma anche da quella privata. e smentendo chi, per anni, ci ha venduto i paesi occidentali e la rete come luoghi al riparo dalla censura. come il “padre di internet”, vint cerf, che nel novembre 2007 dichiarava addirittura di non credere che la censura si sarebbe sviluppata in quanto “il 99% di internet, l’internet fisico, è nelle mani dei privati”.
il tempo si è incaricato di confermarci che sbagliava, dimostrando che pure i grandi proprietari dei mezzi di telecomunicazione, e non soltanto i loro governi, hanno l’interesse a tapparci la bocca ed il potere di farlo. ma si è anche incaricato di mostrare che malgrado le storiche sconfitte patite nel corso del xx secolo, ai padroni facciamo ancora paura.
note:
[1] come ciò viene fatto è parte del segreto industriale di ciascuna azienda ma anche la semplice rimozione di un “target” per le inserzioni pubblicitarie può servire allo scopo. in facebook il “target” rappresenta l’identificatore chiave della struttura del database. non chiamano le persone “abbonati” o “utenti” o altro, li chiamano “target” (bersaglio). quando si effettua una campagna pubblicitaria, si sceglie il “target” in modo tale che le pubblicazioni siano dirette esclusivamente a quelle persone e in tal modo si forma indirettamente una sorta di gruppo di persone che si informa su quel tema. si noti che dal prossimo gennaio, da esempio, facebook non consentirà più di usare “antonio gramsci” come “target” per le inserzioni.
rom e sinti.
ancora oggi il razzismo nei confronti di rom e sinti è uno degli argomenti più efficaci del populismo di destra che si basa su alcuni pregiudizi che dipendono da una mancata conoscenza storica della questione. di renato caputo 27/10/2019.
quelli che siamo abituati dall’ideologia dominante a definire zingari, sono in realtà un antico popolo transnazionale suddiviso essenzialmente in due rami: i sinti, che vivono generalmente a nord e i rom che vivono a sud. entrambi non si riconoscono affatto nei termini zingaro o gitano, che anzi considerano spregiativi e fondamentalmente razzisti. la stessa definizione, apparentemente più neutra di nomadi, è anch’essa fondata su pregiudizi dovuti, come generalmente avviene, a una mancata conoscenza storica. questo popolo, infatti, già in epoca antica era stanziale, vivendo nelle valli del fiume che noi chiamiamo indo e loro sinto. furono in un numero significativo costretti ad abbandonare il loro territorio a seguito di un’invasione dei persiani nel secolo xi. dunque non sono affatto nomadi per cultura o vocazione – a meno ovviamente di casi particolari – né alle origini e nemmeno oggi, visto che la grande maggioranza di rom e sinti è tutt’ora stanziale e, spesso, la minoranza nomade lo è indipendentemente dalla propria volontà.
come è stato documentato da cronache armene e arabe tali popolazioni che in parte furono costrette a spostarsi verso ovest dopo l’anno mille erano già allora particolarmente abili nella lavorazione dei metalli, nell’allevamento dei cavalli, nella musica, nella danza, oltre a essere abili commercianti. nonostante la diaspora di una parte di questo popolo, iniziata circa un migliaio di anni fa, sono riusciti a mantenere e tramandare la loro lingua e con essa la loro cultura. evidentemente, in quanto profughi, una parte di queste popolazioni fu costretta a vivere di espedienti, finendo così in determinati casi per violare la proprietà privata altrui.
questo permette in parte di comprendere gli editti che, già nei secoli passati, miravano ad allontanare tali profughi portatori di una cultura e di usi e costumi differenti, dalle popolazioni stanziali con cui entravano in contatto. anche perché per il potere costituito rappresentavano, al contempo, un elemento che poteva in qualche modo destabilizzare l’ordine costituito e le tradizioni e le ideologie necessarie al suo mantenimento e un comodo capro espiatorio, contro cui far sfogare la rabbia impotente degli oppressi, nella già allora guerra fra poveri così importante per tutelare gli ingiusti privilegi degli sfruttatori.
l’invasione dei balcani, dove in grandissima parte si erano stanziati sinti e rom in fuga dall’india, da parte dei turchi – seguaci ortodossi e intolleranti della nuova religione cui avevano aderito – costrinse la parte della popolazione più legata all’indipendenza e ai propri costumi di cercare una via di fuga nell’emigrazione. così fra il xiv e il xv secolo gruppi di sinti e rom cominciarono a trasferirsi nell’occidente cristiano, raggiungendo l’italia dove si stanziarono in particolare in territori disabitati o abbandonati dalle popolazioni italiane, che contribuirono a ripopolare, soprattutto in abruzzo e molise. la grande maggioranza divenne così ben presto stanziale, sviluppando l’agricoltura oltre alle altre attività tradizionali già citate.
anche in questo caso la differenza nel modo di pensare e di agire dei profughi era malvista dalle autorità delle comunità con cui entravano in contatto. tanto che per evitare persecuzioni ottennero un documento dall’imperatore sigismondo che li dichiarava “pellegrini del piccolo egitto” [1], dunque appartenenti alle antiche comunità cristiane mediorientali finite sotto il dominio mussulmano. sigismondo, essendo a capo di un impero multinazionale e in parte multiculturale tendeva, anche in questo modo, a contrastare il sorgere dei sentimenti nazionali che porteranno tanto al crollo degli imperi, quanto a una maggiore persecuzione dei popoli transnazionali come sinti e rom.
stanziatisi in piccola parte in italia, insieme ad albanesi e greci, anch’essi in fuga dagli ottomani, finirono ben presto per ampliare la propria cultura attraverso il contatto con la cultura italiana, che a loro volta influenzarono. in particolare nel rinascimento anche la cultura alta italiana, in ambito musicale, è stata positivamente influenzata dalla ricca tradizione musicale dei rom.
ciò nonostante soprattutto i rom costretti a emigrare in seguito e, dunque, necessariamente più poveri e instabili, venivano considerati con sospetto dalle autorità costituite, sempre interessate ad alimentare la xenofobia e il sospetto verso stranieri, vagabondi e mendicanti, per meglio mantenere il proprio dominio sulle popolazioni locali. perciò già nel xvi secolo, furono considerate genti barbare d’oriente, contaminate dall’aver vissuto per lungo tempo sotto il dominio degli infedeli mussulmani, tanto da essere banditi dai ricchi centri commerciali come milano.
tale persecuzione, con gli stessi motivi di fondo, dura purtroppo sino ai giorni nostri. sebbene conosce dei picchi nelle fasi storiche in cui un modo di produzione in profonda crisi aggredisce un modo di produzione più moderno, giusto e razionale che rischia di affermarsi spodestando il primo. così, per incanalare su un binario inoffensivo la sacrosanta rabbia popolare dinanzi alla crisi e alla guerra, la classe dirigente politica, al servizio della classe economicamente dominante, alimenta il mito del razzismo funzionale alla guerra fra poveri, attraverso la criminalizzazione dell’indigenza, per cui gli ultimi della società costituirebbero, in quanto tali, delle classi pericolose.
..segue a pag 5 ./.
Miriam su FacebookSegue da Pag.2: L’alimentazione non è business. E’ un fattore di emancipazione e sovranità In questo contesto quale deve essere il ruolo del SINDACATO DI CLASSE? A livello internazionale sono impressionanti i dati ufficiali che vedono impegnati nell’agricoltura lavoratori al di sotto dei 17 anni, al tempo stesso sono ugualmente critici i dati che evidenziano come una percentuale molto alta di infortuni sul lavoro e di incidenti mortali avvengono nel settore della agricoltura. Ugualmente il livello di sfruttamento lavorativo e di preponderante violazione dei diritti minimi dei lavoratori salariati, in agricoltura raggiunge livelli altissimi. Un altro elemento che non possiamo sottacere è l’utilizzo nella produzione agricola di prodotti chimici con -conseguenze dannose gravi per i lavoratori ed i contadini, ma con conseguenze gravi sulla salute anche dei consumatori.In Italia la situazione non è affatto migliore: gli infortuni sul lavoro in agricoltura sono all’ordine del giorno,tanto da farlo ritenere anche dall’Inail uno dei settori con maggior numero di decessi e di malattie professionali. Il costante aumento, anche in Italia, della produzione di cibo di bassa qualità ed a basso prezzo evidenzia come il segmento della alimentazione è uno dei più importanti settori dove, da parte dell’agroindustria, della Grande Distribuzione Organizzata,dei grandi latifondisti, si cerca di massimizzare il profitto creando ondizioni di sfruttamento elevato sia nei confronti dei piccoli produttori: i contadini, sia nei confronti dei lavoratori salariati: i braccianti; a questi si aggiunga lo sfruttamento del personale impegnato nella trasformazione e nella logistica e del personale impegnato nelle attività della vendita al dettaglio. Per ottenere questi massimi profitti le multinazionali del cibo impongono direttamente ed indirettamente condizioni lavorative che non permettono condizioni di vita decente. Riportiamo per opportuna conoscenza la posizione della FAO in merito ai lavoratori della terra: dal sito della FAO: “….. la FAO definisce il lavoro decente come quel lavoro che proporziona un salario adeguato per vivere in condizioni di lavoro ragionevole. Si fa riferimento ad un lavoro salariato e degno che permette alle persone che siano lavoratori indipendenti o dipendenti di mantenere se stessi e le proprie famiglie. I lavoratori devono poter realizzare il proprio lavoro in condizioni che garantiscano la propria salute e sicurezza così come tener la possibilità di esprimersi nel loro lavoro. Posto che si tratta di un aspetto centrale della sua missione, la FAO appoggia in maniera attiva i paesi che promuovono il lavoro decente in agricoltura e nelle zone rurali.” Nella settimana dal 13 al 18 ottobre l’Unione Sindacale di Base parteciperà per nome e per conto della UIS agricole, settore agricolo della Federazione Sindacale Mondiale alla 46° sessione del Comitato per la sicurezza alimentare mondiale che si svolgerà all’interno della FAO In quella occasione inviteremo i dirigenti della FAO a visitare le campagne italiane per verificare le condizioni di vita dei braccianti. Appare chiaro che l’intervento sindacale sia a livello internazionale che a livello italiano deve considerare la questione alimentare nel suo complesso e come un settore determinante per il controllo degli equilibri internazionali. Il Sindacato deve quindi affrontare la questione del CIBO, con la parola d’ordine CIBO SANO, LAVORO SANO rivolgendosi complessivamente a tutti gli attori inclusi nel sistema agricolo.Il Sindacato deve avere la forza di porre sul tavolo della contrattazione sia a livello italiano che a livello europeo( fortemente coinvolto con l’enorme fetta di finanziamenti europei, la PAC) i punti prioritari che riguardano il settore agricolo: Rispetto delle condizioni contrattuali per tutti i lavoratori agricoli Rispetto delle condizioni abitative e sanitarie Regolarizzazione di tutti i braccianti migranti impegnati in agricoltura Condizionalità dei contributi europei alle aziende agricole al rispetto delle condizioni contrattuali Favorire la produzione agricola dei piccoli produttori, intervenendo su leggi e regolamenti. Contrastare l’uso intensivo di prodotti chimici nella coltivazione e nell’allevamento che causano malattie gravi e intolleranze alimentari. Su questi temi l’Unione Sindacale di Base parteciperà al seminario che si svolgerà il 16 ottobre all’Università degli Studi di Roma “La Sapienza su “La sovranità alimentare, un’alternativa per il diritto al cibo”. *Unione Sindacale di Base per le informazioni cliccare su appuntamento La censura contro i comunisti colpisce anche in Italiadi Redazione 27/10/2019 Ad inizio settembre, le cronache social sono state movimentate dalla notizia che Facebook chiudeva gli account ad alcune organizzazioni di estrema destra perché producono odio e falsità. I commentatori si sono sostanzialmente divisi in due schieramenti: chi plaudeva alla decisione e chi la criticava. I primi notando che Mark Zuckerberg riusciva ad applicare la nostra Costituzione - che vieta la ricostituzione del partito fascista sotto qualsiasi forma - meglio di politici e magistrati. I secondi, al contrario, lamentando che oggi tocca a loro e domani potrebbe toccare anche ad altri. Poi, lo scorso 19 settembre, il parlamento europeo ha votato una vergognosa risoluzione che equipara nazisti e comunisti e con una solerzia a dir poco sospetta sono cominciate le ritorsioni anche nei confronti dei compagni nostrani. Sia chiaro, la censura informatica che colpisce i gruppi di estrema destra non può che essere salutata positivamente ma essa non deve essere sopravvalutata in quanto non li elimina dalla società che li riproduce ma li presuppone e ne presuppone anche la sorveglianza, la conoscenza e dunque la tolleranza da parte delle autorità. Inoltre a ben vedere, questa censura assomiglia al fiore all’occhiello del boia. Facebook, infatti, sta compiendo un vero e proprio rastrellamento che non colpisce solo i fascisti del secondo o terzo millennio ma soprattutto chi questo odio lo combatte, vale a dire i gruppi di estrema sinistra, per lo più comunisti. Questo non è un atteggiamento nuovo. Già nell’agosto 2018 Zuckerberg aveva oscurato l’account di Telesur e da oltre un anno i motori di ricerca e i social network si sono attrezzati per rendere maggiormente difficile la ricerca di determinati contenuti e quindi, a contrario, la promozione di altri [1]. Ma tre giorni dopo l’approvazione della risoluzione europea, la rappresaglia ha cominciato a colpire anche nel nostro paese i profili di singoli compagni e organizzazioni comuniste tra cui anche un nostro collaboratore, Alessandro Pascale, e successivamente altri, tra cui l’Ex Opg occupato Je So Pazzo di Napoli. |
E questa volta l’offensiva non si limita ad impedire la promozione a pagamento di determinati contenuti o l’oscuramento di foto compromettenti, segno di un innalzamento del livello dello scontro. E non si tratta solo di Facebook. Anche Tiscali, il noto provider sardo, ha censurato il Partito marxista-leninista italiano, imponendogli la rimozione di due articoli sulle malefatte di Denis Verdini risalenti al lontano 2010-2011, pena l’oscuramento dell’intero sito internet in caso di inadempienza.
Ai compagni colpiti diamo la nostra solidarietà ed offriamo, se lo desiderano, lo spazio sui nostri canali per diffondere le comunicazioni importanti. Nel complesso, si tratta di censure gravissime che mostrano ancora una volta come la borghesia non è più in grado di tenere in piedi neanche la parvenza del liberalismo e viaggia sempre più rapidamente verso metodi apertamente coercitivi. Con il Parlamento europeo a decretarne l’istituzionalizzazione, l’odio e la falsità legalizzati che lasciano morire gli immigrati ai confini dell’Europa, degli Usa, dell’Australia e del Giappone, sono ora più forti, dovendo chi pratica o anche solo propaganda l’odio di classe - l’odio per la classe degli oppressori - e la verità rivoluzionaria, guardarsi non solo dalla polizia politica e dalla magistratura, sempre pronte ad affibbiare un 270 (bis, ter, quater, quinquies, sexies e chi più ne ha, più ne metta) ma anche da quella privata. E smentendo chi, per anni, ci ha venduto i paesi Occidentali e la Rete come luoghi al riparo dalla censura. Come il “padre di Internet”, Vint Cerf, che nel novembre 2007 dichiarava addirittura di non credere che la censura si sarebbe sviluppata in quanto “il 99% di Internet, l’Internet fisico, è nelle mani dei privati”. Il tempo si è incaricato di confermarci che sbagliava, dimostrando che pure i grandi proprietari dei mezzi di telecomunicazione, e non soltanto i loro governi, hanno l’interesse a tapparci la bocca ed il potere di farlo. Ma si è anche incaricato di mostrare che malgrado le storiche sconfitte patite nel corso del XX secolo, ai padroni facciamo ancora paura. Note: [1] Come ciò viene fatto è parte del segreto industriale di ciascuna azienda ma anche la semplice rimozione di un “target” per le inserzioni pubblicitarie può servire allo scopo. In Facebook il “target” rappresenta l’identificatore chiave della struttura del database. Non chiamano le persone “abbonati” o “utenti” o altro, li chiamano “target” (bersaglio). Quando si effettua una campagna pubblicitaria, si sceglie il “target” in modo tale che le pubblicazioni siano dirette esclusivamente a quelle persone e in tal modo si forma indirettamente una sorta di gruppo di persone che si informa su quel tema. Si noti che dal prossimo gennaio, da esempio, Facebook non consentirà più di usare “Antonio Gramsci” come “target” per le inserzioni. Rom e SintiQuelli che siamo abituati dall’ideologia dominante a definire zingari, sono in realtà un antico popolo transnazionale suddiviso essenzialmente in due rami: i Sinti, che vivono generalmente a nord e i Rom che vivono a sud. Entrambi non si riconoscono affatto nei termini zingaro o gitano, che anzi considerano spregiativi e fondamentalmente razzisti. La stessa definizione, apparentemente più neutra di nomadi, è anch’essa fondata su pregiudizi dovuti, come generalmente avviene, a una mancata conoscenza storica. Questo popolo, infatti, già in epoca antica era stanziale, vivendo nelle valli del fiume che noi chiamiamo Indo e loro Sinto. Furono in un numero significativo costretti ad abbandonare il loro territorio a seguito di un’invasione dei persiani nel secolo XI. Dunque non sono affatto nomadi per cultura o vocazione – a meno ovviamente di casi particolari – né alle origini e nemmeno oggi, visto che la grande maggioranza di Rom e Sinti è tutt’ora stanziale e, spesso, la minoranza nomade lo è indipendentemente dalla propria volontà. Come è stato documentato da cronache armene e arabe tali popolazioni che in parte furono costrette a spostarsi verso ovest dopo l’anno mille erano già allora particolarmente abili nella lavorazione dei metalli, nell’allevamento dei cavalli, nella musica, nella danza, oltre a essere abili commercianti. Nonostante la diaspora di una parte di questo popolo, iniziata circa un migliaio di anni fa, sono riusciti a mantenere e tramandare la loro lingua e con essa la loro cultura. Evidentemente, in quanto profughi, una parte di queste popolazioni fu costretta a vivere di espedienti, finendo così in determinati casi per violare la proprietà privata altrui. Questo permette in parte di comprendere gli editti che, già nei secoli passati, miravano ad allontanare tali profughi portatori di una cultura e di usi e costumi differenti, dalle popolazioni stanziali con cui entravano in contatto. Anche perché per il potere costituito rappresentavano, al contempo, un elemento che poteva in qualche modo destabilizzare l’ordine costituito e le tradizioni e le ideologie necessarie al suo mantenimento e un comodo capro espiatorio, contro cui far sfogare la rabbia impotente degli oppressi, nella già allora guerra fra poveri così importante per tutelare gli ingiusti privilegi degli sfruttatori. L’invasione dei Balcani, dove in grandissima parte si erano stanziati sinti e rom in fuga dall’India, da parte dei Turchi – seguaci ortodossi e intolleranti della nuova religione cui avevano aderito – costrinse la parte della popolazione più legata all’indipendenza e ai propri costumi di cercare una via di fuga nell’emigrazione. Così fra il XIV e il XV secolo gruppi di sinti e rom cominciarono a trasferirsi nell’occidente cristiano, raggiungendo l’Italia dove si stanziarono in particolare in territori disabitati o abbandonati dalle popolazioni italiane, che contribuirono a ripopolare, soprattutto in Abruzzo e Molise. La grande maggioranza divenne così ben presto stanziale, sviluppando l’agricoltura oltre alle altre attività tradizionali già citate. Anche in questo caso la differenza nel modo di pensare e di agire dei profughi era malvista dalle autorità delle comunità con cui entravano in contatto. Tanto che per evitare persecuzioni ottennero un documento dall’imperatore Sigismondo che li dichiarava “pellegrini del piccolo Egitto” [1], dunque appartenenti alle antiche comunità cristiane mediorientali finite sotto il dominio mussulmano. Sigismondo, essendo a capo di un impero multinazionale e in parte multiculturale tendeva, anche in questo modo, a contrastare il sorgere dei sentimenti nazionali che porteranno tanto al crollo degli imperi, quanto a una maggiore persecuzione dei popoli transnazionali come sinti e rom. Stanziatisi in piccola parte in Italia, insieme ad albanesi e Greci, anch’essi in fuga dagli ottomani, finirono ben presto per ampliare la propria cultura attraverso il contatto con la cultura italiana, che a loro volta influenzarono. In particolare nel Rinascimento anche la cultura alta italiana, in ambito musicale, è stata positivamente influenzata dalla ricca tradizione musicale dei rom. Ciò nonostante soprattutto i rom costretti a emigrare in seguito e, dunque, necessariamente più poveri e instabili, venivano considerati con sospetto dalle autorità costituite, sempre interessate ad alimentare la xenofobia e il sospetto verso stranieri, vagabondi e mendicanti, per meglio mantenere il proprio dominio sulle popolazioni locali. Perciò già nel XVI secolo, furono considerate genti barbare d’oriente, contaminate dall’aver vissuto per lungo tempo sotto il dominio degli infedeli mussulmani, tanto da essere banditi dai ricchi centri commerciali come Milano. Tale persecuzione, con gli stessi motivi di fondo, dura purtroppo sino ai giorni nostri. Sebbene conosce dei picchi nelle fasi storiche in cui un modo di produzione in profonda crisi aggredisce un modo di produzione più moderno, giusto e razionale che rischia di affermarsi spodestando il primo. Così, per incanalare su un binario inoffensivo la sacrosanta rabbia popolare dinanzi alla crisi e alla guerra, la classe dirigente politica, al servizio della classe economicamente dominante, alimenta il mito del razzismo funzionale alla guerra fra poveri, attraverso la criminalizzazione dell’indigenza, per cui gli ultimi della società costituirebbero, in quanto tali, delle classi pericolose. |
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