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La VOCE ANNO XXI N°7

marzo 2019

PAGINA 12

Da Madero a Maduro: un insegnamento dalla Rivoluzione Messicana per il Venezuela del 21° secolo


MARTIN SIEFF - strategic-culture.org

Poco più di cento anni fa, il Messico aveva avuto un presidente popolare, molto amato, eletto in modo democratico, determinato a ridurre l’influenza straniera e gli osceni profitti che fuoriuscivano dal paese e ad aumentare il tenore di vita della sua gente. Gli interessi finanziari degli Stati Uniti e di Wall Street avevano orchestrato un colpo di stato militare e si erano assicurati che venisse brutalmente assassinato.

Il presidente, ovviamente, non era Nicolas Maduro del Venezuela, che quest’anno è finito nel mirino per ricevere lo stesso trattamento, ma il suo nome era molto simile, Madero, non Maduro. I paralleli e i contrasti tra i due uomini ci fanno riflettere.

Sfortunatamente, il povero Francisco Madero, un riformatore idealista che aveva governato come presidente del Messico dal 1911 al 1913, non aveva il solido intuito politico e il semplice buon senso che il Maduro del Venezuela ha esibito nel corso della sua lunga, controversa ma innegabilmente proficua carriera.

Madero si era ingenuamente fidato del generale Victoriano Huerta, il comandante in capo dell’esercito, che aveva ereditato dal suo predecessore, il presidente Porfirio Diaz. Huerta aveva prosperato per tutti i 35 anni della presidenza Diaz, dal 1876 al 1911, conducendo, per conto del presidente, campagne di sterminio contro gli indiani Yaqui e i Maya.

Nel 1913, gli interessi di Wall Street avevano appoggiato con entusiasmo Huerta, quando aveva portato a termine un colpo di stato contro l’innocente Madero. Woodrow Wilson, il presidente americano dell’epoca, era un feroce razzista che disprezzava il popolo messicano e aveva accolto con favore, fin dall’inizio, il colpo di stato di Huerta.

Gli enormi potentati finanziari e minerari di New York erano ansiosi di continuare a saccheggiare le risorse del Messico, mentre oltre il 90% della sua popolazione viveva praticamente in condizioni di schiavitù, nella spaventosa povertà dell’amministrazione Diaz.

Nell’ultimo decennio della presidenza Diaz, grazie all’appoggio garantito dai baroni rapinatori di Wall Street (come li aveva chiamati lo storico Matthew Josephson) e dalle compiacenti amministrazioni di Theodore Roosevelt e William Howard Taft, almeno 600.000 persone erano state sfruttate come schiavi fino alla morte nelle proprietà dei sostenitori di Diaz. Non si era mai udito un sussurro di disapprovazione da parte di Washington.

Huerta [dopo aver assassinato Madero] aveva governato con la sua solita brutale ferocia per meno di un anno e mezzo, prima di provocare una tale rivolta nazionale da essere spodestato in una breve e sanguinosa guerra civile. Era riparato, naturalmente, negli Stati Uniti, ma aveva poi commesso l’errore di inimicarsi sia gli affaristi che i militari americani, alleandosi apertamente con la Germania imperiale nel preparare il proprio ritorno in armi [in Messico].

Huerta era morto negli Stati Uniti nel 1916, mentre era agli arresti domiciliari, dopo una notte di bagordi e festeggiamenti. Si era sospettato anche un avvelenamento da parte degli Americani, ma potrebbero essere state anche solo le abbondanti libagioni. La sua autopsia aveva rivelato una cirrosi epatica all’ultimo stadio.

A tutt’oggi, Huerta viene deprecato come il criminale genocida e codardo assassino (nonchè strumento di cinici interessi stranieri) che era, mentre il ben intenzionato, ma tragicamente inconcludente Madero è sinceramente amato dal popolo messicano. I giorni dall’inizio del colpo di stato di Huerta fino all’omicidio del presidente, fucilato nottetempo da un improvvisato plotone di assassini, insieme al fratello e al vicepresidente, vengono ricordati come La Decena Tragica, i dieci tragici giorni.

Negli anni successivi, il Messico aveva dovuto sopportare tutti gli orrori di uno stato collassato, con bande rivali che si massacravano a vicenda (insieme a tutti quelli che trovavano sulla loro strada). La popolazione del paese era crollata da 15 milioni nel 1910 a 11,6 milioni dieci anni dopo. Tenendo anche conto di quanti decessi possano essere stati mascherati dall’alto tasso di natalità, oltre quattro milioni di persone, o più del 25 per cento della popolazione totale, erano morte negli anni della violenza anarchica scaturita dall’assassinio del presidente Madero da parte di Huerta.

La Decena Tragica continua ad essere ricordata in Messico anche oggi. Quando l’attuale presidente Andres Manuel Lopez Obrador continua a resistere alle enormi pressioni dell’amministrazione Trump, che insiste affinchè il suo burattino preferito, Juan Guaido venga riconosciuto come presidente incaricato del Venezuela, sta rispettando la devozione del suo popolo per il presidente martire Madero e ricorda il bagno di sangue e il caos che l’odiato Huerta aveva scatenato dopo la sua morte.

Madero, ingenuamente, aveva avuto fiducia nell’onore del comandante del suo esercito, l’omicida Huerta. Al contrario, il presidente del Venezuela Maduro, come il suo mentore politico e predecessore Hugo Chavez, si è assicurato di avere sempre un alto comando dell’esercito fedele alla leadership civile nazionale eletta democraticamente. Tuttavia, oggi, i leader statunitensi hanno apertamente invitato i capi militari venezuelani a rottamare la loro amata costituzione e le istituzioni politiche e a rovesciare con la forza il presidente Maduro. Il tutto, naturalmente, in nome della loro solita, mitica e mai definita “libertà.”

Tuttavia, Bloomberg News ha sottolineato in un recente articolo che in tutte le forze armate venezuelane, con oltre 2000 fra generali e ammiragli, solo un ufficiale, oltretutto senza truppe al suo comando, aveva prestato giuramento al Presidente dell’Assemblea Nazionale, Juan Guaido, il farsesco bambolotto che l’amministrazione Trump sta cercando di far passare come “presidente” del Venezuela al posto di Maduro.

Meglio così. Il precedente del Messico, più di un secolo fa, ci insegna che se il complotto degli Stati Uniti per rovesciare il presidente Maduro dovessero avere successo, così come quello di rimuovere e tragicamente uccidere, 106 anni fa, il presidente Madero, subito dopo si scatenerebba la guerra civile, con il caos e la morte violenta di milioni di persone innocenti.

Nei sette anni successivi all’omicidio di Francisco Madero, più di un quarto della popolazione del Messico era stata massacrata o era morta di stenti. La storia delle nazioni in cui le amministrazioni statunitensi del 21° secolo hanno orchestrato con successo il “cambio di regime” fa capire che il Venezuela subirebbe una sorte simile.

L’Afghanistan, l’Iraq, la Libia, lo Yemen, il Sud Sudan e l’Ucraina rappresentano agli occhi del mondo terrificanti esempi dell’incompetenza criminale (come minimo) degli Stati Uniti nella “costruzione nazionale.” Le conseguenze degli infiniti e inutili tentativi di rovesciare il governo siriano ci raccontano la stessa, terribile storia.

Le pallottole che hanno colpito, oltre un secolo fa, il gentile, ingenuo e piccolo presidente Madero continuano a rimbalzare nella nostra attuale epoca insanguinata.

Martin Sieff - 21.02.2019

Fonte: strategic-culture.org - Scelto e tradotto da Markus per comedonchisciotte.org Link: https://www.strategic-culture.org/news/2019/02/21/from-madero-to-maduro-lessons-mexican-revolution-for-21-century-venezuela.html

La fame dell’oro dell’Occidente Le banche occidentali fanno di tutto per tenersi l’oro altrui e per non restituirlo.

di Alessandra Ciattini 22/12/2018
Nel suo celebre libro, Las venas abiertas de América Latina (2004), Eduardo Galeano riporta le parole di un testo nahuatl conservato nel Codice fiorentino [1], che qui traduco “Come se fossero scimmie gli spagnoli sollevavano l’oro, si sedevano soddisfatti, il loro cuore prendeva nuova forza e si illuminava. È certo che sentivano una straordinaria sete dell’oro, se ne inorgoglivano e mostrano di provare una furiosa fame di esso. Come porci affamati anelano l’oro” (p. 43).

A tutta prima si potrebbe pensare che tale fame sia stata provata da soldatesche ed avventurieri estenuati, ma entusiasmati dalle vicende della rapida Conquista del Nuovo Mondo, e che oggi essa costituisca un sentimento del tutto sconosciuto soprattutto tra gente di una certa cultura e di un certo rango sociale. Ma i recenti avvenimenti riguardanti paesi sotto attacco da parte delle potenze imperialistiche mostrano tutto il contrario, benché le informazioni su di esse siano alquanto scarse e contraddittorie.

Seguiamo l’ordine cronologico e cominciamo a parlare dell’oro libico depositato nella Banca centrale libica, una delle poche banche centrali di proprietà dello Stato [2], dove prima della “rivoluzione” del 2011 vi dovevano essere 143 tonnellate di oro (alcuni parlano di 150), mentre le riserve in valuta straniera ammontavano a 321 miliardi di dollari.


Credits: https://www.independent.co.uk/news/business/news/gold-price-bars-hidden-in-secret-vaults-beneath-the-bank-of-england-worth-248bn-a6994276.html

Sembra che una parte consistente di queste risorse fosse custodita nella filiale della Banca a Bengasi, dove i cosiddetti ribelli, nel giro di pochi giorni, fondarono il Transitional National Council, quale autentica espressione del popolo libico, rapidamente riconosciuta dall’ONU. Questo nuovo organismo ha costituito una nuova Banca centrale e la Lybian Oil Company, che avrebbe dovuto sovrintendere all’estrazione e alla vendita del petrolio. Ha nominato anche il Governatore della Banca e ha fatto scassinare le camere blindate in cui erano depositati i lingotti e le riserve monetarie.

Alcuni analisti hanno visto in questa operazione qualcosa di sospetto: i ribelli sarebbero stati usati da qualcuno dalle conoscenze più raffinate in ambito economico e finanziario per trasferire il controllo delle risorse monetarie e petrolifere libiche in altre mani, che gli eventi non lasciano certo sconosciute.

Un’ipotesi è che l’oro libico sia servito alla Banca d’Inghilterra per restituire nel 2011 a Hugo Chávez le 100 tonnellate di oro che vi erano state depositate e che probabilmente ormai non esistevano più, evitando di ricomprarlo sul mercato e provocando così un aumento del suo valore. Tale trasferimento era avvenuto per garantire i prestiti ottenuti dai governi precedenti a quello di Chávez, e non aveva più ragione di persistere, giacché il Venezuela a quell’epoca aveva pagato tutti i suoi debiti [3]. Altri, invece, parlano di come parte del cosiddetto tesoro di Gheddafi sia stato negli anni contrabbandato per raggiungere gli Emirati arabi uniti; notizia questa sostenuta da fonti vicine ai Fratelli musulmani ostili agli emiri.

Inoltre, Julian Assange ci dice che la guerra contro Gheddafi e la Libia è stata una guerra intensamente voluta da Hilary Clinton perché il petrolio libico era a buon mercato, e perché la distruzione di quel paese, che avrebbe prodotto 40.000 morti e una quantità incredibile di emigranti e un certo numero di jihadisti diretti verso l’Europa, destabilizzando l’Africa del Nord, avrebbe potuto favorire la sua elezione. Tutto ciò è documentato dalle migliaia di email ricevute dalla Clinton dal suo agente Sidney Blumenthal e rese di pubblico dominio.

Altre fonti ci informano (una email ricevuta dalla Clinton il 2 aprile 2011) delle ragioni francesi della guerra alla Libia: oltre all’oro c’era un analogo quantitativo di argento, che avrebbe dovuto servire a Gheddafi per dar vita a una valuta panafricana basata sul dinaro d’oro libico, liberando quei paesi africani francofoni dalla subordinazione al franco francese e alla Francia, cui ancora pagano una tassa per i “benefici” dovuti alla colonizzazione. Progetto che, del resto, avrebbe dato fastidio anche agli Stati Uniti, giacché il leader libico aveva anche intenzione di vendere il petrolio in cambio di oro e non di dollari. D’altra parte, Saddam Hussein era stato fatto fuori prima di Gheddafi, perché nel 2000 intendeva sostituire l’euro al dollaro nella vendita del petrolio, rafforzando così l’Unione Europea, che sarebbe stata il vero obiettivo della futura guerra dichiarata dagli Stati Uniti successivamente.

Da questi elementi si potrebbero ricavare alcune conclusioni: uno scontro tra il colonialismo europeo e francese da un lato, e quello statunitense, dall’altro, un conflitto tra Francia e Italia, che con l’ENI, il nostro vero ministero degli esteri, era ben radicata in Libia, forse anche un disegno destabilizzatore dell’Europa, favorendo l’afflusso dei migranti e dei jihadisti; progetto probabilmente ignorato dagli stessi leader europei. Senza menzionare poi che Nicolas Sarkozy doveva disfarsi fisicamente di Gheddafi che avrebbe potuto rendere noti i finanziamenti alle sue campagne elettorali.

Altre inchieste hanno messo in luce che, benché il fondo sovrano libico istituito da Gheddafi (LIA) sia stato congelato, continui a generare profitti per quelle società, come ENI, ENEL, Fiat-Chrysler, Unicredit etc., nelle quali era stato investito.

Non del tutto diversa è la questione dell’oro del Venezuela, cui recentemente il Sole 24 ore ha dedicato un preoccupato articolo, nel quale si fa presente che lo scorso agosto il governo del Venezuela richiede alla Banca d’Inghilterra la restituzione urgente di 1,4 tonnellate di oro in lingotti dal peso di 12,4 chili ciascuno. Finora neppure un lingotto è stato restituito, sulla base della clausola “La Banca d’Inghilterra si riserva il diritto di non restituire l’oro sovrano in custodia e di impedirne anche la visione”.

Sulla mancata restituzione il quotidiano della Confindustria fa due ipotesi. La prima è che “i lingotti di altre nazioni verrebbero dati in prestito (a loro insaputa) a banche ed hedge fund, o cartolarizzati in Gold Certificates, dietro l’impegno delle parti a non reclamare mai la proprietà dei lingotti alla scadenza dell’operazione”. Pratica questa ovviamente vietata.

L’altra ipotesi è che si tratti in realtà di un’operazione politica volta a mettere ulteriormente in difficoltà il Venezuela, continuo oggetto delle sanzioni statunitensi, ed accusato da Trump di voler derubare il popolo venezuelano delle sue ricchezze e di volerlo impiegare per beneficare il presidente Maduro e il suo entourage.

Dinanzi a tale comportamento il Sole 24ore fa presente che la stessa banca inglese ha in deposito i fondi in oro di altre 70 nazioni, tra cui l’Italia, che ha affidato alla sua custodia ben 300 tonnellate del prezioso metallo. Queste nazioni hanno consegnato alla Banca di Inghilterra ben 200.000 lingotti che ammontano a 1.500 tonnellate di oro purissimo; inoltre, quest’ultima e la Federal Reserve detengono circa la metà dei 1.360 miliardi delle riserve aurifere mondiali e non sembrano ben disposte alla loro restituzione ai loro legittimi proprietari. Infatti, prima del Venezuela, la Germania della Merkel nel 2017 aveva richiesto indietro alla Federal Reserve le sue 130 tonnellate di lingotti, che ha riavuto solo dopo una lunga trattativa durata circa un anno. E naturalmente la Germania non è il Venezuela. Del resto, chi ha l’autorizzazione a visionare i forzieri di questi fantomatici istituti?

Probabilmente perché lo scenario internazionale è cambiato (lo stesso Venezuela ha varato una nuova moneta ancorata al petrolio, il petro), molti sono i paesi che richiedono di avere indietro l’oro depositato nelle banche centrali della Gran Bretagna e degli Stati Uniti. Infatti, nel giro di qualche anno, la Banca di Inghilterra ha perso il controllo di 400 tonnellate del prezioso metallo, mentre la Federal Reserve si è vista sfuggire circa 7.000 tonnellate tra il 2009 e il 2017, e si è ridotta a controllare solo 5.000 tonnellate.

A questi significativi eventi bisogna aggiungere che la Cina e la Russia si sono accordate per utilizzare sempre più le loro valute nazionali per i mutui scambi commerciali, con lo scopo di fronteggiare la politica finanziaria ostile nei loro confronti sviluppata dagli Stati Uniti. A questo proposito è interessante ricordare che la Russia, la Cina, l’UE hanno elaborato un piano per far sì che l’Iran continui tranquillamente a vendere il suo petrolio, nonostante le sanzioni statunitensi. Il sistema aggirerebbe le transazioni bancarie ed avverrebbe in sterline e in euro, colpendo chi – ha dichiarato Federica Mogherini – ha la pretesa di decidere con chi un paese sovrano debba intrattenere relazioni commerciali. Un altro segno di declino del mostro statunitense minacciato di perdere il signoraggio della sua moneta e di veder dirottati altrove gli investimenti degli altri paesi?

Note
[1] La lingua che parlavano gli aztechi, anche noti come mexica. Conservato in una biblioteca fiorentina, il Codice fiorentino contiene, invece, la Historia universal de las cosas de Nueva España in spagnolo e in nahuatl, terminata dal frate Bernardino de Sahagún nel 1569.
[2] Per chi non lo sapesse anche la Federal Reserve è di proprietà di azionisti privati.
[3] Oltre a ciò annunciò di nazionalizzare l’estrazione dell’oro, prima data in concessione a certe multinazionali, e di tutte le attività ad esso connesse.

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