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La VOCE 1905

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La VOCE ANNO XXI N°9

maggio 2019

PAGINA c         - 27

segue da pag.26: l’infinita guerra di gaza: quel che netanyahu spera di guadagnare attaccando i prigionieri. netanyahu ha “perso la presa sulla sicurezza”, ha proclamato il capo del partito ‘blue and white’ benny gantz. l’accusa di gantz è stata solo un altro insulto in una montagna di simili attacchi al vetriolo che mettono in dubbio la capacità di netanyahu di controllare gaza. infatti, un sondaggio condotto dal canale tv israeliano kan il 27 marzo, ha rilevato che il 53% degli israeliani ritiene che la risposta di netanyahu alla resistenza di gaza sia “troppo debole”. impossibilitato a contrattaccare con maggiore violenza, almeno per ora, il governo netanyahu ha reagito aprendo un altro fronte, questa volta nelle prigioni israeliane. attaccando i prigionieri, soprattutto quelli legati ad alcune fazioni di gaza, netanyahu spera di inviare un messaggio di forza e di rassicurare il suo nervoso elettorato sulla propria prodezza. consapevole della strategia israeliana, il leader politico di hamas, ismail haniyeh, ha messo in relazione il cessate il fuoco alla questione dei prigionieri. “siamo pronti a qualsiasi scenario”, ha detto haniyeh in una dichiarazione. in verità, la guerra di netanyahu e erdan contro i prigionieri palestinesi è folle e impossibile da vincere. e’ stata scatenata sul presupposto che una guerra di questo genere avrebbe rischi limitati, dato che i prigionieri sono, per definizione, isolati e incapaci di controffensiva. al contrario, i prigionieri palestinesi hanno dimostrato senza alcun dubbio la propria tenacia e capacità di trovare modi di resistenza all’occupante israeliano nel corso degli anni. ma, cosa ancor più importante, questi prigionieri non sono affatto isolati. di fatto, i quasi 6000 prigionieri palestinesi nelle carceri israeliane rappresentano una parvenza di unità tra i palestinesi che trascenda le fazioni, le politiche e l’ideologia. considerando l’impatto diretto della situazione nelle prigioni israeliane sulla psicologia collettiva di tutti i palestinesi, qualunque ulteriore mossa avventata da parte di netanyahu, erdan e dei loro sgherri del sistema penitenziario israeliano avrà come risultato una più ampia resistenza collettiva, una lotta che israele non può soffocare facilmente. le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di ma’an news agency. ramzy baroud è giornalista, autore e redattore di palestine chronicle. il suo ultimo libro è the last earth: a palestinian story [l’ultima terra: una storia palestinese] (pluto press, londra, 2018). ha conseguito un dottorato di ricerca in studi palestinesi presso l’università di exeter ed è studioso non residente presso il centro orfalea per gli studi globali e internazionali, ucsb. (traduzione di cristiana cavagna) . democrazia secondo israele. hagai el ad . 7 aprile 2019 new york times . un’elezione, un piano di pace e un’occupazione senza fine . [el-ad è il direttore esecutivo dell’organizzazione per i diritti umani israeliana b’tselem] . gerusalemme. quando sarà “svelato” l’accordo del secolo”,come il presidente trump ha definito il suo prossimo piano per la pace israelo-palestinese? certamente non prima del 9 aprile, quando si terranno le prossime elezioni in israele. ma quanto tempo dopo? “in meno di 20 anni”, ha detto evasivamente il segretario di stato mike pompeo di recente a una commissione parlamentare. in ogni caso, i piani di pace americani non sono una novità. qualcuno ricorda, ad esempio, i piani rogers, dal nome del segretario di stato william p. rogers, in servizio sotto il presidente richard nixon 50 anni fa? quando il secondo dei suoi piani fu discusso alla knesset nel 1970, un parlamentare israeliano prefigurò fiduciosamente che “non ci vorrà molto tempo – un anno, un anno e mezzo, due al massimo – perché quella cosa chiamata ‘territori occupati’ non esista più, e l’esercito israeliano possa tornare nei confini di israele”. inutile dire che quella “cosa” è lungi dal “non esistere più”. mentre i piani rogers sono quasi del tutto scomparsi dalla memoria, cancellati da una serie di piani presentati dai successivi presidenti americani, la realtà dei territori palestinesi occupati semplicemente non si è fermata. l’occupazione di israele si è approfondita e trasformata. gaza è diventata la più grande prigione a cielo aperto del mondo, ogni tanto bombardata per sottometterla; gerusalemme est è stata formalmente annessa ad israele; la cisgiordania è diventata un arcipelago di bantustan palestinesi, circondato da insediamenti, mura e posti di blocco, soggetto a una combinazione di violenza di stato e dei coloni. eppure la vera prodezza di israele è stata non solo di portare a termine tutto questo, ma di farlo impunemente, provocando reazioni minime da parte del resto del mondo, aggrappandosi in qualche modo nelle pubbliche relazioni alla preziosa etichetta di “vivace democrazia”. è la storia di questi ultimi 50 anni che dovremmo riconoscere come il vero accordo: quello che è già in vigore, l’accordo del mezzo secolo. in questo accordo, finché israele procede nell’impresa dell’occupazione con un livello di brutalità appena al di sotto di quello che susciterebbe l’indignazione internazionale, gli è permesso di continuare, godendo ancora di vari privilegi internazionali corroborati – come ha recentemente affermato il primo ministro benjamin netanyahu – dal grandioso impegno, ovviamente falso, verso i “valori condivisi di libertà e democrazia”. il che ci porta al 9 aprile, quando gli israeliani voteranno per un parlamento che governa sia i cittadini israeliani che milioni di soggetti palestinesi a cui è negato lo stesso diritto. i coloni israeliani in cisgiordania non hanno nemmeno bisogno di andare fino ad un seggio elettorale in israele per votare sul destino dei loro vicini palestinesi. anche i coloni nel cuore di hebron possono votare proprio lì, con 285 elettori registrati (su una popolazione totale di circa 1.000 coloni), circondati da circa 200.000 palestinesi senza voto. o come la definisce israele, “democrazia”. questa è la quindicesima elezione nazionale dall’inizio dell’occupazione, e forse quella in cui le vite dei palestinesi contano meno, tranne che per conteggiarne i morti e celebrarne la distruzione. all’inizio di quest’anno, il generale benny gantz, ora leader del nuovo partito “centrista” che rappresenta la maggiore sfida al primo ministro benjamin netanyahu, ha pubblicato un video che mette in evidenza quanti “terroristi” palestinesi siano stati uccisi a gaza nell’estate del 2014, quando il signor gantz era a capo dei comandi militari. (secondo una ricerca condotta da b’tselem, la maggior parte delle vittime dell’esercito israeliano quell’estate erano civili, di cui oltre 500 bambini.) da parte sua, il signor netanyahu ha promesso che se rimarrà in carica l’occupazione continuerà. “non dividerò gerusalemme, non evacuerò alcuna comunità e farò in modo di controllare il territorio a ovest della giordania”, ha detto in un’intervista nel fine settimana. invece dei diritti e della libertà per i palestinesi, la campagna elettorale si è concentrata sul probabile rinvio a giudizio di netanyahu per accuse di corruzione. ma è davvero importante per una famiglia palestinese il cui figlio sarà ucciso impunemente o la cui casa sarà rasa al suolo se il
primo ministro responsabile di quelle politiche è corrotto o irreprensibile? ad un certo punto, dopo il 9 aprile, potremo finalmente sapere che “piano” abbia in mente l’amministrazione trump. in effetti, non si può fare a meno di chiedersi se non stia già prendendo forma sotto i nostri occhi: lo scorso maggio, l’amministrazione trump spostò l’ambasciata degli stati uniti da tel aviv a gerusalemme; pochi mesi dopo, interruppe gli aiuti ai palestinesi e all’agenzia delle nazioni unite che aiuta i profughi palestinesi; più recentemente, ha esteso il riconoscimento della sovranità di israele sulle alture del golan, mossa celebrata da una fonte ufficiale israeliana come segno di ciò che accadrà riguardo al futuro della cisgiordania. è difficile credere che “l’accordo del secolo” sarà qualcosa di diverso da una continuazione dell’accordo di mezzo secolo. david m. friedman, ambasciatore dell’amministrazione trump in israele, lo ha più o meno ammesso in un’intervista a the washington examiner [sito di notizie e rivista gratuita di destra, ndt.], quando ha affermato che l’amministrazione vorrebbe “vedere l’autonomia palestinese migliorare in modo significativo, a patto che non metta a rischio la sicurezza israeliana “. ma i palestinesi meritano piena libertà, non una maggiore autonomia spacciata dall’america, che suggerisce null’altro che il proseguimento dell’occupazione israeliana. il che significa un futuro basato non sulla giustizia né sul diritto internazionale, ma su maggior controllo, oppressione e violenza di stato. a meno che la comunità internazionale non tolga di mezzo l’accordo del mezzo secolo, facendo sì che israele scelga finalmente tra l’ulteriore oppressione dei palestinesi o il subire delle effettive conseguenze, l’occupazione continuerà. l’amministrazione trump, chiaramente, non è all’altezza di questo compito. ma le nazioni unite, tra cui il consiglio di sicurezza, i principali stati membri dell’unione europea – principale partner commerciale di israele – e l’opinione pubblica internazionale hanno tutti una notevole possibilità di intervento. e gli americani che credono sinceramente nei diritti umani e nella democrazia, non solo come vuoti slogan o elementi di una contrattazione, ma come rivendicazioni autentiche, non hanno bisogno di aspettare fino al 2020 per mostrare il loro potere politico. insieme all’occupazione sistematica delle terre e all’imposizione di restrizioni sulla libertà di movimento, la negazione dei diritti politici è stata una delle pietre angolari dell’apartheid in sudafrica. anche quel paese si considerava una democrazia. molti israeliani considerano il 9 aprile una festa della democrazia. non lo è. questo giorno di elezioni non dovrebbe essere altro che il doloroso ricordo di una realtà profondamente antidemocratica, che l’amministrazione trump sembra felice di perpetuare – e che il resto della comunità internazionale continuerà a permettere finché non smetterà finalmente di guardare dall’altra parte. noi, i quasi 14 milioni di esseri umani che vivono in questa terra, abbiamo bisogno di un futuro per cui valga la pena di combattere: basato sulla comune umanità di palestinesi e israeliani che credono in un futuro di giustizia, uguaglianza, diritti umani e democrazia – per tutti noi. (traduzione di luciana. galliano) . niente più scuse: gli elettori israeliani hanno scelto un paese che rispecchierà i regimi brutali dei loro vicini arabi. se l’occidente può perdonare un governo arabo che bombarda lo yemen, può continuare a perdonare un governo israeliano che bombarda gaza. english version . robert fisk – 11 aprile 2019 . immagino che adesso tutti quanti avremo finito le scuse. l’israele di bibi netanyahu non sarà un nuovo israele più schierato a destra. è così già da molto tempo. è la propaganda che sta per cadere a pezzi. l’unica democrazia in medio oriente. concedetemi una pausa. penso che ora israele assomigli molto ai suoi vicini arabi. sottomette la propria minoranza araba e il suo nuovo primo ministro ha promesso di annettere gran parte del territorio legalmente appartenente ai suoi connazionali arabi palestinesi, quelle stesse colonie costruite su terre che sono già state rubate a beneficio della maggioranza della popolazione ebraica in israele. compresa gerusalemme con i suoi circa 5.700 chilometri quadrati, appena un terzo delle dimensioni del kuwait , per il quale siamo andati in guerra quando nel 1990 saddam hussein si annetté l’emirato. anche in questo israele sta cominciando ad assomigliare ad altre nazioni del medio oriente. bombarda e minaccia i suoi vicini, detiene prigionieri politici palestinesi con accuse pretestuose e governa oltre due milioni di arabi palestinesi con squadre di poliziotti killer, esecuzioni extragiudiziali, torture e spie al suo soldo. addirittura dichiara di non occupare le case e le terre di queste persone. si potrebbe sentire ripetere la stessa cosa in tutti i paesi arabi. andate a riyadh, damasco, il cairo, iraq (quando era sotto saddam). “con il nostro sangue e le nostre anime, ci sacrifichiamo a te”, gridano gli arabi. ora che gli israeliani hanno votato netanyahu e i suoi scandalosi alleati riconfermandolo al potere, anch’essi hanno sacrificato le loro anime a bibi. non, forse, il loro sangue, perché anche bibi sa che le guerre lunghe e dolorose non sono ciò che gli israeliani hanno votato. per israele vanno bene quelle brevi ed indolori, sono gli arabi che devono sopportarlo, il dolore. hanno dietro di sé l’america, come sicuramente gli arabi avevano dietro di sè l’unione sovietica e, in molti casi, ora hanno gli americani. la meschina reazione di trump alla vittoria di netanyahu mostra che i critici americani di israele non possono aspettarsi pietà dagli “amici”di israele negli stati uniti. grazie al cielo, israele ha ancora qualche critica al suo interno. l’immortale gideon levy, che scrive per l’altrettanto immortale , si spera, giornale israeliano haaretz, ha surclassato ogni giornalista occidentale per coraggio e verità quando ha scritto la sua terrificante risposta alle elezioni di questa settimana in quella che ha definito “la nuova miserabile repubblica d’israele”. la “seconda repubblica d’israele”, ha scritto, “non nasconderà più nulla di ciò che sta accadendo nel suo cortile dietro casa e non cercherà più di abbellire la realtà. sembrerà esattamente ciò è. la prima repubblica era caratterizzata da un misto di realtà e d’inganno, l’unica democrazia in medio oriente ma prima con un governo militare nelle aree arabe, poi con una dittatura militare nei territori occupati. ” diceva che era la beniamina del medio oriente, ma era anche l’ultimo regime coloniale del mondo, scrive levy. “dice di essere un membro stimato della famiglia delle nazioni, ma infrange quasi ogni legge internazionale e non annette la terra occupata così da poter creare un falso senso di provvisorietà. è orgogliosa dello stato di diritto di questo paese e della corte suprema … tutto ciò è finito. il prossimo governo sarà una continuazione del precedente, ma più forte, più ultra-nazionalista e razzista, meno legittimo e democratico. e, occorre ammetterlo, sarà un riflesso più veritiero della realtà … martedì gli elettori hanno espresso un sonoro sì a questo israele “. e gideon, che devo ammettere essere un amico oltre che un collega, elenca le nuove regole. “l’incendio che ha iniziato ad ardere durante il precedente governo si diffonderà. i tribunali, i media, i gruppi per i diritti umani e la comunità araba lo sperimenteranno rapidamente in prima persona. per legge, alcuni editoriali di questo giornale non potranno più essere pubblicati. ad esempio, sarà vietato criticare i soldati israeliani.qualcuno è contrario?” ..segue ./.
Segue da Pag.26: L’infinita guerra di Gaza: quel che Netanyahu spera di guadagnare attaccando i prigionieri

Netanyahu ha “perso la presa sulla sicurezza”, ha proclamato il capo del partito ‘Blue and White’ Benny Gantz.

L’accusa di Gantz è stata solo un altro insulto in una montagna di simili attacchi al vetriolo che mettono in dubbio la capacità di Netanyahu di controllare Gaza.

Infatti, un sondaggio condotto dal canale TV israeliano Kan il 27 marzo, ha rilevato che il 53% degli israeliani ritiene che la risposta di Netanyahu alla resistenza di Gaza sia “troppo debole”.

Impossibilitato a contrattaccare con maggiore violenza, almeno per ora, il governo Netanyahu ha reagito aprendo un altro fronte, questa volta nelle prigioni israeliane.

Attaccando i prigionieri, soprattutto quelli legati ad alcune fazioni di Gaza, Netanyahu spera di inviare un messaggio di forza e di rassicurare il suo nervoso elettorato sulla propria prodezza.

Consapevole della strategia israeliana, il leader politico di Hamas, Ismail Haniyeh, ha messo in relazione il cessate il fuoco alla questione dei prigionieri.

“Siamo pronti a qualsiasi scenario”, ha detto Haniyeh in una dichiarazione.

In verità, la guerra di Netanyahu e Erdan contro i prigionieri palestinesi è folle e impossibile da vincere. E’ stata scatenata sul presupposto che una guerra di questo genere avrebbe rischi limitati, dato che i prigionieri sono, per definizione, isolati e incapaci di controffensiva.

Al contrario, i prigionieri palestinesi hanno dimostrato senza alcun dubbio la propria tenacia e capacità di trovare modi di resistenza all’occupante israeliano nel corso degli anni. Ma, cosa ancor più importante, questi prigionieri non sono affatto isolati.

Di fatto, i quasi 6000 prigionieri palestinesi nelle carceri israeliane rappresentano una parvenza di unità tra i palestinesi che trascenda le fazioni, le politiche e l’ideologia.

Considerando l’impatto diretto della situazione nelle prigioni israeliane sulla psicologia collettiva di tutti i palestinesi, qualunque ulteriore mossa avventata da parte di Netanyahu, Erdan e dei loro sgherri del Sistema Penitenziario Israeliano avrà come risultato una più ampia resistenza collettiva, una lotta che Israele non può soffocare facilmente.

Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Ma’an News Agency.

Ramzy Baroud è giornalista, autore e redattore di Palestine Chronicle. Il suo ultimo libro è The Last Earth: A Palestinian Story [L’ultima terra: una storia palestinese] (Pluto Press, Londra, 2018). Ha conseguito un dottorato di ricerca in Studi Palestinesi presso l’Università di Exeter ed è studioso non residente presso il Centro Orfalea per gli studi globali e internazionali, UCSB.

(Traduzione di Cristiana Cavagna)


Democrazia secondo Israele



Hagai El Ad

7 aprile 2019 New York Times

Un’elezione, un piano di pace e un’occupazione senza fine

[El-Ad è il direttore esecutivo dell’organizzazione per i diritti umani israeliana B’Tselem]

GERUSALEMME. Quando sarà “svelato” l’accordo del secolo”,come il presidente Trump ha definito il suo prossimo piano per la pace israelo-palestinese?
Certamente non prima del 9 aprile, quando si terranno le prossime elezioni in Israele. Ma quanto tempo dopo? “In meno di 20 anni”, ha detto evasivamente il segretario di Stato Mike Pompeo di recente a una commissione parlamentare.

In ogni caso, i piani di pace americani non sono una novità. Qualcuno ricorda, ad esempio, i Piani Rogers, dal nome del Segretario di Stato William P. Rogers, in servizio sotto il presidente Richard Nixon 50 anni fa? Quando il secondo dei suoi piani fu discusso alla Knesset nel 1970, un parlamentare israeliano prefigurò fiduciosamente che “non ci vorrà molto tempo – un anno, un anno e mezzo, due al massimo – perché quella cosa chiamata ‘territori occupati’ non esista più, e l’esercito israeliano possa tornare nei confini di Israele”.
Inutile dire che quella “cosa” è lungi dal “non esistere più”. Mentre i Piani Rogers sono quasi del tutto scomparsi dalla memoria, cancellati da una serie di piani presentati dai successivi presidenti americani, la realtà dei territori palestinesi occupati semplicemente non si è fermata. L’occupazione di Israele si è approfondita e trasformata. Gaza è diventata la più grande prigione a cielo aperto del mondo, ogni tanto bombardata per sottometterla; Gerusalemme Est è stata formalmente annessa ad Israele; la Cisgiordania è diventata un arcipelago di Bantustan palestinesi, circondato da insediamenti, mura e posti di blocco, soggetto a una combinazione di violenza di Stato e dei coloni. Eppure la vera prodezza di Israele è stata non solo di portare a termine tutto questo, ma di farlo impunemente, provocando reazioni minime da parte del resto del mondo, aggrappandosi in qualche modo nelle pubbliche relazioni alla preziosa etichetta di “vivace democrazia”.

È la storia di questi ultimi 50 anni che dovremmo riconoscere come il vero accordo: quello che è già in vigore, l’accordo del mezzo secolo. In questo accordo, finché Israele procede nell’impresa dell’occupazione con un livello di brutalità appena al di sotto di quello che susciterebbe l’indignazione internazionale, gli è permesso di continuare, godendo ancora di vari privilegi internazionali corroborati – come ha recentemente affermato il primo ministro Benjamin Netanyahu – dal grandioso impegno, ovviamente falso, verso i “valori condivisi di libertà e democrazia”.

Il che ci porta al 9 aprile, quando gli israeliani voteranno per un parlamento che governa sia i cittadini israeliani che milioni di soggetti palestinesi a cui è negato lo stesso diritto. I coloni israeliani in Cisgiordania non hanno nemmeno bisogno di andare fino ad un seggio elettorale in Israele per votare sul destino dei loro vicini palestinesi. Anche i coloni nel cuore di Hebron possono votare proprio lì, con 285 elettori registrati (su una popolazione totale di circa 1.000 coloni), circondati da circa 200.000 palestinesi senza voto. O come la definisce Israele, “democrazia”.

Questa è la quindicesima elezione nazionale dall’inizio dell’occupazione, e forse quella in cui le vite dei palestinesi contano meno, tranne che per conteggiarne i morti e celebrarne la distruzione. All’inizio di quest’anno, il generale Benny Gantz, ora leader del nuovo partito “centrista” che rappresenta la maggiore sfida al primo ministro Benjamin Netanyahu, ha pubblicato un video che mette in evidenza quanti “terroristi” palestinesi siano stati uccisi a Gaza nell’estate del 2014, quando Il signor Gantz era a capo dei comandi militari. (Secondo una ricerca condotta da B’Tselem, la maggior parte delle vittime dell’esercito israeliano quell’estate erano civili, di cui oltre 500 bambini.) Da parte sua, il signor Netanyahu ha promesso che se rimarrà in carica l’occupazione continuerà. “Non dividerò Gerusalemme, non evacuerò alcuna comunità e farò in modo di controllare il territorio a ovest della Giordania”, ha detto in un’intervista nel fine settimana.
Invece dei diritti e della libertà per i palestinesi, la campagna elettorale si è concentrata sul probabile rinvio a giudizio di Netanyahu per accuse di corruzione. Ma è davvero importante per una famiglia palestinese il cui figlio sarà ucciso impunemente o la cui casa sarà rasa al suolo se il
primo ministro responsabile di quelle politiche è corrotto o irreprensibile?
Ad un certo punto, dopo il 9 aprile, potremo finalmente sapere che “piano” abbia in mente l’amministrazione Trump. In effetti, non si può fare a meno di chiedersi se non stia già prendendo forma sotto i nostri occhi: lo scorso maggio, l’amministrazione Trump spostò l’ambasciata degli Stati Uniti da Tel Aviv a Gerusalemme; pochi mesi dopo, interruppe gli aiuti ai palestinesi e all’agenzia delle Nazioni Unite che aiuta i profughi palestinesi; più recentemente, ha esteso il riconoscimento della sovranità di Israele sulle alture del Golan, mossa celebrata da una fonte ufficiale israeliana come segno di ciò che accadrà riguardo al futuro della Cisgiordania.

È difficile credere che “l’accordo del secolo” sarà qualcosa di diverso da una continuazione dell’accordo di mezzo secolo. David M. Friedman, ambasciatore dell’amministrazione Trump in Israele, lo ha più o meno ammesso in un’intervista a The Washington Examiner [sito di notizie e rivista gratuita di destra, ndt.], quando ha affermato che l’amministrazione vorrebbe “vedere l’autonomia palestinese migliorare in modo significativo, a patto che non metta a rischio la sicurezza israeliana “. Ma i palestinesi meritano piena libertà, non una maggiore autonomia spacciata dall’America, che suggerisce null’altro che il proseguimento dell’occupazione israeliana. Il che significa un futuro basato non sulla giustizia né sul diritto internazionale, ma su maggior controllo, oppressione e violenza di Stato.

A meno che la comunità internazionale non tolga di mezzo l’accordo del mezzo secolo, facendo sì che Israele scelga finalmente tra l’ulteriore oppressione dei palestinesi o il subire delle effettive conseguenze, l’occupazione continuerà. L’amministrazione Trump, chiaramente, non è all’altezza di questo compito. Ma le Nazioni Unite, tra cui il Consiglio di Sicurezza, i principali Stati membri dell’Unione Europea – principale partner commerciale di Israele – e l’opinione pubblica internazionale hanno tutti una notevole possibilità di intervento. E gli americani che credono sinceramente nei diritti umani e nella democrazia, non solo come vuoti slogan o elementi di una contrattazione, ma come rivendicazioni autentiche, non hanno bisogno di aspettare fino al 2020 per mostrare il loro potere politico.

Insieme all’occupazione sistematica delle terre e all’imposizione di restrizioni sulla libertà di movimento, la negazione dei diritti politici è stata una delle pietre angolari dell’apartheid in Sudafrica. Anche quel paese si considerava una democrazia.

Molti israeliani considerano il 9 aprile una festa della democrazia. Non lo è. Questo giorno di elezioni non dovrebbe essere altro che il doloroso ricordo di una realtà profondamente antidemocratica, che l’amministrazione Trump sembra felice di perpetuare – e che il resto della comunità internazionale continuerà a permettere finché non smetterà finalmente di guardare dall’altra parte. Noi, i quasi 14 milioni di esseri umani che vivono in questa terra, abbiamo bisogno di un futuro per cui valga la pena di combattere: basato sulla comune umanità di palestinesi e israeliani che credono in un futuro di giustizia, uguaglianza, diritti umani e democrazia – per tutti noi.

(traduzione di Luciana. Galliano)

Niente più scuse: gli elettori israeliani hanno scelto un Paese che rispecchierà i regimi brutali dei loro vicini arabi



Se l’occidente può perdonare un governo arabo che bombarda lo Yemen, può continuare a perdonare un governo israeliano che bombarda Gaza.

English version

Robert Fisk – 11 aprile 2019

Immagino che adesso tutti quanti avremo finito le scuse. L’Israele di Bibi Netanyahu non sarà un nuovo Israele più schierato a destra. È così già da molto tempo. È la propaganda che sta per cadere a pezzi. L’unica democrazia in Medio Oriente. Concedetemi una pausa.

Penso che ora Israele assomigli molto ai suoi vicini arabi. Sottomette la propria minoranza araba e il suo nuovo Primo Ministro ha promesso di annettere gran parte del territorio legalmente appartenente ai suoi connazionali Arabi Palestinesi, quelle stesse colonie costruite su terre che sono già state rubate a beneficio della maggioranza della popolazione ebraica in Israele.

Compresa Gerusalemme con i suoi circa 5.700 chilometri quadrati, appena un terzo delle dimensioni del Kuwait , per il quale siamo andati in guerra quando nel 1990 Saddam Hussein si annetté l’Emirato. Anche in questo Israele sta cominciando ad assomigliare ad altre nazioni del Medio Oriente.

Bombarda e minaccia i suoi vicini, detiene prigionieri politici palestinesi con accuse pretestuose e governa oltre due milioni di Arabi palestinesi con squadre di poliziotti killer, esecuzioni extragiudiziali, torture e spie al suo soldo. Addirittura dichiara di non occupare le case e le terre di queste persone. Si potrebbe sentire ripetere la stessa cosa in tutti i Paesi Arabi. Andate a Riyadh, Damasco, Il Cairo, Iraq (quando era sotto Saddam). “Con il nostro sangue e le nostre anime, ci sacrifichiamo a te”, gridano gli Arabi.

Ora che gli Israeliani hanno votato Netanyahu e i suoi scandalosi alleati riconfermandolo al potere, anch’essi hanno sacrificato le loro anime a Bibi. Non, forse, il loro sangue, perché anche Bibi sa che le guerre lunghe e dolorose non sono ciò che gli Israeliani hanno votato. Per Israele vanno bene quelle brevi ed indolori, sono gli Arabi che devono sopportarlo, il dolore.

Hanno dietro di sé l’America, come sicuramente gli Arabi avevano dietro di sè l’Unione Sovietica e, in molti casi, ora hanno gli Americani. La meschina reazione di Trump alla vittoria di Netanyahu mostra che i critici americani di Israele non possono aspettarsi pietà dagli “amici”di Israele negli Stati Uniti. Grazie al cielo, Israele ha ancora qualche critica al suo interno.

L’immortale Gideon Levy, che scrive per l’altrettanto immortale , si spera, giornale israeliano Haaretz, ha surclassato ogni giornalista occidentale per coraggio e verità quando ha scritto la sua terrificante risposta alle elezioni di questa settimana in quella che ha definito “la nuova miserabile repubblica d’Israele”.

La “Seconda Repubblica d’Israele”, ha scritto, “non nasconderà più nulla di ciò che sta accadendo nel suo cortile dietro casa e non cercherà più di abbellire la realtà. Sembrerà esattamente ciò è. La Prima Repubblica era caratterizzata da un misto di realtà e d’inganno, l’unica democrazia in Medio Oriente ma prima con un governo militare nelle aree arabe, poi con una dittatura militare nei Territori Occupati. ”

Diceva che era la beniamina del Medio Oriente, ma era anche l’ultimo regime coloniale del mondo, scrive Levy.

“Dice di essere un membro stimato della famiglia delle nazioni, ma infrange quasi ogni legge internazionale e non annette la terra occupata così da poter creare un falso senso di provvisorietà. È orgogliosa dello stato di diritto di questo Paese e della Corte Suprema … Tutto ciò è finito. Il prossimo governo sarà una continuazione del precedente, ma più forte, più ultra-nazionalista e razzista, meno legittimo e democratico. E, occorre ammetterlo, sarà un riflesso più veritiero della realtà … Martedì gli elettori hanno espresso un sonoro sì a questo Israele “.

E Gideon, che devo ammettere essere un amico oltre che un collega, elenca le nuove regole. “L’incendio che ha iniziato ad ardere durante il precedente governo si diffonderà. I tribunali, i media, i gruppi per i diritti umani e la comunità araba lo sperimenteranno rapidamente in prima persona. Per legge, alcuni editoriali di questo giornale non potranno più essere pubblicati. Ad esempio, sarà vietato criticare i soldati israeliani.Qualcuno è contrario?”

..segue ./.

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