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La VOCE 1905

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La VOCE ANNO XXI N°9

maggio 2019

PAGINA 6

segue da pag.5: era la stampa, bellezza. si è uccisa. dal russiagate al russiaflop e all’arresto di assange. fenomeno naturale quanto le frane dai declivi disboscati. tre miei dvd gratis a colui che mi scopre, ovviamente nel monopolarismo del sistema mediatico nostrano (in rete è facile), un’inchiesta di giornalone su come dall’africa, fino al nuovo colonialismo, non arrivasse nessuno, anzi, tutti si battessero a casa loro per la liberazione da britannici e francesi, e che solo ora, ripresentatisi missionari, ong e manager multinazionali e impostosi, grazie alla crisi, un riesame del costo del lavoro, fossero partiti i barconi. russiagate: russi sotto il letto e cia a capotavola. fino all’obliterazione nucleare. tutto questo si può perfino definire una compagna di sbrindellati e sgangherati, rispetto alla falange d’acciaio mediatico-politica che si è formata a sostegno della crociata anti-putin del russiagate e del suo alfiere, il procuratore robert mueller. per quasi tre anni inarrestabile macchina del fumo, l’ex-marine volontario in vietnam, ex-direttore dell’fbi, era sostenuto nell’impresa da quello che chiamano stato profondo, invisibile, ma decisivo, tutti ex-fbi o cia, la crème de la crème della nazione eccezionale, quella che governa davvero e rimuove chi non ci sta. da kennedy a nixon a, tentativo fallito, trump. che poi è la stessa che s’è inventata la pulizia etnica di milosevic, le armi di distruzione di massa di saddam, i piloti sauditi contro le torri gemelle e, appunto, il golem russia. per oltre due anni i garzoni di bottega dell’informazione anglo-sassone, si sono rappresentati e profondamente sentiti l’armata di giannizzeri del sultano mueller. e anche da noi il russiagate era bibbia, codice d’onore, sfrenata passione. non ha sgarrato nessuno. mancava ogni minima prova o evidenza che hillary clinton fosse stata sabotata, non dalle proprie, diciamo, improprietà affaristiche, consociative, guerresche, golpiste, bensì dalla collusione tra putin e il suo burattino a stelle e strisce. c’era solo un dossier di stronzate, redatto dalla spia britannica christopher steele, pagato con fondi del partito democratico e da mueller e svaporato nel nulla appena mueller ha aperto la cartella. altro che buco nero! rasentando un surrealismo sublime, lo stato, che non aveva mancato di interferire in ogni processo politico, in ogni elezione, in ogni economia, in ogni perversione culturale dal 1945 a stamattina, accusava i russi di essersi piazzati negli armadi e sotto il letto di trump. non solo, di tutti i suoi sostenitori, di tutti i governanti devianti, di tutti i cittadini inosservanti. obiettivo: l’impeachment, la cacciata dell’imprevisto, incalcolato, mai visto al circolo della caccia. magnifico assist, oltre a tutto, per scaricare sui maneggi e intrighi russi ogni fatto e vicenda non consoni alle aspettative dei regnanti in occidente: dai gilet gialli, ai vittoriosi nel nostro referendum, da salvini a di maio, dagli skipral, avvelenati col novichok (prodotto, peraltro, nel vicino stabilimento uk di porton down), alla brexit, al morbillo e alla zanzara tigre. milioni di articoli, tonnellate di inchiostro, milioni di chilometri di nastro, vignette a strafottere, per costruire un orso russo così mostruoso e kolossal da meritarsi una gragnuola nucleare in testa. senza di che, appunto, non sarebbe stato possibile convincere la gente che piuttosto di essere divorati da quell’orso, sarebbe stato meglio farsi incenerire dalle atomiche dei giusti. che poi era l’obiettivo ultimo di tutto il can can. il rapporto con cui un pur volenteroso mueller ha dovuto comunicare al ministro della giustizia william barr e al resto del mondo che tutto questo era stata una gigantesca fola, burla, frode, presa per il culo, minchiata, che non c’era la minima prova che i russi abbiano interferito nelle elezioni per favorire trump (oltretutto spasmodicamente illogico, vista la qualità del soggetto) e che trump non ha mai ostacolato la giustizia, sta all’everest di panna al cianuro costruito dai media, come il testè scoperto buco nero sta a inferno e paradiso, come rifilatici da precedenti persuasori manifesti. si tratta sicuramente del più grande flop, fiasco, smacco mai inflittosi da una così sconfinata platea di frodatori. e del più grave insulto, inganno, imbroglio, circonvenzione, impostura, abbaglio inflitto a noi, disarmati utenti. la conclusione è univoca e inesorabile: questa gente, questo apparato, questo moloch d’occidente, non ha più e non avrà più alcuna credibilità. né su questo, né su alcun’altra nefandezza propagandistica e mistificatoria che vorranno servire ai loro manovratori. ingannati miliardi, rasentato la guerra totale? non è successo niente. protervia e mancanza di alternativa (se non in rete, gli dei ce la salvino perché i demoni le daranno addosso, ora più che mai) gli permettono di nemmeno scusarsi con i miliardi di esseri umani che hanno turlupinato e agganciato al carro della guerra alla russia. non provano nemmeno a commettere un gesto di resipiscenza. anzi. del resto dov’ è la procura che si azzarda a ipotizzare una sfilza di reati, tipo frode, falsa testimonianza, abuso di credulità, circonvenzione di incapace, falso in atto pubblico, concussione, corruzione, incitamento all’odio … per quanto grossi e operativi come squali? una parte, quella degli ignavi, se ne sta zitta, facendo finta di niente. non ne parla. non è successo niente. un’altra si trasforma da vipera pestata in free-climber sugli specchi. e’ il caso, per esempio, di guido caldiron, firma della comunità nel “manifesto”, che, fin dai suoi fasti in “liberazione”, si prodigava senza macchia e paura per qualsivoglia primavera di velluto che a soros piacesse, in particolare quelle gradite a israele. e se i media statunitensi si arrabattano tra richieste a barr di rendere noto tutto il rapporto mueller, che sicuramente qualcosa di russo ci si trova, e la ricerca di altre porcate di trump, il nostro segugio si salva con la “russia connection” che unirebbe tutta la destra, con putin che, perso trump, ora se la spassa sul lettone con le camicie brune e nere di tutta europa. come no, lo sospettano anche “liberation”, “le monde”, la bbc. gli stessi sinistri vedovi del russiagate. sgonfiato il russiagate, pompiamo il cinagate, consoliamoci con le nuove “primavere arabe” . altri ancora, cambiano bersaglio e, nell’impudenza come marchio deontologico, trovano altri servi encomi e codarde ingiurie da praticare: migranti, libia e, soprattutto, cina, come ora vogliono il pentagono e l’intelligence. tanto che, subito, la presunta alternativa di “manifesto “ e “fatto quotidiano” s’è impegnata nel fresco di giornata “cinagate”: una campagna che descrive quel paese come poco meno di un orrendo campo di concentramento dove si sorveglia, controlla e punisce perfino il respiro che non esca dritto dalla bocca formulando la scritta xi jinping. descrizione che ovviamente fa da antidoto alla buona impressione di progresso, comunicazione, pace, che qualcuno ha potuto illudersi che fosse la nuova via della seta. primeggiano nella luce dell’informazione di servizio i depistatori che si gettano sulle “primavere arabe” dei paesi ostici da normalizzare: sudan e algeria. e qui grande è la delusione per il fatto che non tutto del classico programma soros-cia abbia funzionato, dato che i militari hanno sventato l’auspicata maidan arabo-africana. se ne rammaricano i media del colonialismo – “manifesto”, “fatto quotidiano”, tg, tutti – che già a suo tempo avevano operato per tagliare al sudan il sud petrolifero (usa, israele, vaticano) e che poi avevano fatto passare una disputa per l’acqua tra agricoltori e allevatori del darfur, altro pezzo da amputare al sudan, come spietata caccia all’uomo dei governativi “diavoli a cavallo”, i “janjawid”. li ritrovate tutti quanti a fianco dei “ribelli” siriani, mentre fanno finta che tra questi e quelli che bruciano o scorticano vivi civili e soldati, ci sia differenza. l'arresto ieri scotland yard ha arrestato a londra julian assange. ​il fondatore di wikileaks è stato portato via dalla polizia metropolitana di londra dall'ambasciata ecuadoriana, dove si trovava da 7 anni, e trasferito in commissariato. lunga barba e capelli bianchi, al momento del suo arresto assange aveva in mano un libro di gore vidal: "history of the national security state". le immagini dell'arresto di julian assange sono state trasmesse dall'agenzia russa ruptly. dopo che l'ecuador ha revocato al fondatore di wikileaks l'asilo, l'ambasciata di quito a londra lo ha espulso dall'edificio. assange, dopo l'arresto, è stato portato dinanzi alla corte dei magistrati di westminster. assange dichiarato colpevole di aver violato i termini della cauzione julian assange è stato riconosciuto colpevole immediatamente di fronte alla westminster magistrates' court di londra di aver violato i termini della cauzione nel 2012 per non essersi presentato allora dal giudice ed essersi invece rifugiato nell'ambasciata dell'ecuador. per questo reato rischia una pena fino a 12 mesi di carcere nel regno unito (la sentenza precisa sarà definita più avanti) in attesa che le autorità britanniche decidano anche sulla richiesta di estradizione presentata dagli usa. assange si era dichiarato non colpevole dell'accusa di aver violato i termini della libertà provvisoria concessagli dalla giustizia britannica e di non essersi presentato davanti alla corte di westminster nel giugno 2012, quando decise di rifugiarsi nell'ambasciata dell'ecuador a londra. - see more at: http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/arresto-di-assange-corbyn-gb-dica-no-a-estradizione-in-usa-in-carcere-anche-informatico-svedese-feb6c2c6-669a-4c8a-8a9a-2d6a38c8886f.html.
.il contrapasso . il ministro della giustizia barr annuncia un’inchiesta, non più sulle mene anti-usa di mosca, ma proprio su quelle anti-mosca del russiagate. indagate alcune delle più pregiate agenzie di sicurezza e spionaggio americane. a partire dall’fbi e dalla cia, nel suo prestigioso ex-capo, nemico mortale di trump, john brennan. sembra il contrappasso di dante. chissà che non gli venga voglia, visto che gli usa rivendicano una giurisdizione su tutto il globo, di inquisire e inchiodare anche un po’ di fake giornalisti autori della fake news più grossa del secolo? non ci opporremmo, visto che dalla procura di roma, se non c’è di mezzo virginia raggi, poco c’è da aspettarsi. assange: colpita al cuore la libertà. non solo di stampa . chelsea manning . infame e segno di arbitrio assoluto e di totale disprezzo del diritto e della democrazia sono l’arresto di julian assange e il rientro nel carcere, e addirittura in isolamento, di chelsea (bradley, quando era uomo) manning. chelsea, imprigionata per aver avuto la dignità e il coraggio di non testimoniare contro assange davanti a una di quelle mostruosità giuridiche che sono i gran giurì segreti, veri tribunali speciali, è l’ex-analista dei servizi del pentagono che a wikileaks ha fornito molti dei dati che rivelano e denunciano i crimini contro l’umanità e di guerra delle truppe nato e usa nei vari teatri di guerra, come anche gli intrighi e i complotti e le operazioni terroristiche tessuti con governi complici a danni della pace, della legge, dei dissidenti. un quadro raccapricciante basato su centinaia di migliaia di messaggi riservati passati tra governo usa e sue ambasciate e governi alleati. niente di sorprendente per chi ha presente quanto le operazioni segrete usa, con gladio, stay behind, mafia, terrorismo neofascista e rosso, hanno fatto in italia e in altri paesi. assange al momento dell’arresto . assange, una di quelle gole profonde (whistleblower), come edward snowden che ci ha rivelato come la nsa spiasse l’universo mondo, di cui tanto avremmo bisogno per infrangere occultamenti e inganni di regime e mediatici, viene non per caso stigmatizzato con particolare livore da coloro che coltivano il seme del tradimento e la proliferazione degli amici del giaguaro. in europa eccellano giornali quinte colonne come il “manifesto”, “liberation”, “le monde” e “the guardian”, che è arrivato, poi costretto a ritrattare e a scusarsi, a inventare una visita di paul manaford, responsabile della campagna presidenziale di trump, ad assange, nell’ambasciata, per concordare con lui lanci di fango contro hillary. ho incontrato rafael correa prima a quito, alla vigilia della sua vittoria per la presidenza sull’onda della “revolucion ciudadana” che liberò il paese dai manutengoli degli usa e la fece entrare nel consesso antimperialista dell’a.l.b.a. e, poi, a roma, dove fece tappa per un tour di denuncia del cambio di rotta operato da lenin moreno e dei rischi ora corsi da assange. mi disse che washington, i servizi americani, non avrebbero mollato l’osso e che occorreva con la massima urgenza una mobilitazione del giornalismo onesto e libero e dei cittadini che lo consideravano essenziale alla democrazia per salvare uno dei più validi assertori del diritto alla conoscenza di ciò che fanno i governanti. scrissi qualcosa, mi guardai in giro, non si sentiva volare una mosca. né, tanto meno, una parola in difesa di assange. la fnsi sparava ipocrito sdegno contro chi, nel mondo politico, osava criticare l’irreprensibile professione. amnesty, hrw e gli altri umanitari non assumono “prigionieri di coscienza” catturati dagli amici. oggi i poteri che mirano a stringere il mondo intero nella loro morsa a forza di menzogne, soffocamento, terrorismo e guerre, hanno trovato chi sacrificare al dio mammone. uno che gli ha dato davvero fastidio. quanto resiste, a fatica, del giornalismo mondiale, da anni leva la sua voce in difesa di wikileaks e del suo fondatore. presidi e manifestazioni si sono tenuti ovunque. non da noi. e cosa fanno i colleghi i italiani di assange e manning? quando non sputano, guardano dall’altra parte. e mai nello specchio. concludo con queste parole di alessandro di battista: “il governo italiano ha il dovere di mettere in campo ogni iniziativa possibile a sostegno di assange e di wikileaks, un’organizzazione alla quale tutti quanti dobbiamo moltissimo. se lo farà, bene, altrimenti non ci sarà alcuna differenza con gli scendiletto degli americani che ci hanno governato negli ultimi trent’anni. costoro non sono giornalisti, ma sicari della libertà d’informazione. volete sapere chi sono? volete i loro nomi e cognomi? sono tutti coloro che non difendono un patriota dell’umanità come assange”. patriota dell’umanità. ben detto - pubblicato da fulvio grimaldi . la libia, haftar e gli italiani furbetti: storia di una guerra dove non conta solo il petrolio. ancora una volta sulla libia l’italia è stata colta apparentemente di sorpresa. come del resto accade nel 2011 quando francia, gran bretagna e stati uniti decisero di fare fuori il colonnello gheddafi . ..segue ./.
Segue da Pag.5: Era la stampa, bellezza. Si è uccisa. DAL RUSSIAGATE AL RUSSIAFLOP E ALL’ARRESTO DI ASSANGE

Fenomeno naturale quanto le frane dai declivi disboscati. Tre miei dvd gratis a colui che mi scopre, ovviamente nel monopolarismo del sistema mediatico nostrano (in rete è facile), un’inchiesta di giornalone su come dall’Africa, fino al nuovo colonialismo, non arrivasse nessuno, anzi, tutti si battessero a casa loro per la liberazione da britannici e francesi, e che solo ora, ripresentatisi missionari, Ong e manager multinazionali e impostosi, grazie alla crisi, un riesame del costo del lavoro, fossero partiti i barconi.

Russiagate: russi sotto il letto e Cia a capotavola. Fino all’obliterazione nucleare.

Tutto questo si può perfino definire una compagna di sbrindellati e sgangherati, rispetto alla falange d’acciaio mediatico-politica che si è formata a sostegno della crociata anti-Putin del Russiagate e del suo alfiere, il procuratore Robert Mueller. Per quasi tre anni inarrestabile macchina del fumo, l’ex-Marine volontario in Vietnam, ex-direttore dell’FBI, era sostenuto nell’impresa da quello che chiamano Stato Profondo, invisibile, ma decisivo, tutti ex-FBI o Cia, la crème de la crème della Nazione Eccezionale, quella che governa davvero e rimuove chi non ci sta. Da Kennedy a Nixon a, tentativo fallito, Trump. Che poi è la stessa che s’è inventata la pulizia etnica di Milosevic, le armi di distruzione di massa di Saddam, i piloti sauditi contro le Torri Gemelle e, appunto, il Golem Russia.

Per oltre due anni i garzoni di bottega dell’informazione anglo-sassone, si sono rappresentati e profondamente sentiti l’armata di giannizzeri del sultano Mueller. E anche da noi il Russiagate era bibbia, codice d’onore, sfrenata passione. Non ha sgarrato nessuno. Mancava ogni minima prova o evidenza che Hillary Clinton fosse stata sabotata, non dalle proprie, diciamo, improprietà affaristiche, consociative, guerresche, golpiste, bensì dalla collusione tra Putin e il suo burattino a stelle e strisce. C’era solo un dossier di stronzate, redatto dalla spia britannica Christopher Steele, pagato con fondi del Partito Democratico e da Mueller e svaporato nel nulla appena Mueller ha aperto la cartella.

Altro che buco nero!

Rasentando un surrealismo sublime, lo Stato, che non aveva mancato di interferire in ogni processo politico, in ogni elezione, in ogni economia, in ogni perversione culturale dal 1945 a stamattina, accusava i russi di essersi piazzati negli armadi e sotto il letto di Trump. Non solo, di tutti i suoi sostenitori, di tutti i governanti devianti, di tutti i cittadini inosservanti. Obiettivo: l’impeachment, la cacciata dell’imprevisto, incalcolato, mai visto al Circolo della Caccia. Magnifico assist, oltre a tutto, per scaricare sui maneggi e intrighi russi ogni fatto e vicenda non consoni alle aspettative dei regnanti in Occidente: dai Gilet Gialli, ai vittoriosi nel nostro referendum, da Salvini a Di Maio, dagli Skipral, avvelenati col Novichok (prodotto, peraltro, nel vicino stabilimento UK di Porton Down), alla Brexit, al morbillo e alla zanzara Tigre.

Milioni di articoli, tonnellate di inchiostro, milioni di chilometri di nastro, vignette a strafottere, per costruire un Orso Russo così mostruoso e Kolossal da meritarsi una gragnuola nucleare in testa. Senza di che, appunto, non sarebbe stato possibile convincere la gente che piuttosto di essere divorati da quell’orso, sarebbe stato meglio farsi incenerire dalle atomiche dei giusti. Che poi era l’obiettivo ultimo di tutto il can can.

Il rapporto con cui un pur volenteroso Mueller ha dovuto comunicare al ministro della Giustizia William Barr e al resto del mondo che tutto questo era stata una gigantesca fola, burla, frode, presa per il culo, minchiata, che non c’era la minima prova che i russi abbiano interferito nelle elezioni per favorire Trump (oltretutto spasmodicamente illogico, vista la qualità del soggetto) e che Trump non ha mai ostacolato la Giustizia, sta all’Everest di panna al cianuro costruito dai media, come il testè scoperto buco nero sta a inferno e paradiso, come rifilatici da precedenti persuasori manifesti.

Si tratta sicuramente del più grande flop, fiasco, smacco mai inflittosi da una così sconfinata platea di frodatori. E del più grave insulto, inganno, imbroglio, circonvenzione, impostura, abbaglio inflitto a noi, disarmati utenti. La conclusione è univoca e inesorabile: questa gente, questo apparato, questo moloch d’Occidente, non ha più e non avrà più alcuna credibilità. Né su questo, né su alcun’altra nefandezza propagandistica e mistificatoria che vorranno servire ai loro manovratori.

Ingannati miliardi, rasentato la guerra totale? Non è successo niente.
Protervia e mancanza di alternativa (se non in rete, gli dei ce la salvino perché i demoni le daranno addosso, ora più che mai) gli permettono di nemmeno scusarsi con i miliardi di esseri umani che hanno turlupinato e agganciato al carro della guerra alla Russia. Non provano nemmeno a commettere un gesto di resipiscenza. Anzi. Del resto dov’ è la Procura che si azzarda a ipotizzare una sfilza di reati, tipo frode, falsa testimonianza, abuso di credulità, circonvenzione di incapace, falso in atto pubblico, concussione, corruzione, incitamento all’odio … per quanto grossi e operativi come squali? Una parte, quella degli ignavi, se ne sta zitta, facendo finta di niente. Non ne parla. Non è successo niente.

Un’altra si trasforma da vipera pestata in free-climber sugli specchi. E’ il caso, per esempio, di Guido Caldiron, firma della Comunità nel “manifesto”, che, fin dai suoi fasti in “liberazione”, si prodigava senza macchia e paura per qualsivoglia primavera di velluto che a Soros piacesse, in particolare quelle gradite a Israele. E se i media statunitensi si arrabattano tra richieste a Barr di rendere noto tutto il rapporto Mueller, che sicuramente qualcosa di russo ci si trova, e la ricerca di altre porcate di Trump, il nostro segugio si salva con la “Russia connection” che unirebbe tutta la destra, con Putin che, perso Trump, ora se la spassa sul lettone con le camicie brune e nere di tutta Europa. Come no, lo sospettano anche “Liberation”, “Le Monde”, la BBC. Gli stessi sinistri vedovi del Russiagate.

Sgonfiato il Russiagate, pompiamo il Cinagate, consoliamoci con le nuove “primavere arabe”

Altri ancora, cambiano bersaglio e, nell’impudenza come marchio deontologico, trovano altri servi encomi e codarde ingiurie da praticare: migranti, Libia e, soprattutto, Cina, come ora vogliono il Pentagono e l’Intelligence. Tanto che, subito, la presunta alternativa di “manifesto “ e “Fatto Quotidiano” s’è impegnata nel fresco di giornata “Cinagate”: una campagna che descrive quel paese come poco meno di un orrendo campo di concentramento dove si sorveglia, controlla e punisce perfino il respiro che non esca dritto dalla bocca formulando la scritta Xi Jinping. Descrizione che ovviamente fa da antidoto alla buona impressione di progresso, comunicazione, pace, che qualcuno ha potuto illudersi che fosse la nuova Via della Seta.

Primeggiano nella luce dell’informazione di servizio i depistatori che si gettano sulle “primavere arabe” dei paesi ostici da normalizzare: Sudan e Algeria. E qui grande è la delusione per il fatto che non tutto del classico programma Soros-Cia abbia funzionato, dato che i militari hanno sventato l’auspicata Maidan arabo-africana. Se ne rammaricano i media del colonialismo – “manifesto”, “Fatto quotidiano”, Tg, tutti – che già a suo tempo avevano operato per tagliare al Sudan il Sud petrolifero (Usa, Israele, Vaticano) e che poi avevano fatto passare una disputa per l’acqua tra agricoltori e allevatori del Darfur, altro pezzo da amputare al Sudan, come spietata caccia all’uomo dei governativi “diavoli a cavallo”, i “janjawid”. Li ritrovate tutti quanti a fianco dei “ribelli” siriani, mentre fanno finta che tra questi e quelli che bruciano o scorticano vivi civili e soldati, ci sia differenza.

Il contrapasso

Il ministro della Giustizia Barr annuncia un’inchiesta, non più sulle mene anti-Usa di Mosca, ma proprio su quelle anti-Mosca del Russiagate. Indagate alcune delle più pregiate agenzie di sicurezza e spionaggio americane. A partire dall’FBI e dalla Cia, nel suo prestigioso ex-capo, nemico mortale di Trump, John Brennan. Sembra il contrappasso di Dante. Chissà che non gli venga voglia, visto che gli Usa rivendicano una giurisdizione su tutto il globo, di inquisire e inchiodare anche un po’ di fake giornalisti autori della fake news più grossa del secolo? Non ci opporremmo, visto che dalla Procura di Roma, se non c’è di mezzo Virginia Raggi, poco c’è da aspettarsi.

Assange: colpita al cuore la libertà. Non solo di stampa

Chelsea Manning

Infame e segno di arbitrio assoluto e di totale disprezzo del diritto e della democrazia sono l’arresto di Julian Assange e il rientro nel carcere, e addirittura in isolamento, di Chelsea (Bradley, quando era uomo) Manning. Chelsea, imprigionata per aver avuto la dignità e il coraggio di non testimoniare contro Assange davanti a una di quelle mostruosità giuridiche che sono i Gran Giurì segreti, veri tribunali speciali, è l’ex-analista dei servizi del Pentagono che a Wikileaks ha fornito molti dei dati che rivelano e denunciano i crimini contro l’umanità e di guerra delle truppe Nato e Usa nei vari teatri di guerra, come anche gli intrighi e i complotti e le operazioni terroristiche tessuti con governi complici a danni della pace, della legge, dei dissidenti. Un quadro raccapricciante basato su centinaia di migliaia di messaggi riservati passati tra governo Usa e sue ambasciate e governi alleati. Niente di sorprendente per chi ha presente quanto le operazioni segrete Usa, con Gladio, Stay Behind, mafia, terrorismo neofascista e rosso, hanno fatto in Italia e in altri paesi.

Assange al momento dell’arresto

Assange, una di quelle gole profonde (whistleblower), come Edward Snowden che ci ha rivelato come la NSA spiasse l’universo mondo, di cui tanto avremmo bisogno per infrangere occultamenti e inganni di regime e mediatici, viene non per caso stigmatizzato con particolare livore da coloro che coltivano il seme del tradimento e la proliferazione degli amici del giaguaro. In Europa eccellano giornali quinte colonne come il “manifesto”, “Liberation”, “Le Monde” e “The Guardian”, che è arrivato, poi costretto a ritrattare e a scusarsi, a inventare una visita di Paul Manaford, responsabile della campagna presidenziale di Trump, ad Assange, nell’ambasciata, per concordare con lui lanci di fango contro Hillary.

Ho incontrato Rafael Correa prima a Quito, alla vigilia della sua vittoria per la presidenza sull’onda della “revolucion ciudadana” che liberò il paese dai manutengoli degli Usa e la fece entrare nel consesso antimperialista dell’A.L.B.A. e, poi, a Roma, dove fece tappa per un tour di denuncia del cambio di rotta operato da Lenin Moreno e dei rischi ora corsi da Assange. Mi disse che Washington, i servizi americani, non avrebbero mollato l’osso e che occorreva con la massima urgenza una mobilitazione del giornalismo onesto e libero e dei cittadini che lo consideravano essenziale alla democrazia per salvare uno dei più validi assertori del diritto alla conoscenza di ciò che fanno i governanti. Scrissi qualcosa, mi guardai in giro, non si sentiva volare una mosca. Né, tanto meno, una parola in difesa di Assange. La FNSI sparava ipocrito sdegno contro chi, nel mondo politico, osava criticare l’irreprensibile professione. Amnesty, HRW e gli altri umanitari non assumono “prigionieri di coscienza” catturati dagli amici.

Oggi i poteri che mirano a stringere il mondo intero nella loro morsa a forza di menzogne, soffocamento, terrorismo e guerre, hanno trovato chi sacrificare al dio Mammone. Uno che gli ha dato davvero fastidio. Quanto resiste, a fatica, del giornalismo mondiale, da anni leva la sua voce in difesa di Wikileaks e del suo fondatore. Presidi e manifestazioni si sono tenuti ovunque. Non da noi. E cosa fanno i colleghi i italiani di Assange e Manning? Quando non sputano, guardano dall’altra parte. E mai nello specchio.

Concludo con queste parole di Alessandro Di Battista: “Il governo italiano ha il dovere di mettere in campo ogni iniziativa possibile a sostegno di Assange e di Wikileaks, un’organizzazione alla quale tutti quanti dobbiamo moltissimo. Se lo farà, bene, altrimenti non ci sarà alcuna differenza con gli scendiletto degli americani che ci hanno governato negli ultimi trent’anni. Costoro non sono giornalisti, ma sicari della libertà d’informazione. Volete sapere chi sono? Volete i loro nomi e cognomi? Sono tutti coloro che non difendono un patriota dell’umanità come Assange”.

Patriota dell’umanità. Ben detto - Pubblicato da Fulvio Grimaldi

La Libia, Haftar e gli italiani furbetti: storia di una guerra dove non conta solo il petrolio

Ancora una volta sulla Libia l’Italia è stata colta apparentemente di sorpresa. Come del resto accade nel 2011 quando Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti decisero di fare fuori il Colonnello Gheddafi


..segue ./.

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