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La VOCE 1906

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La VOCE ANNO XXI N°10

giugno 2019

PAGINA F         - 38

segue da pag.37: non sarà un pranzo di gala. come costruire l’altra europa. oltre alle risorse recuperate con la moratoria sul pagamento degli interessi, il nuovo governo sa di poter contare sull’avanzo primario (entrate di bilancio superiori alle uscite, al netto della spesa per il pagamento degli interessi sul debito), che il nostro paese ha realizzato quasi ininterrottamente dal 1990 a oggi; sulla ricchezza finanziaria privata del paese (circa 4,5mila mld di euro, che salgono a 10,5mila mld se vi si aggiunge la ricchezza immobiliare); sul patrimonio pubblico del paese; sul risparmio privato gestito da cassa depositi e prestiti (oltre 250 miliardi). potrebbe inoltre recuperare risorse, approvando risparmi forzosi imposti a banche e società d’assicurazione, obbligandole all’acquisizione dei titoli di stato. infine, poiché quasi sicuramente la bce risponderebbe «picche» a qualsiasi richiesta di ulteriori risorse, il nuovo governo potrebbe riappropriarsi della banca d’italia, mettendo fine all’indipendenza della stessa dal potere politico. con tutte le risorse reperite, il governo potrebbe dare il via – anche se per un tempo non indefinito – a tutti i programmi economici anti-liberisti e per una riconversione ecologica e sociale, rafforzando il consenso sociale interno e la mobilitazione attiva della popolazione. superata la fase dell’emergenza, occorre tuttavia capire come rendere stabili i processi di trasformazione avviati, e, dunque, come rendere non episodico, né emergenziale, il problema del reperimento delle risorse. tutto questo diviene possibile solo mettendo mano a una radicale riforma fiscale che inverta quanto avvenuto negli ultimi quarant’anni di ininterrotte politiche a favore dei ceti ricchi. alla campagna massmediatica, sicuramente avviata dalle forze di opposizione, occorrerà ricordare come negli usa iper-capitalisti, negli anni cinquanta-sessanta del secolo scorso, i ceti più ricchi erano gravati da un’aliquota superiore al 90%, senza che nessuno si scandalizzasse, o gridasse al comunismo. contemporaneamente, e sempre per i ceti più alti, andrebbe introdotta una tassa patrimoniale elevata, secondo il principio che chi più ha ricavato profitti da decenni di politiche di austerità deve farsi carico del costo collettivo del ripristino dei diritti per le fasce deboli della società, nonché della trasformazione in senso ecologico e sociale dell’economia. l’insieme delle misure applicate è più che sufficiente a garantire una situazione di forte fibrillazione sociale interna, con le grandi imprese e i capitali finanziari schierati decisamente contro il processo di cambiamento, e altrettanto intensa fibrillazione esterna, con l’unione europea, e gli stati più forti interni a essa, direttamente schierati nella contesa. e, tuttavia, l’inversione di rotta non sarebbe ancora completa. perché ciò che va ulteriormente rivoluzionato è il sistema bancario e finanziario, che, in italia, è stato attraversato da una totale privatizzazione, passando, dal 74,5% di controllo pubblico sulle banche nel 1992, all’attuale zero per cento. di conseguenza, diviene necessaria la socializzazione progressiva delle banche privatizzate, per rimettere le risorse finanziarie al servizio della trasformazione sociale, nonché il controllo pubblico della circolazione monetaria, utilizzando i 14.000 sportelli di poste italiane per garantirne la disponibilità diffusa. è a questo punto che i nodi potrebbero venire al pettine, perché l’ue reagirebbe molto duramente alla disobbedienza verso il principio della libera circolazioni dei capitali, imponendo l’espulsione dell’italia dall’unione. occorre dire, a questo proposito, che un’ipotesi differente – riconducendo questo scenario a quello descritto in precedenza – potrebbe realizzarsi se l’italia non si trovasse più sola, bensì fosse riuscita a modificare, attraverso l’attivazione di mobilitazioni popolari in altri paesi, e l’attività diplomatica verso alcuni degli altri governi, il conflitto senza quartiere fra italia e tutti gli altri in un rimescolamento delle posizioni. ma poiché ciò non è né automatico, né scontato – come la crisi greca ha insegnato – occorre immaginare i passi successivi, mantenendo il parametro dell’isolamento del governo italiano. la nuova fase sarebbe di conseguenza caratterizzata dal ritorno alla lira, accompagnato da alcune misure urgenti. la prima di queste dovrebbe essere la non convertibilità della lira per le famiglie e le imprese per un periodo di tempo necessario; una misura che non ostacolerebbe il commercio internazionale, perché le imprese che necessitano di valuta estera potranno riceverla dalle banche socializzate, e permetterebbe di combattere la fuga di capitali e le manovre speculative messe in campo dai mercati. una seconda misura diverrebbe l’aggiustamento del tasso di cambio della lira in funzione delle priorità politiche. ovviamente, l’avvento della lira comporterebbe una svalutazione della stessa, con l’effetto di aumentare la competitività delle produzioni destinate all’export – non va dimenticato come l’italia sia seconda solo alla germania nel rapporto positivo export/import – e, per contro, di aumentare pesantemente il costo delle importazioni. sia per la necessaria transizione ecologica, sia per rispondere alla situazione economica, che, arrivati a questa fase dello scenario, si verrebbe a creare, il passo successivo diventerebbe quello del cambiamento dei consumi e degli stili di vita, attraverso la definizione democratica e collettiva di quali, fra i beni sinora importati, siano indispensabili, quali siano utili, e quali vadano classificati come superflui. promuovendo politiche di riduzione del fabbisogno per i primi (energia, soprattutto), applicando dazi sui secondi per favorire la nascita di una produzione endogena degli stessi, e abbandonando il consumo di tutto ciò di cui si può fare a meno (ed è questa la terza ragione per la quale è necessaria una popolazione consapevole e attiva). avrà esito positivo il processo che, con lo stimolo delle riflessioni di «le monde diplomatique», abbiamo provato a delineare? nessuno può saperlo e, ovviamente, la realtà concreta presenterà tali e tante altre variabili da tenere in considerazione, che ciò che sin qui abbiamo descritto, rappresenta non più di un «gioco di società». ma, come tutti i giochi, con alcuni significati importanti. non abbiamo da perdere che le nostre catene . diverse sono le ragioni per le quali abbiamo deciso di inserire questo percorso immaginato al termine della riflessione sin qui fatta. la prima è dettata dalla necessità di far scendere la teoria dal cielo del «dover essere» alla terra del «che fare», per stimolare un confronto non astratto sulla drammaticità della fase attuale e sulla complessità della matassa da dipanare, per intravedere e praticare nuove via d’uscita. basti pensare alla divaricazione profonda fra la realtà odierna e anche solo le precondizioni per l’apertura di un conflitto, delineate negli scenari descritti, per capire la necessità di attivare un profondo lavoro sociale e politico, senza inseguire, da una parte, scorciatoie istituzionaliste, che non tengano conto della necessaria mobilitazione sociale per conseguire una reale trasformazione e, dall’altra, soluzioni tecnico-catartiche, come l’uscita dall’euro, che, dovrebbero, di per sé determinare il cambiamento auspicato. una seconda ragione muove dalla necessità di stare al passo coi tempi, adeguando l’analisi delle trasformazioni nel modello produttivo, nei rapporti sociali e nella democrazia prodotte dal capitalismo, nella sua fase della finanziarizzazione spinta. modificazioni che non consentono nessun tergiversare nostalgico sul «paradiso perduto» dello stato sociale keynesiano, per ripristinare il quale si vorrebbero ritracciare confini statuali, politici e simbolici, in grado di riprodurre un compromesso fra capitale e lavoro, superato dalla storia e dalle dinamiche sociali. solo guardando avanti e oltre si potranno intraprendere nuove strade. una terza ragione origina dalla consapevolezza di come gli enormi cambiamenti che l’europa, e non solo, dovrà affrontare, dalla rivoluzione tecnologica, al cambiamento climatico, alle migrazioni di massa, richiedono un pensiero lungo e la necessità di un lavoro politico diffuso dentro la società, perché ad oggi nessuno può realisticamente pensare che le trasformazioni sopra descritte come necessarie, possano ricevere il consenso sociale in tempi brevi. l’entità di questi cambiamenti produrrà un ulteriore peggioramento delle condizioni sociali ed ecologiche, fino alla possibile loro irreversibilità, se sarà gestita dalla logica estrattivista del grande capitale finanziario; ma, dentro un ciclo di nuove lotte e mobilitazioni sociali, potrebbe rivelarsi un’inedita opportunità per una reale fuoriuscita della società dai rapporti capitalistici di produzione e riproduzione sociale. lottare contro i mercati si può e, per poterlo fare, è necessario attrezzarsi per tempo. i grandi interessi finanziari stanno già preparandosi ad affrontare questi eventi dal punto di vista degli utili e della reddittività; saremo altrettanto pronti ad affrontarli dal punto di vista della vita, dei beni comuni, dei diritti sociali e di un futuro dignitoso per tutte e tutti?
sapremo dire con determinazione che la nostra europa inizia dove finisce la loro? «perché salite sui tetti?» fu la domanda posta a un operaio durante l’occupazione della sua fabbrica. «perché da lì si vede l’orizzonte» fu la risposta. note 1. a. gramsci, quaderni dal carcere, einaudi, torino 2014. 2. ibid. 3. r. lambert, s. leder, lo scenario di un braccio di ferro con i mercati, «le monde diplomatique», ottobre 2018. 4. differenza tra il tasso d’interesse applicato ai titoli di debito emessi da un determinato paese (in questo caso l’italia) e quello applicato ai titoli emessi da un altro paese (in europa, la germania). scuola- perché gli adolescenti hanno bisogno della filosofia (anche ai tecnici). di paola muller* 15 maggio 2019. perché insegna a porre le domande giuste e a non dare risposte affrettate. perché costringe a dare ragione di ciò che si pensa e di ciò che si dice. il manifesto per la filosofia, appena lanciato, chiede che la filosofia sia inserita in tutti i curricula scolastici. la professoressa muller racconta l'esperienza di un laboratorio che ha tenuto all'iiss galilei di milano, partendo dalla bellezza e da sant'agostino , il manifesto per la filosofia da poco lanciato con grande successo da marco ferrari e gian paolo terravecchia esprime con vigore l’esigenza di offrire a tutti i ragazzi l’opportunità di fare filosofia. è proprio dell’adolescenza l’acquisizione progressiva di una sempre maggiore consapevolezza nell’assumere i propri atteggiamenti e compiere scelte, conquistare gradualmente il senso della propria libertà e non seguire passivamente ciò che dicono o fanno gli altri: perché allora continuare a privare alcuni ragazzi, anzi la maggior parte di loro, della filosofia? sono proprie dell’uomo e dell’adolescente “educato nella paideia e dotato di logos” l’esigenza di ricercare la verità e la tensione al sapere. la filosofia esprime qualcosa di essenziale per l’essere umano. si inserisce in questo appello il progetto di un laboratorio di filosofia realizzato presso un istituto tecnico professionale, il galilei luxemburg di milano. si è trattato di un percorso laboratoriale e non dell’insegnamento di un’ulteriore materia tra le altre. una semplice occasione per i ragazzi del biennio di ‘filosofare’, di allargare l’orizzonte dei propri pensieri in modo più consapevole e critico. laboratorio condiviso e strutturato insieme con gli insegnanti delle varie classi (di varie discipline dall’italiano alla fisica, dall’arte alla chimica). una condivisione di percorso che ha attivato sinergie importanti e stimolanti. al laboratorio hanno partecipato attivamente e come supporto anche degli studenti iscritti al corso di laurea in filosofia dell’università cattolica di milano. i ragazzi dell’iiss sono stati spinti a partecipare e a non assumere il ruolo di osservatori passivi o meri ascoltatori, ma a mettersi in gioco liberi da valutazioni, giudizi e compiti a casa. la prospettiva è stata quella di creare un’opportunità per prevenire l’abbandono scolastico, incoraggiando i ragazzi ad “aprirsi alla grandezza della ragione”. una ragione che può dare grandi risultati non solo a livello didattico, ma aiuta ad assaporare maggiormente il sapere, per capire chi voglio essere e non tanto che cosa voglio fare. la classe, l’aula, diventa così il luogo in cui apprendere abiti di comportamento, luogo ove si problematizzano quelle che vengono solitamente considerate certezze. photo by cj dayrit on unsplash. l’itinerario del laboratorio ha avuto al centro la bellezza, tema vissuto quotidianamente dai ragazzi e che interroga ciascuno di noi. bellezza alla base della quale c’è sempre un senso di stupore e di meraviglia, elementi da cui nasce anche la domanda filosofica. a partire dall’esperienza personale, effimera, ma folgorante, i ragazzi hanno individuato e riflettuto sull’orizzonte di attesa e di senso che ne scaturiva a vari livelli: nell’amore, nell’amicizia, nella stessa conoscenza, nell’arte, nel silenzio. attraverso la discussione e la lettura di testi tratti dalla letteratura gli studenti hanno avuto modo di problematizzare, concettualizzare, approfondire un tema a loro intimo, ma del quale non sono competenti. non si è proposto il metodo del problem solving, quanto piuttosto si è spinto alla formulazione di domande, alla ricerca delle parole più adatte per esprimere il proprio pensiero. una educazione alla bellezza, accogliendo l’invito di peppino impastato, attraverso un percorso filosofico, per portare al riconoscimento di sé come ‘cosa bella’, partecipe della verità e della bontà, e condurre a sviluppare capacità relazionali con le persone e con il mondo, passando anche attraverso il proprio patrimonio interiore. una bellezza che non si esaurisce in ciò che piace. il gusto, che speso diventa alibi del relativismo, è una facoltà da educare. riprendendo sant’agostino: qualcosa non è bello perché mi piace, ma mi piace perché è bello. la bellezza dunque precede e trascende il gusto, il piacere personale. così come il bello non esaurisce la bellezza né le domande che suscita: "noi non amiamo che il bello. cos'è il bello? e cos'è la bellezza? cosa ci attrae e ci avvince agli oggetti del nostro amore?" (agostino, confessioni, iv, 13, 20). porsi domande e cercare risposte non è che il quaerere, il ricercare proprio della filosofia, proprio di ciascun uomo. che la filosofia possa davvero entrare in ogni scuola! il manifesto per la filosofia lanciato da marco ferrari e gian paolo terravecchia ha già raccolto oltre 24mila firme su change.org. il manifesto chiede «che la filosofia sia adeguatamente riconosciuta nell’esame di stato, che sia inserita in tutti i curricula scolastici, riguardando anche gli istituti tecnici, e che sia valorizzata nella formazione universitaria e nelle pratiche formative professionali del mondo del lavoro». perché? tante le ragioni, far cui: «perché apre la mente dell’uomo al pensiero libero. perché insegna a porre le domande giuste e a non dare risposte affrettate. perché costringe a dare ragione di ciò che si pensa e di ciò che si dice» , *paola muller è professore associato di storia della filosofia medievale presso il dipartimento di filosofia dell’università cattolica del sacro cuore. ndr.: fa affermazioni giuste partendo da argomentazioni sbagliate, ma fa piacere almeno sapere che sulla sostanza siamo d'accordo. per esempio partire dalla bellezza e da sant'agostino è scientificamente del tutto fuori luogo in quanto, anche la bellezza è figlia dei tempi, dal bello greco (kalos kai agathòs), che già distingueva il bello per il colto e per l'incolto, al bello per kant (in cui il bello non riguarda più la sostanza dell'oggetto, ma invece la sua rappresentazione estetica), a "quel certo non so che" di leibniz, a hume (il bello è begli occhi di chi guarda), o al bello in matematica che può avere un senso “on the road” oppure una particolare semplicità di rappresentare il tutto; comunque il bello per eccellenza è figlio del gusto, nulla di più mutevole per luoghi, tempi e circostanze, anzi proprio per questo tende ad accumularsi, quindi forse salverà il mondo (dostoevskij), attraverso una bellissima formula matematica che ci descriverà il tutto, ma mentre l'uomo contemporaneo può apprezzare il bello sia nel doriforo di policleto, che in un quadro di picasso, altrettanto non si può dire per socrate o per platone. per quanto concerne poi sant'agostino, che inverte gusto e bellezza (non è bello ciò che piace, ma piace ciò che è bello), in quanto ha il problema di far piacere il suo dio all'uomo, siamo proprio molto distanti dalla ricerca propria della filosofia, in quanto la teologia è la negazione della filosofia. neppure ha senso che si insegni la filosofia in nome della ricerca della verità (in quanto ricadiamo nel vizio teologico della verità), per altro concetto che tutto il pensiero orientale disconosce completamente rispetto a noi occidentali, intendendolo piuttosto come molteplicità. però concordiamo che porsi domande e cercare risposte sia l'attività più educativa per l'uomo e che sia fondamentale dare ragione a ciò che si pensa e a ciò che si dice, come interpretare la mutevolezza del reale e comprendere il carattere progressivo del conoscere, sempre fenomenico e mai immanente. così pure condividiamo il senso del mettersiin gioco, e cioè di non avere un atteggiamento contemplativo riguardo la conoscenza della realtà, ma parteciparla per cambiarla in un processo ininterrotto. non siamo qui per farci piacere ciò che disapproviamo, siamo qui per cambiare ciò che non ci piace.
Segue da Pag.37: Non sarà un pranzo di gala. Come costruire l’altra Europa

Oltre alle risorse recuperate con la moratoria sul pagamento degli interessi, il nuovo governo sa di poter contare sull’avanzo primario (entrate di bilancio superiori alle uscite, al netto della spesa per il pagamento degli interessi sul debito), che il nostro Paese ha realizzato quasi ininterrottamente dal 1990 a oggi; sulla ricchezza finanziaria privata del Paese (circa 4,5mila mld di euro, che salgono a 10,5mila mld se vi si aggiunge la ricchezza immobiliare); sul patrimonio pubblico del Paese; sul risparmio privato gestito da Cassa Depositi e Prestiti (oltre 250 miliardi).

Potrebbe inoltre recuperare risorse, approvando risparmi forzosi imposti a banche e società d’assicurazione, obbligandole all’acquisizione dei titoli di Stato.

Infine, poiché quasi sicuramente la Bce risponderebbe «picche» a qualsiasi richiesta di ulteriori risorse, il nuovo governo potrebbe riappropriarsi della Banca d’Italia, mettendo fine all’indipendenza della stessa dal potere politico.

Con tutte le risorse reperite, il governo potrebbe dare il via – anche se per un tempo non indefinito – a tutti i programmi economici anti-liberisti e per una riconversione ecologica e sociale, rafforzando il consenso sociale interno e la mobilitazione attiva della popolazione.

Superata la fase dell’emergenza, occorre tuttavia capire come rendere stabili i processi di trasformazione avviati, e, dunque, come rendere non episodico, né emergenziale, il problema del reperimento delle risorse.

Tutto questo diviene possibile solo mettendo mano a una radicale riforma fiscale che inverta quanto avvenuto negli ultimi quarant’anni di ininterrotte politiche a favore dei ceti ricchi.

Alla campagna massmediatica, sicuramente avviata dalle forze di opposizione, occorrerà ricordare come negli Usa iper-capitalisti, negli anni Cinquanta-Sessanta del secolo scorso, i ceti più ricchi erano gravati da un’aliquota superiore al 90%, senza che nessuno si scandalizzasse, o gridasse al comunismo.

Contemporaneamente, e sempre per i ceti più alti, andrebbe introdotta una tassa patrimoniale elevata, secondo il principio che chi più ha ricavato profitti da decenni di politiche di austerità deve farsi carico del costo collettivo del ripristino dei diritti per le fasce deboli della società, nonché della trasformazione in senso ecologico e sociale dell’economia.

L’insieme delle misure applicate è più che sufficiente a garantire una situazione di forte fibrillazione sociale interna, con le grandi imprese e i capitali finanziari schierati decisamente contro il processo di cambiamento, e altrettanto intensa fibrillazione esterna, con l’Unione europea, e gli Stati più forti interni a essa, direttamente schierati nella contesa.

E, tuttavia, l’inversione di rotta non sarebbe ancora completa. Perché ciò che va ulteriormente rivoluzionato è il sistema bancario e finanziario, che, in Italia, è stato attraversato da una totale privatizzazione, passando, dal 74,5% di controllo pubblico sulle banche nel 1992, all’attuale zero per cento.

Di conseguenza, diviene necessaria la socializzazione progressiva delle banche privatizzate, per rimettere le risorse finanziarie al servizio della trasformazione sociale, nonché il controllo pubblico della circolazione monetaria, utilizzando i 14.000 sportelli di Poste Italiane per garantirne la disponibilità diffusa.

È a questo punto che i nodi potrebbero venire al pettine, perché l’Ue reagirebbe molto duramente alla disobbedienza verso il principio della libera circolazioni dei capitali, imponendo l’espulsione dell’Italia dall’Unione.

Occorre dire, a questo proposito, che un’ipotesi differente – riconducendo questo scenario a quello descritto in precedenza – potrebbe realizzarsi se l’Italia non si trovasse più sola, bensì fosse riuscita a modificare, attraverso l’attivazione di mobilitazioni popolari in altri paesi, e l’attività diplomatica verso alcuni degli altri governi, il conflitto senza quartiere fra Italia e tutti gli altri in un rimescolamento delle posizioni.

Ma poiché ciò non è né automatico, né scontato – come la crisi greca ha insegnato – occorre immaginare i passi successivi, mantenendo il parametro dell’isolamento del governo italiano.

La nuova fase sarebbe di conseguenza caratterizzata dal ritorno alla lira, accompagnato da alcune misure urgenti.

La prima di queste dovrebbe essere la non convertibilità della lira per le famiglie e le imprese per un periodo di tempo necessario; una misura che non ostacolerebbe il commercio internazionale, perché le imprese che necessitano di valuta estera potranno riceverla dalle banche socializzate, e permetterebbe di combattere la fuga di capitali e le manovre speculative messe in campo dai mercati.

Una seconda misura diverrebbe l’aggiustamento del tasso di cambio della lira in funzione delle priorità politiche. Ovviamente, l’avvento della lira comporterebbe una svalutazione della stessa, con l’effetto di aumentare la competitività delle produzioni destinate all’export – non va dimenticato come l’Italia sia seconda solo alla Germania nel rapporto positivo export/import – e, per contro, di aumentare pesantemente il costo delle importazioni.

Sia per la necessaria transizione ecologica, sia per rispondere alla situazione economica, che, arrivati a questa fase dello scenario, si verrebbe a creare, il passo successivo diventerebbe quello del cambiamento dei consumi e degli stili di vita, attraverso la definizione democratica e collettiva di quali, fra i beni sinora importati, siano indispensabili, quali siano utili, e quali vadano classificati come superflui.

Promuovendo politiche di riduzione del fabbisogno per i primi (energia, soprattutto), applicando dazi sui secondi per favorire la nascita di una produzione endogena degli stessi, e abbandonando il consumo di tutto ciò di cui si può fare a meno (ed è questa la terza ragione per la quale è necessaria una popolazione consapevole e attiva).

Avrà esito positivo il processo che, con lo stimolo delle riflessioni di «Le Monde Diplomatique», abbiamo provato a delineare? Nessuno può saperlo e, ovviamente, la realtà concreta presenterà tali e tante altre variabili da tenere in considerazione, che ciò che sin qui abbiamo descritto, rappresenta non più di un «gioco di società». Ma, come tutti i giochi, con alcuni significati importanti.

Non abbiamo da perdere che le nostre catene

Diverse sono le ragioni per le quali abbiamo deciso di inserire questo percorso immaginato al termine della riflessione sin qui fatta.

La prima è dettata dalla necessità di far scendere la teoria dal cielo del «dover essere» alla terra del «che fare», per stimolare un confronto non astratto sulla drammaticità della fase attuale e sulla complessità della matassa da dipanare, per intravedere e praticare nuove via d’uscita.

Basti pensare alla divaricazione profonda fra la realtà odierna e anche solo le precondizioni per l’apertura di un conflitto, delineate negli scenari descritti, per capire la necessità di attivare un profondo lavoro sociale e politico, senza inseguire, da una parte, scorciatoie istituzionaliste, che non tengano conto della necessaria mobilitazione sociale per conseguire una reale trasformazione e, dall’altra, soluzioni tecnico-catartiche, come l’uscita dall’euro, che, dovrebbero, di per sé determinare il cambiamento auspicato.

Una seconda ragione muove dalla necessità di stare al passo coi tempi, adeguando l’analisi delle trasformazioni nel modello produttivo, nei rapporti sociali e nella democrazia prodotte dal capitalismo, nella sua fase della finanziarizzazione spinta. Modificazioni che non consentono nessun tergiversare nostalgico sul «paradiso perduto» dello stato sociale keynesiano, per ripristinare il quale si vorrebbero ritracciare confini statuali, politici e simbolici, in grado di riprodurre un compromesso fra capitale e lavoro, superato dalla storia e dalle dinamiche sociali. Solo guardando avanti e oltre si potranno intraprendere nuove strade.

Una terza ragione origina dalla consapevolezza di come gli enormi cambiamenti che l’Europa, e non solo, dovrà affrontare, dalla rivoluzione tecnologica, al cambiamento climatico, alle migrazioni di massa, richiedono un pensiero lungo e la necessità di un lavoro politico diffuso dentro la società, perché ad oggi nessuno può realisticamente pensare che le trasformazioni sopra descritte come necessarie, possano ricevere il consenso sociale in tempi brevi.

L’entità di questi cambiamenti produrrà un ulteriore peggioramento delle condizioni sociali ed ecologiche, fino alla possibile loro irreversibilità, se sarà gestita dalla logica estrattivista del grande capitale finanziario; ma, dentro un ciclo di nuove lotte e mobilitazioni sociali, potrebbe rivelarsi un’inedita opportunità per una reale fuoriuscita della società dai rapporti capitalistici di produzione e riproduzione sociale.

Lottare contro i mercati si può e, per poterlo fare, è necessario attrezzarsi per tempo.

I grandi interessi finanziari stanno già preparandosi ad affrontare questi eventi dal punto di vista degli utili e della reddittività; saremo altrettanto pronti ad affrontarli dal punto di vista della vita, dei beni comuni, dei diritti sociali e di un futuro dignitoso per tutte e tutti?

Sapremo dire con determinazione che la nostra Europa inizia dove finisce la loro?

«Perché salite sui tetti?» fu la domanda posta a un operaio durante l’occupazione della sua fabbrica. «Perché da lì si vede l’orizzonte» fu la risposta.

NOTE
1. A. Gramsci, Quaderni dal carcere, Einaudi, Torino 2014.
2. Ibid.
3. R. Lambert, S. Leder, Lo scenario di un braccio di ferro con i mercati, «Le Monde Diplomatique», ottobre 2018.
4. Differenza tra il tasso d’interesse applicato ai titoli di debito emessi da un determinato paese (in questo caso l’Italia) e quello applicato ai titoli emessi da un altro paese (in Europa, la Germania).

Scuola

Perché gli adolescenti hanno bisogno della filosofia (anche ai tecnici)

di Paola Muller* 15 maggio 2019

Perché insegna a porre le domande giuste e a non dare risposte affrettate. Perché costringe a dare ragione di ciò che si pensa e di ciò che si dice. Il Manifesto per la Filosofia, appena lanciato, chiede che la filosofia sia inserita in tutti i curricula scolastici. La professoressa Muller racconta l'esperienza di un laboratorio che ha tenuto all'IISS Galilei di Milano, partendo dalla bellezza e da sant'Agostino

Il Manifesto per la filosofia da poco lanciato con grande successo da Marco Ferrari e Gian Paolo Terravecchia esprime con vigore l’esigenza di offrire a tutti i ragazzi l’opportunità di fare filosofia.

È proprio dell’adolescenza l’acquisizione progressiva di una sempre maggiore consapevolezza nell’assumere i propri atteggiamenti e compiere scelte, conquistare gradualmente il senso della propria libertà e non seguire passivamente ciò che dicono o fanno gli altri: perché allora continuare a privare alcuni ragazzi, anzi la maggior parte di loro, della filosofia? Sono proprie dell’uomo e dell’adolescente “educato nella paideia e dotato di logos” l’esigenza di ricercare la verità e la tensione al sapere. La filosofia esprime qualcosa di essenziale per l’essere umano.

Si inserisce in questo appello il progetto di un laboratorio di filosofia realizzato presso un istituto tecnico professionale, il Galilei Luxemburg di Milano. Si è trattato di un percorso laboratoriale e non dell’insegnamento di un’ulteriore materia tra le altre. Una semplice occasione per i ragazzi del biennio di ‘filosofare’, di allargare l’orizzonte dei propri pensieri in modo più consapevole e critico. Laboratorio condiviso e strutturato insieme con gli insegnanti delle varie classi (di varie discipline dall’italiano alla fisica, dall’arte alla chimica). Una condivisione di percorso che ha attivato sinergie importanti e stimolanti. Al laboratorio hanno partecipato attivamente e come supporto anche degli studenti iscritti al corso di laurea in Filosofia dell’Università Cattolica di Milano. I ragazzi dell’IISS sono stati spinti a partecipare e a non assumere il ruolo di osservatori passivi o meri ascoltatori, ma a mettersi in gioco liberi da valutazioni, giudizi e compiti a casa. La prospettiva è stata quella di creare un’opportunità per prevenire l’abbandono scolastico, incoraggiando i ragazzi ad “aprirsi alla grandezza della ragione”. Una ragione che può dare grandi risultati non solo a livello didattico, ma aiuta ad assaporare maggiormente il sapere, per capire chi voglio essere e non tanto che cosa voglio fare. La classe, l’aula, diventa così il luogo in cui apprendere abiti di comportamento, luogo ove si problematizzano quelle che vengono solitamente considerate certezze.


Photo by CJ Dayrit on Unsplash
L’itinerario del laboratorio ha avuto al centro la bellezza, tema vissuto quotidianamente dai ragazzi e che interroga ciascuno di noi. Bellezza alla base della quale c’è sempre un senso di stupore e di meraviglia, elementi da cui nasce anche la domanda filosofica. A partire dall’esperienza personale, effimera, ma folgorante, i ragazzi hanno individuato e riflettuto sull’orizzonte di attesa e di senso che ne scaturiva a vari livelli: nell’amore, nell’amicizia, nella stessa conoscenza, nell’arte, nel silenzio. Attraverso la discussione e la lettura di testi tratti dalla letteratura gli studenti hanno avuto modo di problematizzare, concettualizzare, approfondire un tema a loro intimo, ma del quale non sono competenti. Non si è proposto il metodo del problem solving, quanto piuttosto si è spinto alla formulazione di domande, alla ricerca delle parole più adatte per esprimere il proprio pensiero. Una educazione alla bellezza, accogliendo l’invito di Peppino Impastato, attraverso un percorso filosofico, per portare al riconoscimento di sé come ‘cosa bella’, partecipe della verità e della bontà, e condurre a sviluppare capacità relazionali con le persone e con il mondo, passando anche attraverso il proprio patrimonio interiore.

Una bellezza che non si esaurisce in ciò che piace. Il gusto, che speso diventa alibi del relativismo, è una facoltà da educare. Riprendendo sant’Agostino: qualcosa non è bello perché mi piace, ma mi piace perché è bello. La bellezza dunque precede e trascende il gusto, il piacere personale. Così come il bello non esaurisce la bellezza né le domande che suscita: "Noi non amiamo che il bello. Cos'è il bello? E cos'è la bellezza? Cosa ci attrae e ci avvince agli oggetti del nostro amore?" (Agostino, Confessioni, IV, 13, 20). Porsi domande e cercare risposte non è che il quaerere, il ricercare proprio della filosofia, proprio di ciascun uomo. Che la filosofia possa davvero entrare in ogni scuola!

Il Manifesto per la Filosofia lanciato da Marco Ferrari e Gian Paolo Terravecchia ha già raccolto oltre 24mila firme su Change.org. Il Manifesto chiede «che la filosofia sia adeguatamente riconosciuta nell’esame di stato, che sia inserita in tutti i curricula scolastici, riguardando anche gli istituti tecnici, e che sia valorizzata nella formazione universitaria e nelle pratiche formative professionali del mondo del lavoro». Perché? Tante le ragioni, far cui: «perché apre la mente dell’uomo al pensiero libero. Perché insegna a porre le domande giuste e a non dare risposte affrettate. Perché costringe a dare ragione di ciò che si pensa e di ciò che si dice» [ndr]

*Paola Muller è professore associato di Storia della Filosofia Medievale presso il Dipartimento di Filosofia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore.

Ndr.: FA AFFERMAZIONI GIUSTE PARTENDO DA ARGOMENTAZIONI SBAGLIATE, ma fa piacere almeno sapere che sulla sostanza siamo d'accordo.
Per esempio partire dalla bellezza e da Sant'Agostino è scientificamente del tutto fuori luogo in quanto, anche la bellezza è figlia dei tempi, dal bello greco (Kalos kai agathòs), che già distingueva il bello per il colto e per l'incolto, al bello per Kant (in cui il bello non riguarda più la sostanza dell'oggetto, ma invece la sua rappresentazione estetica), a "quel certo non so che" di Leibniz, a Hume (il bello è begli occhi di chi guarda), o al bello in matematica che può avere un senso “on the road” oppure una particolare semplicità di rappresentare il tutto; comunque il bello per eccellenza è figlio del gusto, nulla di più mutevole per luoghi, tempi e circostanze, anzi proprio per questo tende ad accumularsi, quindi forse salverà il mondo (Dostoevskij), attraverso una bellissima formula matematica che ci descriverà il tutto, ma mentre l'uomo contemporaneo può apprezzare il bello sia nel Doriforo di Policleto, che in un quadro di Picasso, altrettanto non si può dire per Socrate o per Platone.
Per quanto concerne poi Sant'Agostino, che inverte gusto e bellezza (non è bello ciò che piace, ma piace ciò che è bello), in quanto ha il problema di far piacere il suo dio all'uomo, siamo proprio molto distanti dalla ricerca propria della filosofia, in quanto la teologia è la negazione della filosofia.
Neppure ha senso che si insegni la filosofia in nome della ricerca della verità (in quanto ricadiamo nel vizio teologico della Verità), per altro concetto che tutto il pensiero orientale disconosce completamente rispetto a noi occidentali, intendendolo piuttosto come molteplicità.
Però concordiamo che porsi domande e cercare risposte sia l'attività più educativa per l'uomo e che sia fondamentale dare ragione a ciò che si pensa e a ciò che si dice, come interpretare la mutevolezza del reale e comprendere il carattere progressivo del conoscere, sempre fenomenico e mai immanente.
Così pure condividiamo il senso del mettersiin gioco, e cioè di non avere un atteggiamento contemplativo riguardo la conoscenza della realtà, ma parteciparla per cambiarla in un processo ininterrotto. Non siamo qui per farci piacere ciò che disapproviamo, siamo qui per cambiare ciò che non ci piace.

  P R E C E D E N T E   

    S U C C E S S I V A  

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La VOCE 1906

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