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La VOCE ANNO XXI N°5

gennaio 2019

PAGINA F         - 38

Gli scienziati avvertono le Nazioni Unite dell’imminente fallimento del capitalismo



DI NAFEEZ AHMED - Fonte

Un discostamento dai combustibili fossili, favorito dal cambiamento climatico,significa che per l’economia mondiale ci sarà in sostanza necessità di mutamento

Il capitalismo come lo conosciamo è finito. Così suggerisce una nuova relazione commissionata da un gruppo di scienziati, nominati dal Segretario Generale delle Nazioni Unite. Il motivo principale? Stiamo passando rapidamente a un’economia globale radicalmente diversa, a causa del nostro sfruttamento sempre più insostenibile delle risorse ambientali del pianeta.

Il cambiamento climatico e le estinzioni di specie stanno accelerando,proprio mentre le società stanno subendo disuguaglianze crescenti, disoccupazione, crescita economica lenta, aumento dei livelli del debito e governi impotenti. Contrariamente al modo in cui i politici di solito pensano in merito a questi problemi, il nuovo rapporto afferma che queste non sono affatto crisi distinte.

Piuttosto, queste crisi fanno parte della stessa transizione cruciale verso una nuova era, caratterizzata da produzione inefficiente di combustibili fossili e da crescenti costi del cambiamento climatico. Come riporta il documento, il pensiero economico capitalista convenzionale non può più spiegare, prevedere o risolvere il funzionamento dell’economia globale in questa nuova era.

Transizione energetica

Queste sono le forti implicazioni di un nuovo documento scientifico preparato da un gruppo di biofisici finlandesi. Alla squadra dell’Unità di ricerca del BIOS in Finlandia è stato chiesto di fornire uno studio, che possa promuovere la stesura del Global Sustainable Development Report(GSDR) delle Nazioni Unite che sarà pubblicato nel 2019.

Per la “prima volta nella storia umana”, si legge nel documento, le economie capitaliste stanno “passando a fonti energetiche meno efficienti dal punto di vista energetico”. Questo vale per tutte le forme di energia. Produrre energia utilizzabile (“exergia”)(1) per continuare a dare spinta alle “attività umane di base e non di base” nella civiltà industriale “richiederà più sforzo, non dimeno”.

“Le economie hanno esaurito la capacità degli ecosistemi planetari di gestire gli scarti generati dall’energia e dall’uso dei materiali”

La quantità di energia che possiamo estrarre, rispetto all’energia che stiamo usando per estrarla, sta diminuendo “su tutto lo spettro – gli oli non convenzionali, il nucleare e le energie rinnovabili restituiscono meno energia nella [fase di] produzione, rispetto agli oli convenzionali, la cui produzione ha raggiunto il picco – e le società hanno bisogno di abbandonare i combustibili fossili a causa del loro impatto sul clima”, afferma il documento.

Il passaggio alle rinnovabili potrebbe aiutare a risolvere la sfida climatica, ma per il prossimo futuro non genererà gli stessi livelli di energia come il petrolio convenzionale a basso costo.

Nel frattempo, la nostra fame di energia sta determinando ciò che il documento definisce “costi sommersi”. Maggiore è il consumo di energia e materiali, maggiore è la quantità di rifiuti che generiamo e quindi maggiori sono i costi ambientali. Anche se possono essere ignorati per un po’, alla fine quei costi ambientali si traducono direttamente in costi economici, poiché diventa più difficile ignorare il loro impatto sulle nostre società.

E il “costo sommerso” più grande, ovviamente, è il cambiamento climatico:

“Anche i costi sommersi stanno aumentando; le economie hanno esaurito la capacità degli ecosistemi planetari di gestire i rifiuti generati dall’energia e dall’uso di materiali. Il cambiamento climatico è il costo sommerso che spicca di più”, afferma il documento.

L’autore principale del documento, il dott. Paavo Järvensivu, è un “economista biofisico” – un tipo emergente di economista che esplora il ruolo dell’energia e dei materiali nel promuovere l’attività economica.

Il documento del BIOS suggerisce che gran parte della volatilità politica ed economica, che abbiamo visto negli ultimi anni, ha una causa alla radice della crisi ecologica. Poiché i costi ecologici ed economici del consumo eccessivo industriale continuano ad aumentare, la costante crescita economica a cui siamo abituati ora è a rischio. Questo, a sua volta, ha esercitato una pressione enorme sulla nostra politica.

Ma le questioni sottostanti sono ancora non riconosciute e ignote alla maggior parte dei decisori politici.

“Viviamo in un’era di turbolenze e profondi cambiamenti nelle basi energetiche e materiali delle economie. L’era dell’energia a basso costo sta volgendo al termine”, dice il documento.

I modelli economici convenzionali, notano gli scienziati finlandesi, “ignorano quasi completamente le dimensioni energetiche e materiali dell’economia”.

“L’energia più costosa non porta necessariamente al collasso economico”, mi ha detto Järvensivu. “Certo, le persone non avranno le stesse opportunità di consumo, non c’è abbastanza energia a basso costo disponibile per questo, ma non sono automaticamente condotte sia alla disoccupazione e alla miseria”.

Gli scienziati si riferiscono al lavoro pionieristico dei sistemi dell’ecologista, Professor Charles Hall della State University di New York con l’economista Professor Kent Klitgaard del Wells College. All’inizio di quest’anno, Hall e Klitgaard hanno pubblicato un’edizione aggiornata del loro libro
fondamentale, Energy and the Wealth of Nations: An Introduction to Bio Physical Economics.

Hall e Klitgaard sono molto critici nei confronti della teoria mainstream dell’economia capitalista, che dicono essere separata da alcuni dei principi fondamentali della scienza. Si riferiscono al concetto di “Ritorno energetico sull’investimento [energetico]” (EROI) come indicatore chiave dello spostamento verso una nuova era di energia difficile. EROI è un semplice rapporto che misura la quantità di energia che utilizziamo per estrarre più energia.

“Per il secolo scorso, pompare sempre più petrolio dal terreno era quanto dovevamo fare”, affermano Hall e Klitgaard. Decenni fa, i combustibili fossili avevano valori EROI molto elevati: veramente poca energia ci consentiva di estrarre grandi quantità di petrolio, gas e carbone.

Ma come ho già segnalato per Motherboard, questo non è più il caso. Ora stiamo usando sempre più energia per estrarre quantità minori di combustibili fossili. Il che significa maggiori costi di produzione per produrre ciò di cui abbiamo bisogno per mantenere l’economia in movimento. La materia è ancora lì nel terreno – miliardi di barili che con certezza hanno valenza, abbastanza facilmente,per friggere più volte il clima.

Ma ciò è più difficile e più costoso da ottenere. E i costi ambientali per farlo stanno aumentando drasticamente, come abbiamo intravisto con l’ondata di caldo globale dell’estate appena passata.

Questi costi non sono riconosciuti dai mercati capitalisti. Non possono essere, nel vero senso della parola, considerati dai modelli economici prevalenti.

“Siamo di fronte a una forma di capitalismo che ha rafforzato la sua attenzione alla massimizzazione del profitto a breve termine, con un interesse apparente minimo o nullo nel bene sociale.”

All’inizio di agosto, l’investitore miliardario Jeremy Grantham – che ha alle spalle una serie di ciò che con coerenza viene definito bolle finanziarie – ha pubblicato un aggiornamento dell’analisi di aprile 2013, “The Race of OurLives”.

Il nuovo documento, ‘The Race of OurLivesRevisited’, fornisce un’accusa brutale sulla complicità del capitalismo contemporaneo nella crisi ecologica. Il verdetto di Grantham è che “il capitalismo e l’economia tradizionale davvero non possono affrontare questi problemi”, vale a dire l’esaurimento sistematico degli ecosistemi planetari e delle risorse ambientali:

“Il costo di sostituzione del rame, del fosfato, del petrolio e del suolo – e così via – che usiamo non è nemmeno preso in considerazione. Se lo fosse, è probabile che gli ultimi 10 o 20 anni (per il mondo sviluppato, in ogni caso) non si sia visto alcun vero profitto, nessun aumento di reddito, ma il contrario”, ha scritto.

Gli sforzi per spiegare queste cosiddette “esternalità” nel calcolare i loro costi effettivi sono stati ben intenzionati, ma hanno avuto un impatto insignificante sull’effettiva operatività dei mercati capitalisti.

In breve, secondo Grantham, “ci troviamo di fronte a una forma di capitalismo che ha irrigidito la sua attenzione alla massimizzazione del profitto a breve termine con un interesse apparente, minimo o nullo, nel bene sociale “.

Tuttavia, nonostante tutta la sua preveggenza e le sue intuizioni critiche, Grantham non coglie il fattore fondamentale nel grande disfacimento in cui ora ci troviamo: la transizione verso un basso [parametro] EROI per il futuro, in cui proprio non si potranno estrarre gli stessi livelli di energia e surplus materiale, come abbiamo fatto già da decenni.

Molti esperti ritengono che stiamo andando oltre il capitalismo, ma non sono d’accordo su quale sarà il risultato finale. Nel suo libro Postcapitalism: A Guide to Our Future, il giornalista di economia britannico Paul Mason teorizza che la tecnologia dell’informazione sta aprendo la strada all’emancipazione del lavoro, riducendo a zero i costi della produzione della conoscenza e potenzialmente altri tipi di produzione che saranno trasformati dall’IA, dalla blockchain, e così via. Quindi, dice, emergerà un’età utopica “postcapitalista” di abbondanza di massa, al di là del sistema dei prezzi e delle regole del capitalismo.

Sembra una prospettiva rosea, ma Mason ignora completamente la colossale infrastruttura fisica in aumento esponenziale per l'”internet delle cose”. La sua rivolta digitale è proiettata a consumare sempre più grandi quantità di energia (fino a un quinto dell’elettricità globale entro il 2025), producendo il 14% delle emissioni globali di carbonio entro il 2040.

Verso un nuovo sistema operativo dell’economia

La maggior parte degli osservatori, quindi, non ha idea delle realtà biofisiche evidenziate nel documento di riferimento,per il quale è stato dato mandato all’IGS (Independent Group of Scientists) del Segretario Generale dell’ONU: la forza trainante della transizione al post-capitalismo è il declino di ciò che ha reso possibile, in primo luogo, un “capitalismo della crescita all’infinito”: energia a basso costo in abbondanza.

Il Global Sustainable Development Report delle Nazioni Unite è stato redatto da un gruppo indipendente di scienziati (IGS), incaricato dal Segretario Generale delle Nazioni Unite. L’IGS è supportato da una serie di Agenzie delle Nazioni Unite, tra cui il Segretariato delle Nazioni Unite, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura, il Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente, il Programma di Sviluppo delle Nazioni Unite, la Conferenza delle Nazioni Unite sul Commercio e lo Sviluppo e la Banca Mondiale.

Il documento, che il Dr Järvensivu ha scritto insieme con il resto del team del BIOS, è stato commissionato dall’IGS delle Nazioni Unite, in modo specifico per promuovere il capitolo ‘Transformation: the Economy’. I documenti di riferimento, richiesti formalmente, sono usati come base del GSDR, ma ciò che finisce nella relazione definitiva non sarà noto fino a quando il rapporto finale sarà pubblicato l’anno prossimo.

“Nessun modello economico ampiamente applicabile è stato sviluppato specificamente per l’era imminente”

Nel complesso, il documento afferma che siamo entrati in uno spazio nuovo, imprevedibile e senza precedenti in cui la cassetta degli attrezzi dell’economia convenzionale non riesce a dare soluzioni. Con il sobbollire lento della crescita economica, le Banche Centrali hanno
..segue ./.

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