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La VOCE ANNO XXI N°5

gennaio 2019

PAGINA D         - 36

11-12 dicembre:
Da Piazza Fontana a Strasburgo

Ha ragione Piero: che tempestività questi attentatori jihadisti! I Gilet Gialli contestano il Governo Macron ed ecco che spunta l'attentatore a Strasburgo e si parla solo di quello, e si moltiplicano i pericoli di strette autoritarie …. Vincenzo Brandi

Non so perché, ma temo che qualunque sia il bilancio di morti nell'attentato di Strasburgo (io spero il minore possibile), bisognerà sempre aggiungere un disperso: il movimento dei Gilet Gialli.

I consiglieri di Macron da tempo gli suggeriscono di decretare l'état d’urgence, cioè lo Stato d'Emergenza. Ora l'attentato di Strasburgo può fungere da catalizzatore.

Comunque vada, è difficile che il prossimo sabato sia un'altra giornata di mobilitazione come i tre precedenti, perché il ricatto, anche solamente morale, sarà forte.

E agirà su tutta Europa! Forse anche per umiliare le velleità pseudo-sovraniste del governo Conte. Un'umiliazione rincorsa da Bruxelles per motivi prettamente politici, perché la finanziaria proposta dal nostro governo è totalmente compatibile con Maastricht e con l'austerità ordoliberista imposta da Berlino.

Io sto a vedere.

Qualcuno di voi intanto mi dirà che sono un complottista.

Non è vero. Non lo sono. Sto solo applicando un'analisi comparativa e differenziale con quanto è successo nel nostro Paese dalla strage di Piazza Fontana a Milano il 12 dicembre del 1972, alla strage di Bologna del 2 agosto del 1980.

Le lotte popolari furono contrastate con un attentato dietro l'altro e con la teoria degli “opposti estremismi”. All'epoca i jihadisti non c'erano. Era dai tempi di Gordon a Khartum che non c'erano. Non erano ancora stati resuscitati dagli USA e dai Saud in funzione antisovietica in Afghanistan. C'erano al posto loro i fascisti in combutta con i “servizi deviati”.

Quel 12 dicembre 1972 il presidente della Repubblica, il socialdemocratico Giuseppe Saragat, legato ad ambienti statunitensi, era intenzionato a proclamare lo Stato d'Emergenza.

Lo frenò un democristiano di centro, il doroteo Mariano Rumor, all'epoca ministro dell'Interno, timoroso che queslla mossa avrebbe potuto provocare un'insurrezione: il partito comunista, la sinistra extraparlamentare e i sindacati erano forti e i nemici erano solo interni. Non c'era nessun nemico alle porte.

Oggi, in Francia, con un “nemico” esterno, alieno, internazionale e una sinistra in difficoltà, confusa, nuovamente litigiosa e sindacati penosi, confusi e inerti, la tentazione di Macron e dei suoi consiglieri potrebbe essere più grande del rischio percepito o reale.

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Chissà perché, per molte persone, specie quelle che “hanno fatto il Sessantotto” e che quindi quel periodo storico e politico dovrebbero averlo vissuto, quelle cose possono avvenire solo da noi, non in Francia, o negli USA, o negli UK, o in Germania. No! Solo nei Paesi che essi disprezzano, e il loro, cioè il nostro, è in cima alla lista, evidentemente.

Piotr

Pensieri Lunghi

La “brava gente”

Già! La “brava gente”, la “gente comune”, la “gente per bene”. La gente conformista. [Piotr]

di Piotr
«Vi ringrazio, brava gente, per l'opera vostra!»
Così l'ultima battuta, con un ghigno di soddisfazione, della cinica, ipocrita ed egoista Marfa Kabanová alla vista del corpo senza vita dell'odiata e disprezzata nuora, Kát'a, che si è tolta la vita nel Volga. È L'Uragano di Aleksandr Nikolaevič Ostrovskij.

***

Già! La “brava gente”, la “gente comune”, la “gente per bene”. La gente conformista.

1. Uno dei grandi punti di forza di una volta del comunismo italiano fu l'arruolamento nei suoi ranghi degli intellettuali e degli operatori culturali. Disciolti (dall'interno!) il Partito Comunista Italiano e le organizzazioni della cosiddetta “sinistra extraparlamentare”, una delle grandi tragedie della sinistra italiana è oggi quella di essere invasa dagli intellettuali e dagli operatori culturali.

Non è un paradosso, ma la conseguenza del fatto che gli intellettuali dai tempi del Rinascimento vivono offrendosi al miglior offerente. Prima presso le corti nobiliari e dalla Rivoluzione Francese in poi, disciolte le corti, costretti ad offrire i loro prodotti e i loro servizi sul mercato. Chi domina il mercato domina così le idee, decide cosa è giusto e cosa è sbagliato, cosa è vero e cosa è “fake”, cosa è bello e cosa è brutto.

Finito il ruolo attrattore e disciplinante del comunismo e delle sue organizzazioni sui prodotti dell'intelletto, le idee dominanti sono ritornate ad essere solo ed esclusivamente quelle delle classi dominanti. Gli intellettuali col lauro (mediatico) si sono normalizzati (condizione sine qua non per avere il lauro) mentre quelli bohémiens sono diventati lo spettro di se stessi, nonostante la tenace resistenza di pochi, anzi pochissimi che non hanno disarmato e, letteralmente, non si sono venduti.

Il dualismo di potere culturale è finito. Non poteva durare in eterno e nemmeno troppo a lungo. E' logico e non c'è nulla di cui stupirsi.

2. Gli intellettuali vivono in un “mondo parallelo”, a partire dagli economisti come
afferma, dimostrandolo, Michael Hudson nella sua intervista autobiografica.

È un tipico peccato da intellettuale. Anche quelli integri (cioè non corrotti in senso comune o in senso aristotelico) hanno buona probabilità di convergere spontaneamente verso le idee dominanti per il semplice fatto che molto spesso non hanno una prospettiva di classe e vivono nel mondo dei sogni, senza quel quid in più che hanno gli artisti e che permette ad alcuni di loro – quelli grandi – di avere una reale capacità di introspezione e di prospezione e quindi di visione profetica (uno per tutti Pier Paolo Pasolini).
Poi ci sono quelli che invece si illudono di avere una prospettiva di classe solo perché mettono al centro di tutto, in modo esclusivo e monocorde, il conflitto capitale-lavoro. E lo fanno in modo mitologico, perché dove si svolge questo conflitto in termini geografici, geopolitici, energetici, storici, di risorse, insomma, in termini materiali, a loro non interessa, anzi dà fastidio. Altro che “materialismo storico”!

Persone che misurano tutto col metro del mondo perfetto, de-materializzato, puramente concettuale che si è inventato.

3. Enrico Palandri, scrittore e docente universitario, ha voluto scrivere un breve pamphlet “Contro la gente per bene”, per fustigare il clima morale e culturale dell'Italia “populista” di Salvini e Di Maio.

Mi starebbe anche bene, perché non è che questo sia proprio il clima in cui io mi riconosco e in cui i miei ideali – che penso siano gli stessi di Palandri – stanno a loro agio, anche se, al contrario di lui, penso che il populismo sia un necessario passaggio politico, un passaggio stretto, scomodo e pericoloso, derivante dal lungo suicidio della sinistra contestuale ai quasi 40 anni di neoliberismo, che politicamente e culturalmente è stato, tra le altre cose, “anti-marxista”, come dice giustamente il sopra citato Michael Hudson, ha cioè disarticolato il discorso marxista.

Un periodo di transizione di quelli che si trovano spesso nei momenti di grande crisi.

Scrivere contro la “gente per bene” è un esercizio obbligatorio, necessario e io condivido le intenzioni di Enrico Palandri. Ma purtroppo il suo pamphlet sbaglia il bersaglio e serve solo a portare un po' d'acqua al mulino di chi fa gli scongiuri contro i “populismi” e i “sovranismi”, perché risente dello stato di confusione in cui versa la sinistra (quella migliore, perché quella affaristica e di potere sa bene quel che fa e quel che dice), arrivando a formulare frasi come questa: “Oggi la gente per bene ha inventato la categoria di migranti economici sostanzialmente per umiliare chi arriva”.

Per Palandri, sembra quindi di capire, le persone emigrano dalla propria terra e dai propri affetti non pressate ferocemente dal bisogno (sennò, a me sembra, sarebbero “migranti economici”) ma perché spinte, che so, dall'urgenza di un nomadismo etno-culturale, o perché il loro progetto di vita fin da quando entrano nell'età della ragione è il melting pot, con chicchessia, ovunque sia e qualunque siano le condizioni. In definitiva, perché motivate dagli stessi sogni da La La Land degli intellettuali occidentali.

Un evidente nonsenso ma anche la necessaria conclusione di discorsi senza capo né coda materiali ma sufficientemente torniti dal punto di vista intellettuale, cioè sintattico.

4. Mentre noi vogliamo la Luna nel pozzo, un fiume di uomini, donne e bambini ha lasciato l'Honduras e punta sugli Stati Uniti. Panico di Trump, che non sa cosa fare, ma anche panico della nostra sinistra “per bene” che non sa cosa dire, perché se la dicesse tutta dovrebbe innanzitutto dire di se stessa che è una stronza.

Il modo in cui fuggono e si dirigono verso gli Stati Uniti macinando migliaia di chilometri fa presupporre non la spontaneità, ma lo zampino di qualche organizzazione fuori scena, leading from behind (come diceva Obama) sulle cui intenzioni è lecito sollevare più di un grave sospetto.

Ma il perché fuggono è un'altra storia.

Da cosa fuggono queste migliaia di persone (l'UNHCR il 19 e il 20 ottobre scorso ne ha registrate 7.233 al passaggio del confine tra Guatemala e Messico)? Lasciamo parlare una di loro:

“Noi migriamo a causa della crisi umanitaria nel nostro paese, l'Honduras, perché siamo governati da un presidente senza cuore che non sente il dolore di una nazione immersa nel sangue e piena di povertà, dove i bambini muoiono di malnutrizione per la mancanza di qualsiasi aiuto pubblico da parte del governo”.

Non sono cose esagerate. San Pedro Sula, ad esempio, era una città industriale ma oggi sono rimasti pochissimi posti di lavoro ed è in preda alla criminalità. Di recente per due anni è stata la capitale mondiale degli omicidi. E' la conseguenza dell'aver dichiarato l'Honduras “aperto al business” da parte degli attuali governanti. Oggi questo paese ha la legislazione più a favore delle multinazionali di tutta l'area. Eccone le conseguenze sintetizzate dal gesuita e attivista Ismael Morales:

“La carovana è l'esplosione di una pentola a pressione sotto la quale ha tenuto acceso il fuoco per quasi un decennio il governo dell'Honduras, in associazione con un pugno di élites transnazionali del business. [...] Il modello di sviluppo è basato sulle industrie estrattive e sulla privatizzazione e concessione dei beni e dei servizi pubblici”.

Cioè il modello di sviluppo è la rapina globalista nei suoi aspetti ormai classici. Qui da noi, in Europa, a promuoverla è stata l'alternanza destra-sinistra, con una particolare enfasi da parte della seconda. In America Latina ci hanno invece sempre pensato i fascisti. Paese che vai, usanza che trovi. D'altra parte le politiche neo-liberiste che da noi hanno esaltato la sinistra post-comunista furono sperimentate dai “Chicago Boys” per la prima volta nel Cile di Pinochet!

Oggi, ahimè, con Bolsonaro pare che tocchi di nuovo al Brasile. È il “recupero del cortile di casa” trascurato da Bush jr e promesso già da Barack Obama.

5. Ma cosa è successo circa dieci anni fa in Honduras? Risposta: c'è stato un colpo di stato. Il 28 giugno del 2009 il presidente democraticamente eletto di quel paese, Manuel Zelaya, accusato di essere favorevole a Hugo Chávez fu arrestato dai militari fascistoidi formatisi alla famigerata “Scuola delle Americhe” come esito di una trama ordita nell’entourage dell’allora Segretario di Stato, Hillary Clinton. Un vero e proprio “affare di famiglia”.

E qui entra in ballo l'altra “gente per bene”, cioè quella modellata in quaranta anni “anti-marxisti” e capeggiata dagli intellettuali neo-conformisti, fra i quali possiamo annoverare il 90% degli intellettuali italiani di sinistra, i maître (più o meno) à penser di un marxismo disarticolato, per l'appunto, da quattro decenni di neoliberismo, finanziarizzazione e globalizzazione.

È la gente per la quale la Clinton essendo donna è brava.

È la gente che si abbevera alla Repubblica, il quotidiano che inviò Omero Ciai in Honduras a strizzare l'occhiolino al presidente golpista Roberto Micheletti: «Dottor Micheletti ma chi glielo ha fatto fare di cacciarsi in questo guaio? Non si rende conto di essere perlomeno fuori moda?» (La Repubblica, 3 luglio 2009). Cioè, un golpe fascista era diventato un guaio per il golpista e una questione di “moda politica”. Parole al limite del surrealismo. Ma il surrealismo è in fondo la
..segue ./.

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