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La VOCE ANNO XXI N°6

febbraio 2019

PAGINA B         - 34

75.FILOSOFI ED ECONOMISTI BRITANNICI TRA FINE ‘700 ED INIZIO ‘800: SMITH, RICARDO, MALTHUS, BENTHAM, JAMES MILL E JOHN STUART MILL

di Vincenzo Brandi

Abbiamo già visto nel numero dedicato alle critiche di Russeau verso il progresso scientifico ed economico (N. 64), come invece in Gran Bretagna già nel ‘600 con William Petty (1623-1687) e nel ‘700 con il grande economista illuminista Adam Smith (1723-1790) sia stata impostata su basi razionali la nuova scienza economica moderna (o “Economia Politica”). Abbiamo anche visto come Petty e Smith avevano avanzato per primi la tesi che il valore dei prodotti sia dato dal lavoro in essi contenuto (Teoria del Valore-Lavoro, che sarà ripresa anche da Marx ed Engels). Essi hanno parlato anche dell’utilità della divisione del lavoro per aumentarne la produttività e anticiparono anche Marx nella distinzione tra Valore d’Uso di un oggetto (legato all’utilità che ha per noi) ed il Valore di Scambio dello stesso oggetto considerato come merce. Smith - che fu un fautore dell’istruzione pubblica come fattore di progresso - è stato spesso criticato per la sua chiara scelta a favore del capitalismo e del mercato, ed in particolare per l’affermazione che esista una “mano nascosta” che fa in modo che il mercato si autoregoli attraverso la concorrenza e la legge della domanda e dell’offerta (se l’offerta supera la domanda, il prezzo diminuisce e quindi diminuisce anche l’offerta) , evitando le crisi(1); ma sarebbe ingiusto considerare solo questo punto come il punto centrale del suo pensiero. Il grande pensatore scozzese si può considerare come il fondatore di una corrente economica razionale che ha preso il nome di “Economia Classica”.

Anche l’altro grande economista “classico” di inizio ‘800, l’inglese David Ricardo (1772-1823), che continuò l’opera di Smith soprattutto con la sua massima opera del 1817 – “Principi di Economia Politica e dell’Imposta” - fu un sostenitore del capitalismo britannico che guidava l’impetuosa rivoluzione industriale che avveniva in quel periodo, anche sulla spinta delle innovazioni tecniche e scientifiche (come l’invenzione delle macchine termiche a vapore) di cui più volte abbiamo scritto. Egli fu un sostenitore del libero commercio internazionale basato sul “Vantaggio Comparato” del commercio per le varie nazioni (se l’Inghilterra può produrre stoffe più convenientemente, ed il Portogallo il vino, è bene che si specializzino in queste produzioni e si scambino i prodotti senza barriere protezionistiche). Fu avversario dei grandi proprietari terrieri che vivevano sulla rendita agraria imponendo una politica protezionista sul grano britannico con le “Corn Laws” (Leggi del Grano), facendo così aumentare i prezzi dei generi di sussistenza (egli è convinto che la scarsità fa aumentare i prezzi, come poi diranno gli economisti “neo-classici). Di conseguenza, anche i salari operai (intesi come salari di pura sussistenza) aumenteranno, diminuendo i profitti capitalistici . Non si schierò nemmeno con le rivendicazioni operaie intendendo appunto il salario come qualcosa che permettesse solo i consumi indispensabili al mantenimento della Forza-Lavoro operaia (intesa anch’essa come una merce con un prezzo, concetto ripreso anche da Marx) secondo una presunta “Legge Ferrea del Salario”. Ma la sua trattazione della teoria del Valore-Lavoro, del conflitto tra profitti e rendite, e tra profitti e salari, dell’uso delle macchine, dell’aumento della produttività dovuta alla divisione del lavoro industriale, è particolarmente precisa e razionale. Egli ad esempio considera il capitale costituito dalle macchine come “Lavoro Accumulato” (cioè quello degli operai che le hanno costruite) e quindi computabile come Valore del Lavoro precedente. Riconosce che il profitto fa parte della stessa partita economica del salario e che quindi è in conflitto con esso (se vogliamo tener alti i profitti, non solo le rendite, ma anche i salari devono essere tenuti bassi; inoltre una parte del valore-lavoro è trattenuto dal capitalista come profitto, come già detto da Smith e sarà ripreso ed ampliato da Marx ed Engels). Riconosce anche che l’introduzione troppo veloce di macchine può portare all’aumento della disoccupazione (si era nel pieno delle rivolte dei “Luddisti” che rompevano le macchine per difendere il diritto al lavoro, movimento appoggiato anche da intellettuali dissidenti come Lord Byron). Ritiene però che a lungo andare la disoccupazione sarà riassorbita perché sarà necessario più lavoro per costruire le macchine. In definitiva Ricardo fu sostenitore del progresso capitalistico e fu “monetarista” da un punto di vista finanziario (era contrario alla stampa eccessiva di banconote per il pericolo di inflazione). Le banconote avrebbero dovuto essere sempre convertibili in oro, regime già attuato da Newton (vedi N. 50), ma poi sospeso a causa delle guerre napoleoniche. Il suo pensiero economico rigoroso fornisce però ampi spunti per diverse interpretazioni.

Negli stessi anni in cui operò Ricardo destò molto scalpore ed interesse un trattatello publicato nel 1798 – “Saggio sul Principio della Popolazione”- da un semplice parroco provinciale, Thomas Robert Malthus, che mise in guardia contro i facili ottimismi dei sostenitori del capitalismo industrialista e degli utopisti sociali, come l’anarchico repubblicano William Godwin (1756-1836), sostenitore della Rivoluzione Francese, marito della protofemminista Mary Wollstonecraft e padre della scrittrice Mary Shelley (creatrice di Frankestein). Egli sosteneva che, se le risorse alimentari crescono, ancor più velocemente cresce la popolazione con gravissimi pericoli di future crisi. Malthus era politicamente un conservatore, sostenitore della rendita terriera; riteneva, che fosse necessaria la castità per contenere le nascite ed il lusso delle classi alte per tenere alta la produzione. Divenuto professore, si confrontò anche con Ricardo (cui lo legava una reciproca stima) con la successiva più complessa opera “Principi di Economia Politica” del 1821, in cui mette in guardia nei confronti di crisi di sottoccupazione dovute ad eccesso di risparmio, anticipando il pensiero di Keynes. E’ stato molto criticato sia dai liberali che da socialisti e comunisti, ma il suo pensiero – come sottolineato anche dall’ambientalista Giorgio Nebbia nella prefazione all’edizione italiana di un’opera a lui dedicata(2) – contiene elementi che quasi due secoli dopo saranno indirettamente ripresi da moderni ambientalisti, come quelli facenti parte del noto Club di Roma(1) preoccupati dalla limitatezza delle risorse non rinnovabili, e dai governi di grandi paesi come l’India e la Cina consapevoli della necessità di un controllo delle nascite. Ne riparleremo nelle conclusioni.

Contemporanei di Ricardo furono il filosofo Geremy Bentham (1748-1832) - politico radicale simpatizzante della Rivoluzione Francese, sostenitore dei diritti delle donne, degli omosessuali e degli animali – ed il suo allievo, lo scozzese James Mill (1773-1836), amico dello stesso Ricardo(3). Essi furono sostenitori di una morale laica, basata sulla realtà, ed “utilitarista”, secondo cui l’utilità individuale deve armonizzarsi con la più vasta utilità sociale, in modo da assicurare il massimo grado di benessere e felicità al massimo numero di persone. Il figlio di James, John Stuart Mill (1806-1873) fu uno dei maggiori filosofi inglesi dell’800, continuatore della grande tradizione empirista britannica di Bacone, Locke ed Hume. Egli è sostenitore di una coerente logica “induttiva” antimetafisica ed antidealistica: le proposizioni universali sono somme di singole osservazioni di fatti particolari, ovvero generalizzazioni dell’esperienza. Anche la logica (ad esempio il principio di non contraddizione) è frutto di esperienza. Il processo induttivo è l’unico che ci assicuri una conoscenza nuova rispetto a quanto contenuto nelle singole premesse (anche se forse – si potrebbe osservare - non assolutamente certa) , mentre la conclusione del classico sillogismo aristotelico è esatta, ma non ci dice nulla di nuovo perché tutto è già contenuto nella sua premessa generale. Stuart Mill considera fondamentale il concetto di causa, e pensa che la causa di un fenomeno sia individuabile con una serie di criteri logico-empirici: ad esempio, quando vari fenomeni si presentano in caso di una circostanza comune (criterio di concordanza), o un certo fenomeno si presenti in presenza di una certa circostanza, ma non in presenza di altre diverse circostanze (criterio per differenza, che è il più importante), e simili. La premessa generale sul comportamento uniforme della Natura è anch’essa di origine induttiva ed è il fondamento migliore per una legge generale della causalità che quindi assume un valore universale.

Varie critiche sono state fatte a Mill per il fatto di non usare un criterio oggettivo non dipendente dall’esperienza, ma – a parere di chi scrive – la coerenza di Mill nell’uso di criteri empiristi induttivi costituisce la sua forza.

In definitiva il pensiero economico e filosofico di questi pensatori ed economisti britannici, di cui per ragioni di spazio è stato possibile dare solo pochi cenni, è stato funzionale al tipico capitalismo liberista e liberale britannico dell’inizio ‘800, ma fornisce ad una platea molto più vasta utili spunti di riflessione sia in campo economico e politico che in quello epistemologico, cioè della ricerca scientifica.

  1. Vedi Paciello, op. citata in bibliografia

  2. Vedi Poursin e Dupuy, “Malthus”, op. cit. in bibl.

  3. Geymonat, “Storia del Pensiero Fil. e Sc.”, op. cit. in bibl.



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