Abbiamo
già visto nel numero dedicato alle critiche di Russeau verso
il progresso scientifico ed economico (N. 64), come invece in Gran
Bretagna già nel ‘600 con William
Petty
(1623-1687) e nel ‘700 con il grande economista illuminista
Adam
Smith
(1723-1790) sia stata impostata su basi razionali la nuova scienza
economica moderna (o “Economia Politica”). Abbiamo anche
visto come Petty e Smith avevano avanzato per primi la tesi che il
valore dei prodotti sia dato dal lavoro in essi contenuto (Teoria
del Valore-Lavoro,
che sarà ripresa anche da Marx ed Engels). Essi hanno parlato
anche dell’utilità della divisione
del lavoro per
aumentarne la produttività
e anticiparono anche Marx nella distinzione tra Valore
d’Uso di
un oggetto (legato all’utilità che ha per noi) ed il
Valore
di Scambio
dello stesso oggetto considerato come merce. Smith - che fu un
fautore dell’istruzione pubblica come fattore di progresso - è
stato spesso criticato per la sua chiara scelta a favore del
capitalismo e del mercato, ed in particolare per l’affermazione
che esista una “mano
nascosta”
che fa in modo che il mercato si autoregoli attraverso la concorrenza
e la legge della domanda e dell’offerta (se l’offerta
supera la domanda, il prezzo diminuisce e quindi diminuisce anche
l’offerta) , evitando le crisi(1);
ma sarebbe ingiusto considerare solo questo punto come il punto
centrale del suo pensiero. Il grande pensatore scozzese si può
considerare come il fondatore di una corrente economica razionale che
ha preso il nome di “Economia
Classica”.
Anche
l’altro grande economista “classico” di inizio
‘800, l’inglese David
Ricardo
(1772-1823), che continuò l’opera di Smith soprattutto
con la sua massima opera del 1817 – “Principi
di Economia Politica e dell’Imposta” - fu
un sostenitore del capitalismo britannico che guidava l’impetuosa
rivoluzione industriale che avveniva in quel periodo, anche sulla
spinta delle innovazioni tecniche e scientifiche (come l’invenzione
delle macchine termiche a vapore) di cui più volte abbiamo
scritto. Egli fu un sostenitore del libero commercio internazionale
basato sul “Vantaggio
Comparato”
del commercio per le varie nazioni (se l’Inghilterra può
produrre stoffe più convenientemente, ed il Portogallo il
vino, è bene che si specializzino in queste produzioni e si
scambino i prodotti senza barriere protezionistiche). Fu avversario
dei grandi proprietari terrieri che vivevano sulla rendita
agraria
imponendo una politica protezionista sul grano britannico con le
“Corn
Laws”
(Leggi del Grano), facendo così aumentare i prezzi dei generi
di sussistenza (egli è convinto che la scarsità fa
aumentare i prezzi, come poi diranno gli economisti “neo-classici).
Di conseguenza, anche i salari operai (intesi come salari di pura
sussistenza) aumenteranno, diminuendo i profitti
capitalistici
. Non si schierò nemmeno con le rivendicazioni operaie
intendendo appunto il salario come qualcosa che permettesse solo i
consumi indispensabili al mantenimento della Forza-Lavoro
operaia (intesa anch’essa come una merce con un prezzo,
concetto ripreso anche da Marx) secondo una presunta “Legge
Ferrea del Salario”.
Ma la sua trattazione della teoria del Valore-Lavoro, del conflitto
tra profitti e rendite, e tra profitti e salari, dell’uso delle
macchine, dell’aumento della produttività dovuta alla
divisione del lavoro industriale, è particolarmente precisa e
razionale. Egli ad esempio considera il capitale costituito dalle
macchine come “Lavoro
Accumulato”
(cioè quello degli operai che le hanno costruite) e quindi
computabile come Valore del Lavoro precedente. Riconosce che il
profitto fa parte della stessa partita economica del salario e che
quindi è in conflitto con esso (se vogliamo tener alti i
profitti, non solo le rendite, ma anche i salari devono essere tenuti
bassi; inoltre una parte del valore-lavoro è trattenuto dal
capitalista come profitto, come già detto da Smith e sarà
ripreso ed ampliato da Marx ed Engels). Riconosce anche che
l’introduzione troppo veloce di macchine può portare
all’aumento della disoccupazione (si era nel pieno delle
rivolte dei “Luddisti” che rompevano le macchine per
difendere il diritto al lavoro, movimento appoggiato anche da
intellettuali dissidenti come Lord Byron). Ritiene però che a
lungo andare la disoccupazione sarà riassorbita perché
sarà necessario più lavoro per costruire le macchine.
In definitiva Ricardo fu sostenitore del progresso capitalistico e fu
“monetarista”
da un punto di vista finanziario (era contrario alla stampa eccessiva
di banconote per il pericolo di inflazione). Le banconote avrebbero
dovuto essere sempre
convertibili in oro, regime già attuato
da Newton (vedi N. 50), ma poi sospeso a causa delle guerre
napoleoniche. Il suo pensiero economico rigoroso fornisce però
ampi spunti per diverse interpretazioni.
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Negli
stessi anni in cui operò Ricardo destò molto scalpore
ed interesse un trattatello publicato nel 1798 – “Saggio
sul Principio della Popolazione”- da
un semplice parroco provinciale, Thomas
Robert Malthus,
che mise in guardia contro i facili ottimismi dei sostenitori del
capitalismo industrialista e degli utopisti sociali, come l’anarchico
repubblicano William
Godwin
(1756-1836), sostenitore della Rivoluzione Francese, marito della
protofemminista Mary
Wollstonecraft
e padre della scrittrice Mary
Shelley
(creatrice di Frankestein). Egli sosteneva che, se le risorse
alimentari crescono, ancor più velocemente cresce la
popolazione con gravissimi pericoli di future crisi. Malthus era
politicamente un conservatore, sostenitore della rendita terriera;
riteneva, che fosse necessaria la castità per contenere le
nascite ed il lusso delle classi alte per tenere alta la produzione.
Divenuto professore, si confrontò anche con Ricardo (cui lo
legava una reciproca stima) con la successiva più complessa
opera “Principi
di Economia Politica”
del 1821, in cui mette in guardia nei confronti di crisi di
sottoccupazione dovute ad eccesso di risparmio, anticipando il
pensiero di Keynes.
E’ stato molto criticato sia dai liberali che da socialisti e
comunisti, ma il suo pensiero – come sottolineato anche
dall’ambientalista Giorgio
Nebbia
nella prefazione all’edizione italiana di un’opera a lui
dedicata(2)
– contiene elementi che quasi due secoli dopo saranno
indirettamente ripresi da moderni ambientalisti, come quelli facenti
parte del noto Club
di Roma(1)
preoccupati dalla limitatezza delle risorse non rinnovabili, e dai
governi di grandi paesi come l’India e la Cina consapevoli
della necessità di un controllo delle nascite. Ne riparleremo
nelle conclusioni.
Contemporanei
di Ricardo furono il filosofo Geremy
Bentham
(1748-1832) - politico radicale simpatizzante della Rivoluzione
Francese, sostenitore dei diritti delle donne, degli omosessuali e
degli animali – ed il suo allievo, lo scozzese James
Mill
(1773-1836), amico dello stesso Ricardo(3).
Essi furono sostenitori di una morale laica, basata sulla realtà,
ed “utilitarista”,
secondo cui l’utilità individuale deve armonizzarsi con
la più vasta utilità sociale, in modo da assicurare il
massimo grado di benessere e felicità al massimo numero di
persone. Il figlio di James, John
Stuart Mill
(1806-1873) fu uno dei maggiori filosofi inglesi dell’800,
continuatore della grande tradizione empirista britannica di Bacone,
Locke ed Hume. Egli è sostenitore di una coerente logica
“induttiva” antimetafisica
ed antidealistica: le proposizioni universali sono somme di singole
osservazioni di fatti particolari, ovvero generalizzazioni
dell’esperienza. Anche la logica (ad esempio il principio di
non contraddizione) è frutto di esperienza. Il processo
induttivo è l’unico che ci assicuri una conoscenza nuova
rispetto a quanto contenuto nelle singole premesse (anche se forse –
si potrebbe osservare - non assolutamente certa) , mentre la
conclusione del classico sillogismo aristotelico è esatta, ma
non ci dice nulla di nuovo perché tutto è già
contenuto nella sua premessa generale. Stuart Mill considera
fondamentale il concetto di
causa, e
pensa che
la
causa di un fenomeno sia individuabile con una serie di criteri
logico-empirici: ad esempio, quando vari fenomeni si presentano in
caso di una circostanza comune (criterio di concordanza), o un certo
fenomeno si presenti in presenza di una certa circostanza, ma non in
presenza di altre diverse circostanze (criterio per differenza, che è
il più importante), e simili. La premessa generale sul
comportamento uniforme della Natura è anch’essa di
origine induttiva ed è il fondamento migliore per una legge
generale della causalità che quindi assume un valore
universale.
Varie
critiche sono state fatte a Mill per il fatto di non usare un
criterio oggettivo non dipendente dall’esperienza, ma – a
parere di chi scrive – la coerenza di Mill nell’uso di
criteri empiristi induttivi costituisce la sua forza.
In
definitiva il pensiero economico e filosofico di questi pensatori ed
economisti britannici, di cui per ragioni di spazio è stato
possibile dare solo pochi cenni, è stato funzionale al tipico
capitalismo liberista e liberale britannico dell’inizio ‘800,
ma fornisce ad una platea molto più vasta utili spunti di
riflessione sia in campo economico e politico che in quello
epistemologico, cioè della ricerca scientifica.
Vedi
Paciello, op. citata in bibliografia
Vedi
Poursin e Dupuy, “Malthus”, op. cit. in bibl.
Geymonat,
“Storia del Pensiero Fil. e Sc.”, op. cit. in bibl.
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