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La VOCE 1902

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La VOCE ANNO XXI N°6

febbraio 2019

PAGINA 1         - 21


In vista del 10 Febbraio "Giorno del Ricordo" dedichiamo l'intero inserto alle questioni del "confine orientale" ovvero del revisionismo-revanscismo imperversante da un ventennio su questi temi.

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Segnalazione nuovo libro:


Claudia Cernigoi

 
Operazione Plutone
. Le inchieste sulle foibe triestine
 
Udine: Edizioni Kappa Vu, 2018
 
Una delle tante mistificazioni diffuse in materia di “foibe” è quella che contro gli “infoibatori” non furono mai celebrati i processi. 
In realtà all’epoca del Governo Militare Alleato (GMA), e nello specifico tra il 1946 ed il 1949, a Trieste furono celebrati una settantina di processi per questi reati, conclusisi a volte con assoluzioni od amnistie, altre volte con condanne anche pesanti.
È proprio perché su queste vicende si è parlato e si continua a parlare citando acriticamente (e spesso anche in modo distorto) documenti che in realtà non sono basati su fatti ma solo su illazioni od opinioni, che l’Autrice ha sentito la necessità di fare una disamina delle relazioni sui recuperi dalle foibe triestine e delle vicende giudiziarie che ne sono seguite, in modo da presentare una visione il più possibile esaustiva di queste tematiche. 
Nella prima parte del testo, dopo l’analisi dell’attività di recupero delle salme e delle indagini condotte quasi tutte dall’ispettore Umberto De Giorgi, vengono approfonditi gli iter processuali relativi alle esecuzioni sommarie avvenute presso le foibe di Gropada e di Padriciano e la foiba di Rupinpiccolo, evidenziando come non sempre le risultanze giudiziarie siano coerenti con quanto appare in altra documentazione. 
La seconda parte è invece dedicata allo studio dei fatti che culminarono negli “infoibamenti” dell’abisso Plutone, presso Basovizza: l’Autrice ha analizzato assieme ad uno dei protagonisti, Nerino Gobbo, i documenti giudiziari e le varie testimonianze, contestualizzandoli nel periodo storico in cui si svolsero, in modo da dare una descrizione ancora inedita di quanto accade nel periodo cosiddetto dei “40 giorni” di amministrazione jugoslava di Trieste.


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Segnalazione nuovo film di propaganda fascista:


http://www.diecifebbraio.info/2018/12/5235/

 

RED LAND – ROSSO ISTRIA: UNA RECENSIONE

4 Dicembre 2018

 

Facendo violenza su noi stessi siamo andati a vedere il film su Norma Cossetto (regia di Maximiliano Hernando Bruno, del quale nella foto sopra potete leggere una sorta di proclama al popolo per la visione del film), dei cui sceneggiatori (Antonello Belluco e lo stesso regista Bruno) abbiamo parlato in un altro articolo reperibile qui: http://www.diecifebbraio.info/2018/11/gli-sceneggiatori-del-film-red-land-rosso-istria/ . 

In sostanza possiamo dire che anche come opera di propaganda è davvero un brutto film. Un mix tra commedia italiana anni ‘40 (nei dialoghi stile Liala che si scambiano sia le donne che gli uomini) e horror (per le scene di violenza in cui sangue e stupri si sprecano), in un trionfo di stereotipi, il cui clou è la figura del ferocissimo, al limite del ridicolo, partigiano Mate, ridotto ad una macchietta di sadico psicopatico avvinazzato (obiettivamente però in tutto il film sembra che gli attori, sia i “buoni” che i “cattivi” non facciano altro che tracannare vino in ogni occasione) con un perenne ghigno isterico sul volto (una menzione va all’attore sloveno Romeo Grebensek che si è prestato a questa opera di diffamazione della Resistenza jugoslava, avallando il concetto che “slavo è comunque cattivo”, ma anche stupido) a capo di un gruppo di altrettanto avvinazzati, stupidi e violenti “titini” (termine che nel 1943 non veniva usato, ma non è questo l’unico anacronismo presente nel film, come i personaggi che si danno del lei quando all’epoca, dopo vent’anni di bombardamento di slogan come “a chi ti dà del lei ancora adesso non dare il voi né il tu, dagli del fesso”, il voi era in uso obbligato soprattutto tra militari e apparati del regime).

Oltre alle pessime interpretazioni, il film si basa su una serie di “coincidenze” e di eventi improbabili: dopo una specie di prologo con la caccia al cervo nel bosco (il cervo in Istria è una rarità, tra l’altro) e due mani insanguinate che si agitano in una voragine, entra in scena Geraldine

Chaplin, che interpreta una vecchia incartapecorita (la presenza delle rughe escluderebbe la presenza del botulino sul suo volto, ma a questo punto l’assenza di espressione dell’attrice non è giustificabile neppure con la presenza del botulino), va con una nipote piuttosto stralunata fino al Magazzino 18 nel porto vecchio di Trieste (ah, i danni di Cristicchi!), magazzino che ovviamente nella fiction è accessibilissimo, basta spingere la porta per aprirla ed entrare; inoltre il pavimento e le masserizie sono puliti e privi di polvere, e lei capita, guarda un po’, proprio davanti all’armadio della sua infanzia (simile ad una quantità di altri armadi lì conservati, ma che lei riconosce a colpo d’occhio) e recupera la bambola che aveva nascosto in un doppio fondo (bambola che peraltro, in una scena del lungo flashback che seguirà risulta essere stata pugnalata e sventrata dal perfido Mate, ma che a distanza di settant’anni era ancora miracolosamente come nuova), il che fa precipitare la vegliarda ai ricordi della sua infanzia.

E da qui parte il flashback: nella prima scena che si svolge a Padova si vede una ragazza (Norma, per chi conosce la storia) correre, apparentemente terrorizzata, inseguita da un marinaio in divisa, ed alla fine di questo lungo inseguimento, dopo essere finiti in una stanza dell’ateneo dove veniva discussa una tesi, sotto gli occhi tra il severo e il divertito dei docenti e del laureando, i due finiranno col baciarsi in mezzo alla strada: come se un marinaio in divisa nel 1943 (piena guerra, anche se il film non lo lascia intendere) potesse comportarsi a quel modo solo per giocare con la sua fidanzata.

Il film sarebbe ufficialmente (così ha scritto Fausto Biloslavo sul Giornale ispirato al diario redatto da un cugino di Norma Cossetto, Giuseppe, che lo scrisse a 96 anni nel 2016, poco prima di morire (quindi a distanza di settant’anni dagli eventi), ma in realtà dei diari di Cossetto nel film non c’è nulla. Praticamente tutta la storia è inventata di sana pianta, sono inseriti personaggi che non risultano nelle memorie dell’epoca, ed altri personaggi appaiono con nomi cambiati (il professor Ambrosini, interpretato da Franco Nero, prestatosi dopo una carriera di tutto rispetto ad interpretare un dispensatore di luoghi comuni, che vive in un palazzo imponente e ricco come a Visinada non esistevano, dovrebbe essere il professore D’Ambrosi di Cittanova, che aveva aiutato la vera Norma Cossetto per la sua tesi, ma non si comprende il motivo di cambiare il nome e la residenza di questo personaggio, se non per inserire una sorta di “coscienza” nel paese in cui si svolgono i fatti). Non sono esistiti, inoltre (non ne fa cenno nessuno dei testimoni dell’epoca) i componenti della famiglia di Carlo Visentrin (cognome che peraltro non esiste) che secondo il film si trovava a Trieste con Cossetto padre, ed i cui figli maggiori (Adria e Angelo) vengono descritti come i traditori che si uniscono ai partigiani comunisti e “titini”: Angelo, un ragazzone poco sveglio che scrive slogan comunisti in un diario che nasconde sotto il materasso, sembra praticamente plagiato dalla sorella Adria, perfida amica d’infanzia di Norma, che le lavorerà contro (forse perché invidiosa dell’amica?); e verrà ammazzato perché, pentitosi, voleva impedire ai “titini” di portare via i prigionieri per “infoibarli”; e poi c’è la figlia minore, Giulia, la ragazzina della bambola. Né, da quanto ci è stato detto da una signora che i fatti li conosce davvero, si trovava in casa Cossetto la cugina Noemi, moglie del tenente Bellini che si trovava invece a Trieste col marito. Marito che tornerà in Istria con Giuseppe Cossetto assieme alle truppe nazifasciste (anche se nel film il loro ritorno è appena accennato e descritto come se avessero affrontato il viaggio per conto proprio) ed i due verranno uccisi nei combattimenti per il ripristino del controllo del Reich sull’Istria, la famosa Operazione Nubifragio (Wolkenbruch) che causò migliaia di morti, e che nel film, verrà vagamente descritta con un incontro tra gerarchi nazisti; poi le immagini, lungi dal presentare le colonne blindate e corazzate che devastarono l’Istria ed i suoi abitanti, rappresentano sparuti manipoli di militari nazisti che si muovono a piedi entrando nei villaggi di soppiatto per non farsi accorgere dagli abitanti.

Del resto nel film praticamente tutti i fatti sono raccontati diversamente da come li abbiamo letti nelle varie ricostruzioni (che, va detto, sono già esse tutte diverse tra di loro). Né il film rende giustizia alla figura di Norma Cossetto, che sarà anche stata una fanatica fascista (non lo si sa per certo), ma comunque non era una ragazzina trasognata ed a volte vagamente isterica come Selene Gandini la rende al pubblico (occupandosi più a spalancare gli occhioni azzurri che a recitare una parte), ma una donna di 23 anni (all’epoca a 23 anni le donne erano ben che adulte, sia che fossero contadine analfabete, sia che fossero acculturate come Norma), che aveva lasciato la casa paterna per andare a studiare a Gorizia già nella prima adolescenza, ed a Padova, dove frequentava l’università era attiva in vari campi, sportivi ed associativi; inoltre aveva avuto un’esperienza di insegnante nel liceo di Pisino pur non essendo ancora laureata. Una donna volitiva, la si sarebbe definita all’epoca, che forse proprio per questo suo atteggiamento disinvolto ed indipendente aveva potuto mettersi in mostra al di là del fatto di avere avuto un padre fascista. Ma alla fine la figura di Norma Cossetto invece di essere centrale nel film sembra quasi una figura di contorno, che di fatto appare poche volte nel corso di tutta la vicenda.

..segue ./.

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