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La VOCE ANNO XXI N°1

settembre 2018

PAGINA F         - 38

A Samir Amin

di Andrea Catone

Pechino, 5 Maggio 2018, grandissima sala gremita di giovani e anziani, cinesi e di tutto il mondo. Samir Amin tiene in seduta plenaria la sua conferenza per il grande convegno dedicato a Marx a 200 anni dalla nascita, organizzato dall’università cinese con oltre 330 relatori.

È l’ultima volta che lo incontro: vivace e cordiale come sempre, nulla lascia presagire che ci avrebbe lasciati entro qualche mese. Scambiamo qualche battuta sulla situazione italiana e sull’emergere di movimenti di massa reazionari, di tipo fascista, che egli osserva crescere nelle società europee come conseguenza della crisi capitalistica. Su questo egli scriveva già da alcuni anni diversi articoli e saggi, come quello pubblicato dalla Monthly Review nel 2014, “The Return of Fascism in Contemporary Capitalism”.

A Pechino e in Cina Samir era quasi di casa, partecipe più volte ai forum internazionali che in autunno il World Socialism Studies Center della Chinese Academy of Social Sciences organizza con cadenza ormai annuale, o ai convegni marxisti che diversi istituti cinesi promuovono con sempre maggiore frequenza e ampiezza. Allo straordinario sviluppo del socialismo con caratteristiche cinesi e al ruolo fondamentale che la Repubblica Popolare Cinese può svolgere e svolge nel mondo nel percorso di emancipazione dell’umanità, Samir Amin, direttore del Forum del Terzo Mondo con sede in Senegal, a Dakar, guardava con crescente interesse e vicinanza negli ultimi anni, senza risparmiare alcuni rilievi critici e note di messa in guardia in merito ai rapporti di produzione e di proprietà e al rapporto città/campagna.

Samir Amin è ben noto ai compagni, ai militanti, agli studiosi italiani sin dagli anni 1960-70, quando, da posizioni marxiste, leniniste e maoiste elabora la strategia dello “sganciamento” dei paesi economicamente dipendenti dal sistema dell’imperialismo mondiale, proponendo uno “sviluppo autocentrato”. Sin da quei primi importanti contributi emergeva una delle direttrici di fondo della sua ricerca militante, e scrivo “ricerca militante” pour cause: Samir non è stato mai un teorico fine a se stesso, ma un intellettuale marxista militante, un organizzatore politico, un promotore di iniziative, un compagno attivamente impegnato sul fronte della lotta politica, sociale, culturale. Egli ha sempre tenuta ferma la barra dell’analisi marxista, ha sempre provato a leggere e interpretare il mondo – per cambiarlo – con le lenti di Marx, di un marxismo non dogmatico e non settario, ma sempre ben saldo, acuto e vigile nei suoi presupposti e nel suo sistema teorico, anche quando ne proponeva aggiornamenti di analisi e categorie, soprattutto in relazione al sistema mondiale dell’imperialismo e alla crisi economica del sistema capitalistico mondiale dei “monopoli generalizzati”.

Per la sua personale storia e formazione Samir è stato un intellettuale marxista antimperialista in lotta per l’emancipazione dei popoli sottoposti al giogo coloniale e semicoloniale, o allo scambio ineguale imposto dall’imperialismo occidentale, e, al contempo, un intellettuale marxista che era di casa a Parigi e nei principali centri dell’Occidente. Sotto questo aspetto godeva del raro privilegio di poter avere uno sguardo sul mondo dal “Sud” e dal “Nord”, con una prospettiva complessa e complessiva, che si traduceva in indicazioni strategiche. Era un intellettuale militante che ha conservato sino all’ultimo giorno la consapevolezza della necessità, per un marxista, di una strategia di lungo termine; era un militante che non intendeva perdersi nei meandri della tattica del giorno per giorno.

Era uno studioso di economia e di teoria economica, ma ha trattato sempre questa disciplina come la trattava Marx, al quale nulla di umano era estraneo: non in termini strettamente specialistici. I suoi numerosissimi scritti erano a un tempo economia, storia, politica, filosofia.

È stato presente, attivo e vigile sulla scena del mondo da oltre 60 anni, con la sua passione comunista durevole, con la sua verve brillante e a tratti polemica, e, al tempo stesso, con una straordinaria disponibilità all’ascolto e al confronto, per meglio comprendere questo mondo in rapida trasformazione, con le sue sfide, le sue possibilità e i suoi grandi rischi.

Ha scritto moltissimo, direttamente nelle lingue che dominava, dall’arabo al francese all’inglese. Avremo modo nei prossimi giorni di dar conto ai nostri lettori della sua sterminata produzione. Collaborava con molte riviste in tutto il mondo. L’ernesto e poi MarxVentuno rivista, nonché il sito marx21.it hanno ospitato numerosi testi che egli ci inviava di norma in francese, talora in inglese, e ci proponeva di tradurre e pubblicare. Nel settembre scorso è uscito per le Edizioni MarxVentuno il suo libro (apparso contemporaneamente in diverse altre lingue nel mondo) dedicato ad una riflessione sulla rivoluzione bolscevica e alle prospettive future del movimento operaio e di emancipazione dei popoli sottoposti al giogo imperialistico: Ottobre 17: ieri e domani. In omaggio a Samir, lo rendiamo disponibile nel sito, iniziando con il primo capitolo.

Il 13 agosto 2018 alle 20.51 Piero Pagliani <pier.pagliani@gmail.com> ha scritto:

In morte di Samir Amin
Samir Amin è morto.


Il grande economista franco egiziano è spirato a Parigi il 12 agosto. Soffriva di tumore al polmone.
Nato al Cairo 86 anni fa da madre francese e padre egiziano, nel 1952 ottenne a Parigi la laurea in Scienze Politiche, nel 1956 quella in Statistica e infine nel 1957 la laurea in Economia.

Incontrai Samir in due occasioni. La prima fu al Social Forum Europeo di Parigi, nel 2003. Facemmo insieme buona parte della manifestazione di chiusura parlando a lungo. Ebbe modo di esprimermi diverse perplessità sul “movimento” nonostante l’appariscente riuscita del Forum.
Ci rincontrammo di lì a non molto a Milano, dove presentammo in tandem due nostri libri pubblicati da Punto Rosso.

Il pensiero di Samir Amin non è descrivibile in poche righe e nemmeno in poche pagine. Si formò nel crogiolo delle lotte d’indipendenza nazionale in Africa nel dopoguerra, quando si parlava di “Paesi in via di sviluppo”, uno sviluppo poi mortificato dalla rapina finanziaria coordinata dal Fondo Monetario Internazionale quando i capitali mondiali iniziarono a essere reclamati non dallo sviluppo (qualsiasi cosa voglia dire) ma dallo stomaco senza fondo della finanziarizzazione.
La deriva del marxismo elaborato nei centri capitalistici, ovvero quello che io considero l’ibridamento e intorbidimento di alcune categorie di origine marxista con quelle che accompagnano i piani globalisti-finanziari, lo portarono a prendere le distanze da ciò che riteneva un “marxismo eurocentrico”. Fu per questo tacciato di “terzomondismo”, alla pari di uno
studioso che ha avuto molti contatti con Samir, ovvero il nostro Giovanni Arrighi.
Entrambi sono stati invece maestri nella ricerca continua dell’applicazione dell’insegnamento marxista ai mutamenti globali della realtà e nel mettere in guardia dalle formulazioni libresche, economicistiche, antistoriche e iper-concettuali.
Samir Amin affermò una volta che il capitalismo coincideva con la storia stessa del capitalismo. Al di là della sua storia non poteva esistere nessun concetto di “capitalismo” (o di “capitale”).
E’ un’affermazione da non dimenticare mai (se si vuole fare qualcosa di diverso che non essere un intellettuale marxista).

Il suo supposto “terzomondismo” era invece un realistico richiamo alla necessità dei paesi della periferia di sottrarsi dall’abbraccio mortale di una globalizzazione che lungi dall’essere il dispiegamento di quanto Marx aveva (avrebbe) previsto, era una riconfigurazione del capitalismo globale ad uso e consumo di un Occidente in crisi, declinante e quindi sempre più aggressivo.

Da questa constatazione nasce il suo concetto di “delinking”. Se si rileggono i suoi scritti e i suoi libri, non è difficile notare che il delinking suggerito da Samir Amin ha molti aspetti in comune con la necessità di ritornare alla sovranità nazionale che acquista sempre più consensi anche nei Paesi del centro capitalistico storico.
Le ottiche progettuali spesso sono molto distinte da chi oggi rivendica un ritorno a questa sovranità, dato che l’ottica di Samir Amin era marxista e socialista, ma i problemi affrontati non sono invece molto diversi. Questo è ovviamente un problema, politico e sovente valoriale, ma non ha alcun senso fare finta che non ci sia.
Questa affermazione può fare storcere il naso a chi ragiona in termini non politici ma ideologico-identitaristi. Non me ne stupisco. Samir Amin non è stato un teorico e un attivista conosciuto e quando è stato conosciuto spesso non è stato amato o persino non è stato capito. La stessa sorte di Andre Gunder Frank e di Giovanni Arrighi, pensatori simili a lui per ampiezza di visione e preparazione.
Io suggerisco invece con tutto il cuore di leggerli o rileggerli e cercare di capirli. Forse si avrà un’idea meno mitica della crisi, delle difficoltà che stiamo vivendo e dei compiti che ci aspettano.

La morte di Samir Amin è la perdita di un grande pensatore e di un uomo gentile.

Sottoscrivo completamente le considerazioni di Piero sulla morte ed il pensiero di Samir Amin. In particolare quando ricorda l’affermazione di Amin secondo cui il capitalismo non va esaminato astrattamente ma con riferimento sempre alla storia stessa del capitalismo, cioè a come si è concretamente sviluppato. Altrimenti si rischia di fare solo dell’ideologia, come capita ormai da tempo al marxismo "eurocentrico". Vincenzo Brandi

In merito ai giusti tributi in questa lista riservati al grande marxista Samir Amin, che mi regalò alcune perle di saggezza arabo-marxista in un caffè del Cairo, in vacanza da Parigi, mi sembra giusto evitare il vezzo italiano per cui del morto non va detto mai niente di critico. Ecco, per esempio, una citazione di Samir che rappresenta superficialità e supponenza spesso rilevabili nei marxisti duri e puri e che Marx avrebbe redarguito, un giudizio abnorme su uno dei più grandi combattenti per l’unità e il riscatto arabi e africani e colui che al suo popolo aveva dato il più alto livello di vita dell’intero continente. Macchia nera e gdiudizio non circumnavigabile.

Gheddafi non è stato altro che un pulcinella di cui il vuoto di pensiero trova il suo riflesso nel suo famoso “Libro verde”. Operando in una società ancora arcaica, Gheddafi ha potuto permettersi di tenere in successione discorsi – privi di portata reale – “nazionalisti e socialisti”, per poi orientarli il giorno dopo verso il “liberismo”. Ha fatto questo “per fare piacere agli Occidentali”!, come se la scelta del liberismo non producesse effetti sulla società. Tuttavia, ne ha prodotti, e molto banalmente, per la maggior parte ha aggravato i problemi sociali.

E sarebbe per questi meriti occidentali che l’Occidente avrebbe squartato lui e raso al suolo il suo paese? Aggiungerei, sempre sullo sfondo di un marxismo da comunista iperteorico e poco pragmatico, la sua avversione, dopo un’iniziale adesione, al panarabismo, forza motrice strategica del risveglio di una grande nazione e per questo aggredita con tutti i mezzi dall’imperialismo; il sostegno al recente intervento colonialista francese in Mali e in tutta la regione del Sahel, giustificato con l’intento di evitare che la colonizzazione e la rapina dei beni minerari fossero compiute da Usa, UK e Germania; l’ambiguità poco lucida, per un attentissimo studioso delle tecniche provocatorie dell’imperialismo, sugli attentati dell’11 settembre, sì, secondo lui, sfruttati dagli Usa per guerre d’aggressione, ma compiuti dagli immaginari dirottatori di Bin Laden mentre Cia e Mossad si sarebbero limitati a lasciar fare; l’accredito di altri attentati, come Charlie Hebdo o Bataclan, a radicali jihadisti ed estemisti locali per costringere la Francia a mollare il Sud della Libia; la scelta maoista, legittima, accompagnata dalla feroce critica, ingiustificata, a un presunto espansionismo sovietico; l’appassionata adesione ai movimenti dei Forum Sociali di Porto Alegre, con gli esiti che conosciamo; il passaggio dal maoismo spinto alla difesa dell’attuale modello cinese, definito con l’ossimoro “socialismo di mercato”, alternativa alla globalizzazione neoliberista.

Avendo capito benissimo come l’accumulazione capitalista e il mondialismo si stavano concentrando sulla spoliazione dei paesi dalle ricche risorse attraverso lo sradicamento delle loro popolazioni e sulla destabilizzazione degli Stati nazionali (sparò a zero contro i secessionisti catalani), la sua autorevole voce avrebbe potuto con forza e chiarezza denunciare l’operazione migranti e i suoi manutengoli Ong.

Mi pare giusto accompagnare ricordi e apprezzamenti con riserve riguardanti questi e altri punti, giusto per non indurre chi si fida a fare l’eterno errore dei fideisti di accettare tutto tout court. Sempre meglio distinguere, no? Del resto, “nessuno è perfetto”, come si conclude in “A qualcuno piace caldo”. Fulvio

E’ vero Fulvio, nessuno è perfetto.
Io credo che con l’avanzare degli anni anche molti dei migliori si lascino andare a formulazioni rigide, a colte dogmatiche, quasi come fossero spaventati all’idea di confrontrsi col nuovo. Eppure Samir Amin aveva tutti gli strumenti per capire il ruolo di Gheddafi, ad esempio.
Per altri errori di Samir, credo che abbia influenzato la sua ferrea e totale avversità per l’integralismo (per non parlare del jihadismo).
Credo anche che l’ambiente intellettuale, nel senso vero e proprio di "habitat", del marxismo occidentale, di cui pure era critico, spinga verso un certo conformismo. Sappiamo bene come è dura mantenere la barra a dritta quando anche i tuoi amici ti criticano. Piero

Le citazioni di Fulvio a proposito di alcune sciocchezze dette anche da un intellettuale del valore di Amin (ad esempio su Gheddafi ed il ruolo del panarabismo laico), cioè di uno che aveva tutti gli strumenti teorici per non cadere in questi errori marchiani, sono un invito a ragionare sempre con la nostra testa e sottoporre a critica anche le affermazioni dei più quotati. V.B.

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