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La VOCE 1809

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La VOCE ANNO XXI N°1

settembre 2018

PAGINA 9

Segue da Pag.8: A Rosarno i braccianti africani si sollevano contro i soprusi padronali

Razzismo - Guerra civile - Fronte Proletari
La rivolta e la contro-rivolta di Rosarno sono state viste o come una manifestazione di sordo razzismo o come una guerra tra poveracci. Non sono né l’una né l’altra cosa. Né un assalto di bianchi contro neri animato da intolleranza razzista (che non manca un po’ dappertutto); né una guerra tra poveri intercorrendo tra immigrati e rosarnesi un ampio divario sociale. Sono un vasto episodio di guerra sociale, trasformatosi in uno scontro di classe per opposti interessi sociali. Per la difesa della dignità umana contro l’esistente modello di supersfruttamento e sopraffazione, da una parte; per il mantenimento di questo modello, cui attingono o da cui dipendono molti rosarnesi, dalla parte opposta. Va reso onore ai braccianti africani per avere respinto gli aggressori e sfidato questo modello di supersfruttamento e sopraffazione, che non è solo "rosarnese" "calabrese" o "meridionale"; ma, con caratteri diversi o particolari, italiano e mondiale. E va affermato, senza mezzi termini, che la battaglia combattuta da questi braccianti, fanteria mobile di un esercito proletario di oltre quattro milioni di immigrati, rappresenta il nuovo livello di scontro sociale e che si pone quindi come punto di partenza per lo sviluppo della guerra sociale dell’intero proletariato italiano.

A conclusione compendiamo la risposta alla seconda esigenza articolando le seguenti indicazioni operative:

- Fuori i dimostranti arrestati!

- Liberazione di tutti gli immigrati internati nei Cie!

- Esigere il pagamento dei salari maturati.

- Tenere i collegamenti tra tutti i protagonisti della rivolta.

- Organizzare, a partire dalla Piana di Gioia Tauro, i gruppi di autodifesa e di azione proletaria per respingere gli agguati e le aggressioni delle bande ordiniste e delle ronde fascio-leghiste; difendere la propria integrità e perseguire i propri interessi.

- Promuovere la solidarietà attiva e l’unità tra tutti i lavoratori, locali e immigrati; respingendo ogni forma di concorrenza interna e di dumping sociale tra lavoratori.

- Formare i comitati proletari di lotta in ogni luogo di lavoro e in ogni quartiere per tutelare i propri interessi professionali e la dignità personale.

- Collegare e unire questi organismi di lotta in un fronte proletario, aperto a tutti i lavoratori, immigrati e locali.

- Attrezzarsi di tutti gli strumenti di lotta per reggere lo scontro e controbattere gli apparati di sicurezza statali e le bande razziste e controrivoluzionarie.

- Guerra sociale e rivoluzionaria contro il razzismo e la guerra statale totale per l’unione nazionale e internazionale dei lavoratori e il potere proletario.

La Via Yankee al Sovranismo

Le ambivalenze della emergente prospettiva sovranista analizzate relativamente al caso italiano.
Un contributo da leggere con attenzione.


Ho iniziato a parlare dell’esistenza di una Via Yankee al Sovranismo, più o meno da quando ho iniziato a identificarmi, da un punto di vista marxista, con tale categoria politica. Dunque, intorno al 2012.
Infatti, dall’avvento dell’austerity del Governo Monti nel 2011, si è immediatamente palesato che, a fronte della rigidità tedesca che indirizzava le posizioni dell’Unione Europea imponendo politiche di macelleria sociale a Grecia e Italia, da parte degli Stati Uniti vi era un atteggiamento decisamente più elastico nei confronti della spesa pubblica e del bilancio statale. La troika che impartiva ordine ai governi euro-mediterranei, in altre parole, risultava essere composta dal “poliziotto buono” FMI e dal “poliziotto cattivo” Commissione Europea.
Così, molte figure pubbliche che in quel periodo e a vario titolo si pronunciavano contro l’austerity – per esempio Paolo Barnard, ma anche Stefano Fassina – enunciavano altresì esplicitamente la necessità di cercare sponda politica negli Stati Uniti e nel Fondo Monetario per uscire dalla trappola mortale del fiscal compact e dal controllo tedesco sulla nostra economia.
Da allora, molta acqua è passata sotto i ponti.
Otto anni di austerity hanno quasi del tutto eroso, presso l’opinione pubblica italiana ed europea, il preesistente sostegno alla prospettiva eurofederalista e hanno portato, quindi, il sovranismo al centro del dibattito politico e reso maggioranza parlamentare quelle forze politiche che, con varia gradazione, alle tematiche sovraniste sostengono di rifarsi.
Il punto è che a questa centralità dell’istanza sovranista, corrispondono manovre e strategie di carattere geopolitico da parte di forze straniere – in particolar modo gli Stati Uniti – per orientare a proprio vantaggio il ruolo dell’Italia nell’Europa che nascerà, dopo il probabile fallimento dell’Eurozona e dopo il possibile affossamento della prospettiva federalista.
A fronte di queste manovre, l’atteggiamento delle forze a vario titolo sovraniste (cioè i sovranisti-costituzionalisti, i marxisti critici dell’eurofederalismo e le forze più orientate a destra) è confuso, diviso, talora addirittura indifferente e comunque, all’atto pratico e a mio parere, inadeguato ad affrontare questo nodo strategico.
Rispetto alla situazione politica odierna, invito quindi a leggere tre testi pubblicati negli ultimi quattro giorni:
1) l’articolo del saggista Federico Dezzani intitolato Gli angloamericani giocano la carta M5S-Lega puntando alla Germanexit, pubblicato sul blog eponimo;
2) l’intervento dell’analista geopolitico Pierluigi Fagan intitolato Complessità democrazia e cambiamento, pubblicato sulla pagina facebook di quest’ultimo;
3) la lettera del Professor Paolo Savona, di commento alla crisi determinatasi intorno alla sua persona, pubblicata da diversi siti web.
Da questi interventi diversissimi fra loro, emerge un quadro non certo esaustivo, ma rispetto al quale risultano chiari alcuni elementi di correlazione tra crisi politica italiana e crisi dei rapporti fra Germania e Stati Uniti. Specificamente, risulta che:
a) Il recente tentativo di governo Lega-M5S, ha avuto la benedizione dell’ambasciatore USA Lewis Eisenberg e il sostegno entusiastico e militante del guru della destra americana Steve Bannon;
b) come sostengono i redattori della rivista Limes, per quanto ai vertici degli Stati Uniti sussista oggi un conflitto interno lacerante, le varie fazioni che si combattono a Washington concordano su un punto: l’esistenza di un altro conflitto – geopolitico e strategico – fra Stati Uniti e Germania; tale conflitto è dovuto alla progressiva “ostpolitik” di quest’ultima, materializzatasi in crescenti accordi bilaterali con la Cina e nel progetto di gasdotto North Stream 2 con la Russia;
c) esattamente come la Germania, gli Stati Uniti non credono alla visione fatalista-determinista che domina in Italia, secondo cui il processo di Stato Unico europeo sarebbe ineluttabile; al contrario, i Paesi che ragionano scevri da orpelli di superstizione ideologica, stanno lavorando alacremente intorno a possibili scenari post-eurozona o, addirittura, post-eurofederali; nell’ambito di tali scenari, gli Stati Uniti intendono cavalcare e indirizzare a proprio vantaggio l’inevitabile processo sovranista dell’Italia, ovvero intendono impedire che quest’ultima entri nell’orbita della filo-russa e filo-cinese Germania e che, grazie alla pressione del sovranismo italiano, la Germania stessa si ritrovi costretta a decidere la fine dell’esperimento di moneta unica;
d) ovviamente, un governo recante istanze più o meno sovraniste, si troverebbe naturaliter alleato con questa parte degli Stati Uniti poiché, nell’immediato, l’ostacolo a rimettere nelle mani delle istituzioni elettive e democratiche (cioè quelle nazionali) le redini dell’economia, sarebbe rappresentato dalla Germania;
e) in questo modo, si sta prospettando la possibilità di una “via yankee al sovranismo” che, per forza di cose, allontanerebbe l’Italia dalla Mitteleuropa e renderebbe più stretti i suoi legami con gli Stati Uniti.
Questi anni di austerity tedesca, hanno fatto a molti dimenticare cosa significhi il legame dell’Italia con gli Stati Uniti sul piano della sottomissione ai dogmi neoliberisti. Quel legame significa, fra le tante cose: deregolamentazione economica, recante degradazione dei diritti sociali (vedi trattato CETA o il temporaneamente bloccato TTIP); tramite scimmiottamento degli USA nell’abolire il finanziamento pubblico ai partiti, privatizzazione della politica ovvero sua sottomissione definitiva al lobbysmo e agli interessi privati; tramite rapporti del sistema sanitario italiano con le grandi aziende farmaceutiche americane, abolizione del principio di assistenza sanitaria gratuita e universale; tramite la NATO, coinvolgimento in guerre che – come quella in Siria o quella al momento “fredda” con la Russia – collidono totalmente e pesantemente con quelli che sono gli interessi economici e strategici dell’Italia.
Malgrado tutto questo, in ambito sovranista o comunque fra i critici dell’eurofederalismo, si manifesta la tendenza a demonizzare la Germania che impone l’austerity e, quindi, a porre in secondo piano il problema rappresentato dagli Stati Uniti.
Oppure, si teorizza un’irenica neutralità rispetto a entrambi i Paesi. Il che, in linea di principio, è certamente condivisibile. Ma la neutralità non nasce mai dall’inazione, bensì è il risultato di attività diplomatica, d’indefessa tessitura di alleanze internazionali.
Ma soprattutto, l’obiettivo della neutralità non può che avere, come passaggio inderogabilmente prioritario, la revisione dei rapporti con quel solo e unico Paese che ha collocato, sul territorio italiano, 40 basi militari e 90 testate nucleari.
Il punto, dunque, è saper distinguere fra gli aspetti immediati e contingenti della politica internazionale e le prospettive geopolitiche di portata medio-lunga.
È del tutto evidente che, nell’immediato, l’istanza sovranista dell’Italia si troverà a confliggere con la direzione tedesca dell’Eurozona.
Ma in uno scenario post-moneta unica o post-federale, la relazione con la Germania potrebbe invece assumere una valenza diametralmente opposta. E non solo nello scenario “post”, ma anche nella fase immediatamente precedente: in caso di crisi delle relazioni intra-europee, infatti, la Germania – che storicamente ha vissuto l’euro come un’imposizione – potrebbe trovarsi alla guida dei paesi euroscettici.
Da un punto di vista sovranista, sarebbe veramente triste osservare – in un eventuale scenario europeo post-federale – l’Italia legata a triplo filo con gli Stati Uniti mente la Germania se ne veleggia, autonoma, verso uno spazio di cooperazione con i BRICS.
Nel contesto politico italiano, se da una parte il M5S fonda totalmente la propria legittimazione internazionale sui rapporti con ambienti inglesi e americani, vediamo la Lega muoversi in modo più spregiudicato e, quindi, più autonomo. Se da una parte Salvini svolge incontri cordiali con Steve Bannon, dall’altra intesse rapporti col partito Russia Unita di Putin ed enuncia – nella conferenza stampa di presentazione della candidatura di Alberto Bagnai – una futura saldatura con la Germania in versione “euroscettica”.
Dal momento che, per numerose ragioni, non si possono riporre le proprie speranze su un personaggio ideologicamente contradditorio e tendente all’improvvisazione come Salvini, occorre che una visione di lungo termine sul rapporto con Stati Uniti e Germania s’insedi anche negli ambienti sovranisti veri e propri. Una visione che sappia distinguere fra una prospettiva immediata di scontro con la direzione tedesca dell’Unione Europea e una prospettiva geopolitica di lungo termine, che impone all’Italia di allentare lo storico legame con gli Stati Uniti e abbracciare il nuovo assetto multipolare del mondo.
Una prospettiva, soprattutto, che eviti che i sovranisti italiani facciano il ruolo degli utili idioti e cioè che contrastino la Germania laddove necessario, ma senza assecondare i progetti atlantisti volti a recare maggior peso agli Stati Uniti in Europa: ora, vi è il fondato sospetto che il governo Lega-M5S quest’accortezza non l’avrebbe affatto avuta.
Riccardo Paccosi

La risposta bellica alla trattativa

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La risposta bellica alla trattativa ROMA (ITALIA) | 24 LUGLIO 2018
Il conflitto tra capitalismo finanziario transnazionale e capitalismo produttivo nazionale entra in una fase parossistica. Da un lato, i presidenti Trump e Putin negoziano una difesa congiunta dei rispettivi interessi nazionali. Dall’altro, il principale quotidiano statunitense e mondiale accusa il presidente degli Stati Uniti di alto tradimento; nel frattempo le Forze Armate USA e NATO si preparano alla guerra contro Russia e Cina.

Usa e Ue in lite ma uniti contro Russia e Cina

di Manlio Dinucci
Usa e Ue in lite ma uniti contro Russia e Cina ROMA (ITALIA) | 12 GIUGNO 2018
In questo periodo di evoluzione accelerata delle posizioni internazionali è oltremodo importante non lasciarsi accecare da questo o quest’altro elemento e collocare gli avvenimenti in una visione d’insieme. Osservando il G7, la NATO e l’OCS, il geografo Manlio Dinucci mette in luce la direzione scelta dalle potenze occidentali.

Pacco bomba nucleare dagli Usa

di Manlio Dinucci
Pacco bomba nucleare dagli Usa ROMA (ITALIA) | 9 MAGGIO 2018
Contrariamente a quanto comunemente si crede, i nuovi aerei di combattimento multiruolo statunitensi, gli F-35, sono stati concepiti come pedine della strategia nucleare del Pentagono. Potranno trasportare e sganciare le nuove bombe atomiche B61-12. I proprietari di questi aerei si preparano, consapevolmente o no, alla guerra nucleare.


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