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La VOCE 1809 |
P R E C E D E N T E | S U C C E S S I V A |
La VOCE ANNO XXI N°1 | settembre 2018 | PAGINA 4 |
Un modello vincente di cooperazione: Le origini dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai4Dalla fine della guerra fredda ad oggi, l’Asia centrale è divenuta un’area di primaria importanza per gli equilibri globali e per questo è stata investita dall’attenzione delle grandi potenze. Gli attori regionali, in primis Russia e Cina, si sono trovati nella necessità di rispondere alle sfide lanciate dall’unica potenza mondiale rimasta sia per quanto riguarda gli interessi interni all’area sia nella sistemazione del proprio spazio geopolitico. L’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai (OCS) è la principale e comune risposta messa in piedi dalle enormi potenze situate nella regione. Russia, Cina, Uzbekistan, Kazakistan, Tajikistan, Kirghizistan ne sono gli Stati membri e fondatori; Iran, India, Pakistan, Mongolia, Afganistan gli Stati osservatori; Bielorussia, Turchia e Sri Lanka i partner di dialogo. Soltanto elencando gli aderenti a tale Organizzazione si è in grado di capire il peso che potrebbe avere nel futuro delle relazioni internazionali e nel futuro degli assetti geopolitici. Con la fine del bipolarismo garantito dalla “guerra fredda” e il sopraggiunto dominio esercitato in ogni angolo del globo dagli Stati Uniti e dalle loro alleanze, potenze emergenti e dalle energie potenziali immani, hanno dovuto trovare un mezzo per poter far pesare le proprie richieste di multilateralismo negli affari internazionali, e di multipolarismo negli equilibri geopolitici. Attraverso nuovi concetti di relazioni interstatali e di sicurezza, basati su intese attente nel garantire soluzioni eque, le potenze euro-asiatiche, sono riuscite a consolidare le reciproche relazioni e a costituire un vero e proprio “polo” che farà (e sta già facendo) sentire il proprio peso nell’arena mondiale. Il processo di costituzione della OCS, su cui vogliamo concentrare l’attenzione con questo contributo, è esemplificativo sulla natura del rapporto ed è un esempio da seguire nelle questioni diplomatiche: nasce infatti dalla risoluzione definitiva delle dispute confinarie che contrapponevano la Cina e lo spazio russo. Questi accordi sorgono dalla necessità, naturale, di trovare un comune sviluppo dopo il crollo dell’URSS e la crescita esponenziale della potenza cinese. Risolte le varie dispute, in un crescendo di integrazione, l’Organizzazione di Shanghai passa a regolamentare i rapporti dei suoi membri in ogni campo possibile: dalle questioni interne dei vari Paesi con l’interesse di proteggerne la sovranità, alla collaborazione contro le nuove minacce rappresentate da terrorismo, estremismo e separatismo (le famigerate “forze maligne” contro le quali si scaglia l’OCS), passando per la cooperazione energetica in un’area ricchissima di gas, petrolio e fondamentale per l’allocazione mondiale di questi; la collaborazione si estende anche al campo militare confermando con questo che l’OCS, anche attraverso l’appoggio che continua a dare all’Iran (praticamente membro) sta tentando di creare un “polo” in grado di rendersi autonomo dall’egemonia statunitense sul mondo. La risoluzione delle dispute confinarie L’evoluzione geopolitica in Eurasia negli anni ottanta e oltre vede, com’è noto, numerosi cambiamenti di rotta rispetto allo status quo precedente. L’indebolimento dell’Unione Sovietica, accompagnato dal progredire della potenza cinese, creò un nuovo equilibrio fra le due potenze; queste – che da secoli tentavano di regolare i propri rapporti, soprattutto cercando di risolvere le dispute confinarie (talvolta causa di scontri armati) – si trovarono così nella situazione migliore per affrontarle e dirimerle una volta per tutte. Questa possibilità è stata colta cavalcando di certo l’opportunità storica, ma senza dubbio alcuno rimane un modello di comportamento al quale altre aree del pianeta possono e devono guardare. I confini russo-cinesi consistono in 4300 kilometri nella parte orientale, mentre dopo il crollo dell’Unione Sovietica e quindi l’indipendenza delle Repubbliche centro-asiatiche, il confine occidentale fu spartito tra cinque paesi: Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, e infine i pochi chilometri rimanenti con la Russia. Il nuovo corso, quello che come vedremo verrà chiamato “spirito di Shanghai” e che significherà volontà di cooperazione e rapporti di buon vicinato, nasce proprio dalla volontà di trovare una soluzione ai problemi confinari che pochi anni prima sembravano impossibili da risolvere; l’equilibrio fra le due potenze euro-asiatiche fa in modo che queste riescano ad aver rapporti equi, e possano coprirsi le spalle a vicenda per affrontare le nuove sfide che le vedono protagoniste. E’ del 1991 il primo fondamentale accordo (entrato in vigore nel 1997) che pone le fondamenta per la soluzione di tutte le controversie confinarie (che verranno risolte negli anni). Tramite questo trattato Russia e Cina risolvono il 98% dei problemi sui confini all’est, mentre dopo il collasso dell’Urss alla fine del 1991, la determinazione dei confini occidentali sarà affrontata bilateralmente con ciascuna delle nuove Repubbliche. Conoscendo gli scontri avvenuti fino agli anni ’70, possiamo apprezzare l’importanza della nuova sistemazione: molti analisti rimasero stupiti quando cominciarono a rendersi conto dei grandi passi avanti fatti dalla diplomazia cinese e russa nel regolare le dispute. Ma soprattutto è da notare le modalità che utilizzarono per compiere questo notevole compito: infatti, sia per i confini terrestri sia per i più difficili confini fluviali (che a causa della fluttuazione delle acque rendono impossibili Leggi larticolo completo. |
I caratteri fondamentali dell’ascesa economica cinesePer secoli la Cina è stata una civiltà che ha saputo giocare un ruolo primario e di leadership all’interno dell’Asia fino al XIX secolo quando il paese ha registrato un notevole arresto culturale, politico ed economico. Grazie a Mao Zedong, dopo la Seconda Guerra Mondiale, la Repubblica Popolare Cinese è riuscita ad imporre una forma di governo, il sistema socialista autocratico, che ha permesso di assicurare al paese sovranità territoriale, controlli severi sulla vita quotidiana dei cinesi e sui costi. Succeduto a Mao Zedong nel 1978, Deng Xiaoping e gli altri esponenti del partito comunista cinese hanno dato il via ad una economia orientata verso il libero mercato che ha fatto registrare un significativo sviluppo nazionale economico a partire dal nuovo millennio. Attualmente la Cina registra una crescita del proprio PIL pari al 7.3%, dato che subirà un decremento nei prossimi cinque anni secondo le stime degli esperti attestandosi nel 2019 al 5.5%. Ma quali sono stati i fattori che hanno favorito la crescita economica della Cina e la sua affermazione a livello mondiale? Il Dott. Marco Costa, responsabile dell’area euroasiatica presso il CeSEM (partner dell’Associazione), analizza e presenta le linee guida che hanno costituito il modello economico cinese effettuando un raffronto con il modello economico occidentale e con le relative performance. Ci siamo abbastanza diffusamente occupati dello straordinario fenomeno della crescita cinese già in due volumi di recente pubblicazione, La Grande Muraglia (Cavriago, 2012), vertente sulle dinamiche strettamente ideologiche e geopolitiche relative alla pacifica ascesa della Cina Popolare, e in La Via della Seta – Vecchie e Nuove Strategie Globali tra la Cina e il Bacino del Mediterraneo (Cavriago, 2014), dedicato a diversi aspetti storici e culturali di interrelazione tra area europea e area dell’estremo oriente. Tuttavia risulta evidente che l’argomento Cina – tanto a livello economico visto l’interesse rispetto alle opportunità commerciali, quanto a livello ideologico nell’analisi dell’originalità del modello socialista cinese, non meno che a livello geopolitico rispetto alla chiarificazione della teoria dello sviluppo multilaterale delle relazioni internazionali – può tutt’altro che considerarsi esaurito. Risulta utile a tal proposito proporre un raffronto, almeno schematico, tra le linee guida che hanno segnato il modello economico occidentale (quindi euro-americano) e quello cinese nel corso degli ultimi due decenni; date premesse diverse, dati fondamentali economici diversi, non deve quindi stupire che i risultati, le performance macroeconomiche delle due rispettive aree risultano nel mondo contemporaneo del tutto differenti se non opposte. La crisi del capitalismo occidentale ha avuto infatti almeno tre premesse. In primo luogo uno straordinario processo di finanziarizzazione dell’economia, secondo cui si immaginava di portare avanti un modello in cui il denaro si sarebbe moltiplicato infinitamente come variabile indipendente dei processi di produzioni di beni reali (per dirla alla Marx, passando da M-D-M’ a D-M-D’ a D-D’-D”).[1] In definitiva la crescita del ruolo della finanziarizzazione è strettamente collegata al processo di innovazione finanziaria avvenuto a partire dagli anni 1980. Tale processo, sospinto dalla deregolamentazione (il cosiddetto neoliberismo) e tradottosi nella creazione e nella diffusione in un mondo sempre più globalizzato di strumenti finanziari oltremodo strutturati e complessi, se in un primo momento può avere favorito lo sviluppo dell’economia, ha poi incoraggiato anche comportamenti incauti, gestioni prive di sani criteri prudenziali e speculazioni spregiudicate; ciò a danno della stabilità dell’intero settore finanziario e, per effetto contagio, di tutto il sistema economico. Nello specifico, l’eccessiva finanziarizzazione del sistema, determinata dal ruolo preminente assunto nel sistema economico dagli intermediari e dagli strumenti finanziari, è ritenuta da molti studiosi una della concause (o addirittura il fattore scatenante) della crisi economica globale partita nel biennio 2007-08. Aspetti tra i più disgraziatamente noti, di questo fenomeno, si sono incontrati nella vertiginosa diffusione di prodotti finanziari virtuali quali i famigerati subprime, i future, i derivati o altri similari. Non è un caso se più di un analista ha definito questo processo come passaggio da economia a stregoneria di Wall Street, alludendo alla smisurata fiducia nella moltiplicazione dei titoli finanziari virtuali. Seconda premessa, non meno importante, dell’incartamento recessivo in cui sono precipitate le economie occidentali (anche se, ad onor del vero, quella americana ha potuto fornire risposte differenti alla luce di uno status di sovranità economica contrariamente all’area Euro), è stato il cosiddetto fenomeno della sovrapproduzione. Anche qui, non bisogna necessariamente muoversi secondo coordinate marxiste per ammettere che la crisi economico-finanziaria del nostro mondo è scaturita in larga misura dalla rottura di quell’equilibrio che per decenni – ininterrottamente dal dopoguerra in poi – ha retto il sistema capitalistico occidentale, secondo cui potenziale produttivo e capacità di consumo sono variabili interdipendenti, ovvero l’economia può prosperare nella misura in cui vi sia una massa di consumatori potenziali (interni o esterni) predisposti monetariamente all’acquisto. È evidente che con una drastica proletariarizzazione del ceto medio e una depauperizzazione delle classi lavoratrici le merci prodotte hanno avuto sempre meno consumatori disponibili ad acquistarle, innescando una classica crisi di sovrapproduzione in cui la crisi è prodotta non da scarsa produzione o da calamità naturali o da eventi bellici, bensì come conseguenza del fatto che i lavoratori generalmente non riescono più ad acquistare le merci che concorrono a produrre. Insomma l’archiviazione definitiva di quel modello che solitamente veniva chiamato come sistema fordista. Negli ultimi anni si è sentito dire che la causa della crisi sono il sistema finanziario, i mutui Leggi larticolo completo. |
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