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La VOCE ANNO XX N°1

settembre 2017

PAGINA 6

L’esternalizzazione delle frontiere, criminale politica dell’imperialismo

Il fenomeno migratorio negli ultimi anni ha assunto dimensioni rilevanti, divenendo una realtà che investe praticamente ogni paese del globo.
Secondo i dati dell’ONU, il numero complessivo dei migranti nel mondo è cresciuto rapidamente, passando dai 173 milioni del 2000 ai 244 milioni nel 2015. Il flusso migratorio si è indirizzato specialmente verso i paesi dell’area OCSE ed è in continuo aumento.
La causa di fondo delle migrazioni di massa Quali sono le ragioni di queste imponenti migrazioni?
Si fugge dal sottosviluppo, dalla miseria, dalla fame, da condizioni di estrema povertà, dalla disoccupazione di massa e da condizioni lavorative con salari sotto il livello di sussistenza.
Si fugge dalle guerre di rapina, dalle guerre civili reazionarie, dalla destabilizzazione dei paesi oppressi, aggrediti e saccheggiati dall’imperialismo, specialmente in Africa e in Medio Oriente.
Si fugge dalle persecuzioni politiche e religiose, dall’instabilità creata dagli attentati terroristici e dalla violenza di forze reazionarie e oscurantiste, legate alle oligarchie, che hanno provocato decine di migliaia di vittime.
Si fugge dal fenomeno del land grabbing che vede milioni di ettari di terra passati sotto il controllo delle multinazionali e dei governi dei paesi ricchi e potenti, dalle deforestazioni, dalle devastazioni ambientali, dalle difficoltà di accesso all’acqua, acuite dalla siccità, dalle epidemie.
Non c’è dunque un solo fattore che spiega il processo migratorio che porta milioni di donne e uomini a rischiare la vita, e spesso a perderla in traversate insicure dei deserti e del mare; ma tutti questi fattori sono riconducibili a una causa fondamentale: il sistema capitalistaimperialista, che ha sempre generato grandi fenomeni migratori interni ai singoli paesi e su scala internazionale allo scopo di far giungere la forza-lavoro nei luoghi ove serve, per incrementare la produzione di plusvalore.
Il flusso migratorio di milioni di esseri umani è aumentato in modo direttamente
proporzionale all’acuirsi delle contraddizioni dell’imperialismo; in modo particolare della contraddizione tra un pugno di nazioni imperialiste «civili» e i popoli dei paesi dipendenti, semicoloniali e coloniali, aggrediti, saccheggiati e oppressi.
L’imperialismo è il principale fattore di spinta che induce i popoli più poveri e deboli a migrare. Allo stesso tempo è il principale fattore di attrazione dei migranti, a causa della necessità di impiegare nelle sue metropoli forza-lavoro a basso prezzo e ricattabile, in lavori faticosi, precari e dequalificati, spesso rifiutati dai lavoratori autoctoni. Gli immigrati servono per aumentare i profitti dei monopoli e delle altre imprese capitalistiche, per aumentare la concorrenza fra lavoratori, così come per rimpinguare con le casse degli Stati con contributi
e tasse.
Il subappalto delle frontiere: selezionare, sfruttare e asservire
Nell’ultimo decennio i flussi migratori verso l’Unione Europea sono divenuti ingenti e multiformi. Il volume del flusso migratorio, i diversi paesi di origine dei migranti, la variabilità delle rotte usate per arrivare in Europa formano una situazione complessa e mutevole che investe il vecchio continente.
In questo scenario, gli Stati imperialisti e capitalisti membri dell’UE per gestire le contraddizioni che le migrazioni di massa determinano all’interno delle società, hanno adottato politiche caratterizzate dal contenimento, dalla discriminazione e dal respingimento dei migranti, a causa delle quali il diritto di accoglienza e di asilo è sempre meno garantito.
Queste politiche rispondono alle esigenze di consenso interno dell’oligarchia finanziaria e dei suoi governi (il razzismo è oggi una “merce” ad alto valore elettorale in paesi intrisi di malcontento per le difficili condizioni di lavoro e di vita), così come alla necessità di selezionare la forza-lavoro dei migranti (dividendoli in “richiedenti asilo” ed “economici”, raccogliendo informazioni sul livello di formazione, competenze, qualifiche professionali etc.) che viene integrata nelle branche produttive dei paesi imperialisti, a seconda delle loro caratteristiche tecniche e di sviluppo.
Uno degli approcci-chiave che i vertici della UE hanno adottato per arginare e controllare il fenomeno migratorio è quello dell’“esternalizzazione” della gestione delle frontiere, ossia il sub-appalto della gestione delle frontiere a Paesi terzi.
È in atto, dunque, uno spostamento delle frontiere e dei controlli oltre i confini nazionali dei paesi imperialisti della UE, che esprime l’inevitabile tendenza del capitale finanziario ad allargare il proprio territorio con le più svariate forme di asservimento economico, politico e diplomatico dei paesi di provenienza dei migranti.
In questo processo s’inseriscono i meccanismi di progressiva delocalizzazione dei controlli, della sorveglianza, della detenzione, che vengono affidati alle polizie e alle milizie di paesi che hanno il compito di impedire ai migranti, tra cui molte donne e bambini, di arrivare nell’UE e di concentrarli in una rete di campi di concentramento e smistamento sempre più ampia, non di rado gestiti da trafficanti di esseri umani.
Lo spostamento delle frontiere procede di pari passo con la vanificazione dei princìpi sanciti nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo e nella Convenzione di Ginevra, quest’ultima nata per volontà di quegli stessi paesi dell’Unione Europea che oggi non esitano a farne carta straccia.
Il Processo di Khartoum e le relazioni con i regimi dispotici
Il processo di esternalizzazione delle frontiere e dei controlli, avviato in nome di una presunta “lotta all’immigrazione clandestina”, ha attraversato delle tappe precise, in cui l’Italia imperialista ha giocato un ruolo molto attivo, in quanto paese investito dalla corrente migratoria.
Il 28 novembre 2014 a Roma, durante il semestre di presidenza italiana dell’UE, si tenne una conferenza ministeriale tra i rappresentanti degli Stati membri dell’UE, dei paesi del Corno d’Africa (Eritrea, Somalia, Etiopia e Gibuti) e di alcuni paesi di transito (Sud Sudan, Sudan, Tunisia, Kenya ed Egitto).
L’accordo risultante, chiamato “Processo di Khartoum”, mira - sotto il manto della “cooperazione e del dialogo” - a trasferire in Africa, nei paesi di imbarco dei migranti, se non direttamente nei paesi di partenza, le frontiere della UE. Lo scopo è bloccare il flusso sia dei cosiddetti migranti “economici”, sia dei richiedenti asilo politico.
Con quest’ottica si stringono le relazioni con i regimi reazionari da cui fuggono centinaia di migliaia di persone. Nell’ambito del processo di esternalizzazione la “democratica e solidale” Unione Europa non si fa scrupoli a intavolare trattative con autocrati che vengono accreditati come legittimi attori della politica internazionale e considerati dei partner affidabili e democratici.
Ad esempio, l’UE e l’Italia (così come Israele) hanno instaurato buone relazioni con il regime di Isaias Afewerki, che dal 1993 governa l’Eritrea, paese dal quale proviene uno dei gruppi più numerosi di persone in cerca di protezione a causa della mancanza di rispetto dei diritti umani. Le continue violazioni, la situazione economica disastrosa e l’obbligatorietà della leva militare a tempo indefinito hanno causato una migrazione di circa 400 mila eritrei sino al 2015. L’obiettivo dell’UE è blindare le frontiere eritree, una politica che si traduce in “pacchetti di aiuto” di centinaia di milioni di euro.
Lo stesso discorso vale per il Sudan, paese di origine ma soprattutto di transito dei rifugiati del Corno d’Africa, che è al centro della strategia europea e italiana di esternalizzazione. Il Sudan è governato da Omar al-Bashir, accusato di crimini di guerra e genocidio per il conflitto in Darfur: un altro “buon amico” che tutela gli interessi imperialisti dell’UE e dell’Italia in cambio di milioni di euro e armi.
Fare “cooperazione” e finanziare regimi come quelli di Eritrea e Sudan, al fine di controllare i flussi migratori, significa sostenere regimi reazionari e dispotici che negano i diritti umani e i diritti democratici.
Il “Processo di Khartoum” pone l’accento sul controllo, sul rafforzamento delle frontiere e delle Polizie nazionali, nonché sulla costruzione di “centri di ricezione” per selezionare i migranti, con il pretesto di avviare le pratiche di riconoscimento dello status di rifugiato internazionale. Il rischio concreto è che i migranti, una volta intercettati a Sud del Sahara, finiscono per un tempo indeterminato in questi lager. Chiaramente l’UE e l’Italia se ne lavano le mani, esternalizzando così anche le proprie responsabilità.
Il Fondo del ricatto e della corruzione
Un altro passo fondamentale di questa cinica politica è stato compiuto in occasione del Summit tra Unione Europea e Unione Africana sulle migrazioni, svoltosi nel novembre 2015 alla Valletta (Malta). 25 Stati membri della UE, assieme a Norvegia e Svizzera, hanno istituito un Fondo Europeo Fiduciario per l’Africa (EUTF).
Il Fondo fiduciario, stanziato per una somma di 1,8 miliardi di euro, ha una logica infame: utilizzare i fondi della cooperazione e i progetti di investimento non solo per esportare capitali, ma anche per costringere gli Stati africani a collaborare nella chiusura delle loro frontiere e nella riammissione dei loro cittadini considerati indesiderati dagli Stati membri dell’UE.
La monetizzazione della relazione con i paesi poveri dell’Africa ha aperto le porte a un sistema di pressioni, di sostegno ai regimi reazionari e di corruzione con il quale si calpestano i diritti umani e la sorte di migliaia di persone nel continente più povero, rafforzando despoti locali, mafie e bande paramilitari.
Molti progetti in cui sono usati i fondi della cooperazione internazionale non sono destinati a progetti di sviluppo, ma a misure di controllo e repressione alla frontiera.
Ad esempio i fondi fiduciari destinati al Sudan servono per l’invio di materiale d’identificazione e controllo delle frontiere, per la formazione della polizia di frontiera e la costruzione di due lager a Gadaref e a Kassala.
Questi fondi nelle mani dei governi borghesi dell’UE sono veri e propri strumenti di ricatto economico, permettendo di minacciare gli Stati che si rifiutano di chiudere le loro frontiere, premiando chi reprime i propri cittadini o i rifugiati in transito sul loro territorio in nome della collaborazione con l’Unione Europea dei monopoli.
Le politiche stabilite con il Summit costituiscono l’ennesima ingerenza europea nelle questioni africane. Con i Fondi Fiduciari si è ufficializzata l’idea di condizionare l’erogazione dei fondi sulla migrazione, trasformandola in un “premio” o in una “penalità” rispetto alla collaborazione nel controllo dei flussi migratori, nelle procedure di espulsione e rimpatrio, in uno spazio - come ad esempio quello dell’ECOWAS (Comunità economica degli Stati dell’Africa Occidentale) - che dovrebbe prevedere la libertà di circolazione delle persone.
Un altro esempio del processo di esternalizzazione delle frontiere è l’accordo tra l’Unione Europea e la Turchia del marzo 2016 per la chiusura della “rotta balcanica”. Con questo accordo fra i leader europei ed Erdogan si è imposto il respingimento in Turchia di tutti coloro che arrivano “illegalmente” in Grecia, delegando in questo modo il problema del controllo della frontiera balcanica alle autorità turche.
L’accordo prevede diversi punti d’azione, in cambio di 6 miliardi di euro: un cospicuo finanziamento per il regime reazionario di Erdogan, mentre la povertà e la disoccupazione crescono, i diritti democratici dei popoli di Turchia e dei migranti sono costantemente calpestati.
Un modello che si replica e si estende
Il governo italiano, dopo dopo aver presentato nel 2016 a Bruxelles il Migration Compact - che prevede la replica dell’accordo UE-Turchia con i principali paesi di origine e transito della rotta del Mediterraneo Centrale, ha continuato a lavorare con il governo tedesco per arrivare al compromesso di 10 miliardi di euro della cooperazione internazionale da investire in Tunisia, Senegal, Ghana, Niger, Egitto e Costa d’Avorio, in cambio di un maggiore impegno nel controllo delle loro frontiere e della riammissione dei loro concittadini e di chi ha transitato sul loro territorio. Ai “progressisti“ Renzi e Gentiloni non importa nulla se i migranti rimarranno intrappolati in condizioni di profonda vulnerabilità dei loro diritti.
Dopo aver chiuso la rotta balcanica, l’obiettivo dell’UE e particolarmente dell’Italia - sempre più compressa fra correnti migratorie da sud e mancanza di solidarietà a nord - è quello di chiudere la rotta che passa dalla Libia, da cui passa il 90% dei migranti che attraversano il Mediterraneo centrale.
Perciò è stato firmato un accordo (sotto egida ONU) con il fantoccio di Al Sarraj che prevede lo stanziamento di centinaia di milioni di euro, la formazione e il rafforzamento della Guardia Costiera libica, l’assegnazione di 10 motovedette, il completamento del sistema di controllo dei confini terrestri del paese nordafricano, la costruzione di campi profughi in territorio libico, paese nel quale i migranti soffrono detenzioni arbitrarie, violenze, torture, assassini e sfruttamento sessuale.
Nel maggio di quest’anno si è svolto un vertice con i ministri dell’interno di Italia, Libia, Ciad e Niger per sorvegliare e bloccare i confini meridionali libici. Nel piano sono coinvolte anche i capi delle tribù Tebu, Suleiman e Tuareg del Sahara, che l’Italia vuole utilizzare per sigillare i corridoi attraverso i quali passano i migranti, anche con l’aiuto con droni, immagini satellitari, armi e fondi.
Neocolonialismo e negazione della sovranità nazionale
L’elemento emerso dagli accordi raggiunti dall’UE in materia di migrazione è l’interesse dei paesi imperialisti e capitalisti europei a bloccare e selezionare il flusso dei migranti più lontano possibile dalle proprie frontiere, dando in consegna le operazioni di sicurezza e controllo direttamente ai paesi di transito e provenienza dei migranti.
Mentre “l’UE fortezza” e i suoi Stati membri fingono di ergersi a paladini dei diritti umani, nella pratica sottoscrivono accordi con vassalli e fantocci dell’imperialismo che non rispettano né i diritti fondamentali delle popolazioni, né quelli dei migranti.
In questo modo l’UE e l’Italia eludono completamente le loro responsabilità dopo avere a lungo esercitato un dominio colonialista e imperialista in Africa e nel Medio Oriente, soggiogando i popoli e saccheggiando le loro ricchezze per i propri i interessi economici e strategici. Così come dimenticano l’emigrazione massiccia dei secoli scorsi e che ancora oggi continua ed è in aumento per i giovani senza lavoro (attualmente gli italiani all’estero sono circa 5,2 milioni, mentre i cittadini stranieri in Italia sono circa 5 milioni).
Le conseguenze di questi accordi sono lo sbarramento dei percorsi che utilizzano i migranti per raggiungere l’Europa, che così divengono sempre più lunghi e rischiosi, e una negazione sostanziale del diritto d’asilo e di protezione umanitaria, che vengono negati in nome della “protezione” delle frontiere europee”.
..segue ./.

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