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La VOCE 1710

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La VOCE ANNO XX N°2

ottobre 2017

PAGINA b         - 30

LA SPORCA GUERRA CONTRO LA SIRIA.
Washington, regime e resistenza

Tim Anderson, ed. Zambon, 2017 ISBN 978 88 98582 42 6 16,80 €

Questo libro non racconta solo la genesi e gli sviluppi della guerra che sta martoriando la Siria. E’ anche un “manuale” di lettura delle crisi che da alcuni decenni stanno sconvolgendo il Medio Oriente e i Paesi “arabi” che si affacciano sul Mediterraneo. Ci offre un paradigma per capire, invitandoci a usarlo con indipendenza critica di pensiero.

Il capitolo che riassume e rilancia le questioni fondamentali che l’autore sviluppa nelle precedenti 250 pagine è il capitolo 13, in cui sintetizza le forme dell’intervento occidentale e ne individua le motivazioni nella persistente “mentalità coloniale”.

La prima forma è la “colonizzazione del linguaggio”, con la quale “l’Occidente reinventa attivamente la propria storia allo scopo di perpetuare la mentalità coloniale” (p. 251). A questo scopo le “culture imperiali hanno inventato un’ampia varietà di pretesti dal suono accattivante” per giustificare i loro interventi militari, diretti o per procura, nelle ex-colonie e nei Paesi di recente indipendenza. Questi pretesti abbiamo imparato a conoscerli: si chiamano, di volta in volta, “protezione dei diritti delle donne” (v. Afghanistan) oppure “instaurazione di una buona governance” (v. Iraq, Libia, Siria...) o “sostegno alle rivoluzioni” (v. Egitto, Siria...) o ancora, più italicamente, missioni umanitarie, missioni di pace, missioni di polizia internazionale (v. D’Alema e successori). Non dimenticheremo mai la plateale menzogna dell’amministrazione Bush sulle armi di distruzione di massa in mano a Saddam Hussein.

In realtà ce ne ricordiamo quando qualcuno ce lo rammenta, ma subito pensiamo ad altro... mentre, invece, l’Occidente, governi USA in testa, continua a usare quel modello, che ancora funziona. Anche perché viene sostenuto dalla propaganda capillare degli smemoratissimi “media embedded”, dove embedded sta per “incorporato, cooptato”, praticamente “a libro paga”: i mezzi di comunicazione più letti e seguiti sono in mano ai miliardari sostenitori dei candidati alla presidenza USA o ai loro alleati tra i Paesi del Golfo.

Tutto questo è diffusamente documentato da Anderson. Se non ci fossero altre ragioni per scegliere di andare “oltre le religioni”, di abbandonare tutte le religioni nelle loro forme istituzionalizzate, a noi sembra che basterebbe questa: per annullare la “grande scusa”, la coperta sotto la quale si commettono le più atroci ingiustizie nelle relazioni tra persone, tra governanti e governati/e, tra uomini e donne, tra nazioni, tra gruppi di potere in competizione per il dominio. Le religioni che hanno giustificato e ancora giustificano omicidi, stragi e guerre sono state e sono armi di distruzione di massa. L’Occidente “cristiano” faccia autocoscienza, per primo a partire da sé, e l’ONU diventi il luogo supremo di questa autocoscienza planetaria.

Il capitolo più difficile e doloroso, per me, è quello in cui l’autore elenca tra gli embedded anche alcune ONG che vanno per la maggiore e che ho sempre considerato “dalla parte giusta”: AVAAZ, Human Rights Watch, Amnesty International... Soprattutto per quest’ultima ho ricevuto una vera doccia fredda; eppure a pag 133 il quadro che l’autore ne traccia è sconfortante. Mi riprometto di parlarne con gli amici e le amiche che la sostengono da anni con molta convinzione, ricevendo anche il mio appoggio e un po’ del mio denaro.

Tornando alla Siria: nel 2011, nel periodo delle primavere arabe, anche in Siria si stava sviluppando un “movimento per le riforme politiche”, le cui prime manifestazioni vennero infiltrate da uomini armati che aprirono il fuoco su poliziotti e civili. Il “mito occidentale” parla, invece, di violenze indiscriminate da parte delle forze di sicurezza siriane per reprimere le manifestazioni politiche e sostiene che i “ribelli” sono nati in questo movimento di riforma.

Questa è stata la scusa buona per indurre gli USA ad esercitare la “responsabilità di proteggere” (cap. 10), nuova versione dell’intervento umanitario. Che contraddice – lo capiamo bene – tutte le solenni dichiarazioni, quella della Carta delle Nazioni Unite e quella della Carta dei Diritti Umani, che affermano il diritto degli Stati e dei popoli all’autodeterminazione. Qui si svela il “doppio gioco” dell’Occidente, basato sulla dottrina nordamericana secondo cui “una superpotenza benevola non sfrutta il proprio ruolo dominante, ma si prodiga nel sacrificio di sé allo scopo di fornire un ‘bene pubblico’ a tutti” (pag. 209). Mica male!

Qui entra in ballo la seconda faccia della medaglia “mentalità coloniale”: anche le popolazioni dell’Occidente colonialista subiscono l’impatto di questa eredità culturale, convincendosi che la propria cultura sia “centrale, se non universale, e hanno difficoltà a prestare ascolto ad altre culture o a imparare da esse” (pag. 251). La storia dell’imperialismo occidentale non è finita, ma tocca anche a noi aprire gli occhi e imparare a guardarci intorno con attenzione critica. E riflettere su questo “senso maschile per la violenza e il sangue”, che dà pessima prova di sé dovunque.

Tim Anderson documenta, sulla base di una notevole mole di testimonianze scritte e orali, che “quasi tutte le atrocità attribuite all’esercito siriano sono state commesse da islamisti sostenuti dall’Occidente”, e che l’ISIS “è una creazione degli USA e dei suoi più stretti alleati”.

Ovviamente vi rimando alla lettura del libro per conoscere la sua ricostruzione dei fatti e le sue fonti di informazione. Da parte mia termino dicendo che sono pregiudizialmente e consapevolmente contrario a ogni forma di potere colonialista, a qualunque livello. “Pregiudizialmente” vuol dire che mi sono fatto una convinzione radicata sul “potere” e sulle sue pratiche, “dopo” averlo conosciuto; quindi, in realtà, non è un pre-giudizio, ma una convinzione motivata. Sono contrario a prescindere, anche prima di conoscere i dettagli.

E poi... Che vita è uccidere e venire uccisi? Vivere nella paura e nel terrore? Non c’è più agricoltura, artigianato, servizi sociali pubblici... solo ricerca di sopravvivere, di nascondersi, di fuggire... Se succedesse a noi? qui dove viviamo?

Perché non pretendiamo che i nostri governi smettano di praticare, sostenere, appoggiare chi uccide in qualunque altrove? Solo per ingrassare i già grassi speculatori della finanza mondiale?...

Infine: perché dovrei credere a Tim Anderson? In fondo non ho personalmente alcuna possibilità di verificare la fondatezza delle sue analisi, la verità delle sue fonti e delle sue affermazioni... Il mio è un atto di fede!

No, in verità io non “credo”, ma leggo con attenzione vigile e critica. Sono fortemente sostenuto nel prestargli fede, oltre che ascolto, dalla storia
imperialista degli USA e della NATO, cioè dei Paesi che la compongono. I militari che manovrano sono a servizio degli interessi privati dei finanziatori dei candidati alla presidenza USA. Le bugie di Bush per scatenare la guerra contro l’Iraq sono non solo un precedente eloquente, ma un anello di una strategia ormai collaudata. Come la Libia (v. pag. 212).

Beppe Pavan

Per chi volesse avere un approccio diretto al testo di Tim Anderson propongo la lettura degli incipit di tutti i capitoli che lo compongono.

UN “MANUALE” PER CAPIRE LE GUERRE IN ATTO IN MEDIO ORIENTE


presentato attraverso la trascrizione dei brani iniziali dei 15 capitoli

Cap 1 – Introduzione: la guerra sporca contro la Siria

Benché tutte le guerre facciano ampio uso di menzogne e inganni, la guerra sporca contro la Siria ha fatto affidamento su un livello di disinformazione di massa mai visto a memoria d’uomo. (...) secondo tale copione, un oftalmologo dai modi garbati di nome Bashar al Assad è divenuto il nuovo cattivo mondiale e, a giudicare dai reportage a senso unico dei media occidentali, l’esercito siriano non fa altro che uccidere civili da oltre quattro anni. Ancora oggi, molti immaginano il conflitto siriano come una “guerra civile”, una “rivolta popolare” o una sorta di scontro confessionale interno. Tali miti rappresentano, sotto molti aspetti, un cospicuo successo per le grandi potenze che hanno condotto una serie di operazioni di regime change – tutte con pretesti fasulli – nella regione mediorientale negli ultimi quindici anni.

Cap 2 – La Siria e il “Nuovo Medio Oriente” di Washington

Dopo le invasioni dell’Afghanistan e dell’Iraq e la distruzione della Libia, la Siria doveva essere il prossimo Stato a venire rovesciato. Washington e i suoi alleati regionali progettavano l’operazione da tempo. Dopo il regime change a Damasco gli alleati della Siria, gli Hezbollah, leader della resistenza libanese contro Israele, sarebbero rimasti isolati. La Repubblica Islamica dell’Iran sarebbe rimasto l’unico Paese mediorientale privo di basi militari USA. Dopo l’Iran, Washington avrebbe facilmente controllato l’intera regione, escludendone i possibili rivali come la Russia e la Cina. La Palestina sarebbe stata definitivamente perduta. (...)

L’esercito nazionale siriano ha resistito a un’ondata dopo l’altra di fanatici attacchi islamisti, sostenuti dalla NATO e dalle monarchie del Golfo, e l’appoggio russo e iraniano è rimasto saldo. Ciò che più conta, la Siria ha costruito nuove forme di cooperazione con un Iraq debole ma emergente. Washington agiva da decenni per dividere l’Iran dall’Iraq, perciò il rafforzamento dei legami tra Iran, Iraq, Siria, Libano e Palestina rappresenta una sfida regionale al nuovo “Grande Gioco” dei nostri giorni. Il Medio Oriente non è soltanto un terreno di gioco per le grandi potenze.

Cap 3 – Barili bomba, fonti faziose e propaganda di guerra

La propaganda di guerra richiede spesso l’abbandono dell’uso della ragione e dei principi, e la Guerra Sporca contro la Siria fornisce abbondanti esempi di questa pratica. I notiziari occidentali sulla Siria sono attraversati da un’incessante sequela di racconti di atrocità – “barili bomba”, armi chimiche, uccisioni “su scala industriale”, bambini morti. Tutti questi racconti hanno due cose in comune: dipingono il presidente e l’esercito siriani come mostri massacratori di civili, bambini compresi – e tuttavia, quando se ne esamina l’origine, si scopre che provengono tutti da fonti totalmente faziose. Ci stanno ingannando. (...) Come nelle guerre precedenti, l’obiettivo è demonizzare il nemico per mezzo di ripetute accuse di atrocità, mobilitando così il sostegno popolare per la guerra.

Cap 4 – Daraa 2011: un’altra insurrezione islamista

Due versioni si svilupparono riguardo al conflitto siriano, all’inizio delle violenze armate nel 2011, nella città di Daraa, sul confine meridionale. La prima versione proviene da testimoni indipendenti che si trovavano in Siria, come lo scomparso padre Frans Van der Lugt di Homs. Essi affermano che uomini armati infiltrarono le prime manifestazioni per le riforme politiche allo scopo di aprire il fuoco su poliziotti e civili. La seconda proviene dai gruppi islamisti (i “ribelli”) e dai loro sostenitori occidentali. Essi sostengono che vi furono violenze “indiscriminate” da parte delle forze di sicurezza siriane miranti a reprimere le manifestazioni politiche e che i “ribelli” nacquero dal seno di un movimento laico di riforma politica. (...)

Nel febbraio 2011 ebbero luogo agitazioni popolari in Siria, in parte influenzate dagli eventi egiziani e tunisini. Vi furono manifestazioni contro il governo e a favore del governo, ed emerse un genuino movimento di riforma politica che da anni manifestava contro la corruzione e il monopolio del Partito Ba’ath. (...) All’inizio di marzo alcuni adolescenti furono arrestati a Daraa per aver tracciato graffiti, copiati da quelli nordafricani, che dicevano “il popolo vuole rovesciare il regime”. Fu riferito che erano stati maltrattati dalla polizia locale; il presidente Bashar al Assad intervenne, il governatore locale fu licenziato e gli adolescenti furono rilasciati.

Ma l’insurrezione islamista era ormai in corso, al riparo delle manifestazioni di piazza. (...) In realtà, il movimento per la riforma politica era stato estromesso dalle piazze dai cecchini islamisti salafiti durante i mesi di marzo e aprile.

Cap 5 – Bashar al Assad e la riforma politica

Va da sé che i processi politici interni di uno Stato sovrano riguardano il popolo di quello Stato, e nessun altro. Nondimeno, dato che Washington insiste nel rivendicare il diritto di decidere chi possa o non possa governare un altro Paese, può essere utile fornire qualche informazione generale su Bashar al Assad e sul processo di riforma politica in Siria. Le analisi sensate relative a entrambi i temi sono state ben poche dopo l’insurrezione islamista del 2011. Al contrario, il dibattito del tempo di guerra è degenerato nella caricatura – alimentata dal fervore pro-regime change e da un conflitto sanguinoso – di un “brutale dittatore” assetato di sangue che reprime e massacra ciecamente il suo stesso popolo. (...)

La popolarità del presidente siriano in patria manda a monte i tentativi di dipingerlo come un mostro – in Siria, almeno. (...) e l’esercito è estremamente popolare, perfino all’interno dell’opposizione civile. L’esercito incarna le più forti tradizioni laiche della Siria. (...) Inoltre, la maggior parte dei diversi milioni di siriani trasformati in profughi dal conflitto non hanno la sciato il Paese, ma si sono trasferiti in altre regioni sotto la protezione dell’esercito.

..segue ./.

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