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La VOCE ANNO XX N°2

ottobre 2017

PAGINA c         - 27

Segue da Pag.26: LETTERA APERTA PER GLI EBREI ITALIANI

In modo affatto diverso da quello di tanti recenti, e magari improvvisati, amici degli ebrei e dell’ebraismo, scrivo queste parole a un’estremità di sconforto e speranza perché sono persuaso che il conflitto di Israele e di Palestina sembra solo, ma non è, identificabile a quei tanti conflitti per l’indipendenza e la libertà nazionale che il nostro secolo conosce fin troppo bene.

Sembra che Israele sia e agisca oggi come una nazione o come il braccio armato di una nazione, come la Francia agì in Algeria, gli Stati uniti in Vietnam o l’Unione Sovietica in Ungheria o in Afghanistan. Ma, come la Francia era pur stata, per il nostro teatro interiore, il popolo di Valmy e gli Americani quelli del 1775 e i sovietici quelli del 1917, così gli ebrei, ben prima che soldati di Sharon, erano i latori di una parte dei nostri vasi sacri, una parte angosciosa e ardente della nostra intelligenza, delle nostre parole e volontà. Non rammento, quale sionista si era augurato che quella eccezionalità scomparisse e lo stato di Israele avesse, come ogni altro, i suoi ladri e le sue prostitute. Ora li ha e sono affari suoi. Ma il suo Libro è da sempre anche il nostro, e così gli innumerevoli vivi e morti libri che ne sono discesi. E’ solo paradossale retorica dire che ogni bandiera israeliana da nuovi occupanti innalzata a ingiuria e trionfo sui tetti di un edificio da cui abbiano, con moneta o minaccia, sloggiato arabi o palestinesi della città vecchia di Gerusalemme, tocca all’interpretazione e alla vita di un verso di Dante o al senso di una cadenza di Brahms?

La distinzione fra ebraismo e stato d’Israele, che fino a ieri ci era potuta parere una preziosa acquisizione contro i fanatismi, è stata rimessa in forse proprio dall’assenso o dal silenzio della Diaspora. E ci ha permesso di vedere meglio perché non sia possibile considerare quel che avviene alle porte di Gerusalemme come qualcosa che rientra solo nella sfera dei conflitti politico-militari e dello scontro di interessi e di poteri. Per una sua parte almeno, quel conflitto mette a repentaglio qualcosa che è dentro di noi.

Ogni casa che gli israeliani distruggono, ogni vita che quotidianamente uccidono e persino ogni giorno di scuola che fanno perdere ai ragazzi di Palestina, va perduta una parte dell’immenso deposito di verità e di sapienza che, nella e per la cultura d’Occidente, è stato accumulato dalle generazioni della Diaspora, dalla sventura gloriosa o nefanda dei ghetti e attraverso la ferocia delle persecuzioni antiche e recenti. Una grande donna ebrea cristiana, Simone Weil ha ricordato che la spada ferisce da due parti. Anche da più di due, oso aggiungere. Ogni giorno di guerra contro i palestinesi, ossia di falsa coscienza per gli israeliani, a sparire o a umiliarsi inavvertiti sono un edificio, una memoria, una pergamena, un sentimento, un verso, una modanatura della nostra vita e patria. Un poeta ha parlato del proscritto e del suo sguardo «che danna un popolo intero intorno ad un patibolo»: ecco, intorno ai ghetti di Gaza e Cisgiordania ogni giorno Israele rischia una condanna ben più grave di quelle dell’Onu, un processo che si aprirà ma al suo interno, fra sé e sé, se non vorrà ubriacarsi come già fece Babilonia.

La nostra vita non è solo diminuita dal sangue e dalla disperazione palestinese; lo è, ripeto, dalla dissipazione che Israele viene facendo di un tesoro comune. Non c’è laggiù università o istituto di ricerca, non biblioteca o museo, non auditorio o luogo di studio e di preghiera capaci di compensare l’accumulo di mala coscienza e di colpe rimosse che la pratica della sopraffazione induce nella vita e nella educazione degli israeliani.

E anche in quella degli ebrei della Diaspora e dei loro amici. Uno dei quali sono io. Se ogni loro parola toglie una cartuccia dai mitra dei soldati dello Tsahal, un’altra ne toglie anche a quelli, ora celati, dei palestinesi. Parlino, dunque.

di Franco Lattes Fortini

Enzo Apicella ci segnala questo scandalo: il prossimo giro d’Italia partirà da Israele con tre tappe che toccheranno Gerusalemme Ovest, Haifa, Tel Aviv, Beher Scheba ed Eilat.

Vedi anche l’articolo della Gazzetta dello Sport. Bisogna fare qualcosa!
Vincenzo Brandi

L’ONU intraprende un primo passo concreto affinché Israele sia ritenuta responsabile per le violazioni dei diritti umani dei palestinesi


27 Settembre 2017
Zeid Ra’ad Al Hussein, Alto Commissario dell’ONU per i Diritti Umani, stringe la mano ai delegati prima dell’apertura della trentaseiesima sessione del Consiglio dei Diritti Umani, nella sede europea delle Nazioni Unite. Grazie a: Laurent Gillieron/AP

L’ONU intraprende un primo passo concreto affinché Israele sia ritenuta responsabile per le violazioni dei diritti umani dei palestinesi

27 settembre 2017
— Informazioni pubblicate oggi dai media hanno rivelato che l’Alto Commissario dell’ONU per i Diritti Umani due settimane fa ha iniziato a inviare lettere a 150 aziende in Israele e nel mondo, avvertendole che potrebbero essere aggiunte a una banca dati delle aziende complici che fanno affari nelle colonie illegali israeliane basate nella Cisgiordania palestinese occupata, compresa Gerusalemme Est.

Le lettere hanno ricordato a queste aziende che le loro attività nelle e con le colonie illegali israeliane sono in violazione di “diritto internazionale e contrarie alle risoluzioni dell’ONU”. Inoltre hanno chiesto che queste aziende rispondano con chiarimenti riguardo a tali attività.

Secondo funzionari israeliani di alto livello, alcune delle aziende hanno già risposto all’Alto Commissario dell’ONU per i Diritti Umani dicendo che non rinnoveranno i loro contratti o non ne firmeranno di nuovi in Israele. “Questo potrebbe trasformarsi in una valanga”, ha detto con preoccupazione un funzionario israeliano.

Delle 150 aziende, circa 30 sono ditte americane e un certo numero sono di nazioni che includono la Germania, la Corea del sud e la Norvegia. La metà restante sono aziende israeliane, compreso il gigante farmaceutico Teva, l’azienda telefonica nazionale Bezeq, l’azienda di autobus Egged, l’azienda idrica nazionale Mekorot, le due maggiori banche del paese Hapoalim e Leumi, la grande azienda militare e tecnologica Elbit Systems, Coca-Cola, Africa-Israel, IDB e Netafim.

Le aziende americane che hanno ricevuto le lettere includono Caterpillar, Priceline.com, TripAdvisor e Airbnb.

A quanto riferito, l’amministrazione Trump sta cercando di impedire la pubblicazione della lista.

Omar Barghouti, co-fondatore del movimento BDS, ha commentato:

Dopo le decenni di deprivazione dei palestinesi e di occupazione militare e apartheid da parte di Israele, le Nazioni Unite hanno intrapreso un primo passo concreto e pratico per assicurare che Israele sia ritenuta responsabile per le sue continue violazioni dei diritti umani dei palestinesi. I palestinesi accolgono calorosamente questo passo.

Speriamo che il Consiglio per i Diritti Umani dell’ONU sia inflessibile e pubblichi la sua lista completa delle aziende che operano illegalmente nelle, o con, le colonie israeliane sulla terra palestinese rubata, e che elaborerà questa lista come richiesto dal Consiglio per i Diritti Umani dell’ONU nel marzo 2016.

Può essere troppo ambizioso aspettarsi che questa misura coraggiosa dell’ONU concernente la responsabilità possa "fare scendere dal piedistallo" Israele, come il leader anti-apartheid sudafricano, arcivescovo Desmond Tutu ha richiesto una volta. Ma se attuata correttamente, questa banca dati dell’ONU sulle aziende che sono complici in alcune delle violazioni di diritti umani da parte di Israele può presagire l’inizio della fine dell’impunità criminale di Israele.

Il Comitato Nazionale BDS palestinese (BNC) è la più grande coalizione della società civile palestinese. Guida e sostiene il movimento globale di Boicottaggio, Divestimento e Sanzioni. Visitate il nostro sito Internet e seguiteci su Facebook e Twitter @BDSmovement.

Fonte: Comitato Nazionale BDS palestinese (BNC)

Traduzione di BDS Italia

Netanyahu promette vendetta per l’ingresso della Palestina nell’Interpol

Il primo ministro del regime israeliano Benyamin Netanyahu dopo l’ingresso della Palestina come Stato membro dell’ Interpol promette "risposte" a questa "violazione".

Il premier del regime israeliano Benyamin Netanyahu non ha nascosto la sua furia per l’ennesimo riconoscimento globale dello Stato palestinese. Ieri l’Interpol ha approvato l’ingresso della Palestina come un altro membro di questo organismo.

"Le azioni dei leader palestinesi nei giorni scorsi minacciano seriamente le prospettive di pace ... La lotta diplomatica palestinese non resterà senza risposta", ha dichiarato Netanyahu .

In una nota di denuncia presentata all’inviato speciale degli Stati Uniti in Medio Oriente, Jason Greenblatt, e all’ambasciatore degli Stati Uniti nei territori palestinesi occupati, David Friedman, Netanyahu sostiene che un tale passo palestinese "viola gli accordi firmati con Israele" in passato.

Nel frattempo, l’Autorità Nazionale Palestinese (Anp) ha celebrato il successo della sua "intifada diplomatica" che l’ha portata ad entrare nell’Interpol con 75 voti a favore, 24 contrari e 35 astensioni.

"È una vittoria per la nostra gente", ha affermato il ministro degli Esteri palestinese Riad al-Maliki.

Secondo Al-Maliki, la Palestina è disposta ad adempiere ai propri obblighi e responsabilità come membro della comunità internazionale e continuerà a cercare di aumentare il proprio status e ruolo.

Dopo aver denunciato i "tentativi di manipolazione cinica e di intimidazione politica" di Israele e degli Stati Uniti. nei giorni scorsi per impedire l’ingresso della Palestina nell’Interpol, il leader palestinese ha sottolineato che questo organismo internazionale di sicurezza non sarà l’ultima organizzazione dove i palestinesi aspirano ad entrare.

"La Palestina continuerà ad aspirare a elevare la sua posizione e la sua funzione a livello internazionale difendendo i diritti palestinesi con tutti i mezzi diplomatici e giudiziari a nostra disposizione", ha concluso.

L’adesione della Palestina all’Interpol si somma a quella nell’UNESCO nel 2011, alla Corte penale internazionale (CPI) nel 2015, e al riconoscimento come Stato osservatore presso l’Organizzazione delle Nazioni Unite nel 2012.
Fonte: The Times of Israele - Hispantv Notizia del: 28/09/2017

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