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La VOCE ANNO XX N°3

novembre 2017

PAGINA 7

FACCIAMO NOSTRI GLI INSEGNAMENTI DELLA RIVOLUZIONE SOCIALISTA D’OTTOBRE



Catalogna e indipendentismo
dei ricchi: vero o falso?

Alcuni dati di fatto per non parlare in maniera astratta dell’indipendentismo catalano.

L’indipendentismo catalano è un fenomeno reazionario? Alcuni compagni ne sono convinti, considerandolo un progetto egemonizzato dalla borghesia catalana, indirizzato a creare una “Piccola Patria”, che creerà un’ondata di indipendentismo in giro per l’Europa orientata a separare le regioni ricche.

Non sarà questo articolo a risolvere il dibattito se l’indipendentismo catalano sia progressivo o reazionario, vanno però messi dei punti fermi, per non continuare a discutere usando dei luoghi comuni.

La Catalogna è la regione più ricca della Spagna: VERO! La Catalogna è la regione spagnola più ricca in termini di PIL assoluto.

I catalani sono i più ricchi della Spagna: FALSO! In termini di PIL pro capite, la Catalogna è “solo” la quarta regione, dietro al Paese Basco, la Navarra e la capitale Madrid. Certo, rimane più ricca della media del paese, molto più ricca delle regioni più arretrate come l’Andalusia e l’Extremadura.

La disoccupazione in Catalogna è più bassa di quella (altissima) media spagnola, ma rimane nel 2017 attorno a un notevole 17%. Poco meno del 20% della popolazione catalana è a rischio povertà, un dato appena inferiore alla media spagnola del 22%.

La Catalogna è oggettivamente una regione ricca. I media e anche alcuni compagni la dipingono però come una specie di Lussemburgo sul Mediterraneo, un’immagine esagerata e che nasconde le forte differenze tra le classi in Catalogna.

La borghesia catalana sostiene l’indipendenza: (in parte) FALSO! La Foment del Traball Nacional – l’associazione dei padroni catalani – ha condannato il referendum e il processo che ha portato al voto. Secondo la confindustria catalana, il voto per del parlamento catalano per istituire il referendum ha violato le leggi basandosi su una inesistente sovranità del popolo catalano.

È invece vero che una buona parte della piccola borghesia – base tradizionale del partito liberale-conservatore catalano, che ora ha assunto il nome di Partido Democratico Europeo Catalano (PDEC) – ha abbracciato la causa indipendentista, come testimoniato anche dall’adesione dei bottegai allo sciopero generale.

La Catalogna aveva già tutta l’autonomia che ha richiesto, ora vuole la completa autonomia fiscale: FALSO E VERO! È vero che una parte importante del processo di indipendenza è la questione fiscale. È falso che lo Statuto di Autonomia approvato nel 2006 fosse tutta l’indipendenza. Dopo l’annullamento di alcuni articoli e l’interpretazione restrittiva di altri da parte del Tribunale Costituzionale (invocato in questi giorni come se fosse una specie di autorità tecnica-neutrale), manca del tutto il riconoscimento della Catalogna come una nazione e la preferenza per la lingua catalana. Certo, sono state concesse molte forme di autonomie come quella della polizia (anche se si è visto il giorno del referendum che questa autonomia può essere sospesa, a differenza di quanto accade, per esempio, nei Länder tedeschi), ma dire che tutte le questioni culturali sono state risolte e ora rimangono solo quelle fiscali, è sbagliato.

D’altra parte uno dei punti rigettati, ormai da un decennio, dal Tribunale Costituzionale è stata proprio la fine della solidarietà fiscale della Catalogna verso le altre regioni spagnole. È banalmente ovvio che la creazione di uno stato catalano autonomo non prevederebbe obblighi fiscali verso lo stato spagnolo.

L’indipendentismo nasce solo dopo la crisi economica: FALSO! In Catalogna governa una “grande coalizione” tra il tradizionale partito socialdemocratico Sinistra Repubblicana Catalana (ECR) e la nuova incarnazione dei liberali-conservatori del PDEC. ECR è indipendentista da decenni, riporta nel suo Statuto l’obiettivo dell’indipendenza per tutti i paesi catalani, quindi, l’attuale Catalogna, la regione Valenciana e le Isole Baleari. Si può discutere quanto durante la sua storia ECR sia stata realmente impegnata nella lotta indipendentista, ma non è vero che il tema indipendentista sia nato dopo la crisi. Il governo catalano ha ora il sostegno esterno di Candidatura d’Unità Popolare (CUP) – che si autodefinisce anticapitalista e nazionalista. Per quanto la CUP abbia acquistato una rilevanza politica di primo piano solo nelle ultime tornate elettorale, sono sempre esistite varie formazioni di sinistra più o meno anticapitalista e indipendentiste.

Ironicamente, chi dice che l’indipendentismo è affare degli ultimi 10 anni, è fin troppo generoso con il PDEC, che si è effettivamente convertito all’indipendentismo nell’ultimo paio d’anni, in larga parte per rifarsi una verginità dopo gli scandali e l’attuazione dell’austerità da parte della precedente amministrazione di Artur Mas.

Questi pochi punti non risolvono il rebus catalano, una volta assunti questi dati non è scontato essere a favore o contrari all’indipendenza, non è scontato affibbiare colpe e accreditare meriti. Potrebbe essere però un po’ più semplice discutere della realtà.

Indipendentismo e Costituzione

L’indipendentismo è sempre da perorare come diritto della volontà popolare o, in specifiche situazioni, è illegittimo perché contrasta con la Costituzione? Ne risponde il giurista Paolo Maddalena.

Non cambierà molto in Catalogna nei prossimi mesi, nonostante la lambita vittoria referendaria del primo ottobre, giorno in cui il popolo
della regione è stato chiamato ad esprimersi sulla questione dell’indipendentismo. Non cambierà molto subito, perché i risultati elettorali si scontreranno con la Costituzione spagnola e con il Tribunal Constitucional. Ma il vero pericolo per l’auspicata indipendenza dalla Spagna è che una buona porzione di popolo (il 52% ) sembra essere contrario a questo processo di indipendenza, probabilmente perché non lo considera legale in base a quanto recita la Costituzione. Al termine della giornata referendaria i dati ufficiali dicono che su 5.300.00 votanti (90%) sono effettivamente andati alle urne 2.262.000. Hanno votato Sì 2.020.000 e No 176.000 (7,8%). La partita per l’indipendenza è ancora aperta. L’autodeterminazione popolare affronterà un irto cammino con scioperi e proposte di modifiche all’attuale Costituzione spagnola che considera nulla la legittimità del referendum di cui abbiamo già trattato ampiamente nelle nostre pagine.

Quello che s’intende focalizzare nell’intervista che segue è la marcata e incisiva linea di confine che intercorre fra l’attuazione della volontà popolare e i principi della Costituzione. Ad esempio della nostra Costituzione repubblicana che all’articolo 5 cita l’inscindibilità della Nazione. La domanda è: per quanto accade in Catalogna e alla luce di quanto avverrà il 22 ottobre con i referendum consultivi del Veneto e della Lombardia e delle possibili conseguenze sulla volontà e sovranità popolare e anche in riferimento alle smanie secessioniste della Lega (che nulla hanno a che vedere con la questione catalana), qual è l’ottica più equa per valutare le ragioni di una regione che chiede l’indipendenza dallo Stato? Le variabili per ogni popolo sono infinite è vero, tant’è che la questione dell’indipendentismo in alcuni casi è da perorare come un atto di giustizia umana, politica e sociale, in altri meno, perché potrebbe scivolare di mano e danneggiare un intero Paese.

Un aspetto da condannare, perché iniquamente adottato da molte dittature, è il sistema repressivo che il governo centrale spagnolo ha messo in atto sulla volontà popolare per boicottare il voto. Metodo condannato anche dall’Europa. Sulla questione dell’ indipendentismo e Costituzione si esprime nell’intervista non un politico, ma un giudice e magistrato italiano, ex giudice costituzionale, il professor Paolo Maddalena, che è già stato ospite in interviste su La Città Futura.

Peraltro il giurista si dichiara parzialmente ignaro delle dinamiche interne sulla questione referendaria in Catalogna e delle motivazioni. Forse per questo il suo giudizio sui fatti, non essendo coinvolto in spinte di parte e di partiti, è da ritenersi obiettivo.

Professore, alla luce di quanto sta accadendo in Catalogna, come interpreta la questione dell’indipendentismo. Ѐ sempre in conflitto con il principio di unità nazionale o, nel caso di espressa volontà popolare, può assumere legittimità?

La realtà è che, per influenza del pensiero neoliberista, che propone scelte egoistiche, si sta procedendo allo smantellamento degli Stati nazionali. L’invocazione dell’indipendentismo, a prescindere dalle situazioni locali che non conosco, può avere valore solo se si tratta di Popoli diversi radicati in territori diversi. La divisione è comunque sempre un dato negativo. Mi sento di approvare l’indipendentismo curdo e mi astengo dal pronunciarmi su situazioni che non mi sono molto chiare.

Intanto gli esiti positivi del referendum e il conseguente sciopero la dicono lunga sulla volontà popolare. E in tal caso non andrebbe rispettata e l’indipendenza concessa al popolo catalano?

Vorrei sapere da cosa è mossa la volontà popolare, prima di parlare di indipendentismo. Se si tratta solo di questioni economiche, credo che siamo fuori strada.

Il governo ha inviato i militari a presidiare i seggi per impedire il voto dei cittadini. Non le sembra un atto di repressione con tendenze fasciste? Il voto referendario è,a prescindere dalla costituzione spagnola, un atto di libera volontà popolare, come principio universale. Non è così?

Il voto referendario è sicuramente un atto che ha per fondamento la sovranità popolare e, per l’appunto, occorre chiedersi se si tratta di Popoli diversi. L’azione del Governo spagnolo può giudicarsi solo in relazione a quanto prevede la Costituzione spagnola.

Il premier spagnolo Mariano Rajoy accusa Puigdemont d’illegalità e di aver ordito con i secessionisti un golpe antidemocratico. In realtà cosa rischia il governo catalano?

Cosa rischia il Governo catalano dipende da cosa si è stabilito in ordine all’autonomia concessa ai Catalani.

L’Ue appoggia Rajoy, pur sollevando critiche alla violenza adottata dal governo centrale . In una questione nazionale, da dirimere in interni, quanto gioco ha Bruxelles? Potrebbe legittimare il referendum?

La Spagna ha aderito all’Unione Europea come Stato unitario. Se ci fosse una secessione, Bruxelles non potrebbe che prenderne atto.

Tornando alla nostra Costituzione, come verrebbe affrontato un referendum per l’indipendenza di una regione in base ai nostri principi costituzionali, considerando che vi sono ben noti focolai secessionisti che emergono nel Paese?

La Costituzione italiana, all’articolo 5, sancisce che l’Italia è una e indivisibile. La secessione di qualche regione sarebbe contro la Costituzione e annullabile da parte della Corte costituzionale.

La questione catalana potrebbe essere fraintesa e strumentalmente adottata dalla Lega?

La Lega potrebbe certamente sfruttare la questione catalano a proprio vantaggio, ma questo non cambierebbe lo stato delle cose.

A suo parere Il referendum catalano apre un vulnus nell’unità nazionale italiana, anche in previsione del referendum consultivo in Lombardia e Veneto? Sebbene i referendum del 22 ottobre siano considerati deboli e non configgono con la Costituzione, che anzi lo prevede all’articolo 116?

ll referendum consultivo è costituzionalmente legittimo. Le Regioni a statuto ordinario possono ottenere “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia”, nei limiti e secondo la procedura prevista dall’ultimo comma dell’articolo 116 della Costituzione.

Si apre un dubbio sul fatto che un consulto popolare possa trasformarsi in qualcosa di diverso e più incisivo, come ad esempio la giusta volontà dei cittadini di una regione di essere indipendenti dallo Stato Nazione. Anche se forse il paragone non calza, al di là della Catalogna, c’è stata la Brexit.

Soltanto i Popoli che costituiscono una Nazione hanno diritto all’indipendenza. Se la Lega volesse seguire l’esempio catalano agirebbe in modo egoistico contro gli altri Italiani, poiché il motivo della richiesta di indipendenza sarebbe solo un motivo di carattere economico conforme al pensiero neoliberista. Questo pensiero mira all’accentramento della ricchezza nelle mani delle banche e delle multinazionali e vuole che i Popoli si disgreghino, poiché è molto più facile sottomettere ai propri voleri i singoli individui, anziché interi Popoli, i quali, solo se uniti, costituiscono una grande forza.

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