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La VOCE ANNO XX N°3

novembre 2017

PAGINA 3         - 23

Segue da Pag.22: La Serbia e il Referendum in Catalogna


Il cortocircuito della Catalogna

La secessione catalana implica opportunità e rischi. Per valutare entrambi bisogna evitare gli schematismi, mettere da parte tanto la fascinazione romantica per le "nazioni senza Stato" quanto i richiami a elaborazioni teoriche derivanti da scenari ben diversi. 

Scrivo queste note mentre dalla Catalogna giungono le immagini degli scontri con decine di feriti dinanzi ai seggi referendari. Non è la condizione ottimale per un esercizio di razionalità, ma bisogna provarci nonostante tutto. L'impressione che si è avuta infatti nelle ultime settimane è stata quella di una precipitazione degli eventi in loco, cui hanno corrisposto negli ambienti della sinistra antimperialista mere affermazioni di principio e declaratorie, di orientamento opposto, con poca analisi concreta della situazione concreta e nessuna voglia di soppesare le evidentissime contraddizioni che gli eventi catalani stanno palesando.

Ad esempio, quando Andrea Quaranta scrive (1) che "la nuova Repubblica rappresenterebbe anche una straordinaria opportunità per riaprire il dibattito sulla natura dell’Unione Europea e per la costruzione di uno spazio politico continentale finalmente irriducibile alle esigenze del capitale finanziario e imperialista", che cosa esprime oltre a un desiderio? C'è una corrispondenza fattuale tra tale desiderio e la realtà dei fatti? Secondo Marco Santopadre (2)

"il composito e variegato schieramento indipendentista catalano è maggioritariamente europeista, ma la forza delle correnti della sinistra radicale che contestano l’austerity e l’autoritarismo di Bruxelles e che in certi casi parteggiano apertamente per l’uscita dall’Eurozona sono consistenti, e il conflitto di questi giorni potrebbe rafforzarle. Tutti i sondaggi danno il partito finora maggioritario, il PDeCat di Luis Puigdemont e Artur Mas, che rappresenta gli interessi della piccola e di parte della media borghesia (l’alta borghesia catalana è contraria all’indipendenza), in forte discesa".

Un accenno al tema della compatibilità o meno della costruzione statuale catalana con il quadro ordoliberista europeo era stato fatto anche da Sergio Scorza, che riferiva (3) sul Ministro degli Esteri (!) del governo autonomo catalano, Raül Romeva, invocante più UE e quindi meno sovranità ("la UE si relaziona direttamente con le regioni per finanziare progetti di sviluppo dei territori, dall’altro, lo stato centrale spagnolo ne ostacola in tutti i modi l’attuazione"). A partire da questo Scorza sviluppava un ragionamento a nostro avviso incongruente, poiché devolution e sussidiarietà sono pilastri del neoliberismo, e gongolare sulle contraddizioni delle (ex)sinistre (europeiste) non risolve certo le nostre, di contraddizioni. Le ragioni per simpatizzare con i catalani, da un punto di vista antiliberista, sarebbero eventualmente opposte a quelle espresse da Romeva.

Alcuni aspetti strutturali della questione erano stati meglio evidenziati da Vicenç Navarro (4) lo scorso luglio, quando nell'ambito di una approfondita disamina della natura della classe dirigente catalana spiegava:

"Per comprendere la Catalogna bisogna conoscere il partito CDC, fondato da Jordi Pujol e che è stato il pilastro del pujolismo, una ideologia nazionalista conservatrice che ha sempre considerato la Generalitat de Catalunya come una sua proprietà individuale, familiare e collettiva, con una influenza estesa attraverso politiche di tipo clientelare, con pratiche fortemente corrotte... È ciò che Pablo Iglesias ha definito correttamente come nazionalpatrimonialismo. Il suo vasto predominio nel governo è dovuto al suo chiaro aggancio nella struttura del potere economico, finanziario e mediatico del paese. Il suo dominio sui mezzi di informazione pubblici della Generalitat  è assoluto. E influenza anche quelli privati, in base a laute
sovvenzioni (a titolo di esempio, nel 2015 la Generalitat de Catalunya ha concesso 810.719 euro a La Vanguardia; 463.987 a El Periódico de Catalunya; El Punt Avui ne ha ricevuti 457.496, Ara 313.495)... Su TV3, i programmi di economia sono di orientamento ultraliberale, e vengono condotti da uno dei guru della CDC e di settori della ERC, l'economista Sala i Martín, economista catalano di nazionalità statunitense, che nella UE appoggia il Partito Libertario, un partito di ultradestra che esercita oggi una grande influenza sul Partido Republicano in quel paese [una specie di Partito radicale nostrano, insomma, NdA]. È molto probabile che Ministro della Economia e delle Finanze di una Catalogna indipendente, governata da una coalizione guidata dal PDeCAT, sarà un tale personaggio, o qualcuno vicino al suo orientamento politico." 

La riflessione su condizione reale e atteggiamento dei mass-media nella e sulla Catalogna è una riflessione cruciale, in un'epoca in cui il sistema informativo svolge una funzione strategica analoga a quella che in altre epoche era delle sfere militari. Vanno comprese le ragioni dell'ampia copertura concessa dai media mainstream alla crisi di questi giorni, con una ostentazione di imparzialità – o forse anche qualcosa di più, visto che si parla, correttamente ma inusualmente, di "repressione dello Stato spagnolo" contro "l'esercizio della democrazia" – che per alcune altre cause indipendentiste non si è mai vista. E andrebbe studiata la presenza di radio, portali internet e pubblicazioni catalane all'interno della vasta rete delle sovvenzioni della Commissione Europea alle iniziative regionali nei paesi membri. 
Così come, per rimanere su terreni affini, andrebbero comprese le ragioni del finanziamento della Open Society Initiative for Europe di Soros al Centre d’Informació i Documentació Internacionals a Barcelona (5), o il motivo per cui già nel 2007 la Fiera del Libro di Francoforte ha deciso di rompere la consuetudine di invitare uno Stato internazionalmente riconosciuto come "ospite d'onore", invitando invece come tale la Generalitat de Catalunya.

In effetti, la posizione delle cancellerie occidentali sulla eventuale secessione catalana non è cristallina. "Sarà divertente capire come si schiererà realmente l'Unione Europea", dice giustamente Marco Rizzo. Le parole di Juncker sono un capolavoro di ambiguità: “Abbiamo sempre detto che rispetteremo la sentenza della corte costituzionale spagnola e del parlamento spagnolo. Ma è ovvio che se un giorno l’indipendenza della Catalogna vedrà la luce, rispetteremo questa scelta. Ma in quel caso la Catalogna non potrà diventare membro dell’UE il giorno successivo al voto”. (6) Le interpretazioni di tali parole divergono nettamente a seconda dei desiderata di chi commenta. Qualche analista sottolinea il fatto che, dovendo la UE rispettare le Costituzioni degli Stati membri, una Catalogna indipendente perderebbe immediatamente lo status di membro della Unione; però qualcun altro annuncia che di fronte a un uso della forza "sproporzionato", la Commissione Europea rivedrà velocemente il suo atteggiamento rispettoso nei confronti di Madrid (7). 

In realtà, tutti gli esiti appaiono possibili. Per la Unione Europea, la secessione della Catalogna potrebbe implicare la perdita di un "pezzo" (la Catalogna stessa) oppure potrebbe essere un passo in avanti nel progetto regionalista, di devolution ordoliberista che è stato perfettamente esposto nel libro "Per l’Europa!" di Guy Verhofstadt e Daniel Cohn-Bendit e così sintetizzato da Alessio Pisanò (8):

..segue ./.

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