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La VOCE ANNO XX N°3

novembre 2017

PAGINA 2         - 18

Il rispetto dei diritti umani nella Repubblica Bolivariana del Venezuela

di Remy Herrera, Centre Europe-Tiers Monde da cetim.ch
Traduzione di Lorenzo Battisti per Marx 21

Riportiamo qui di seguito la dichiarazione scritta dal Prof. Remy Herrera (CNRS e Univ. Paris I, Sorbonne) e depositata dal Centre Europe – Tiers Monde (CETIM) presso il Consiglio dei diritti dell’uomo dell’Onu (Ginevra).

Per il rispetto dei diritti umani, in particolare del diritto all’autodeterminazione, nella Repubblica Bolivariana del Venezuela

Preoccupati per una presentazione unilaterale della situazione in Venezuela e che incoraggia la violenza, il CETIM si augura di contribuire alla chiarezza nella speranza che sia rispettato il diritto all’informazione, consacrato dalla Carta Internazionale dei Diritti dell’Uomo.

Dopo la prima vittoria di Hugo Chavez alle elezioni presidenziali del 1998 è in corso in Venezuela un processo di trasformazioni socio-economiche, politiche e culturali profonde, ma pacifiche. A partire da quella data fino al successo elettorale dell’attuale Presidente Nicolas Maduro in Aprile 2013, le forze politiche che si richiamano al loro programma progressista comune hanno vinto la quasi totalità delle elezioni organizzate nel paese – in maniera libera e democratica, come hanno testimoniato numerosi osservatori stranieri indipendenti. Nello stesso tempo, le strutture della società si sono largamente democratizzate, specialmente grazie agli sviluppi di forme di partecipazione popolare e comunale, e i diritti dei cittadini venezuelani sono considerevolmente avanzati. Non riconoscere questi avanzamenti di libertà civili e politiche, e della democrazia in generale, così come dei diritti economici, sociali e culturali in questo paese, significherebbe negare l’evidenza.

Nel corso di questo periodo, alcuni capi dell’opposizione, sostenuti dal governo degli Stati Uniti, hanno spiegato al mondo la loro concezione della democrazia a più riprese: innanzitutto ad Aprile 2002, durante un tentativo di colpo di stato contro l’ordine costituzionale, interrotto dalla mobilitazione del popolo; in seguito, a partire dal Dicembre 2002, con la chiusura petrolifera e imprenditoriale del padronato, al quale il governo rispose prendendo il controllo della società Petróleos de Venezuela SA e lanciando le missioni sociali; infine durante tutto il periodo, attraverso le incessanti operazioni di sabotaggio dell’economia nazionale, portate avanti con la collaborazione dei grandi proprietari privati ostili alla democratizzazione. Il popolo e i successivi governi hanno sempre fatto fronte a queste aggressioni delle frazioni più reazionarie dell’opposizione con fermezza, ma nella pace.

Riaffermato più volte nelle urne, l’attaccamento di una grande maggioranza dei venezuelani al processo di trasformazione del paese si spiega con solide ragioni. I progressi sociali sono stati enormi dal 1999, in tutti i campi: sanità, educazioni, cultura, alimentazioni, alloggi, infrastrutture, servizi pubblici, lavoro, pensioni. Le statistiche sono a disposizione per provarlo. La presa di controllo effettivo sul cuore dell’economia da parte dello Stato – il settore petrolifero – ha permesso per la prima volta nella storia del paese una distribuzione più giusta dei proventi delle risorse naturali. Di conseguenza, le diseguaglianze dei redditi hanno cominciato a diminuire significativamente, anche se molta strada resta ancora da fare su questo tema. Il Venezuela è oggi, dopo Cuba, la società meno ineguale dell’America Latina. È chiaro che tutto questo, ottenuto a beneficio dei molti, non soddisfa i più ricchi.

Sotto l’impulso del Presidente Chavez, il Venezuela ha preso parte attiva alla costruzione di un mondo più equilibrato, non unipolare. L’Alianza Bolivariana para los Pueblos de Nuestra America -

Tratado de Comercio de los Pueblos, nato nel 2004, ha aperto la prospettiva di relazioni regionali di cooperazione e solidarietà situate agli antipodi dei principi di concorrenza e di massimizzazione dei profitti privati sostenuti dalla mondializzazione capitalista. Lo stesso per le iniziative intraprese per permettere al sud di staccarsi dal ricatto del Fondo Monetario Internazionale e dagli oligopoli finanziari dominati dal nord. Un soffio nuovo ha ravvivato lo spirito di indipendenza latino-americano, portando alla creazione di istituzioni comuni a livello regionale. Questo fondamentale progresso per i popoli del sud non poteva avere l’approvazione delle potenze del nord né dei loro rappresentanti locali.

In queste condizioni non è sorprendente osservare che il processo di trasformazione sociale in Venezuela solleva ondate di attacchi mediatici violenti, all’interno come all’esterno. Queste campagne di stampa, radio e televisioni, ma anche su internet e sulle reti sociali, tutte orchestrate dalle potenze del denaro, accendono gli odi e diffondono menzogne contro il movimento progressista. Contrastano con il silenzio degli stessi mass media dominanti nel momento del colpo di stato militare che ha rovesciato il presidente Zelaya in Honduras (2009), o dei “colpi di stato parlamentari” che hanno messo fine ai mandati dei presidenti Lugo in Paraguay (2012) e Rousseff in Brasile (2016). Questo scatenamento mediatico ha raddoppiato di intensità dopo la morte di Hugo Chavez e l’elezione alla presidenza nel 2013 del continuatore del suo progetto, Nicolas Maduro. La coabitazione di fatto, conseguenza del successo dei diversi partiti di opposizione alle elezioni legislative (2015), ha condotto i loro capi più estremisti a sentirsi autorizzati a tentare di imitare quei presidenti honduregni, paraguayani e brasiliani fondamentalmente antidemocratici, e a fare il passo successivo scatenando una vasta operazione di destabilizzazione del Venezuela.

Questa crescente aggressione contro il Presidente Maduro, eletto legittimamente, è passata in un primo tempo attraverso il voto parlamentare di auto amnistia dei crimini e dei delitti (riconoscendoli come tali!) commessi dalle guide dell’opposizione. Si è in seguito accentuata attraverso un tentativo, presto abortito poiché mancava delle esigenze legali, di convocare un referendum revocatorio che mirava a destituire il Presidente Maduro. Infine, e da diversi mesi, l’inasprimento delle posizioni di una frazione degli oppositori, molto divisi, ha preso la forma di appelli a un intervento delle potenze esterne, nella speranza di vederle immischiarsi negli affari interni e rimettere in causa la sovranità nazionale. È stata l’Organizzazione degli Stati Americani che è stata azionata in un primo momento, con il fine di escludere il Venezuela da questa istituzione, senza riguardo per gli interessi nazionali. I più fanatici tra gli oppositori, che conoscevano il sostegno di cui beneficia il governo del Presidente Maduro e il processo di trasformazione presso le masse popolari, non aspirano ad altro che ad un intervento militare esterno contro il paese.

Che siano venezuelane o straniere, le potenze che sostengono questa opposizione portano avanti una guerra economica all’interno del Venezuela. Attraverso il controllo della maggior parte dei mezzi di produzione dell’industria e dell’agricoltura, sono in grado di minacciare il soddisfacimento dei bisogni della popolazione organizzando, coscientemente e inumanamente, con la complicità delle reti identificate sottomesse agli Stati Uniti, penurie dei prodotti alimentari e di prima necessità; esportazioni di contrabbando transfrontaliere dei beni sovvenzionati – compreso il petrolio ; manipolazioni dei prezzi interni e distorsioni del tasso di cambio della moneta nazionale sul mercato nero; una frode fiscale e una fuga massiccia dei capitali; e più in generale, un sabotaggio sistematico dell’economia nazionale destinata a rafforzare una crisi artificialmente sostenuta. L’impressione di “caos” che ne risulta serve come pretesto alle banche straniere e a certe organizzazioni internazionali per alzare il “rischio paese” e quindi il costo del debito – quando le linee di credito esterno non sono interrotte. L’obiettivo è di cercare di destabilizzare il processo di trasformazione sociale in corso, di privare lo stato delle sue risorse e di fiaccare il morale del popolo attraverso l’esacerbazione delle penurie, dei disordini e del malcontento. Tutto questo è inaccettabile.

Nessuna delle ragioni delle difficoltà incontrate – che riguardano meno la gestione del governo che una volontà deliberata degli oppositori – non è analizzata oggettivamente dai mass media dominanti. Logico: i proprietari dei grandi mezzi di comunicazione hanno interesse a mettere fine questo processo di trasformazione democratica che, per l’esempio che rappresenta, rimette in causa l’ordine sul quale è fondato il loro dominio. Ecco perché i proiettori sono rivolti oggi sugli eventi di strada, a Caracas o in altre città del paese, presentando manifestanti “pacifici” (quando non sono dipinti come degli “eroi”), repressi da una supposta “dittatura”. Il tumulto attuale non ha potuto evitare degli eccessi da una parte e dall’altra. Ma si sono stranamente occultati i crimini, innegabili, perpetrati dalle frazioni ultraviolente di questi “contestatori” - tra i quali figurano dei gruppi organizzati di ideologia fascista e delle bande di delinquenti stipendiati dall’opposizione più radicale per seminare il terrore - , le cui azioni sono esaltate con gli appelli alla violenza, irresponsabile e in crescendo, da parte di certi parlamentari. Così, tra false informazioni e foto ritoccate, è un nuovo mito di rivoluzione colorata che viene inventato, nello stesso modo di quelle che negli anni recenti hanno assicurato a delle fazioni di estrema destra sostenute dagli Stati Uniti l’accesso al potere attraverso l’uso della forza. Queste manipolazioni mediatiche, così grossolane quanto pericolose, insultano tutti i giornalisti integri, calpestando il diritto dei cittadini ad essere informati, facendo il gioco dei sostenitori della guerra civile, e non potranno ingannare gli osservatori onesti.

Per trovare un’uscita necessaria alla situazione particolarmente dolorosa che vivono i venezuelani, il Presidente Maduro ha annunciato il Primo Maggio la sua decisione di convocare un’Assemblea Nazionale Costituente. Di fronte al rifiuto ostinato degli oppositori più brutali di riprendere i negoziati con il governo legittimo del paese, questa iniziativa traduce l’intenzione presidenziale di pacificazione, ma anche di allargamento del campo delle discussioni costruttive all’insieme dei componenti della società. Attraverso questa riforma della Costituzione viene ricercato anche il consolidamento delle conquiste e delle missioni sociali effettuate dal 2003, delle forme esistenti di partecipazione democratica e dei fondamenti della sovranità. La parola viene così ridata al popolo, da cui proviene tutto il potere, attraverso il voto. Come è attualmente concepita, questa assemblea costituente è composta di 545 componenti, eletti a suffragio diretto e segreto per circoscrizione elettorale o settori professionali (delegati dei comuni, delle missioni, delle comunità indigene, ma anche studenti, imprenditori, operai, contadini, pescatori, handicappati, pensionati etc..).

Non si tratta qui di sottostimare i limiti o di sminuire le insufficienze del processo di trasformazione del Venezuela; né di sembrare voler ignorare i motivi di insoddisfazione, vista l’esasperazione di numerosi cittadini – motivi spesso legati ai mali ereditati dal sistema capitalista, dal quale il processo in corso non si è interamente emancipato (insicurezza persistente, casi di corruzione, ineguaglianze ridotte ma ancora elevate, mentalità della rendita…). Bisogna tuttavia capire che la radice di tutti i problemi che vive ora la grande maggioranza dei venezuelani ha origine nell’iper- concentrazione della proprietà dei mezzi di produzione nelle mani di un’infima minoranza di possidenti, sufficientemente potenti (e sostenuti dall’estero) per essere in grado di far piombare il paese in una “crisi” - organizzata con cura – tale da nuocere al benessere della popolazione e di incoraggiare la moltiplicazione degli atti di violenza. Così ci pronunciamo per un ritorno immediato alla calma e al dialogo, per il rispetto dell’autodeterminazione del popolo venezuelano e l’approfondimento del processo di trasformazioni democratiche che esso ha liberamente e coraggiosamente iniziato da due decenni, nello spirito di progresso sociale, giustizia e indipendenza del Presidente Chavez, restando fedeli alle azioni e agli insegnamenti di Simon Bolivar.

Nel contesto di crisi multiple (politiche, socio-economiche, culturali, alimentari, climatiche, migratorie…) e di conflitti armati in numerose regioni del mondo, è irresponsabile provocare il caos in Venezuela. Quelli che continuano su questa via si rendono responsabili di fronte al diritto internazionale e dovranno rispondere davanti alla giustizia dei loro atti.

Considerato quanto detto, il Venezuela ha bisogno di sostegno, tanto da parte degli Stati che degli organi delle Nazioni Uniti, conformemente alla Carta dell’Onu e del diritto internazionale in materia di diritti umani, e non di una campagna di odio e di destabilizzazione.

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