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La VOCE 1706 |
P R E C E D E N T E | S U C C E S S I V A |
La VOCE ANNO XIX N°10 | giugno 2017 | PAGINA C - 35 |
non considerare di poco conto, si può parlare, in senso lato, di un'interpretazione di Copenaghen o di un'interpretazione ortodossa della meccanica quantistica. Tenendo conto del ruolo preponderante di Bohr, prendo in considerazione qui le sue idee come quelle centrali dell'interpretazione ortodossa. È questa interpretazione che segna con più forza il tempo presente, essendo accettata più tacitamente che esplicitamente. Sicché lo studio è fatto a partire da testi di Bohr e ciò che è sotto esame non sono i risultati scientifici, ma l'interpretazione che di essi è proposta e le posizioni filosofiche sottostanti (manifeste e non). Rispondere alla domanda: "cosa c'è di idealista nell'interpretazione ortodossa della meccanica quantistica?" significa collocare i problemi della meccanica quantistica a confronto con quella che Engels, nel suo Ludwig Feuerbach, designò come "la questione fondamentale della filosofia" [5], e cioè la questione della relazione tra l'essere e il pensiero. Per i materialisti l'elemento originario è l'essere, mentre al contrario per gli idealisti è il pensiero. Non mi è possibile qui sviluppare una spiegazione diffusa delle ragioni per le quali affermo che l'interpretazione ortodossa sia fortemente segnata da tendenze agnostiche e idealiste. La scelta che faccio è di cercare di delineare l'ossatura di quello che ritengo essere il problema. La costituzione della conoscenza in Bohr: la correlazione oggetto quantico-strumento di misura Cominciamo con il problema della costituzione del sapere. È questo un punto nevralgico a partire dal quale derivano le altre posizioni di Bohr. A differenza dei materialisti, per i quali la materia - cioè la realtà oggettiva che esiste indipendentemente dal soggetto - è il dato primario di conoscenza, Bohr istituisce come istanza originaria della conoscenza la correlazione tra oggetto e strumento di misura, oltre la quale non si può andare. Contrariamente a quanto fino ad allora era possibile nella meccanica classica, nella meccanica quantistica - poiché essa tratta di fenomeni che si verificano a livelli molto più piccoli, cioè i livelli atomici e subatomici - l'interazione tra lo strumento di misura e l'oggetto quantistico cessa di essere trascurabile. A partire da ciò, Bohr concluse che non fosse possibile conoscere l’oggetto quantico al di là della sua relazione con lo strumento di misura. Con parole sue: "l'interazione inevitabile tra gli oggetti e gli strumenti di misura pone un limite assoluto alla possibilità di parlare di un comportamento degli oggetti atomici che sia indipendente dai mezzi di osservazione" [6]. In questo caso dell'interpretazione ortodossa, non si tratta di far dipendere direttamente l'oggetto dalla coscienza o da altra istanza ideale, come nel caso delle più tradizionali filosofie idealiste. Non si tratta di, diciamo, stabilire direttamente quella dipendenza a livello della sensazione, dell'esperienza soggettiva, nella misura in cui l'interazione tra l'ente quantico e lo strumento di misura è un'interazione materiale. Tuttavia, non cessa innegabilmente di stabilire come istanza originaria della conoscenza una correlazione che, in ultima analisi, dipende dal soggetto: in questo caso da un'istanza materiale, la pratica umana, l'esperimento. Si tratta di conclusioni agnostiche sul piano epistemologico. Ed è da notare come esse si leghino, sul piano ontologico, a concezioni segnate da un orientamento idealista. Sicché, anche al di là della conoscenza dell'ente quantico, sono le stesse determinazioni di tale ente che Bohr colloca in quella dipendenza. Esempio di ciò è il collasso istantaneo della serie di onde: secondo l'interpretazione ortodossa, prima di una data misurazione il sistema è costituito da diverse onde di probabilità e, nel preciso momento in cui la misurazione è eseguita, tutte le onde di probabilità collassano istantaneamente in una sola; cioè, prima della misurazione tutti i possibili risultati esistono simultaneamente, di fatto, ed è la misurazione a determinare che la particella passi a mostrare un valore determinato di velocità o di posizione. Qui è la stessa esistenza del fenomeno che Bohr pone come dipendente dall'interazione con gli strumenti. Abbiamo quindi la realizzazione dell'esperimento, la pratica, come costitutiva del fenomeno stesso. L'orientamento idealista sottostante è questo: è l'essere che appare come funzione della sua posizione per l'uomo. La sua indipendenza è offuscata e non costituisce più l'istanza fondante della conoscenza. Per queste ragioni, sostengo che ci troviamo di fronte a un caso di ciò che Barata-Moura chiama un "idealismo della prassi". Bohr, nell'anteporre come condizione di possibilità una correlazione tra oggetto e strumento di misura, oltre ad istituire un limite epistemologico invalicabile, fondamentalmente nega l'indipendenza ontologica dell'ente quantico dall'esperimento o, più in generale, dell'essere dalla pratica. La non considerazione della contraddizione dialettica: la complementarità Al centro di tutto si trova il cosiddetto dualismo onda-corpuscolo. Esso è secondo alcuni uno dei più grandi problemi ereditati dalla fisica del XX secolo. In definitiva la materia è, allo stesso tempo, onda e corpuscolo. Ma, per rendere tutto più difficile, gli esperimenti non evidenziano mai tale carattere simultaneamente. La contraddizione oggettivamente esistente tra il carattere ondulatorio e corpuscolare della materia si manifestava ora nella teoria (cioè, quella che è una contraddizione materiale si rifletteva ora idealmente). Il principio di complementarità fu la soluzione trovata da Bohr per ovviare a questa contraddizione sorta, portata allo scoperto dal progresso della scienza. La complementarità traduce l'idea secondo cui i risultati ottenuti in condizioni sperimentali differenti non possono essere compresi, riuniti in un'unica immagine. Contrariamente a ciò che succedeva nel campo della meccanica classica, nel campo quantistico, dal momento che non è possibile stabilire una distinzione chiara tra oggetto e strumento di misura, dice Bohr, "gli apparentemente incompatibili tipi di informazione circa il comportamento dell'oggetto sotto esame che otteniamo attraverso differenti procedure sperimentali non possono chiaramente essere posti in connessione gli uni con gli altri in modo usuale, ma possono, in modo ugualmente essenziale per una considerazione esaustiva di tutto l'esperimento, essere visti come 'complementari' gli uni con gli altri" [7]. Cioè, a causa dell'interazione incontrollabile tra l'oggetto e lo strumento di misura, non sarebbe possibile conoscere simultaneamente le sue caratteristiche. Ad esempio, se si riuscisse a determinare la velocità di un elettrone, non sarebbe possibile conoscere con precisione la sua posizione. Al contrario, se si conoscesse la posizione di un elettrone in un dato istante, non sarebbe possibile sapere esattamente quanto velocemente si muoveva. Le informazioni circa l'oggetto così ottenute, cioè attraverso diverse procedure sperimentali, sono dunque caratterizzate come "complementari". Una determinata procedura sperimentale determina la velocità e un'altra la posizione e non è possibile costruire un'unica immagine completa della particella. ..segue ./.
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