La VOCE   COREA   CUBA   JUGOSLAVIA   PALESTINA   RUSSIA   SCIENZA 

Stampa pagina

 Stampa inserto 

La VOCE 1706

  P R E C E D E N T E   

    S U C C E S S I V A  


GIÙ

SU


La VOCE ANNO XIX N°10

giugno 2017

PAGINA c         - 27

Il movimento BDS lancia un appello per azioni di solidarietà mentre i prigionieri palestinesi entrano nella quarta settimana di sciopero della fame


Oggi [8 maggio, N.d.T.], lo sciopero della fame di massa dei palestinesi detenuti nelle carceri israeliane entra nella sua critica quarta settimana, e questo significa che per centinaia di scioperanti sarebbe difficile o impossibile reggersi in piedi. Dando ascolto all’appello del 6 maggio del Movimento dei Prigionieri Palestinesi che guida questo sciopero per porre fine alle violazioni israeliane dei diritti dei palestinesi e per garantire dignità e condizioni umane ai prigionieri politici, il Comitato Nazionale Palestinese per il BDS (BNC) lancia un appello:

Affinché l’Autorità Palestinese interrompa immediatamente il cosiddetto “coordinamento sulla sicurezza” con le forze israeliane di occupazione. Questa collaborazione è contro l’opinione della maggioranza dei palestinesi ed è in violazione della decisione del marzo 2015 della Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP), unica rappresentante legittima del popolo palestinese.

Per un’azione legale contro i funzionari israeliani, compreso il Ministro della Pubblica Sicurezza, Gilad Erdan, e i funzionari dell’Amministrazione penitenziaria e delle agenzie di intelligence israeliane per i loro ruoli rispettivi nei gravi crimini commessi nei confronti dei prigionieri palestinesi, compreso la tortura. Poiché i tribunali israeliani non li ritengono responsabili, i tribunali esteri devono applicare la giurisdizione universale e assicurare che ai trasgressori dei diritti umani non sia garantita l’impunità.
Affinché i medici in tutto il mondo rifiutino l’alimentazione forzata come forma di tortura e le credenziali di qualsiasi medico che consente a partecipare a questo crimine. Ci sono rapporti che indicano che Israele ha intenzione di fare venire medici stranieri per sottoporre ad alimentazione forzata i prigionieri palestinesi, questi piani devono essere condannati e contrastati.
Per l’intensificazione delle campagne BDS per fare sì che Israele sia ritenuto responsabile per i crimini che commette contro il popolo palestinese, compreso il trattamento crudele e disumano dei prigionieri politici palestinesi. Hewlett-Packard (HP) e G4S, in particolare, sono aziende che dovrebbero subire un boicottaggio crescente per la loro complicità con il brutale sistema di incarcerazione e con gli abusi che Israele impone ai prigionieri politici palestinesi.
Il sostegno alle richieste dei prigionieri palestinesi in sciopero della fame si è diffuso attraverso vari paesi arabi, specialmente in Egitto, Giordania, Libano e Marocco, con un numero crescente di celebrità che si uniscono al #SaltWaterChallenge. I sindacati palestinesi inoltre hanno espresso il loro appoggio, insieme ai difensori dei diritti umani in tutto il mondo.

Il BNC è sicuro che questo sciopero della fame per la dignità e la libertà rinforzerà ulteriormente la resistenza popolare non violenta alle ingiustizie israeliane e porterà avanti le aspirazioni del movimento BDS per la libertà, la giustizia e l’uguaglianza.

Fonte: Comitato Nazionale Palestinese per il BDS

Traduzione di BDS Italia

FPLP: Ci schieriamo con Ahmad Sa’adat e il movimento dei prigionieri nella battaglia della dignità

Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina | pflp.ps
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

14/05/2017

Il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina saluta l’epica fermezza rivoluzionaria del Segretario generale incarcerato, compagno Ahmad Sa’adat, che prosegue nel suo sciopero della fame e mostra un modello di lotta anche nelle circostanze più difficili.

Il Fronte ribadisce il pieno appoggio al suo leader, guida dello sciopero e del movimento dei prigionieri palestinesi nella battaglia per la libertà e la dignità che stanno conducendo per ottenere quanto giustamente e collettivamente richiesto. Gli occupanti tentano di far fallire lo sciopero imponendo punizioni collettive ai prigionieri, nel tentativo di esaurirli e minare la loro volontà. Questi tentativi non raggiungeranno il loro obiettivo e i prigionieri sono determinati a continuare questa battaglia.

Il Fronte loda inoltre lo spirito di unità nazionale mostrato dal compagno Sa’adat durante la visita dei suoi legali, la fiducia nei leader suoi compagni di sciopero, in particolare in Marwan Barghouthi. Sa’adat ha definito gli espedienti messi in atto dalle forze sioniste come disperati tentativi di spezzare la fermezza e il morale dei prigionieri e ha chiamato tutti a stare all’erta rispetto a tali trucchi e alle voci fatte circolare dai partiti, specialmente degli occupanti, al fine di fermare lo sciopero.

Il FPLP mette in guardia contro i tentativi di alcuni partiti di aggirare lo sciopero e aprire un dialogo con gli occupanti, sottolineando che la leadership degli scioperanti, come espresso più volte dai prigionieri, è l’unico organismo autorizzato a rappresentare lo sciopero.

Il Fronte chiede inoltre al Comitato Internazionale della Croce Rossa di farsi carico delle sue responsabilità umanitarie e seguire la situazione dei prigionieri, in particolare le condizioni degli scioperanti, e di opporsi chiaramente alla violazione dei diritti dei detenuti da parte degli occupanti, attestando come il CICR sia venuto meno al suo ruolo fondamentale.

Inoltre, il FPLP esorta tutte le sue sezioni e organizzazioni nella Palestina occupata e in esilio a fare della battaglia dei detenuti la priorità numero uno fino alla vittoria.

Il Fronte conclude sottolineando la necessità della continua crescita di questa lotta e del movimento popolare nazionale a tutti i livelli, a
sostegno della causa dei prigionieri e di questa battaglia della dignità. Nell’anniversario della Nakba e del trasferimento forzato del popolo palestinese, il Fronte invita tutti a marciare e ad organizzarsi sotto la bandiera del "Ritorno e Liberazione".

Netanyahu: “Dobbiamo mantenere il pieno controllo militare della Cisgiordania”

di Roberto Prinzi

Il premier israeliano ha detto oggi che l’origine del conflitto non sono le colonie, ma l’intransigenza dei palestinesi a non volere riconoscere i diritti degli ebrei. Ramallah, intanto, chiede all’Onu di proteggere Gerusalemme est dai “tentativi di giudaizzare la città”.

“Israele deve mantenere il controllo militare della Cisgiordania in caso di un accordo di pace”. Parola del premier israeliano Benjamin Netanyahu. Intervistato stamane dalla radio militare Galei Tzahal prima della festa ebraica di Shavuot, il primo ministro è stato molto chiaro: “Per rendere sicura la nostra esistenza, dobbiamo avere il controllo militare e della sicurezza su tutto il territorio a ovest del fiume Giordano”. Bibi ha poi dato una lettura “storica” del conflitto israelo-palestinese: l’origine dello scontro tra i due popoli non deriva dalla presenza delle colonie israeliane in territorio cisgiordano, ma piuttosto dall’intransigenza dei palestinesi a non voler riconoscere i diritti degli ebrei in Eretz Yisrael.

A sostegno della sua tesi, Netanyahu ha osservato che la storia dello scontro tra ebrei e arabi nasce nel 1920, quindi molto prima della fondazione d’Israele e della conquista della Cisgiordania nel 1967 con la Guerra dei Sei Giorni. Perfino prima del 1967, ha spiegato il leader del Likud, gli arabi “volevano buttarci via da Tel Aviv e dopo che ci siamo ritirati da Gaza [nel 2005] volevano lo stesso buttarci via da Tel Aviv”. “La radice del problema era ed è il continuo rifiuto palestinese a riconoscere Israele come stato ebraico” ha poi detto. “Quando si cambierà questo aspetto – ha poi aggiunto – allora avremo la speranza [di raggiungere] la pace perché questa non la si può costruire su una base di bugie”. “Non c’è nessuna nazione al mondo che conosce il prezzo della guerra più di noi. Vogliamo una vera pace” ha poi sottolineato.

Insomma, Israele vuole la risoluzione del conflitto, ma non c’è un partner altrettanto coraggioso con cui trattare. Nulla di nuovo: la mancanza di una controparte con cui negoziare è un vecchio slogan della destra israeliana sdoganato nel 2000 anche dall’allora premier laburista Barak. Ma se queste sue dichiarazioni sanno di già (troppo) sentito, l’aspetto più interessante della sua intervista è la conferma dell’apertura del mondo arabo verso lo stato ebraico. “Registriamo un cambiamento non necessariamente con i palestinesi. Ma con [alcune] parti del mondo arabo che capiscono che Israele non è il loro nemico”. Nelle sue dichiarazioni riemerge la prospettiva di una “Nato” araba anti-Iran che includa tra le sue file anche Israele. Un’alleanza che, nei fatti, è già operativa ed è stata celebrata nel summit di Riyadh della scorsa settimana alla presenza del presidente statunitense Trump. “Gli stati arabi – ha spiegato il premier – comprendono ora che Israele è un alleato contro le minacce iraniane e del gruppo terrorista dello Stato islamico”.

La tempistica delle parole del premier non è casuale: le sue dichiarazioni giungono a una settimana dalla visita ufficiale in Israele di Trump durante la quale il leader Usa ha ribadito di voler trovare un accordo tra palestinesi e israeliani (senza però specificare come e quando). Sarà stata proprio questa vaghezza trumpiana ad aver risollevato l’animo di Netanyahu che, di fronte alle telecamere, ha confessato all’alleato d’oltreoceano di sentire “per la prima volta dopo molti anni – per la prima volta in vita mia – una vera speranza di cambiamento”.

La commovente “volontà” di Netanyahu di giungere alla pace con i palestinesi si è palesata subito: domenica il suo governo ha tenuto una seduta in una sala sottostante il Muro del Pianto, nel 50mo anniversario della Guerra dei Sei Giorni. La scelta della particolare location non è stata particolarmente gradita dai palestinesi (è un eufemismo) che, con il segretario generale dell’Olp Saeb Erakat, hanno parlato di “gesto provocatorio”. Che pochi a Ramallah condividano “la speranza di pace” del premier israeliano è apparso chiaro ieri quando il ministro degli esteri palestinesi ha chiesto al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite di proteggere Gerusalemme est dagli ultimi tentativi di “giudaizzare” la città.

Proprio durante la controversa riunione in Città vecchia, Netanyahu ha svelato un piano di circa 45 milioni di dollari per costruire entro il 2021 una funivia di 1,4 chilometri che collegherà la vecchia stazione ferroviaria nella zona ebraica (Ovest) della città alla porta più vicina al Muro del Pianto (nell’area orientale). Ma i progetti israeliani non terminano qui: il quotidiano Ha’Aretz ha riferito infatti che l’esecutivo ha già approvato un progetto che incentiverà le scuole palestinesi della parte est della Città Santa a passare a un curriculum scolastico israeliano. Proposte irricevibili per i palestinesi che, facendo appello anche alle risoluzioni internazionali, non accettano la presenza israeliana in nessuna forma nei Territori Occupati (Gerusalemme est, Cisgiordania e Striscia di Gaza).

Accanto alle dichiarazioni della politica e della diplomazia, scorre poi la vita quotidiana fatta d’occupazione. Nella parte settentrionale della Striscia di Gaza ieri notte un 25enne gazawi è stato raggiunto dai colpi sparati dai soldati israeliani. Fonti locali fanno sapere che il ragazzo stava camminando vicino alla spiaggia quando è stato colpito alla gamba dai militari. Tel Aviv, per ora, non commenta. Secondo i dati delle Nazioni Unite, le forze armate israeliane hanno ferito almeno 26 palestinesi nella Striscia dall’inizio dell’anno, 178 in tutto il 2016.

Non si placano poi le tensioni tra Fatah e Hamas. L’agenzia di stampa palestinese Wafa ha riferito stamattina che le autorità di Hamas hanno impedito ad un ufficiale dell’Olp, Zakariya al-Aghda, di lasciare “per la seconda volta” la Striscia per partecipare ad una riunione a Ramallah. Gli islamisti accusano l’Autorità palestinese (Ap, dominata da Fatah) di voler “sradicare” il movimento dalla Cisgiordania e di aver aumentato “la cooperazione alla sicurezza” con le autorità israeliane adottando una politica “delle porte girevoli” che porta i carcerati palestinesi dalle carceri dell’Ap a quelle d’Israele. Negli ultimi mesi il presidente Mahmoud Abbas ha poi progressivamente incrementato la pressione sul governo di Hamas nella Striscia di Gaza attraverso l’interruzione del pagamento della tassa sul combustibile importato, il taglio di un terzo dei salari dei 45.000 impiegati statali a Gaza che sono ancora pagati dall’Ap e l’interruzione dei pagamenti per l’elettricità di Gaza proveniente da Israele.

Fatah, a sua volta, ha accusato Hamas di avere creato un governo ombra nella Striscia limitando le attività dei suoi rappresentanti e bloccando l’unità politica del popolo palestinese.

Roberto Prinzi è su Twitter @Robbamir ( Fonte: NenaNews )

  P R E C E D E N T E   

    S U C C E S S I V A  

Stampa pagina

 Stampa inserto 

La VOCE 1706

 La VOCE  COREA  CUBA  JUGOSLAVIA  PALESTINA   RUSSIA   SCIENZA 

Visite complessive:
Copyright - Tutti gli articoli possono essere liberamente riprodotti con obbligo di citazione della fonte.