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La VOCE 1706 |
P R E C E D E N T E | S U C C E S S I V A |
La VOCE ANNO XIX N°10 | giugno 2017 | PAGINA 8 |
CELEBRAZIONE DELL’OTTANTESIMO DELLA MORTE DI ANTONIO GRAMSCI
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Com’è noto, tutti questi spunti vengono sviluppati da Gramsci nei Quaderni del carcere. Qui in particolare il nodo centrale è la complessità del potere: l’idea dello Stato come somma di “società politica” (luogo del governo, e dunque del dominio, della coercizione e della forza) e “società civile” (spazio dell’egemonia e del consenso, e dunque della lotta per l’egemonia)7. Su questa base, che gli consente di superare ogni impostazione economicistica o “quarantottesca” e giacobina della lotta politica, Gramsci approfondisce il tema della differenza tra Oriente e Occidente, dove “nel tremolio dello Stato si scorgeva subito una robusta struttura della società civile. Lo Stato era solo una trincea avanzata, dietro cui stava una robusta catena di fortezze e di casematte”8. Ecco allora che la rivoluzione in Occidente richiede una lunga e complessa “guerra di posizione”. Tuttavia, per Gramsci la lotta per l’egemonia è essenziale in tutte le società complesse, e ancora una volta egli si riallaccia a Lenin il quale ha “rivalutato il fronte di lotta culturale e costruito la dottrina dell’egemonia come complemento della teoria dello Stato-forza”9. In questo quadro il Partito stesso è per Gramsci un “apparato egemonico”, che “crea un nuovo terreno ideologico, determina una riforma delle coscienze e dei metodi di conoscenza”, e un partito si costruisce anche attraverso un intenso, continuo e “molecolare” dibattito, “da cui nasce una volontà collettiva e un certo grado di omogeneità”10. Una concezione all’origine della definizione del Partito – da Togliatti ricondotta a Gramsci – come “intellettuale collettivo”. Tale partito, prima della presa del potere politico, deve combattere per l’egemonia nella società civile, che significa egemonia sul piano ideologico e culturale, ma significa anche conquistare – durante una lunga “guerra di posizione” che si alterna a fasi di “guerra di movimento” – quelle “casematte”, quelle trincee, quella miriade di piccoli e grandi centri di potere (o di resistenza) popolare che sono i sindacati, le cooperative, i Comuni, le associazioni11, e tutto il reticolo di strutture che rendono oggi la nostra società civile immensamente più complessa di quella dell’epoca di Gramsci. È nel corso di questo processo che la classe subalterna “diviene soggetto storico”, classe per sé; comincia cioè a diventare classe dirigente e pone le basi per diventare anche classe dominante12, ossia per conquistare il potere politico sulla base del consenso e di una condivisione di massa, espressione di un nuovo “blocco storico”. In questa lotta egemonica il proletariato non solo costruisce una politica di alleanze, ma porta alla luce della coscienza politica quei cambiamenti che sono già avvenuti sul piano strutturale, dello sviluppo delle forze produttive, rendendo chiaro che anche la trasformazione politica e sociale è non solo possibile ma necessaria. In tale quadro, è chiaro che l’approccio rispetto ai potenziali alleati “l’unica possibilità concreta è il compromesso, poiché la forza può essere impiegata contro i nemici, non contro una parte di se stessi che si vuole rapidamente assimilare”13. C’è in questa concezione, il riflesso dei dibattiti sul modo di cementare e sviluppare l’alleanza tra operai e contadini, su cui Lenin aveva sempre insistito14; così come sulla necessità di “un lungo lavoro educativo”15. E c’è in questa comune visione un’idea di transizione al socialismo come lungo e complesso “processo di apprendimento”, per dirla con Domenico Losurdo16; un processo di apprendimento di tipo politico, ma anche culturale, scientifico e tecnico, in cui il proletariato impara a governare e a trasformare la realtà, e al tempo stesso “insegna” ai suoi alleati, ne plasma una diversa coscienza. Non a caso Gramsci definisce il marxismo l’espressione delle “classi subalterne che vogliono educare se stesse all’arte di governo”, e il partito politico “scuola della vita statale”; e non a caso Gerratana ha letto nella teoria dell’egemonia l’idea di una “educazione permanente all’autogoverno” delle masse17. Ma ancora più al fondo, in Gramsci c’è un’idea della complessità della transizione al socialismo che – come ha rilevato Jacques Texier – risale a Marx e ad Engels, il quale già nel 1895, decretando l’erroneità e il superamento delle concezioni “quarantottesche” della rivoluzione, ipotizzava che il proletariato “progredis[se] lentamente, di posizione in posizione in un combattimento duro, ostinato”, che ricorda tanto la gramsciana “guerra di posizione”. E aggiungeva: “Laddove si tratta di una trasformazione completa dell’organizzazione della società, bisogna che anche le masse collaborino, che abbiano già capito da sole di che cosa si tratta, perché intervengano con il corpo e con la vita”18. Oggi proprio di un rinnovato protagonismo delle masse si avverte il bisogno, e il presupposto essenziale è la formazione di una nuova identità e coscienza collettiva dei lavoratori e delle lavoratrici – stabili e precari, italiani e immigrati – al di là di quella “coscienza corporativa” che la frammentazione della nostra società favorisce ed enfatizza. Ma per ottenere questo risultato è necessario proprio quel lungo lavoro egemonico che le organizzazioni che si richiamano al mondo del lavoro salariato devono reimparare a svolgere. E in questo l’insegnamento di Gramsci rimane imprescindibile.■ Note: 1- Cfr. L. Gruppi, Il concetto di egemonia in Gramsci, Roma, Editori Riuniti, 1972. 2- [A. Gramsci], Due rivoluzioni, in “L’Ordine Nuovo”, 3 luglio 1920; G. Vacca, Modernità alternative. Il Novecento di Antonio Gramsci, Torino, Einaudi, 2017, pp. 30-31. 3- Ivi, p. 33. 4- [A. Gramsci], Due rivoluzioni, cit. Cfr. A. Lepre, Antonio Gramsci e la questione del potere (1919-1920), in “Il Movimento di liberazione in Italia”, 1968, n. 90, pp. 53-54. 5- A. Gramsci, Alcuni temi della quistione meridionale, in Id., Scritti politici, a cura di P. Spriano, Roma, Editori Riuniti, 1978, vol. III, p. 246. 6- Ivi, p. 251. 7- A. Gramsci, Quaderni del carcere, a cura di V. Gerratana, Torino, Einaudi, 1975, pp. 763-64, 801. 8- Ivi, p. 866. 9- Ivi, p. 1235. 10- Ivi, p. 1058. 11- Ivi, pp. 1566-1567. 12- Ivi, pp. 2010-2011. 13- Ivi, pp. 1612-1613. 14- Cfr. ad es. V. I. Lenin, Rapporto sul lavoro nella campagna all’VIII Congresso del Partito comunista (bolscevico) di Russia [marzo 1919], in Id., Opere scelte, Roma, Editori Riuniti, 1965, pp. 1271-1278. 15- V. I. Lenin, Successi e difficoltà del potere sovietico [marzo 1919], ivi, pp. 1228-1235. 16- D. Losurdo, Stalin, le delusioni del messianismo rivoluzionario e il mito della “rivoluzione tradita”, in Problemi della transizione al socialismo in URSS. Atti del convegno (Napoli, 21-23 novembre 2003), Napoli, La Città del Sole, 2004, pp. 65-66. 17- Gramsci, Quaderni del carcere, cit., p. 1320; V. Gerratana, Stato, partito, strumenti e istituti dell’egemonia nei “Quaderni del carcere”, in B. De Giovanni, V. Gerratana, L. Paggi, Egemonia Stato partito in Gramsci, Roma, Editori Riuniti, 1977, p. 51. 18- J. Texier, La guerra di posizione in Engels e in Gramsci, in Gramsci e la rivoluzione in Occidente, a cura di A. Burgio e A. Santucci, Roma, Editori Riuniti, 1999, pp. 8-19. |
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