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La VOCE ANNO XIX N°10

giugno 2017

PAGINA 7

Anna Falcone: “Serve un’alleanza costituzionale. Così riparte il Paese (e la sinistra)”


Anna Falcone, vice presidente del Comitato per il no al referendum costituzionale, lancia un appello pubblico per dare seguito alla vittoria del 4 Dicembre: “L’attuazione della Carta non basta ma è il punto di partenza, la nostra matrice comune per unire un fronte ampio e scrivere un programma di forte modernizzazione economica e sociale. Un progetto fortemente alternativo alle politiche liberiste e ai poteri sovranazionali che hanno causato la crisi”.

intervista a Anna Falcone di Giacomo Russo Spena (15 maggio 2017)

“In una società profondamente diseguale, che disconosce i meriti e mortifica i bisogni, la vera rivoluzione sarebbe attuare finalmente quella Costituzione che si proponeva come obiettivo principale quello di superare tali disuguaglianze e liberare le risorse e le energie del Paese”. Dopo la vittoria referendaria del 4 dicembre scorso, Anna Falcone lancia adesso un’alleanza per la Costituzione, una mobilitazione larga, aperta a tutti, e con un forte connotato civico. A breve uscirà un appello pubblico e ci sarà la conferenza stampa, intanto l’avvocata calabrese – tra un allattamento e l’altro della piccola Maria Vittoria – ci spiega il senso dell’iniziativa: “La sinistra dovrebbe sentirsi chiamata, più di altri, a un tale compito e unirsi per dare senso e futuro al suo orizzonte politico”.

Matteo Renzi ha festeggiato la netta vittoria alle primarie Pd parlando di “nuovo inizio”. L’ex premier è veramente tornato in pista più forte di prima?

Non definirei “primarie” un processo di investitura di un segretario che, avendo costruito il partito attorno a sé, eliminando ogni forma di opposizione interna che possa realmente minacciare la sua leadership, raccoglie oggi i frutti di una gestione del potere assolutamente personale e di una selezione della sua classe dirigente fondata sulla cooptazione dei fedeli e l’allontanamento dei dissidenti. Il Pd, purtroppo, si è ristretto, nelle sue ambizioni e dimensioni. E non è solo un problema di crollo degli iscritti, ma degli ideali su cui diceva di fondarsi e del suo carattere realmente ‘democratico’.

Sta dicendo che il Pd è ufficialmente mutato nel PdR (partito di Renzi)?

È un peccato perché da un partito realmente democratico ci si sarebbe aspettati un congresso vero, con tempi e modi adeguati a garantire una diffusa discussione sulla linea politica, gli errori fatti dal governo Renzi, il fallimento delle riforme – quella costituzionale in primis – e gli obiettivi futuri, prima della votazione sul segretario. Ma ciò che stupisce di più – e fa anche un po’ sorridere – è l’aver tentato di spacciare la rielezione di Matteo Renzi come una rivincita, capace di capovolgere, o almeno di ridimensionare, la volontà popolare espressa il 4 dicembre. Come se il voto di una consultazione per le primarie di un partito potesse sovvertire il pronunciamento del 60% degli italiani che, partecipando al referendum, hanno votato “NO”. Questo dà la dimensione di tutta l’operazione. Al posto di Renzi chiederei scusa e cercherei di allinearmi al Paese reale e a quanti chiedono di poter partecipare nel merito delle scelte, prima che ad investiture per ratifica.

Nelle ultime settimane il governo ha votato il decreto Minniti e l’estensione della legittima difesa, cosa ne pensa? Misure utili per la sicurezza dei cittadini o provvedimenti liberticidi?

Con questo provvedimento si è voluto strizzare l’occhio a un mondo in cui le paure contano più dei diritti e sono quelle a dettare le leggi, dando al cittadino l’illusione, e solo quella, di potersi fare giustizia da sé. La sicurezza non si garantisce armando i cittadini, ma finanziando politiche sociali e di inclusione, e sostenendo le forze dell’ordine, cui spetta il controllo del territorio. Sono loro le prime a insistere, tramite i loro sindacati, perché alle politiche di repressione si affianchino programmi di formazione alla legalità, prevenzione del crimine, recupero e reinserimento sociale dei più disagiati. Oltre a denunciare il fatto che non hanno più soldi nemmeno per la benzina.

Per lo scrittore Roberto Saviano su questi temi “il Pd è come la peggior destra”. È d’accordo?

Il Pd è stato un’occasione mancata per il Paese, un partito che ha tradito l’identità e la mission politica che si era dato e, invece di rafforzare il modello democratico e progressista della società, ha finito per cedere alle sirene delle politiche liberiste, all’imitazione del mercantilismo in chiave ‘addomesticata’ che già aveva fallito in altri Paesi e che, a lungo andare, non può che far propendere l’elettore per l’originale, piuttosto che per la sua copia. Tutto questo in un partito che si presentava come moderno, aperto e plurale, deciso a rinnovare la classe dirigente del Paese su criteri di meritocrazia e trasparenza. Al contrario, ci si è chiusi in un partito autoreferenziale e condizionato dalle correnti interne, spesso incapace di rispettare il suo stesso statuto.

Intanto anche il M5S sembra inseguire la peggiore destra sulla questione dei migranti andando a contendersi l’elettorato con la Lega?

Il M5S ha avuto il merito di dare una scossa a una democrazia bloccata sulla crisi di fiducia fra istituzioni, partiti e cittadini. Ancora, di dar voce al disagio di tantissimi italiani che gli hanno tributato, in questi anni, un crescente consenso. Il consenso, però, porta con sé la responsabilità di governare e dare soluzioni praticabili ed efficaci. E per governare problemi complessi, come l’immigrazione, non bastano gli slogan di pancia, o le invettive “contro”, che alimentano la rabbia, ma non spengono il bisogno.

Il tema dei flussi migratori non è da affrontare in chiave europea?

L’immigrazione è un fenomeno che non può essere affrontato e risolto da un solo Paese. Ed è un fenomeno di sempre, che ha assunto dimensioni
ingovernabili a causa dei conflitti in corso e della morsa di miseria che attanaglia il sud del mondo. Anche per questo le soluzioni della destra non reggono. Le invettive sui respingimenti o la chiusura delle frontiere, lo slogan “aiutiamoli a casa loro” e simili, cozzano con l’antieuropeismo a prescindere che spesso ispira tali forze politiche. A pochi, credo, piaccia questa Europa e non v’è dubbio che vada cambiata radicalmente, ma se davvero vogliamo contare nello scacchiere internazionale, se davvero pensiamo che per aiutare molti di questi uomini e donne in fuga occorra prevenire o sedare i conflitti, sostenere con programmi specifici lo sviluppo di quei Paesi (sempre nel rispetto della loro cultura), potenziare la solidarietà internazionale, dobbiamo unire le nostre forze. Ho poche speranze che la Lega sia disposta a ragionare in questa prospettiva. Quanto al M5S spero che fra le sue diverse anime maturino e prevalgano quelle più responsabili e più lungimiranti.

Lei è stata tra le protagoniste della vittoria referendaria dello scorso 4 dicembre. Che eredità ha lasciato quella giornata?

Innanzitutto la soddisfazione di aver vinto una importante battaglia per la democrazia con pochissimi mezzi, ma forti del sostegno crescente di tante, tantissime persone. Poi, una grande consapevolezza per gli italiani che, quando si giocano partite importanti – e sanno che lì il loro voto conta – si mobilitano, vanno a votare e vincono. Perché quando il popolo si pronuncia è sempre una vittoria per la democrazia. Di più, con quel voto la gente ha dato, per la seconda volta (la prima contro la riforma Berlusconi), una inequivocabile indicazione politica: gli italiani si riconoscono in quella Costituzione e rispondono ai vari tentativi di modifica con una richiesta esattamente opposta: chiedono che venga finalmente applicata.

Il suo è un monito a rilanciare il Paese a partire dalla Costituzione?

Chiunque abbia rispetto per i cittadini di questo Paese e voglia dare una chance di rinascita a una democrazia dalla caduta verticale di fiducia fra cittadini e istituzioni, da una crisi che mina alle basi la tenuta sociale, dovrebbe prendere il testo costituzionale e impegnarsi a darne immediata e completa attuazione. A partire dal ruolo dello Stato nella promozione dei diritti sociali, lavoro in primis, ma anche istruzione, salute e assistenza sociale. Significa dare contenuti a quel compito assegnato alla Repubblica: “rimuovere gli ostacoli che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza fra i cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana”. Abbiamo tutti diritto alla felicità e lo Stato deve aiutare i suoi cittadini a perseguirla.

Il suo amico Tomaso Montanari ha già detto che sarebbe un errore fare il “partito della Costituzione”...

Non sarebbe un partito, né il Comitato per il No si costituirà in partito: penso a una “Alleanza per la Costituzione”. L’attuazione della Carta non basta ma è il punto di partenza, la nostra matrice comune da cui ripartire per unire un fronte ampio e scrivere un programma di forte modernizzazione economica e sociale. Un programma e un fronte alternativi alle politiche liberiste e ai poteri sovranazionali che hanno causato la crisi e che mirano a coltivarla per perpetrare le attuali diseguaglianze e governare indisturbati, erodendo sempre più diritti e spazi di libertà, grazie al diffuso senso di insicurezza e paura. I tempi sono maturi. Anzi, non c’è più tempo da perdere: occorre passare dal contrasto alla fase propositiva.

Così, secondo lei, sarebbe possibile rompere il binomio elettorale Pd/M5S?

Il 4 dicembre è stata una data cruciale e di rottura. Bisogna ripartire dal lì. Quel voto, in netta controtendenza con l’astensionismo dilagante nelle consultazioni politiche, dimostra che in Italia lo spazio politico c’è già. Se circa il 50% degli elettori non partecipa più al voto è perché non si sente rappresentata dagli attuali partiti, ancor di più se si tratta di comitati elettorali fondati sulla cooptazione dei fedeli e la nomina dei rappresentanti. Per superare derive leaderistiche e populiste non c’è altro modo che favorire il passaggio dalla democrazia meramente rappresentativa ad una partecipativa, garantendo la più ampia partecipazione popolare alla determinazione della politica nazionale, il metodo democratico e il principio di rappresentanza come regola dei partiti e delle istituzioni, la libertà di accesso alle cariche elettive, la legittimazione popolare delle classi dirigenti. Credo che se le forze sinceramente democratiche di questo Paese e le molte feconde esperienze civiche che sono emerse in questi anni si unissero in un “programma costituzionale”, raccoglierebbero un grande e inaspettato consenso.

In Europa, come abbiamo visto anche in Francia, la sfida sembra essere tra i Macron e Le Pen, ovvero tra il blocco dell’austerity e la destra xenofoba. Come rompere questa spirale?

Unendo le forze della sinistra con le molte esperienze civiche vitali e attive in tanti Paesi in un progetto di radicale cambiamento del modello europeo. È inoltre imprescindibile spezzare quel cortocircuito fra politica e interessi economici che ha permesso di applicare i Trattati UE solo nella parte che dava potere ai mercati e non laddove si indicavano obiettivi quali lo sviluppo sostenibile, la solidarietà fra i popoli e la piena occupazione. Non è più tollerabile un modello europeo che, tramite il dogma del pareggio dei bilanci e del contenimento della spesa pubblica, anche quella produttiva, consente ai Paesi economicamente più forti di approfittare della debolezza di altri Stati membri e di assorbire, di fatto, le loro migliori risorse umane ed eccellenze produttive, previo azzeramento delle politiche sociali e degli investimenti pubblici. Si è toccato il fondo: o l’Europa cambia o è destinata a implodere. Questo sì che sarebbe uno scenario in cui i populismi la farebbero da padroni. E nessun cittadino avrebbe di che guadagnarci. L’Italia deve partecipare in prima linea a questo processo e dopo il voto del 4 dicembre ha un’importante chance per farlo, rilanciando insieme alla sua Costituzione un nuovo modello democratico europeo, coerente con i suoi principi e con il primato della sovranità popolare.

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Pubblicato il 13 mag 2017
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