La Rivoluzione d’Ottobre tra dittatura di classe e lotta ideologica per l’egemonia di un nuovo blocco storico sociale proletario (operai e contadini).
di Giovanni Bruno 11/11/2017
Segue dalla terza parte
Assieme alle ricostruzioni delle vicende militari, sociali e politiche che gettarono l’Europa nel baratro della tragedia immonda della guerra, occorre affiancare una disamina delle radici ideologiche e filosofiche che pervasero le istituzioni dei Paesi in guerra e influenzarono le coscienze dei popoli massacrati tra il 1914 e il 1918: esse infatti non si esaurirono con la fine della guerra, ma si manifestarono in forma ancora più virulenta successivamente, tra le due guerre mondiali.
Occorre invece aggiungere, da comunisti, elementi di riflessione e comprensione su come sia stato possibile un evento di tale portata, per costruire le prospettive di un cambiamento rivoluzionario nella nostra epoca: occorre comprendere quali siano le energie che si sono sviluppate nel corso di quell’anno e che hanno travolto formazioni secolari sottoposte alle gigantesche sollecitazioni dagli eventi bellici.
L’indebolimento delle formazioni storico-sociali provocato dal conflitto militare fu determinante a produrre il crollo dello zarismo prima e della repubblica parlamentare poi: quello che va chiarito è che le dinamiche sociali messe in moto andarono ben oltre i limiti che l’ideologia della borghesia russa aveva ritagliato per le masse popolari, nel tentativo di incanalarle in un processo storico guidato verso la modernizzazione economico-produttiva, prima ancora che politica, della Russia. Le variabili della storia, che solo il genio di Lenin aveva intravisto, avevano aperto un varco per rompere il lineare processo di affermazione del capitalismo e della borghesia, come tappa necessaria per la rottura del sistema imperialistico. Chi riconobbe subito questo scarto, questa variazione sul tema ormai assodato del “marxismo” accademico-riformista, questa mossa laterale che metteva sottosopra il prevedibile progredire senza scosse della storia (come lo intendevano i socialisti borghesi e riformisti), fu Antonio Gramsci, che colse la portata dirompente della Rivoluzione bolscevica, ne comprese la natura ideologica e sostenne la frattura leniniana che aveva dissolto le titubanze dei suoi compagni e mandato in frantumi l’indolenza subalterna di chi, professando il “marxismo”, si prostrava agli interessi del debole capitalismo russo. In un celebre articolo dell’Avanti!, così si espresse Gramsci:
La rivoluzione dei bolscevichi è materiata di ideologie più che di fatti. (perciò, in fondo, poco ci importa sapere più di quanto sappiamo). Essa è la rivoluzione contro il Capitale di Carlo Marx. Il Capitale di Marx era, in Russia, il libro dei borghesi, più che dei proletari. Era la dimostrazione critica della fatale necessità che in Russia si formasse una borghesia, si iniziasse unera capitalistica, si instaurasse una civiltà di tipo occidentale, prima che il proletariato potesse neppure pensare alla sua riscossa, alle sue rivendicazioni di classe, alla sua rivoluzione. I fatti hanno superato le ideologie. I fatti hanno fatto scoppiare gli schemi critici entro i quali la storia della Russia avrebbe dovuto svolgersi secondo i canoni del materialismo storico. I bolscevichi rinnegano Carlo Marx, affermano con la testimonianza dellazione esplicata, delle conquiste realizzate, che i canoni del materialismo storico non sono così feroci come si potrebbe pensare e come si è pensato. Eppure cè una fatalità anche in questi avvenimenti, e se i bolscevichi rinnegano alcune affermazioni del Capitale, non ne rinnegano il pensiero immanente vivificatore. Essi non sono “marxisti”, ecco tutto; non hanno compilato sulle opere del Maestro una dottrina esteriore di affermazioni dogmatiche e indiscutibili. Vivono il pensiero marxista, quello che non muore mai, che è la continuazione del pensiero idealistico italiano e tedesco, e che in Marx si era contaminato di incrostazioni positivistiche e naturalistiche (Antonio Gramsci, La rivoluzione contro il “Capitale”, 24 novembre 2017).
La posizione di Gramsci è netta: a favore dei bolscevichi, a sostegno della Rivoluzione, a favore della “forzatura” con cui non solo le strutture dello zarismo, ma anche il fragile embrione di parlamentarismo (espressione delle classi borghesi e della formazione capitalistica in gestazione, con l’apporto dei contadini) viene travolto dalla presa del potere dei bolscevichi che “licenziano” il governo provvisorio dell’evanescente Kerensky e consegnano il potere nelle mani dei soviet.
Fu un colpo di Stato? Molti hanno sostenuto questa tesi, che però non trova riscontro nella rappresentazione della mobilitazione: la notte tra il 24 e il 25 ottobre (secondo il calendario giuliano, il 7 novembre per quello gregoriano) non un colpo di Stato, ma la concentrazione delle forze sull’obiettivo che i bolscevichi avevano individuato, fece confluire l’energia sociale liberatasi nel corso dei mesi contro il governo provvisorio, reo di aver continuato la guerra nonostante l’allontanamento dello zar.
Sempre Gramsci annota in un articolo pubblicato su Il Grido del Popolo:
Lo scioglimento della Costituente, subito dopo la sua prima assemblea, non è solo un episodio di violenza giacobina, come piace raffigurarlo ai giornalisti […] La Costituente era il mito vago e confuso del periodo prerivoluzionario. Mito intellettualistico, continuazione nel futuro delle tendenze sociali che si potevano cogliere nella parte più appariscente e superficiale delle confuse forze rivoluzionarie di prima della rivoluzione. (Antonio Gramsci, Costituente e Soviety, 26 gennaio 1918)
Gramsci riconobbe immediatamente che la Costituente rappresentava una forma arcaica, mitica e intellettualistica in quel crogiolo rivoluzionario che era la Russia di quell’anno:
Queste forze si sono chiarite e definite in gran parte e sempre meglio vanno chiarendosi e definendosi. Esse stanno elaborando spontaneamente, liberamente, secondo la loro natura intrinseca, le forme rappresentative attraverso le quali la sovranità del proletariato dovrà esercitarsi. Queste forme rappresentative non sono riconosciute nella Costituente, in un parlamento cioè di tipo occidentale, eletto secondo i sistemi delle democrazie occidentali. Il proletariato ci ha offerto un primo modello di rappresentanza diretta dei produttori: i Soviety. Ora la sovranità è tornata ai Soviety (A. Gramsci, Costituente e Soviety).
Si può considerare quello dei bolscevichi un colpo di stato e l’instaurazione di una dittatura?
Una minoranza che è sicura di diventare maggioranza assoluta, se non addirittura la totalità dei cittadini, non può essere giacobina, non può avere come programma la dittatura perpetua. Essa esercita provvisoriamente la dittatura per permettere alla maggioranza effettiva di organizzarsi, di rendersi cosciente delle intrinseche sue necessità […] (Lo scioglimento della Costituente è per noi dunque un episodio di libertà nonostante le forme esteriori che fatalmente ha dovuto assumere) (A.Gramsci, Costituente e Soviety).
Il cuneo inserito dai bolscevichi nel corpo putrescente della repubblica ha provocato una deflagrazione sociale inimmaginabile: le classi sociali che fino a quel momento erano rimaste condizionate, per quanto in ebollizione, dalle ideologie riformiste o populiste, eruppero e si impadronirono del potere. Per la prima volta, dalla Comune di Parigi, il proletariato si misurava con la gestione del governo esercitando direttamente il potere di classe sulla società.
La Rivoluzione d’Ottobre fu l’evento che ruppe la continuità e la ripetitività coatta del dominio imperialistico: gli anni seguenti portarono lo scontro anticapitalistico e antimperialistico ad un livello planetario, e sarà necessario continuare a studiare e analizzare le vicende, le derive, le
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contraddizioni e le lotte di classe che si svilupparono nel blocco sovietico delle democrazie popolari, senza ricondurre tutto semplicisticamente allo “stalinismo” come categoria storico-politica onnicomprensiva (forma autocratica controrivoluzionaria? unica forma di resistenza di uno stato operaio? espressione autentica del comunismo totalitario?).
Alla priorità della struttura economico-sociale sugli eventi della storia, va affiancata la piena consapevolezza storico-ideologica (che si può definire, in sintesi, filosofica) rispetto allo scontro dilaniante che occupò l’Europa e il mondo, per oltre settant’anni.
Dobbiamo rigettare e negare la lettura del Novecento come di una lunga “guerra civile”, come i revisionisti di destra e di sinistra hanno definito le vicende scaturite dalla Rivoluzione d’Ottobre, mentre si può considerare il XX come il secolo della “lotta ideologica (teorica e filosofica) per l’egemonia di classe di un blocco storico-sociale” rispetto ad un altro.
Questa “lotta ideologica per l’egemonia di un blocco storico sociale” non è circoscrivibile alla pura “battaglia delle idee” (che è parte integrante e determinante di questa lotta, ma non è l’unica componente): nella storia, i contrasti egemonici si definiscono anche (anzi: soprattutto) sul piano del dominio di uno o più gruppi che interpretano e intraprendono la conquista del potere per conto di - e sostenuto da - una classe sociale, con i vari strati sociali che ne sono parte costitutiva, direttamente o in forme complementari, integrate e/o marginali.
La Rivoluzione dell’Ottobre del 1917 rappresentò questo “strappo” per la conquista del potere, e determinò l’affermarsi sul piano storico-fattuale di una società futura da insediare e costruire, contro il mondo allora esistente, ormai avviato verso l’orlo del collasso.
La rottura rivoluzionaria dei bolscevichi, guidati da Lenin, fu vittoriosa perché non seguì la prassi consolidata della ripetitività. Questa è la lezione che più di tutto possiamo apprendere:
La storia della rivoluzione russa non si è chiusa e non si chiuderà con l’anniversario del suo iniziarsi. Come un canto esiste nella fantasia del poeta prima che sulla carta stampata, l’avvento dell’organizzazione sociale esiste nelle coscienze e nelle volontà. Sono gli uomini cambiati: questo importa. […] No, le forze meccaniche non prevalgono mai nella storia […] Un anno di storia si è chiuso, ma la storia continua, la rivoluzione continua a trasformare il mondo, anche se le parvenze contingenti sembrano contraddire (Antonio Gramsci, Un anno di storia, su Il Grido del Popolo, 16 marzo 1918).
(fine quarta e ultima parte)
L’interesse per l’evoluzione scientifica ed economica con nuovi strumenti coinvolge il futuro del lavoro e deve essere all’ordine del giorno delle scelte politiche.
di Guido Capizzi 11/11/2017
TEL AVIV. Giornali, periodici e programmi tv non specialistici si sono interessati nelle ultime settimane dell’evoluzione scientifica dell’informatica e della robotica, della fisica e della matematica che si occupano di intelligenza artificiale. Tematica che è legata alle prospettive del lavoro e che, obbligatoriamente, chiama in causa anche la politica e le sue scelte economiche. Parlarne e scriverne diventa necessario.
Incontrando scienziati che dalle aule universitarie ai laboratori di ricerca studiano la materia si soddisfa la curiosità e si comprende quanta strada c’è da percorrere per colmare almeno un po’ la profonda ignoranza sulla tematica.
Quando parliamo di intelligenza artificiale descriviamo, innanzitutto, quell’insieme di studi e di tecniche che sono pertinenti, da un lato, all’informatica e, dall’altro, alla ricerca di logica matematica senza dimenticare le implicazioni di natura filosofica e sociale, dunque coinvolgenti la politica economica. Questo perché parliamo della realizzazione di attrezzature, macchine, programmi per la soluzione di problemi con la riproduzione di attività specifiche dell’intelligenza umana simulandone il comportamento.
La storia della scienza fa risalire al 1950 la nascita del concetto di intelligenza artificiale quando A. M. Turing espose, sulla rivista “Mind”, la prova per verificare l’intelligenza di una macchina tramite un test: un uomo pone domande a un soggetto non visibile e non riesce a distinguere se le risposte provengono da un altro essere umano oppure da una macchina, allora la macchina deve essere considerata intelligente.
Dovremmo anche parlare del concetto di intelligenza perché anche oggi non c’è una precisa definizione universalmente accolta del concetto di intelligenza. È per questo che la ricerca sull’intelligenza artificiale si articola su due correnti. Una è quella dell’intelligenza artificiale “forte”: un computer correttamente programmato può essere munito di un’intelligenza non distinguibile da quella umana. Per questo c’è chi sostiene che la mente umana è il prodotto di una serie di calcoli eseguiti dal cervello e il ragionamento sarebbe riconducibile a un calcolo. L’altra corrente è quella dell’intelligenza artificiale “debole”: un computer o un robot non saranno mai in grado di competere con la mente umana e, men che meno, esserne simili, potranno soltanto simulare alcuni processi cognitivi umani senza, però, riuscire a riprodurli nella loro complessità. È l’essere umano, in altre parole, che elabora l’algoritmo per risolvere il problema che deve affrontare mentre la macchina implementa il programma. Altri sostengono che la macchina possa adeguarsi alla soluzione del problema postole costruendo automaticamente gli algoritmi necessari.
Allora, i meccanismi tipici dell’intelligenza umana – deduzioni, ragionamento analogico, generalizzazioni, apprendimento – possono essere nella capacità della macchina per la gestione e l’elaborazione? Si arriverà al giorno in cui le facoltà cognitive dell’essere umano saranno nell’intelligenza di uno strumento meccanico?
Occorrerà emulare le proprietà funzionali e fisiologiche del cervello e delle sue cellule, attraverso le reti neurali artificiali. C’è chi, in varie parti del globo e in rete con colleghi impegnati nelle identiche ricerche, sta studiando la fattibilità di qualcosa su cui scrissero nel 1956 J. McCarthy – che inventò il linguaggio di programmazione LISP – e M.L. Minsky a proposito di intelligenza artificiale. Il matematico austriaco Hans Moravec (1948), uno tra i pionieri della robotica, dice che una macchina isolata dal mondo o anche soltanto collegata ad altre macchine tramite una rete computerizzata non potrebbe sviluppare una capacità di pensiero classificabile come intelligenza.
L’intelligenza artificiale potrebbe essere raggiunta soltanto da robot (anche non di forma umanoide) che si muovono interagendo con l’ambiente circostante con l’uso di sensori e bracci manipolatori. La ricerca continua a svilupparsi, in settori della robotica, con il riconoscimento e la sintesi della voce umana, il riconoscimento e la classificazione delle forme elaborando informazioni raccolte da sensori visivi.
Dopo aver incontrato persone di scienza e coscienza, mi vengono in mente dibattiti di politici, non solo nostrani, e dubito sulla serietà di affidare a loro il mio ormai breve futuro, ma penso a quello delle mie figlie e dei miei nipoti e dei giovani delle loro generazioni…
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