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La VOCE ANNO XX N°4

dicembre 2017

PAGINA E        - 37

1917: Un anno lungo un secolo - 3a parte

Tentativi golpisti e insurrezione rivoluzionaria. Dal rovesciamento del Governo provvisorio allo scioglimento dell’Assemblea Costituente: nascita dello Stato operaio dei Soviet.

Segue dalla seconda parte.

Tra agosto e settembre, mentre le tensioni aumentavano per la condotta irresponsabile del nuovo governo guidato da Kerenskij - che rilanciava l’offensiva militare - e per il tentativo di colpo di stato messo in atto dal generale Kornilov, Lenin – oltre a guidare l’azione del partito bolscevico – scriveva un libretto in cui polemizzava proprio con i seguaci di Plechanov e i menscevichi, riprendendo e commentando le analisi di Marx sulla Comune di Parigi. Lenin sottolineava che

la distruzione della macchina burocratica e militare dello Stato è “la condizione preliminare di ogni reale rivoluzione popolare”. Questo concetto di rivoluzione “popolare” sembra strano in bocca a Marx, e i plekhanovisti e i menscevichi russi, questi seguaci di Struve che vogliono farsi passare per marxisti, potrebbero dire che questa espressione di Marx è un “lapsus”. Essi hanno deformato il marxismo in modo così piattamente liberale che nulla esiste per loro all’infuori dell’antitesi: rivoluzione borghese o rivoluzione proletaria, e anche quest’antitesi è da essi concepita nel modo più scolastico che si possa immaginare (Lenin, Stato e rivoluzione, 1917).

In queste poche righe Lenin marcava nettamente la distinzione tra gli interpreti del “marxismo ortodosso”, concentrati su una visione evoluzionistico-positivistica della lotta di classe, pennellata di liberalismo parlamentarista, per ricondurre ad una teoria politico-ideologica - accademica e imbalsamata - il marxismo, contro le accelerazioni che la storia, attraverso le mobilitazioni popolari, stava imprimendo al movimento rivoluzionario proletario in Russia.

La distanza di Lenin dall’interpretazione quietista, gradualista e sostanzialmente riformista dei “marxisti ortodossi” si esprime e manifesta prevalentemente sulla questione centrale del potere e su quale sia la classe sociale, in quella fase storica della Russia, che avrebbe potuto portare a compimento il processo rivoluzionario. Ripensando all’esperienza della Comune di Parigi, per Lenin non v’è dubbio che la macchina dello Stato borghese, fondato sul parlamentarismo, vada distrutta, e che questo processo possa avvenire solo sulla base di un’alleanza tra operai e contadini:

Spezzare questa macchina, demolirla, ecco il vero interesse del “popolo”, della maggioranza del popolo, degli operai e della maggioranza dei contadini, ecco la “condizione preliminare” della libera alleanza dei contadini poveri con i proletari. Senza quest’alleanza non è possibile una democrazia salda, non è possibile una trasformazione socialista(Lenin, Stato e rivoluzione, 1917).

Riprendendo le analisi di Marx sulla Comune, Lenin costruisce una analogia storico-politica con la situazione della Russia dell’epoca, e individua nella mobilitazione popolare, basata sull’alleanza tra settori sociali popolari non omogenei, ma compattati dal rigetto della guerra (soldati, operai, contadini), la ‘condizione’ per raggiungere compiutamente l’obiettivo del processo rivoluzionario. In un’epoca in cui lo sviluppo capitalistico-borghese era giunto allo stadio di putrescenza nei paesi avanzati (come dimostra la guerra imperialista tuttora in corso), pensare di inchiodare lo sviluppo storico della Russia alla fase parlamentaristico-borghese (in cui peraltro i suoi fautori sostenevano la necessità di continuare la guerra imperialista) rappresentava per Lenin un vero e proprio tradimento di fronte alle classi popolari e al proletariato, che invocavano pace, terra, giustizia sociale:

Parlando quindi di una “reale rivoluzione popolare”, senza dimenticare affatto le particolarità della piccola borghesia (delle quali parlò molto e spesso), Marx teneva dunque rigorosamente conto dei reali rapporti di forza fra le classi della maggior parte degli Stati continentali dell’Europa del 1871. D’altra parte egli costatava che gli operai e i contadini sono egualmente interessati a spezzare la macchina statale, che ciò li unisce e pone di fronte a loro il compito comune di sopprimere il “parassita” e di sostituirlo con qualche cosa di nuovo (Lenin, Stato e rivoluzione, 1917).

L’unità tra operai e contadini (e soldati) prefigurava una prospettiva storica del potere in Russia ben più radicale che non quello rappresentato dalla Duma e realizzato dal Governo provvisorio: l’insistenza di Kerenskij nel proseguire la guerra e le continue diserzioni da parte dei soldati rappresentavano in maniera chiara il totale scollamento tra il sistema di potere parlamentaristico rappresentativo e le classi sociali popolari che profondamente si esprimevano negli organismi consiliari dei soviet e manifestavano la più grande dissenso rispetto alla condotta del Governo liberal-socialista, che peraltro ha proclamato la Repubblica (1/14 settembre) solamente dopo che il tentativo di strappo autoritario di Kornilov era fallito: in poche settimane, ogni equilibrio salta provocando la rottura definitiva dei rapporti di forza sociali e politici.

A settembre, in una zona rurale nelle campagne della Russia sud-occidentale, vi fu una ribellione contadina contro i fittavoli, episodio che fece scoccare la scintilla e provocò una guerra contadina contro i proprietari terrieri e per una radicale riforma agraria, mentre a Pietrogrado si avviavano i lavori della Convenzione Democratica che costituì un Consiglio repubblicano, in attesa delle elezioni per l’Assemblea Costituente, a cui partecipavano anche i bolscevichi.

La formazione di un nuovo governo guidato da Kerenskij con rappresentanti liberali (25 settembre/8 ottobre) fece da detonatore: le aspettative popolari erano sempre più deluse dal governo provvisorio, mentre i bolscevichi discutevano la proposta di Lenin di avviare una insurrezione armata, deporre Kerenskij e trasferire il potere ai Soviet. Non tutti sono d’accordo, Kamenev e Zinoviev si oppongono temendo uno strappo con le altre forze socialiste e democratiche, e soprattutto che le masse popolari non seguano i bolscevichi. Alla fine, la spunterà Lenin.

L’insurrezione sarà però condotta non direttamente dal partito, ma da un comitato militar-rivoluzionario controllato dai bolscevichi che guiderà l’azione insurrezionale per conto del Soviet di Pietrogrado di cui è presidente Trockij. La notte tra il 24 e il 25 ottobre (6/7 novembre), alla vigilia dell’inizio del congresso panrusso dei soviet, il comitato guidato dai bolscevichi occupò i punti nevralgici della città (stazioni, uffici postali, banche, telegrafo) ed entrò nel Palazzo d’Inverno, residenza degli zar e sede del Governo provvisorio, mentre Kerenskij fuggiva per riparare infine, dopo un tentativo di rovesciare il nuovo governo rivoluzionario, in Francia.

La mattina del 25 ottobre (7 novembre) Lenin predispose un documento, emanato del comitato rivoluzionario del Soviet di Pietrogrado, rivolto Ai cittadini della Russia, in cui si proclamava il passaggio del potere ai Soviet:

Il governo provvisorio è stato abbattuto!

Il potere statale è passato nelle mani dell’organo dei Soviet dei deputati degli operai e dei soldati di Pietrogrado […]. La causa per la quale il popolo ha lottato, l’immediata proposta di una pace democratica, l’abolizione della grande proprietà fondiaria, il controllo operaio della produzione, la creazione di un governosovietico, questa causa è assicurata.

Viva la rivoluzione degli operai, dei soldati e dei contadini!

Mentre ancora si combatteva per piegare definitivamente la resistenza degli ufficiali nel Palazzo d’Inverno, si apriva il congresso dei soviet, a maggioranza bolscevica: molti delegati social-rivoluzionari e menscevichi abbandonarono l’aula in segno di protesta per la forzatura attuata, ma i lavori proseguirono senza sosta, avviando una serie di provvedimenti che cambiarono profondamente il profilo della Russia. Tra i primi pronunciamenti, l’abolizione della pena di morte per i militari, la dichiarazione di raggiungere nel minor tempo possibile una pace senza condizioni, l’eliminazione del segreto di stato sulla diplomazia, l’abolizione della proprietà privata della terra e la nazionalizzazione della terra e l’assegnazione ai contadini, e innanzitutto l’assegnazione di tutto il potere ai Soviet, come organismo istituzionale del nascente Stato operaio.

Nei giorni successivi, a Mosca si apre lo scontro tra il comitato rivoluzionario formato dal soviet degli operai e il comitato social-rivoluzionario, che si conclude a favore del primo. Anche il partito bolscevico venne attraversato da tentazioni di mediare con i social-rivoluzionari e con i menscevichi moderati, per creare una coalizione democratica, ma il consenso crescente dei bolscevichi tra le masse popolari evitò che si tornasse indietro rispetto al processo rivoluzionario in atto.

In questa situazione di grande tensione, si terranno il 12/25 novembre le elezioni dell’Assemblea Costituente, a suffragio universale, in cui votò meno della metà degli aventi diritto, con un risultato negativo per i bolscevichi: nonostante gli ottimi risultati di Pietrogrado e Mosca (45% e 48%), i social-rivoluzionari ebbero la maggioranza dei seggi, i bolscevichi meno della metà dei social-rivoluzionari con un quarto dei voti, mentre cadetti, menscevichi e nazionalisti si spartivano i restanti seggi. La continua tensione derivante dalla reticenza dell’Assemblea Costituente di ratificare i provvedimenti del governo rivoluzionario e dei soviet (ad esempio sul controllo operaio nelle fabbriche o per l’avvio dei negoziati in vista del trattato di pace) portò Lenin a ritenere che fosse necessario risolvere il dualismo di potere che si stava trascinando da mesi: sulla Pravda del 13/26 dicembre scrisse perciò un articolo, le Tesi sull’assemblea costituente, in cui dichiarava che, sebbene l’Assemblea costituente fosse “la forma più avanzata di democrazia” in uno stato repubblicano borghese, tuttavia la difesa di una tale istituzione era sorpassata, se non controrivoluzionaria, perché si contrapponeva alle istituzioni popolari, operaie e contadine.

Anche nell’opuscolo La rivoluzione proletaria e il rinnegato Kautsky del 1918, rispondendo alle accuse di quest’ultimo, Lenin affermò che

fin dal primo giorno del mio arrivo in Russia, il 4 aprile 1917, lessi pubblicamente le tesi nelle quali proclamavo la superiorità di uno Stato del tipo della Comune sulla repubblica parlamentare borghese. Lo dichiarai più tardi ripetutamente per iscritto, per esempio nel mio opuscolo sui partiti politici, tradotto in inglese e pubblicato in America nel gennaio 1918 sull’Evening Post di New York.

Non solo: Lenin ribadiva che la

Conferenza del Partito bolscevico tenutasi alla fine dell’aprile 1917 costatava in una risoluzione che la repubblica proletaria e contadina è superiore alla repubblica parlamentare borghese, che quest’ultima non poteva soddisfare il nostro partito, e che il programma del partito doveva essere conformemente modificato.

Si giunse così, a inizio di gennaio del 1918, allo scioglimento dell’Assemblea Costituente che si contrapponeva al potere ai Soviet minandone l’autorità e impedendo così lo sviluppo della rivoluzione proletaria e la costruzione dello Stato operaio. Rimosso l’ostacolo, il processo rivoluzionario avrebbe potuto finalmente dispiegarsi sia in Russia che negli altri paesi europei più avanzati, rafforzando la rivoluzione sovietica russa.

A fine gennaio/inizio febbraio, venne ratificata la legge sulla socializzazione della terra e l’eliminazione della proprietà privata sulla terra.

Il 3 marzo verrà firmata la pace con gli imperi germanico, austro-ungarico, ottomano e con la Bulgaria, a Brest-Litovsk, con concessioni territoriali enormi all’impero turco e con il riconoscimento dell’indipendenza di Ucraina, Estonia, Lituania e Bielorussia. La ratifica verrà dal congresso straordinario dei soviet riunito a Mosca, nuova capitale sovietica dal 12 marzo.

Poche settimane dopo, il Giappone, gli Stati Uniti, la Francia e l’Inghilterra invieranno truppe contro la Russia bolscevica, sostenendo le armate controrivoluzionarie bianche filo zariste. La rivoluzione che doveva estendersi ai paesi europei, viene invece aggredita sul nascere, impedendo provvedimenti adeguati alla ripresa economica e determinando un irrigidimento nel potere bolscevico per difendere il predominio proletario sulla borghesia e lo Stato operaio appena nato.

La rottura di quell’apparato statale parlamentaristico, che non aveva garantito – poiché gli interessi della borghesia erano altri – né la fine della guerra, né una riforma agraria e la distribuzione delle terre ai contadini, né tantomeno una parvenza di giustizia sociale, è la novità più importante del nuovo secolo, l’avvio della costruzione di un nuovo sistema di governo e di potere (complesso e contraddittorio, denso di conflitti interni al movimento operaio e al/ai partito/i comunista/i, di avanzamenti e arretramenti), l’ascesa verso l’emancipazione di milioni e milioni di uomini e donne, di masse popolari che si ergeranno contro il sistema capitalistico e il sistema di dominio imperialistico, che trovarono seguito nella classe operaia, ma si scontrarono anche col muro reazionario innalzato dalla borghesia europea nei decenni successivi.

L’originale elaborazione del marxismo, sviluppata da Lenin aveva consentito di forgiare una strategia politica che andava messa alla prova nell’occasione che si era presentata: fu proprio la peculiare collocazione nella guerra e la specificità sociale e politica della Russia che creò le condizioni per l’affermarsi storico-fattuale della rottura rivoluzionaria, con la prospettiva di trasformazione radicale delle relazioni gerarchiche tra le classi sociali e della struttura economico-produttiva. Lo ‘strappo insurrezionale’, anziché negare le categorie e le leggi dello sviluppo storico che menscevichi e social-rivoluzionari volevano incanalare nelle rigide istituzioni parlamentar-borghesi, ormai obsolete per la situazione che si era creata, rivitalizzò le prospettive del materialismo storico, rivedute e rinnovate da Lenin, che si palesavano nella occasione per essere realizzate, traducendo sul piano storico la battaglia filosofico-teorica che si era aperta. Questa fu la grande intuizione della Rivoluzione d’Ottobre.

È proprio dalla disperazione scaturita dalla guerra che nacque la rivolta, sostenuta dalla speranza rivolta al futuro di costruire una nuova società fondata sui bisogni della popolazione, di lavoratrici e lavoratori: lo strappo produsse una accelerazione in cui la struttura temporale e storica si rimescolò, contraendosi, avvolgendosi e dipanandosi in un cortocircuito tra la ricerca delle radici popolari della grande anima russa e il dispiegamento verso uno sviluppo industriale e sociale che in Russia era rimasto arretrato.
(fine terza parte)

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