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La VOCE 1712 |
P R E C E D E N T E | S U C C E S S I V A |
La VOCE ANNO XX N°4 | dicembre 2017 | PAGINA D - 36 |
Segue da Pag.2 del mese precedente "1917: Un anno lungo un secolo. Una lettura “storico-filosofica” della Rivoluzione d’Ottobre (1° parte)"
1917: Un anno lungo un secolo. Una lettura “storico-filosofica” della Rivoluzione d’Ottobre |
Gli operai furono i soli a restare fino alla fine fedeli alla Comune. I repubblicani borghesi e i piccoli borghesi se ne staccarono presto; gli uni furono spaventati dal carattere proletario, rivoluzionario e socialista del movimento, gli altri si ritirarono quando videro il movimento destinato a una sicura disfatta. Soltanto i proletari francesi sostennero senza paura e senza stanchezza il loro governo. Combatterono e morirono per la sua difesa, cioè per la causa dell’emancipazione della classe operaia, per un avvenire migliore di tutti i lavoratori. Abbandonata dai suoi alleati della vigilia e priva di qualsiasi appoggio, la Comune era destinata alla disfatta. Tutta la borghesia francese, tutti i grandi proprietari fondiari, tutti gli uomini della Borsa, tutti i fabbricanti, tutti i ladri grandi e piccoli, tutti gli sfruttatori, si unirono contro di essa. Questa coalizione borghese, sostenuta da Bismarck (che liberò 100.000 prigionieri di guerra francesi per sottomettere Parigi rivoluzionaria), riuscì a sollevare i contadini ignoranti e la piccola borghesia provinciale contro il proletariato di Parigi[…]. Due condizioni, almeno, sono necessarie perché una rivoluzione sociale possa trionfare: il livello elevato delle forze produttive e la preparazione del proletariato. Nel 1871, queste due condizioni mancavano. Il capitalismo francese era ancora poco sviluppato, e la Francia era ancora un paese prevalentemente piccolo-borghese (di artigiani, contadini, piccoli commercianti, ecc.). D’altra parte, non esisteva un partito operaio, la classe operaia non era né preparata né lungamente addestrata e, nella sua massa, non aveva un’idea chiara dei suoi compiti e dei mezzi per assolverli. Non esistevano né una buona organizzazione politica del proletariato, né grandi sindacati, né associazioni cooperative […] Nel campo puramente sociale, essa poté far poco; ma questo poco dimostra con sufficiente chiarezza il suo carattere di governo del popolo, di governo degli operai. Il lavoro notturno nelle panetterie fu proibito; il sistema delle multe, questo furto legalizzato a danno degli operai, fu abolito; infine, la Comune promulgò il famoso decreto in virtù del quale tutte le officine, fabbriche e opifici abbandonati o lasciati inattivi dai loro proprietari venivano rimessi a cooperative operaie per la ripresa della produzione. Per accentuare il suo carattere realmente democratico e proletario, la Comune decretò che lo stipendio di tutti i suoi funzionari e dei membri del governo non potesse sorpassare il salario normale degli operai (Lenin, In memoria della Comune, 1911). In questi scritti già emergeva la consapevolezza che fosse necessaria un nuovo livello nella lotta politica, che avrebbe scatenato le reazioni borghesi e costretto gli operai a una difesa strenua delle proprie conquiste, del proprio governo degli operai. Col ritorno in Russia nell’aprile del ’17, Lenin presentò subito una nuova e audace proposta programmatica, elaborata sulla base dell’intuizione di quanto stava accadendo nel paese, sparigliando le carte e rimettendo in discussione gli equilibri politici che si volgevano a vantaggio del proletariato e dei bolscevichi nei mesi precedenti all’Ottobre. La proposta fu scioccante anche per i suoi compagni, e infatti in un primo momento non fu condivisa neppure nel suo stesso partito: era un vero e proprio rovesciamento delle categorie marxiane che avrebbe sparigliato le vecchie (e ormai non più efficaci) concezioni del rapporto tra fase parlamentare e potere proletario. Lenin costruì una nuova prospettiva che avrebbe travolto le vecchi concezioni (anche quelle “evoluzioniste” e positiviste del “marxismo ortodosso”) a favore di una nuova concezione del potere che avrebbe egemonizzato le masse popolari. Al rientro in Russia, nell’aprile, Lenin fece infatti leva su quel ‘dualismo di potere’ che si era prodotto non al fine di perpetuarlo e utilizzare i Soviet come mero condizionamento del Governo provvisorio e della Duma, come stavano facendo i suoi compagni di partito, ma per sferrare il colpo decisivo al potere della borghesia, sull’esempio della Comune di Parigi, ma su scala ben più ampia e storicamente avanzata. Le Tesi di aprile furono il punto di svolta: innanzitutto, con il riconoscimento che “anche sotto il nuovo governo di L’vov e soci” la guerra che si stava combattendo era “incontestabilmente una guerra imperialistica di brigantaggio” fondata sul “carattere capitalistico” del Governo provvisorio; inoltre, Lenin delineava precisamente la fase storico-politica della Russia in quel momento: La peculiarità dellattuale momento in Russia consiste nel passaggio dalla prima tappa della rivoluzione, che, a causa dellinsufficiente coscienza ed organizzazione del proletariato, ha dato il potere alla borghesia, alla seconda tappa, che deve dare il potere al proletariato e agli strati poveri dei contadini (Lenin, Sui compiti del proletariato nella rivoluzione attuale. Tesi di aprile, 1917). Era dunque necessario svolgere un’azione educativa per “spiegare alle masse che i Soviet dei deputati operai sono l’unica forma possibile di governo rivoluzionario”. Perciò, la prospettiva a quel punto non poteva essere il ritorno alle “repubblica parlamentare”, bensì un passo avanti verso la “Repubblica dei Soviet di deputati degli operai, dei salariati agricoli e dei contadini in tutto il paese, dal basso in alto”, centrata su programmi avanzati di abolizione dei corpi repressivi (esercito, polizia, funzionari), di “nazionalizzazione” delle terre affinché fossero messe a disposizione dei soviet locali, della fusione delle banche private in una unica banca nazionale “sotto il controllo dei Soviet dei deputati operai”. Non si trattava di costruire il socialismo, ma di porre sotto controllo operaio il processo rivoluzionario: Il nostro compito immediato non è “l’ instaurazione” del socialismo, ma, per ora, soltanto il passaggio al controllo della produzione sociale e della ripartizione dei prodotti da parte dei Soviet dei deputati operai. Se fossero o meno maturi i tempi per la rivoluzione socialista è un dibattito che ha attraversato un secolo, anche con toni assai aspri, dividendo tragicamente i marxisti rivoluzionari filo-bolscevichi dai marxisti gradualisti e riformisti socialdemocratici, e di cui cercheremo di dar conto sinteticamente in questa breve riflessione: sicuramente, le contraddizioni emerse con la guerra scatenarono una reazione popolare ed un’accelerazione storico-politica degli eventi dal febbraio/marzo 1917 che consentirono ai bolscevichi la presa del potere che altrimenti non sarebbe stata possibile. Chi seppe sfruttare la situazione a vantaggio dei bolscevichi, orientando le masse popolari verso la rottura del quadro istituzionale bicefalo, fu Lenin, senza il quale si sarebbe continuato ad seguire (anche i bolscevichi stessi) le categorie del “marxismo ortodosso”, difendendo il già logoro governo provvisorio e le istituzioni parlamentar-borghesi, rinunciando all’accelerazione che avrebbe portato al potere il proletariato. Si andavano approfondendo invece il malcontento e la diffidenza contro le forze liberal-borghesi, determinando le condizioni per l’ascesa della nuova formazione politico-sociale auspicata dal leader del partito bolscevico, Lenin, come struttura del nuovo potere popolare: il ‘dualismo di potere’ tra la Duma e i Soviet poteva essere superato solamente attribuendo il controllo dello Stato a questi ultimi organismi popolari, se si voleva interpretare correttamente il sentimento popolare che invocava la fine della guerra e che il Governo provvisorio continuava ad ignorare, rilanciando campagne militari sempre più disastrose quanto impopolari. I contrasti tra il Governo provvisorio e le masse popolari continuavano ad aumentare, con l’ottuso atteggiamento di L’vov e Miljukov (Ministro degli Esteri) che imperterriti proseguivano le manovre belliche nel tentativo di espansione territoriale della Russia. Le nuove ondate di protesta provocarono un cambio della guardia nel governo presieduto da L’vov, con l’arrivo di nuovi ministri tra cui Kerenskij (al Ministero della Guerra), Cereteli (alle Poste), il social-rivoluzionario Černov (all’Agricoltura) che va avanti fino alla fine di luglio/inizio agosto quando Kerenskij assumerà la Presidenza del Governo provvisorio. Nei Soviet, nonostante menscevichi e social-rivoluzionari mantenessero la maggioranza rispetto ai bolscevichi, sempre più emergevano motivi di contrasto e contrapposizione con le istituzioni borghesi: la Duma e il Governo provvisorio. In agosto, ai tentativi di Kerenskij di fare da garante di una tregua sociale tra operai e borghesi risposero i bolscevichi con la proclamazione di uno sciopero generale a Mosca. A seguito di una serie di mobilitazioni, a fine agosto/primi di settembre il generale Kornilov tentò di instaurare un regime militare che però venne contrastato dal Governo con l’aiuto degli stessi bolscevichi. L’episodio segna il punto di non ritorno: stavano maturando tutti gli elementi che avrebbero provocato la disfatta del Governo provvisorio e lo sfaldamento del regime parlamentaristico. Il partito bolscevico aveva ormai la forza, la credibilità politica, la determinazione e la lungimiranza di un leader come Lenin per poter dare il colpo decisivo alle fragili e claudicanti istituzioni sorte dalla rivoluzione di febbraio. (fine seconda parte)
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