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La VOCE ANNO XX N°4

dicembre 2017

PAGINA 4


           

La Nuova Era cinese – Parte I : il potere di Xi Jinping

L’idea che la Cina stia tornando al potere assoluto assomiglia più all’incubo di alcuni occidentali che alla realtà dei fatti.

di Paolo Rizzi 28/10/2017

Si è concluso il 19esimo congresso del Partito Comunista Cinese. Come è stato riportato da tutti i media, il Segretario Generale Xi Jinping ha rafforzato la sua posizione, inserendo il suo nome nella Costituzione del Partito e – apparentemente – riempiendo gli organi dirigenti di alleati. La questione del potere personale non è però l’unica questione, anzi! La “nuova era” sancita dal congresso porta con sé importanti novità sul piano economico e sociale, di cui comincerò a trattare settimana prossima.

Il nuovo Mao? Neanche per sogno

L’idea che la Cina stia tornando al potere assoluto di una sola persona, assomiglia più all’incubo di alcuni occidentali che alla realtà dei fatti. Chiaramente Xi Jinping ha centralizzato nelle sue mani molti più poteri rispetto al predecessore Hu Jintao - che era invece conforme alla “direzione collettiva”.

La Costituzione del PCC recita ora che il Partito assume come ideologia guida: “il Marxismo-Leninismo, il Pensiero di Mao Zedong, la Teoria di Deng Xiaoping, l’importante pensiero delle Tre Rappresentanze, la Visione Scientifica dello Sviluppo e il Pensiero di Xi Jinping sul Socialismo con Caratteristiche Cinesi per una Nuova Era”. L’aggiunta del nome di Xi nella Costituzione del PCC ha prodotto un coro globale per cui Xi sarebbe il leader più potente dai tempi di Mao, se non addirittura come Mao. L’idea del “nuovo Mao” non è però da prendere sul serio. Mao e Deng sono stati leader in grado di rivoltare il Paese a loro piacimento, al di fuori delle strutture del Partito, contro le strutture del Partito. Basta ricordare che Mao lanciò la Rivoluzione Culturale quando non aveva nessuna carica. Basta pensare che durante il famoso “viaggio a sud” di Deng che rilanciato le riforme di mercato all’inizio degli anni ’90, egli ricopriva l’unica carica di Presidente dell’Associazione degli Scacchisti. Il tipo di potere esercitato dai grandi leader della generazione dei rivoluzionari non può essere paragonato in alcuna maniera a quella dei successori.


Come già detto, ha invece più senso paragonare Xi agli ultimi segretari. Entrambi i precedenti segretari hanno messo la loro elaborazione teorica nella Costituzione del PCC: Jiang Zemin con le Tre Rappresentanze che aprivano le porte del Partito anche alla borghesia, Hu Jintao con lo Sviluppo Scientifico. Se Hu non ha messo il proprio nome per convinzione nelle direzione collettiva, pare che Jiang non l’abbia messo per mancanza di un adeguato supporto nel Partito. Può essere quindi legittimo considerare Xi più potente di Jiang e Hu. Di sicuro non onnipotente come vorrebbero far passare molti media.

Dopo Xi? Ancora Xi?

A questo punto bisogna avvertire il lettore: tutte le letture degli equilibri di potere interni al PCC sono interpretazioni di segnali dati all’esterno, le reali dinamiche vengono ricostruite ex post.

La composizione del nuovo Comitato Permanente all’interno del Politburo – di fatto i sette uomini che assumono la responsabilità ultima delle decisioni politiche – sembra ora riportare una salda maggioranza di alleati del Segretario Xi Jinping, soprattutto non appaiono nomi di possibili successori, tutti i nuovi membri sono troppo vicini all’età del pensionamento. Non appaiono i due nomi considerati “papabili”: Chen Min’er, alleato di Xi e segretario del PCC nella turbolenta megalopoli di Chongqing, e Hu Chunhua, segretario della ricca Provincia del Guangdong e apparentemente alleato dell’ex Segretario Hu Jintao.


Tutto questo è stato interpretato come un segnale che Xi sia pronto a rompere il limite di due mandati, limite obbligatorio per le cariche statali e consuetudinario per il Partito. Xi potrebbe mantenere la carica di Segretario del Partito e passare solo la carica di Presidente della Repubblica. Bisogna però dire tre cose:

rimane del tutto possibile che un successore venga integrato successivamente nel Comitato Ristretto, non fa parte della consuetudine ma sarebbe una rottura della consuetudine minore rispetto a un terzo mandato;
Xi non ha voluto – al contrario di quanto dicevano molte previsioni - infrangere la consuetudine dell’età pensionabile nemmeno per tenere all’interno del massimo organo del Partito Wang Qishan, responsabile dell’anticorruzione e apparentemente strettissimo alleato di Xi;
al contrario di quanto riportano molti media, non è una consuetudine che il Segretario uscente si scelga il successore. Jiang Zemin dovette accettare il rivale Hu Jintao come successore, Hu Jintao dovette accettare Xi Jinping (allora considerato un uomo di mediazione) al posto del suo candidato preferito, Li Keqiang che ora ricopre la carica di Primo Ministro.
In questo articolo ho prestato attenzione nel segnalare le alleanze tra i vari leader cinesi come apparenti. Si tratta di una prudenza che sarebbe d’obbligo, ma spesso viene ignorata dagli osservatori in nome del sensazionalismo. Otto anni fa, durante il diciassettesimo Congresso che sanciva il secondo mandato di Hu Jintao, giravano analisi molto simili sul potere accumulato sulla persona del Segretario-Presidente e sulla fedeltà assoluta della dirigenza al leader. L’impegno reale di Hu sulla direzione collettiva – anche al prezzo di ritardare riforme necessarie, dicono i critici – e i conflitti col Primo Ministro Wen Jiabao sono cose che gli analisti hanno scoperto solo dopo la fine dell’amministrazione Hu-Wen.

Al di là dei giochi di potere in stile “House of Cards”, solo i fatti potranno dirci quale saranno le reali conseguenza del potere di Xi Jinping. Anche perché, per quanto potente, Xi non governa un paese immaginario, governa un Paese percorso da contraddizioni enormi, abitato da un miliardo e mezzo di persone a cui ha promesso una Nuova Era. Di questo, si parlerà la prossima settimana.

La Nuova Era cinese – Parte II: la nuova contraddizione

Il PCC aggiorna la contraddizione principale su cui lavorare nei prossimi decenni.
di Paolo Rizzi 04/11/2017

Segue dalla prima parte.

La conclusione del diciannovesimo congresso del Partito Comunista Cinese ha lasciato una marea di commenti sul livello di potere personale raggiunto dal Segretario del PCC, “nucleo” della dirigenza e Presidente della Repubblica Popolare Cinese Xi Jinping.

Meno attenzione è stata dedicata al lungo rapporto politico con cui Xi ha aperto i lavori congressuali. Secondo la consuetudine degli ultimi decenni, il rapporto introduttivo è frutto di un lavoro di consenso all’interno del Partito che può durare più di un anno e che riflette la posizione collettiva della dirigenza.

Nel rapporti di Xi, è stato introdotto il concetto di “socialismo con caratteristiche cinesi per una nuova era”, che poi stato fissato anche all’interno della Costituzione del Partito. Ma cos’è, esattamente, la nuova era?

La nuova contraddizione

Il rapporto politico letto da Zhao Ziyang all’inizio del tredicesimo congresso del Partito, nel 1987, riportava che “la contraddizione principale che affrontiamo nella fase attuale sono i bisogni materiali e culturali sempre in crescita del popolo e l’arretratezza della produzione sociale”. La missione storica del PCC diventava quindi quella di modernizzare la produzione, anche aprendo alle forze del mercato, anche aprendo il Partito stesso agli imprenditori che accettavano il ruolo guida del Partito.

Il rapporti di Xi al diciannovesimo congresso ha recitato che “il socialismo con caratteristiche cinesi è entrato in una nuova era, la principale contraddizione della società nel nostro paese si è trasformata in una contraddizione tra l’avanzamento continuo degli stili di vita e lo sviluppo ineguale e inadeguato”.

Se, dalla fine degli anni ’80 , la missione del PCC si traduceva nel mantenere alti livelli di crescita del PIL, ora Xi ha posto dei paletti qualitativi. L’inegualità della crescita riguarda largamente la disuguaglianza tra le province cinesi, tra le aree sviluppate e le aree rurali arretrate, l’inadeguatezza riguarda lo sbilanciamento delle fonti di crescita economica. In particolare, le difficoltà economiche dell’ultimo decennio sono state risolte tramite forti investimenti infrastrutturali – prima il piano di viabilità che ha permesso di mantenere alto tasso di crescita a fronte della crisi economica globale nel 2008-2009, ora il piano “One Belt One Road”. Una soluzione che permette di far crescere il PIL ma non di far crescere in maniera sostenuta i consumi delle famiglie, o meglio “gli stili di vita”.

Il rapporto di Xi ha confermato l’obiettivo di fare della Cina entro il 2020 una “società moderatamente prospera”. In termini pratici, si conferma l’obiettivo posto già nel diciottesimo congresso del 2012 di elevare tutta la popolazione cinese al di sopra della soglia di povertà assoluta. Secondo i dati della Banca Mondiale, nel 2012 più di 87 milioni di persone vivevano sotto la soglia di 1,9 dollari al giorno. Secondo quanto riportato a inizio dall’agenzia Xinhua, sono ancora 30 milioni le persone che vivono al di sotto della soglia di povertà, calcolata però come un reddito di 2300 renminbi all’anno, circa un dollaro al giorno.

Scompaiono invece altri indicatori numerici – proclamati nel 2012 - di cosa sia la società moderatamente prospera: non si pone come obiettivo il raddoppiamento dell’economia entro il 2021, non si pone l’obiettivo di raddoppiare il PIL pro capite entro il 2020. Questo può significare molte cose. I più pessimisti pensano che la dirigenza del PCC veda all’orizzonte una crisi finanziaria. I più ottimisti, segnalano che l’eliminazione di obiettivi di crescita precisi porterà a dare più attenzione alla qualità piuttosto che alla quantità. Nel rapporto, in effetti, la “nuova era” moderatamente prospera viene descritta come avente “un’economia più forte, una democrazia più estesa, scienza ed educazione più avanzate”.


..segue ./.

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