Segue da Pag.36: Il Controllo della Narrativa sulla Siria
ritenuta “Pro-Assad”. Qui si può trovare una dura risposta alla decisione di Blumenthal di licenziarsi redatta da Sharmine Narwani – uno degli scrittori di Al-Akhbar da lui criticati. Il trattamento che hanno ricevuto sia Blumenthal che Khalek è sintomatico di quanto sia ristretto il dibattito mainstream sulla Siria. Entrambi in precedenza si erano espressi contro Assad e hanno cambiato le loro posizioni sulla Siria solo di recente. Eppure nonostante il loro alto profilo, o forse a causa di ciò, entrambi sono stati largamente attaccati come presunti insensibili scagnozzi pro-Assad; e nel caso di Khalek, la campagna contro di lei l’ha obbligata alle dimissioni.
La Campagna contro Jeremy Corbyn e il contesto britannico
Ultimamente in Gran Bretagna si è dato significativo risalto alla posizione di Jeremy Corbyn sulla Siria, soprattutto dopo che il già menzionato Oz Katerji, che per sua stessa ammissione supporta “inequivocabilmente” la guerra contro la Siria, nell’ottobre 2016 lo ha interrotto ripetutamente durante un evento della Coalizione Stop the War. Questa critica a Corbyn in Gran Bretagna fa parte di una più larga campagna che ha attaccato la coalizione Stop the War e in misura crescente ‘la Sinistra’ in generale per il suo rifiuto di supportare l’imposizione di una no-fly zone e la sua presunta insufficiente condanna dei governi russo e siriano. La recente dichiarazione di Joey Ayoub che “non c’è letteralmente nessuna differenza tra “molta della Sinistra occidentale e la “vera Estrema Destra” quando si tratta della Siria” è tipica di questo trend. Il Vice-Direttore di Stop the War, Chris Nineham, ha risposto a queste critiche tranquillamente ed efficacemente in questa intervista.
Uno dei critici più accessi di Corbyn a questo riguardo è stato lo scrittore Robin Yassin-Kassab, perlopiù conosciuto per il suo racconto del 2008 The Road to Damascus e il suo recente libro Burning Country : Syrians in Revolution and War (scritto con Leila al-Shami). A Yassin-Kassab viene regolarmente concesso uno spazio importante da cui parlare e scrivere sulla Siria, specialmente nel Regno Unito. Parla di Corbyn come di un “pro-Putin, pro-Khamenei” e un “verme stalinista”, ed è arrivato persino ad esortare che il leader laburista “venga soppresso” a causa del suo presunto “Stalinismo (o Putinismo, o Assadismo, in qualsiasi modo lo si voglia chiamare)”. Ha attaccato pure Jill Stein (la candidata presidenziale del Verdi statunitensi) come una“ridicola stronza” e l’ha accusata di “coccolare il criminale imperialista Putin”.
In aggiunta a questi commenti oltraggiosi, Robin Yassin-Kassab ha assunto una serie di posizioni estremamente problematiche che mettono in discussione la sua credibilità come voce affidabile sulla Siria. Yassin-Kassab ha esortato apertamente e con veemenza l’Occidente ad armare l’opposizione in Siria e ha etichettato l’idea che gli Stati Uniti siano interessati al cambio di regime in Siria come un “falso concetto” che ossessiona i sinistroidi occidentali. Nel febbraio 2013, durante un dibattito a seguito dello spettacolo Sour Lips di Omar el-Khairy, l’ho sentito argomentare capziosamente che la situazione in Siria era del tutto assimilabile a quella in Palestina, un conflitto tra colonizzatori (Israele/Assad) e colonizzati (palestinesi/siriani). Yassin-Kassab ha anche elogiato svariate volte l’aggressione militare turca in Siria e persino ringraziato quando la Turchia ha abbattuto un aereo russo nel novembre 2015. Nel mese di aprile 2014, ha fatto un elogio inquietante della “brillante” offensiva di Lattakia e ha ringraziato in particolare Erdogan e la Turchia “per le filiere” che l’hanno facilitata. Questa offensiva, che è stata guidata da una coalizione di gruppi ribelli tra cui Jabhat al-Nusra (al-Qaeda in Siria), ha attaccato aree civili e, quando ha preso la città di Kessab, saccheggiato negozi e case di proprietà di armeni, preso famiglie armene in ostaggio e dissacrato tre chiese della città, costringendo circa 2.000 armeni a fuggire.
Forse la cosa più preoccupante, in aggiunta a quelle già specificate in precedenza, è che Yassin-Kassab ha assunto posizioni sorprendentemente reazionarie in relazione agli eventi in Siria che da sole illustrano quanto sia realmente estremo il punto di vista di molti di questi attivisti. Per esempio, nel dicembre 2015, quando il leader del gruppo Jaish al-Islam – sostenuto dall’Arabia Saudita – Zahran Alloush è stato ucciso in un attacco aereo, Yassin-Kassab ha chiesto pubblicamente che il suo “omicidio da parte degli imperialisti russi” fosse “vendicato”. Alloush era un estremista wahabita implicato in una serie di brutali violazioni dei diritti umani, tra cui tortura e omicidio, così come la vendita di cibo e aiuti a prezzi gonfiati. Nel 2013 Alloush – che era fortemente contrario alla democrazia in Siria – ha annunciato concretamente il ripristino del califfato omayyade e ha dichiarato che “[noi] seppelliremo le teste degli sciiti impuri a Najaf, se Dio vuole”. Yassin-Kassab davvero non poteva essere all’oscuro di questo, e ciò fa del suo appello a vendicare la morte di un violento signore della guerra settaria una cosa davvero grave. Tanto più vero se si considera che Yassin-Kassab ha dichiarato – in uno stile di pensiero settario con cui probabilmente Alloush stesso sarebbe stato d’accordo – che “l‘espansionismo iraniano-sciita è una delle cause principali del crescente jihadismo sunnita” e sostenuto che “le milizie transnazionali di jihadisti sciiti dell’Iran sono attualmente il più grande motore del settarismo nella regione”. In questo contesto ha addirittura sostenuto che “la maggior parte del popolo siriano probabilmente direbbe che l’ISIS è meglio di Assad”. Che un uomo con opinioni così estreme sia regolarmente ospitato in festival letterari, istituzioni culturali, università britanniche/statunitensi, e persino organizzazioni per i diritti umani è indicativo di quanto sia distorta la narrativa mainstream sulla Siria.
Insieme a così tante figure che sostengono un ulteriore intervento militare in Siria, Yassin-Kassab sembra anche negare la realtà degli eventi in Libia. Nel maggio 2016 ha sostenuto che in Libia c’era stata una “rivoluzione popolare” contro un “fascista” che stava massacrando il suo popolo, e che era “West-centric” sostenere che la ragione per cui Gheddafi è caduto era l’intervento di Francia, Regno Unito e Stati Uniti. Questa posizione è stata ripresa da molti altri tra cui Ayoub, che ha affermato che dire che la Libia era stata distrutta significa “omettere del tutto il ruolo chiave dei libici”, e ha descritto la Libia come un “paradiso” rispetto alla Siria. Questa interpretazione degli eventi in Libia è stata completamente smentita da diverse fonti, tra cui una relazione della Commissione Affari esteri del Regno Unito che discutiamo nel dettaglio nel prossimo paragrafo .
Il Discorso nel Modo Accademico : Libia – un Modello per la Siria ?
Nel mondo accademico la narrativa dominante sulla Siria, con alcune notevoli eccezioni, è stata praticamente indistinguibile da ciò che va per la maggiore nei media mainstream. Difatti diversi accademici sono diventati aperti e in alcuni casi fanatici partigiani di un intervento occidentale più ampio in Siria. Per esempio, Gilbert Achcar ha più volte rimproverato al Presidente Obama di non aver armato a sufficienza l’opposizione siriana.
Anche se ha negato con veemenza da allora, Achcar ha appoggiato l’intervento NATO in Libia. Nel marzo 2011, Achcar ha sostenuto che, data l’ “imminente minaccia di un massacro di massa” era “moralmente e politicamente sbagliato per chiunque a sinistra opporsi alla no-fly zone” e che “l’idea che le potenze occidentali stiano intervenendo in Libia perché vogliono rovesciare un regime ostile ai loro interessi è semplicemente assurda”. Nonostante le prove di attacchi e arresti indiscriminati di neri africani da parte dei ribelli libici, Achcar descrive le forze di opposizione come “unite dal desiderio di democrazia e diritti umani”. Ha anche rigettato l’idea che la maggior parte degli oppositori più forti fossero estremisti islamici, sostenendo che si trattava di Gheddafi “che cercava di ottenere il sostegno dell’Occidente”. Sulle prospettive della Libia dopo la rimozione di Gheddafi ha osservato: “[Anche] se non c’è chiarezza su come potrebbe essere la Libia post-Gheddafi, … non può essere peggio del regime di Gheddafi”.
Già di dubbio valore all’epoca, più tardi tutte queste affermazioni si sono rivelate spettacolarmente errate. Nel settembre 2013 uno studio dell’Università di Harvard ha affermato che Gheddafi non aveva preso di mira i civili o fatto un uso indiscriminato della forza, che gli islamisti erano in effetti dominanti tra i ranghi delle forze ribelli e che l’intervento non solo aveva aumentato in modo drammatico il numero delle vittime nel conflitto, ma aveva anche esacerbato “le violazioni di diritti umani, la sofferenza umanitaria, il radicalismo islamico, e la proliferazione delle armi in Libia e nei paesi vicini”. Tutte queste conclusioni tre anni dopo sono state confermate e estese da un’indagine della Commissione Affari Esteri del governo britannico, che ha confermato che l’intervento ha causato “il collasso politico ed economico, la guerriglia tribale e tra le milizie, crisi umanitarie e crisi migratorie, diffuse violazioni dei diritti
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umani, la diffusione delle armi del regime di Gheddafi nella regione e la crescita dell’ISIS in Siria”. È un peccato che l’essersi sbagliato cosi tanto sulla Libia non sembri aver fornito
ad Achcar il bisogno di una pausa di riflessione e, sfortunatamente, ha seguito una linea molto simile alla Siria ed è determinato a seguirla.
Anche Thomas Pierret dell’Università di Edimburgo ha adottato una posizione esplicitamente pro-interventista e richiesto più volte un intervento militare degli Stati Uniti in Siria. Forse non sorprende, dato il suo evidente fervore per una escalation del conflitto, che Pierret assuma una posizione decisamente disinvolta verso la potenziale dissoluzione dell’intero stato siriano, quando argomenta sfacciatamente: “Perché dovremmo avere paura dell’apolidia in Siria? La Libia è molto meglio della Siria senza uno ‘stato’ ”. Presumo che questo atteggiamento sia facile da adottare quando si è immersi nel comfort in Scozia, nei confronti di un siriano che dipende dallo stato di sopravvivenza, o uno dei circa 1,8 milioni di libici (un terzo di tutta la popolazione) che sono stati costretti a fuggire in Tunisia dopo la distruzione dello stato libico. Oltre al suo coinvolgimento in campagne di intimidazione come descritto in precedenza, anche Muhammad Idrees Ahmad, docente dell’Università di Stirling ha fatto luce della distruzione della Libia, considerato che il suo stato attuale è migliore rispetto alla Siria e sostenuto che stava per “essere trascinata nel baratro” da Gheddafi prima dell’intervento. Ahmad, che ha preso una posizione fortemente pro-interventista sulla Siria, è una presenza al vetriolo sui social media e spesso etichetta come “fascista” qualsiasi posizione o individuo con cui si trova in disaccordo, tra cui la rivista Jacobin e Seymour Hersh. Di recente ha anche descritto Glenn Greenwald come “oggettivamente pro-Assad” e “l‘Ayatollah della sinistra alternativa”, accusandolo anche per la vittoria elettorale di Trump. Purtroppo, le opinioni e gli attacchi di Idrees Ahmad contro i suoi avversari sono solo le espressioni più floride di una posizione sull’intervento militare in Siria che è ampiamente sostenuta nel mondo accademico occidentale.
Il mito degli ‘esperti’ neutrali
Com’era prevedibile, nel corso degli ultimi cinque anni, una simile narrativa ha dominato nel mondo dei think-tanks e dell’expertise di politica estera (di solito quello che nei fatti è programmazione imperialista a tutti gli effetti). In questo periodo diversi specialisti senza scrupoli sono riusciti a posizionarsi come esperti sulla Siria e l’intera regione. É stato enormemente scoraggiante vedere molte persone – sia del mondo accademico che dei media – trattare i lavori di questi individui spesso profondamente compromessi come se si trattasse di un’analisi obiettiva. Una delle figure più importanti ad aver costruito in questo modo la propria carriera sul retro della guerra in Siria è Charles Lister del Middle East Institute (prima nella Brookings Institution a Doha). Lister è fortemente pro-intervento e per svariati anni ha oscurato ipocritamente l’intervento occidentale in Siria. Nel mese di ottobre 2015 ha sostenuto che quattro anni e mezzo di “inazione USA/occidentale” in Siria avevano “chiaramente dimostrato che ‘non fare nulla’ è molto peggio del ‘fare qualcosa’ ”. Ultimamente Lister ha curato un editoriale con John Allen, un ex generale Marines statunitense, in cui la coppia ha sostenuto l’idea di una guerra degli Stati Uniti contro Siria e Russia. In un altro articolo recente in cui ha attaccato la posizione di Trump sulla Siria, senza fornire alcuna prova, Lister ha fatto l’affermazione straordinaria che il governo siriano aveva “metodicamente” costruito sia al-Qaeda in Iraq che l’ISIS dal 2003 fino al 2010. Eppure, inspiegabilmente – dati i suoi legami evidenti con l’establishment statunitense, la sua posizione visibilmente a favore della guerra e le frequenti affermazioni prive di fondamento – molti continuano a trattare Lister come una fonte di analisi neutra. Non è una sorpresa, tuttavia, che Yassin-Kassab abbia elogiato Lister e lo abbia difeso dalle critiche.
Oltre al suo lavoro con Brookings e, successivamente, con il Middle East Institute, Lister partecipa anche alla ‘Track II Siria Initiative’. Nel corso di questo lavoro, che come dice lui stesso è stato “finanziato al 100 per cento dai governi occidentali“, Lister ha ovviamente sviluppato stretti legami con i membri di diversi gruppi armati presenti in Siria. A volte il suo ruolo sembra essere stato quello di agente di pubbliche relazioni di questi gruppi rivolto all’Occidente, con gli annunci dei cambi di nome e le fusioni e con esercizi di riduzione del danno in seguito a manifestazioni della loro violenza spesso brutale. Nessun incidente lo ha mostrato in maniera più brutale della raccapricciante decapitazione di un giovane ragazzo palestinese da parte della Brigata Nur al-Din al-Zinki nel luglio 2016. Lister in precedenza aveva presentato al-Zinki – destinatario di finanziamenti ed armi da parte del governo degli Stati Uniti – come uno dei gruppi che formavano i 70.000 combattenti presunti ‘moderati’ in Siria, di cui David Cameron aveva rivendicato l’esistenza nel novembre 2015. Quando il video della decapitazione è emerso online, Lister ha twittato quasi immediatamente che aveva appena parlato al gruppo e che a breve avrebbe formulato una dichiarazione. Più tardi, lo stesso giorno, Lister ha ribadito la sua tesi che era “assolutamente assurdo” paragonare al-Zinki e altri gruppi all’ ISIS o a al-Qaeda e che era “ben oltre il discutibile”. È scioccante che lo abbia fatto subito dopo aver guardato i membri del gruppo provocare e poi decapitare un bambino. Inoltre, il piano incredibile di Lister per mettere apparentemente “fine” al conflitto in Siria – scritto dopo la decapitazione di al-Zinki – includeva l’aumento vertiginoso delle spedizioni di armi ai gruppi ribelli da parte degli Stati Uniti.
Un altro osservatore che per diversi anni ha massicciamente sostenuto l’intervento militare degli Stati Uniti in Siria è l’ex collega di Lister alla Brookings, Shadi Hamid. Come Lister, Hamid ha più volte sostenuto l’argomentazione insensata che gli Stati Uniti non siano intervenuti in Siria e in tutto il Medio Oriente, affermando che Obama nella regione ha portato avanti una “Politica-del-far-nulla“. Ha anche affermato che la presunta inazione di Obama nel paese ha contribuito alla recente vittoria elettorale di Donald Trump. In breve, Hamid – che ha dichiarato che l’intervento della NATO in Libia in realtà è stato un successo e che nessun mondo migliore è possibile senza l’esercito americano – è uno dei propagandisti più eclatanti e palesi dell’impero statunitense attualmente in circolazione. Pochi rappresentano meglio di Hamid ciò che Edward Said definiva il “coro di intellettuali disposti a dire parole distensive su imperi benigni o altruistici, come se non ci si dovesse fidare dell’evidenza davanti agli occhi di tutti”. Sorprende quindi che venga spesso trattato come un esperto obiettivo sulla Siria e altrove. Anche in questo caso, è importante ricordare che le posizioni a favore della guerra tenute da Lister e Hamid non sono un’eccezione, ma largamente rappresentative dei loro colleghi nelle stesse istituzioni e in quelle simili. Altri ‘esperti’ che avrebbero potuto essere discussi a lungo in questo senso includono Hassan Hassan e Michael Weiss, che hanno esplicitamente chiesto agli Stati Uniti di smembrare e poi occupare la Siria, ed Emile Hokayem dell’Istituto Internazionale per gli studi strategici apparentemente indipendente, che in realtà ha ricevuto fino ad un terzo dei suoi fondi direttamente dalla famiglia regnante del Bahrein. Un esempio eclatante del tipo di annebbiamento in cui questi analisti eccellono, è quando nel mese di novembre 2015, mentre era sul palco con Charles Lister, Hokayem ha sostenuto che era del tutto inutile scoprire chi finanziava l’ISIS e che, invece, la nascita del gruppo dovrebbe essere considerata il risultato di errori nella società mediorientale nel suo complesso. Successivamente, nel mese di ottobre 2016, Hokayem anche dichiarato che la sconfitta dello Stato Islamico sarebbe uno sviluppo negativo per la regione.
Nel corso della stesura di questo articolo, ho volutamente identificato un certo numero di individui, scambi documentati e commenti sui social media che finora sono stati di fatto nascosti alla vista di molti. Ci sono molti altri individui, incidenti e temi che avrei potuto discutere, ma per ragioni di (relativa) brevità mi sono limitato a concentrarmi solo su alcuni dei più importanti. La mia speranza è che, facendo luce sulle campagne di bullismo e di intimidazione messe in atto da diverse voci di primo piano sulla Siria, oltre a mostrare che molti di questi stessi individui hanno atteggiamenti e connessioni inquietanti, incoraggerò altri ad essere più critici sulle analisi che leggono e a chiedersi esattamente chi è che stanno ascoltando. Date le conseguenze potenzialmente disastrose di un intervento occidentale maggiore in Siria, la posta in gioco non potrebbe essere più alta. Non possiamo permetterci che queste siano le uniche voci che si sentono nel dibattito.
Louis Allday è un dottorando alla SOAS di Londra. Seguilo su Twitter @Louis_Allday.
Fonte : MRZine
Traduzione di Federica Morelli
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