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La VOCE ANNO XIX N°8

aprile 2017

PAGINA D         - 36

Il Controllo della Narrativa sulla Siria

Investig’Action : In questo saggio Louis ALLDAY analizza la narrativa mainstream sulla Siria e i suoi vettori principali : il mito del non-intervento occidentale, l’occultamento di verità scomode sull’opposizione, l‘intimidazione di quelli che mettono in discussione la narrazione e la presentazione dei propagandisti come esperti neutrali.
Dal 2011 il flusso di analisi mal informate, inaccurate e spesso del tutto disoneste sugli eventi in Siria è stato inarrestabile. Ho già scritto sui pericoli dell’utilizzo di spiegazioni sempliciste per comprendere il conflitto, un problema che è emerso ripetutamente negli ultimi cinque anni. Tuttavia c’è un problema più grande. Il discorso mainstream sulla Siria è diventato così tossico, distaccato dalla realtà e privo di sfumature che chiunque abbia il coraggio anche solo di mettere in discussione l’impostazione della narrazione della ‘rivoluzione’ in corso, o si oppone agli argomenti di quelli che supportano l’imposizione di una no-fly zone da parte dell’Occidente, può aspettarsi una rapida punizione. Questi dissidenti sono immediatamente attaccati, spesso calunniati come ‘Assadisti’ o ‘Pro-Assad’ e accusati di mostrare una crudele indifferenza verso le sofferenze dei siriani. Una delle tante verità che si sono perse in questo discorso è che l’imposizione di una no-fly zone significherebbe, per usare le parole del più alto generale delle Forze Armate statunitensi, che gli Stati Uniti vanno in guerra “contro la Siria e la Russia”. Voglio essere chiaro dall’inizio che scrivo questo avendo vissuto in Siria e che porto nel cuore i ricordi di quel periodo. Sono in contatto con tanti amici siriani, molti dei quali ora sono rifugiati fuori dal loro paese. Quindi è particolarmente difficile per me ingoiare le accuse di insensibilità verso le sofferenze dei siriani e del loro paese. Nulla potrebbe essere più lontano dalla realtà.

Nel contesto attuale anche esprimere un’opinione timidamente dissenziente, far notare fatti basici ma sgraditi come la presenza di un supporto popolare significativo per il governo siriano, o evidenziare gli atti spesso brutali dei gruppi ribelli, per molti ha avuto come conseguenza l’essere ridicolizzati e attaccati sui social media. Raramente o quasi mai questi attacchi sono critiche ragionate tra visioni opposte; al contrario, sprofondano regolarmente in insulti personali spesso isterici e accuse al vetriolo senza fondamenti. Di solito viene usato un gruppo di argomenti chiave per denunciare quelli che mettono in discussione la narrazione dominante : tra questi l’argomento che sia in qualche modo islamofobico criticare le azioni dei gruppi ribelli o etichettarli come estremisti, e che evidenziare il ruolo centrale dell’imperialismo statunitense nel conflitto sia orientalista perché nega ai siriani il loro ‘ruolo’ all’interno del conflitto. Spesso critiche legittime vengono liquidate semplicemente come ‘fasciste’, ‘staliniste’, ‘putiniste’ o tutt’e tre. La polizia dell’opinione accettabile esercita una semplice e pratica funzione : favorire un clima in cui le persone si sentono intimidite per potersi esprimere in modo autonomo, permettendo alla narrazione dominante di rimanere incontestata di modo che, fondamentalmente, possa continuare ad essere usata per generare supporto pubblico per un ulteriore intervento occidentale in Siria.

Ovviamente questa strategia ha un precedente ben consolidato ; il trattamento riservato a molti oppositori dell’attacco NATO in Libia nel 2011 e dell’invasione dell’Iraq da parte di Stati Uniti e Gran Bretagna nel 2003 sono chiari esempi recenti. Purtroppo rimane un mezzo efficace per reprimere il dissenso e stabilire i parametri accettabili del dibattito mainstream. Il suo successo ha avuto come conseguenza la monopolizzazione del dibattito pubblico da parte di chi è in favore di un maggiore intervento occidentale in Siria ; gli stessi ne controllano la narrazione. Conosco diverse persone che mi hanno confessato di essere troppo intimidite per scrivere o parlare onestamente della Siria in pubblico e quindi o limitano quello che dicono oppure, se possibile, non toccano proprio l’argomento. Sono certo che molti lettori avranno notato una differenza lampante tra le conversazioni private che hanno con amici e conoscenze che in qualche modo lavorano sulla Siria e le dichiarazioni che fanno in pubblico.

Io pubblicamente non sono rimasto muto sulla questione, ma francamente anch’io talvolta mi sono sentito intimidito. Di conseguenza, non ho scritto molto su questo argomento, come invece avrei dovuto fare.

È probabile che in conseguenza alla stesura di questo articolo, alcune delle persone che cito mi attaccheranno pubblicamente come una qualche combinazione tra un sostenitore di Assad cripto-fascista, un fantoccio di Putin/Iran e un anti-imperialista bianco deluso, molti altri mi giudicheranno in silenzio nello stesso modo. Tuttavia, nonostante l’incertezza sull’esatta direzione della politica estera statunitense causata dalla recente vittoria e incombente presidenza di Donald Trump, l’intervento militare diretto degli Stati Uniti in Siria per un cambio di regime o una divisione del paese rimane un rischio reale. Quindi spetta a me, e anche agli altri, pronunciarsi chiaramente, non fosse altro che per demolire i soliti pretestuosi punti di discussione che sono rimasti largamente incontestati per troppo tempo. Di recente Bassam Haddad ha osservato che il dibattito sulla Siria oggi ha raggiunto un punto morto : in Gran Bretagna, come in molti altri casi, il dibattito continua, ma è sempre più dominato da un gruppo di attivisti, piccolo ma estremamente sviluppato. I personaggi di cui parlo – la stragrande maggioranza dei quali non sono siriani – non sono un monolite ; ma ciò che sembra unirli praticamente tutti è il loro pieno supporto alla creazione di una no-fly zone (che per essere chiari è intrinsecamente una posizione favorevole alla guerra), supporto incondizionato per i White Helmets, e disprezzo totale per ogni posizione anti-imperialista rispetto all’intervento in Siria. Molti condividono anche un’analisi inaccurata e a volte disonesta dell’intervento della NATO in Libia nel 2011, che è spesso utilizzata per giustificare la loro posizione sulla Siria.

In questo contesto, penso sia importante chiarire che non mi oppongo ad ogni potenziale intervento occidentale solamente perché “non aiuterebbe”, come sostengono alcuni : lo faccio anche perché non credo che un tale intervento sia motivato da azioni umanitarie. Questo chiarimento è cruciale, perché accettare questa premessa umanitaria prima di sollevare obiezioni cede molto terreno prima che l’argomento venga anche solo sfiorato. Rafforzare l’idea che la Gran Bretagna e gli Stati Uniti sarebbero motivati a intervenire in Siria, o in qualsiasi altra parte del mondo, per un desiderio genuino di “fermare il massacro” è astorico e intrinsecamente ipocrita. Al contrario, ogni intervento di questo tipo, oltre a uccidere inevitabilmente più civili, rappresenterebbe un’escalation interessata e pericolosa nella campagna occidentale di aggressione in corso ai danni dello stato siriano. Questa escalation non solo aumenterebbe le probabilità che lo smembramento permanente della Siria diventi realtà ( un risultato fortemente e da lungo tempo desiderato da alcune parti, è palese), ma potrebbe attivare un conflitto più grande con la Russia, le cui conseguenze sarebbero assolutamente catastrofiche.

Decisamente, nessuna guerra è stata più caratterizzata dai fraintendimenti dell’attuale conflitto in Siria. Questo articolo cercherà di correggere alcune tra gli le falsità più grandi in circolazione, fare luce sul modo in cui le voci dissidenti vengono fatte fuori dal dibattito mainstream con accuse e intimidazioni, e smascherare le posizioni apparentemente neutrali di una serie di voci rilevanti sul conflitto.





Il Mito del Non-Intervento occidentale

Una delle tante falsità che prevalgono in questa narrazione dominante è che l’Occidente non sia intervenuto nel conflitto in Siria. Per esempio, Amnesty International di recente ha scritto che il Regno Unito “siede in disparte” rispetto al conflitto. Questa posizione del tutto falsa ignora svariati anni di armamento, finanziamento e addestramento dei gruppi ribelli da parte dell’Occidente e dei suoi alleati regionali (principalmente Turchia, Arabia Saudita e Qatar), le disastrose sanzioni economiche imposte contro il governo siriano, gli attacchi aerei in corso, le operazioni delle forze speciali, e una miriade di altre misure diplomatiche, militari ed economiche che sono state prese. Non solo l’Occidente (principalmente gli Stati Uniti) è intervenuto, ma lo ha fatto anche su larga scala. Ad esempio, nel giugno 2015, è stato rivelato che il coinvolgimento della CIA in Siria è diventato “una delle operazioni sotto
copertura più vaste dell’agenzia” in cui stava spendendo approssimativamente 1 miliardo di dollari all’anno (circa un dollaro ogni quindici del budget comunicato). Questa operazione con base in Giordania ha già “addestrato ed equipaggiato quasi 10.000 combattenti inviati in Siria negli ultimi anni.” Come ha dichiarato Patrick Higgins, “in altre parole gli Stati Uniti hanno lanciato una guerra su larga scala contro la Siria e in realtà pochi americani l’hanno notato.” È cruciale posizionare questa aggressione nel contesto dell’ostilità statunitense di lungo corso nei confronti del governo siriano. Come rivelato dai cabli diplomatici pubblicati da Wikileaks, gli Stati Uniti provano almeno dal 2006 a minare la sua stabilità “con tutti i mezzi disponibili”, utilizzando una serie di tecniche che comportano uno sforzo – in coordinamento con l’Arabia Saudita – per incoraggiare il fondamentalismo islamico e il settarismo nel paese giocando sulle paure dell’influenza iraniana. Infatti, anche se viene menzionato raramente, un alto ufficiale USA ha confermato più volte in una intervista televisiva con Mehdi Hasan che la facilitazione dell’ascesa dell’ISIS e altri gruppi estremisti islamici in Siria e Iraq è stata una decisione premeditata dell’amministrazione Obama. Di recente la BBC ha riportato che l’ISIS usa munizioni comprate legalmente in Europa dell’Est dai governi degli Stati Uniti e dell’Arabia Saudita, che sono poi trasportate in Siria e Iraq attraverso la Turchia, “certe volte dopo soli due mesi dall’uscita dalla fabbrica”.

Quando si riconosce l’intervento USA in Siria, lo si descrive regolarmente come un intervento su piccola scala e insufficiente. Il prof. Gilbert Achcar del SOAS ha dichiarato che “Il supporto di Washington all’opposizione è più uno scherzo che qualcosa di serio”. Visto che Achcar ha fatto questa osservazione sei mesi dopo le rivelazioni sull’enorme scandalo dell’operazione CIA in Siria, è difficile immaginare esattamente quale livello di supporto militare sarebbe necessario per essere considerato più che ‘uno scherzo’. Questa narrazione ingannevole su un intervento inadeguato o inesistente da parte degli Stati Uniti, combinata alla propensione a difenderlo con gli insulti è molto comune, anche tra i commentatori che scrivono per pubblicazioni che si vogliono di sinistra. Alcuni opinionisti come Murtaza Hussain di The Intercept sono andati persino oltre nel dichiarare che gli Stati Uniti stanno sì intervenendo in Siria, ma “in favore di Assad”, un argomento assurdo che anche Glenn Greenwald ha sostenuto.



Un’atmosfera di intimidazione

Racconto questa storia non per passare come vittima o provare a raccogliere simpatie, ma per fornire un piccolo esempio dalla mia esperienza personale, rappresentativa del livello in cui è sceso il dibattito sulla Siria, e mostrare perché cosi tante persone ora hanno paura di prendere parte ad un dibattito aperto sulla questione. Nell’agosto 2016, Murtaza Hussain ha intervistato Mostafa Mahamed, l’allora portavoce di Jabhat Fatah al-Sham, ridenominato più di recente come Jabhat al-Nusra (i.e. Al-Qaeda in Siria); in un periodo in cui i media occidentali davano al gruppo molta copertura, che spesso era del tutto acritica. In questa intervista Mahamed pontificava sulla sua visione per il futuro della società siriana e il ruolo di Jabhat Fatah al-Sham. Leggendo questa intervista fui colpito del fatto che, come in un’intervista di Sky News quattro giorni prima, Hussain non aveva pensato fosse pertinente chiedere perché Mahamed, un fondamentalista australiano nato in Egitto senza legami con il paese, dovesse influenzare il futuro della società siriana. Ho fatto questa domanda a Hussain su Twitter e ha risposto in maniera sprezzante, prima di dichiarare brutalmente “è incredibile la velocità con cui i sostenitori di Assad cominciano a parlare come Mark Regev”. Cosi facendo, e senza averci pensato un secondo, non solo mi ha denunciato ai suoi 50,000 follower come sostenitore di Assad, ma mi ha anche paragonato a uno dei propagandisti più ripugnanti di Israele.

La risposta istintiva di Hussain per delegittimare immediatamente anche domande educate sul suo lavoro, lasciando intendere che veniva dalla prospettiva di un sostenitore di Assad è rivelatrice e indicativa della più ampia tendenza attuale. Dopo questo scambio, molte persone hanno messo in discussione il modo in cui sono stato liquidato da Hussain. Una di queste persone era la giornalista americana Rania Khalek, che in seguito è diventata forse la vittima più esposta di questo trend. Khalek, che all’epoca era stata ampiamente criticata, fu perseguitata per la sua posizione sulla Siria a tal punto che nell’ottobre 2016, dopo aver deciso di partecipare ad una conferenza a Damasco, è stata obbligata a dimettersi dal ruolo di Editor di Electronic Intifada. Ironia della sorte, mentre Khalek alla fine non ha nemmeno partecipato alla conferenza, molti altri giornalisti e analisti mainstream che lo hanno fatto non sono stati sottoposti ad alcuna critica. Khalek è stata il target preferito di un gruppo che include Oz Katerji, che attualmente lavora per l’emittente nazionale turca TRT World, e Charles Davis. Katerji ha avvertito Khalek di “cambiare la tua retorica o continueremo a lottare contro di te”; ha anche mandato messaggi aggressivi simili al collega di Khalek, Asa Winstanley.

Una recente inchiesta in due parti del giornalista americano Max Blumenthal ha scatenato una reazione adirata seguita da una campagna di intimidazione simile a quella riservata a Khalek. Nella sua indagine Blumenthal ha riportato numerosi fatti scomodi sui White Helmets e il gruppo lobbistico The Syria Campaign (entrambi sostengono fortemente l’imposizione di una no–fly zone) che ha fatto perdere molti supporter ai due gruppi. L’indagine di Blumenthal, che consiglio di leggere, era approfondita nei fatti e tutt’altro che fango, come è stata invece ampiamente descritta. La furia della reazione al lavoro di Blumenthal mi ha spiazzato, non solo perché molta dell’informazione che conteneva era già risaputa in alcune cerchie online ed era stata pubblicata altrove prima, ma perché Blumenthal non aveva esplorato le enormi accuse sul fatto che i White Helmets avessero falsato alcuni filmati ed immagini. Queste accuse (per le quali alcune persone online sono state definite senza cuore e nauseabonde) più tardi hanno ricevuto credito dopo lo strano incidente in cui i White Helmets postano online il cosiddetto video della ‘sfida del manichino’ (poi cancellato), in cui due dei suoi membri e un uomo apparentemente ferito, intrappolato tra le macerie posa in silenzio e immobile per trenta secondi, prima che inizi un commovente salvataggio e l’uomo all’improvviso cominci a lamentarsi per il dolore.

Nonostante questa omissione, dopo la pubblicazione della sua indagine Blumenthal è stato immediatamente attaccato e insultato da una serie di voci prominenti sulla Siria ; Robin Yassin-Kassab lo ha calunniato come “immondizia-pro-fascista” che era “alla ricerca disperata di attenzione, per distrarre dal genocidio e dai crimini imperialisti russi”. Muhammad Idrees Ahmad, che ha dichiarato che i White Helmets sono la sua famiglia e che “attaccare loro equivale ad attaccare me”, ha reagito agli articoli con la stessa furia. Blumenthal ha dichiarato che molte telefonate di insulti e minacce ricevute dopo l’indagine erano di Idrees Ahmad. Nella sua risposta al lavoro di Blumenthal, il giornalista di BuzzFeed Borzou Daragahi ha utilizzato un’altra tecnica comunemente usata per infangare posizioni politiche di sinistra, ossia la loro patologizzazione, affermando che “l’ossessione della Sinistra per i SyriaCivilDef [i White Helmets] è proprio indecorosa. Probabili spunti di riflessione su complessi materni irrisolti. Buona parte della sinistra è danneggiata psicologicamente”. Daragahi si è prolungato sulla sua oscena analogia con gli abusi domestici, affermando che “Forse papà picchia mamma, come Assad bombarda i civili. Ti senti colpevole per essere dalla parte di papà (Assad) e senti rabbia verso mamma (i civili)”. In precedenza Daragahi ha vilipeso gli anti-imperialisti come “non davvero di sinistra, semplicemente anti-occidentali. Sono persone arrabbiate, traumatizzate con enormi complessi di Edipo.” In uno scambio con Vijay Prashad, Joey Ayoub di Global Voices ha criticato Blumenthal come uno “pseudo-giornalista” con un evidente disprezzo per i siriani”, una critica particolarmente ipocrita, considerando che – distorcendo la realtà in maniera davvero insensata, ha poi dichiarato che non ci sono due fazioni in Siria, dato che “la stragrande maggioranza dei siriani è insorta contro Assad”. Che Ayoub ignori cosi spavaldamente una parte significativa del popolo siriano unicamente perché non è d’accordo con la sua prospettiva personale solleva seri dubbi sulla sua obiettività.

Pare che questa reazione diffusa e spesso isterica all’inchiesta di Blumenthal da parte di Ayoub, Daragahi e altri – nessuno dei quali è stato capace di discutere l’accuratezza dell’inchiesta stessa, occorre segnalare – non solo è dovuta al fatto che per la prima volta un giornalista della statura di Blumenthal aveva l’audacia di criticare The Syria Campaign e i White Helmets, ma che, per dirla con le parole di un suo attuale detrattore, Blumenthal “una volta era uno di noi”. Infatti nel 2012 Blumenthal si è dimesso pubblicamente dal giornale libanese Al-Akbar, citando la sua posizione
..segue ./.

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