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La VOCE ANNO XIX N°8

aprile 2017

PAGINA 1         - 21

Cresce la tensione nei Balcani con sullo sfondo le dispute interimperialiste

Redazione de La Riscossa (organo del Partito Comunista), 8.3.2017


Sempre più tesa la situazione nei Balcani dove si acuisce pericolosamente la competizione tra gli USA-NATO-UE e la Russia con particolare riferimento al conflitto per il controllo delle fonti di energia e le vie di trasporto, la promozione degli interessi geostrategici, a beneficio dei gruppi monopolistici su ogni lato. Questo ha il suo riflesso sulle mai sopite tensioni etniche-nazionaliste della regione. La NATO prosegue il suo “accerchiamento” della Russia muovendosi di recente anche sul Mar Nero, gli USA e l’UE incrementano le loro ingerenze in relazione con i piani della Russia che, dopo il riavvicinamento contradditorio con la Turchia, si muovono nella direzione del transito del gasdotto russo “Turkish Stream” dalla Macedonia e la Grecia, così come i piani della Cina che sono volti a promuovere una rapida via di comunicazione delle merci verso i mercati europei, anche attraverso un sistema ferroviario ultraveloce Salonicco-Budapest.

Su queste basi, la tensione nella regione aumenta costantemente, e non a caso il capo della politica estera e della sicurezza comune dell’UE, Federica Mogherini, ha appena concluso un tour di 4 giorni nei Balcani, dove rilevante è stato l’atteggiamento ostile del Parlamento serbo.

Nel frattempo, i politici americani intervengono ponendo la questione del ridisegno dei confini nei Balcani, come nel caso recente del senatore repubblicano Dana Rohrabacher che ha proposto uno scambio di territori tra la Serbia e il Kosovo, affermando ad inizio febbraio che «la Macedonia non è Stato», che dovrebbe esser quindi sciolta in modo che le regioni con popolazione di etnia albanese si uniscano al Kosovo e ciò che resta diventare parte della Bulgaria, della Grecia e altri paesi della regione.

Macedonia – Albania

Nella Repubblica di Macedonia si intensifica lo scontro politico a seguito della decisione del presidente del paese, Gjorge Ivanov, di non dare il mandato di formare un governo al leader dell’opposizione del Partito dell’Unione Socialdemocratica (SDSM), Zoran Zaev, nonostante egli sia riuscito ad ottenere, tramite un accordo di cooperazione con tutti i partiti parlamentari albanesi, i voti di 67 deputati su un totale di 120. Ivanov e l’ex primo ministro Nikola Gruevski, del Partito Democratico di centro-destra (VMRO-DPMNE) rifiutano l’entrata nel governo dei partiti albanesi.

Ivanov ha giustificato la scelta citando la Costituzione che vieta di compromettere la sovranità del paese, visto che se si formasse un governo di coalizione con i partiti di etnia albanese si consegnerebbe il potere a forze che stanno “sotto controllo straniero”, con riferimento all’Albania. La cosiddetta “Piattaforma Albanese”, posta dai partiti parlamentari macedoni-albanesi a sostegno del nuovo governo prevede: a) di stabilire costituzionalmente l’albanese come seconda lingua ufficiale in tutto il paese, b) cambio della bandiera e dei simboli nazionali per rappresentare la minoranza albanese, c) la promozione della procedura di adesione all’UE e alla NATO e la risoluzione della disputa con la Grecia sul nome costituzionale del paese con la partecipazione attiva dell’etnia albanese in essa. Edi Rama, Primo Ministro albanese, ha commentato che «non ci può essere Macedonia senza albanesi» e che l’albanese «non è la lingua del nemico, ma la lingua di una componente etnica in Macedonia». Hashim Thaçi, presidente dei Kosovari albanesi, ha definito “preoccupante” la decisione di Ivanov. Il primo ministro della Macedonia, Ntimitrief ha reagito

accusando il suo omologo albanese di «un nuovo coinvolgimento negli affari interni della Macedonia», definendolo «dannoso per i rapporti di vicinato».

Gli sviluppi in questa repubblica balcanica meridionale, mostrano come, al momento, sia tra le situazioni più pericolose a seguito dello smantellamento della Jugoslavia, anche se non si possono sottovalutare i rischi negli altri paesi della regione. Significativa è la reazione del ministero degli Esteri russo che ha accusato i membri dell’UE e della NATO di star cercando di imporre «in Macedonia la piattaforma albanese progettata nell’ufficio del primo ministro albanese a Tirana», basata sulla mappa della “Grande Albania”, «esprimendo le aspirazioni territoriali a spese del vicino Montenegro, Serbia, Macedonia e Grecia». Stoltenberg ha invece sottolineato come la NATO «resta impegnata nel processo di adesione» della Macedonia, mentre il Commissario UE per le relazioni di vicinato, Johannes Hahn ha sollecitato «il Presidente della FYROM a rispettare l’esito delle elezioni» ribadendo la stessa posizione affermata in precedenza dall’ambasciatore USA, Bailey.

Montenegro

La situazione del paese rimane tesa dopo che il governo filo-occidentale di Milo Djukanovic ha “rivelato” di un tentato colpo di stato alla vigilia delle elezioni del 16 ottobre, accusando «gli elementi nazionalisti serbi e russi» che avrebbero tentato di occupare il Parlamento, assassinare il primo ministro e installare un governo ostile alla NATO. Nel mese di febbraio si sono aperte le procedure definitive per l’integrazione del Montenegro nella NATO che dovrebbe esser ufficializzato nel prossimo vertice di maggio della NATO a Bruxelles che «manderà un chiaro segnale di stabilità e di sicurezza in tutta la regione» costituendo «la base per la prosperità e rafforzerà la sovranità» del Paese dieci anni dopo l’indipendenza, secondo quanto ipocritamente commentato dal Segr. generale della NATO. Il governo montenegrino è intenzionato fortemente a proseguire nell’ingresso nell’alleanza militare imperialista euro-atlantica nonostante le forti obiezioni della Russia che da tempo ha messo in guardia sulle «negative gravi conseguenze» e le opinioni della maggior parte della popolazione che, secondo recenti sondaggi, non è d’accordo con i piani della borghesia di aderire alla NATO.

Bosnia –Erzegovina e Republika Srpska

La Bosnia-Erzegovina continua ad essere essenzialmente ancora sotto occupazione della UE e della NATO che perpetuano la sofferenza dei popoli della regione alimentando le tensioni in un paese composto da tre popoli (musulmani, serbi e croati) diviso in due entità amministrative: la Republika Srpska (RS – che comprende il 49% del territorio a maggioranza serba) e la Federazione croato-musulmana (BH – il 51% del paese dove vivono bosniaci musulmani e croati) sulla base degli accordi di Dayton (1995).

Il presidente dei serbi bosniaci, Milorad Dodik, ha stretti rapporti con la Russia e sta spingendo per l’indipendenza dell’Entità Serba criticando l’attuale assetto istituzionale troppo “centralistico” a vantaggio della componente croato-musulmana. Durante la visita della Mogherini, Dodik ha voltato le spalle scegliendo di andare a Mosca per incontrare, tra gli altri, il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov. Mosca ha colto così l’occasione per cercare di promuovere i propri piani geopolitici ed ha espresso «preoccupazione per gli sforzi dell’Occidente di rivedere il compromesso del trattato di Dayton». La Serbia, tramite le parole a fine dicembre del presidente della repubblica, Nikolic, sostiene che la Republika Srpska sia in grave pericolo. La Croazia con il sostegno degli USA e della NATO starebbe lavorando a costruire un pretesto

..segue ./.

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