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La VOCE ANNO XVIII N°8

aprile 2016

PAGINA 5

8 marzo: giornata internazionale della donna

Adriana Chiaia - 01/03/2016
Il tradizionale ramo di mimose, omaggio alle mogli, alle fidanzate, alle madri, fiorisce perfino sulle scrivanie dei dipendenti "gentile attenzione dei principali".
Nell’occasione, nella piccola, media e perfino nell’alta borghesia si ricordano e si rilanciano le lotte per il raggiungimento della parità con gli uomini nel lavoro e in politica.

Noi per onorare questa ricorrenza pubblichiamo il racconto di Quien, la vedova di Nguien Van Troi, un racconto-testimonianza, semplice, intimo, commovente, sull’emancipazione di una donna proletaria, sulla sua presa di coscienza politica.

Il primo passo compiuto da Quien è traumatico.

Quella domenica mattina Quien sperava che Troi l’avrebbe accompagnata in visita ai parenti, come si usa nel Nord, per presentare la nuova coppia: Quien e Troi si erano sposati soltanto da venti giorni.

Nell’attesa Quien rifletteva sul comportamento di suo marito nell’ultimo periodo. Troi si assentava spesso di sera e, quando andavano a trovare degli amici, gli uomini si sedevano nel patio e muovevano dei sassolini, come se giocassero a dama o a scacchi.

Non che Troi non avesse nei suoi confronti le stesse premure di un tempo: andava ad attingere l’acqua alla fontana e le portava in casa i pesanti secchi. Quando era stata malata si era seduto al suo capezzale per ninnarla con delle canzoni.

Quelle riflessioni furono brutalmente interrotte dall’irruzione di una squadra di poliziotti che trascinavano Troi, irriconoscibile, ferito, sanguinante. "Quien, mi hanno preso!". I poliziotti presero a picchiare e a torturare con l’elettricità Troi domandandogli dove nascondeva l’esplosivo. Intanto la perquisizione nel patio non dava alcun risultato. I poliziotti continuavano a picchiare ripetendo la domanda: "Dove nascondi l’esplosivo?". Troi rispose: "Se volete trovare dell’esplosivo andate dagli Americani". I poliziotti continuarono a picchiarlo e a un certo punto passarono a un’altra tecnica. Il capo disse: "Ecco una bella casa, una moglie carina e tu ascolti i Vietcong". Troi rispose: "Io non sono come voi, non posso vivere sotto l’occupazione degli Americani che umiliano e uccidono il mio popolo". Quien aveva tentato di raggiungere Troi ma le era stato impedito di muoversi. I poliziotti trascinarono Troi verso la porta e Quien, malgrado tentassero di impedirglielo, gridò: "Troi ti amo e sarò sempre con te".

In quel grido c’erano l’amore, il rimorso e la volontà di impegnarsi nella difesa di Troi.
Questo fu il primo passo della presa di coscienza di Quien.

Il secondo passo fu quando il capo della polizia la fece chiamare al commissariato e, esibendo un ritratto della coppia nel giorno del matrimonio, tentò la corruzione, disse: "Se lei convincerà Troi a dire la verità lo lasceremo subito libero, altrimenti tenteremo anche con lei altri metodi". La condusse nella stanza dove i sospetti complici di Troi venivano selvaggiamente torturati malgrado Troi si fosse assunto l’intera responsabilità dell’azione. Quien disse: "Io non so niente dell’attività di mio marito, quello che so è che voglio incontrarlo. Fatemelo vedere!".

Il commissario rispose: "Suo marito, appena arrestato, si è buttato dalla finestra tentando di fuggire, è caduto su una macchina in corsa e si è fratturato una gamba. Adesso è ricoverato nell’ospedale della prigione". Quien gridò: "Voi mentite, lo avete picchiato e rinchiuso in carcere".

Quando tornò a casa Quien si rese conto che non era più libera. Fu anche lei arrestata e mandata nel carcere femminile.
Questa fu la seconda tappa della presa di coscienza di Quien.

Quando nel carcere si sparse la notizia che l’arrestata era la moglie di Troi, da tutte le celle arrivò a Quien un segno di solidarietà e così cominciò la terza tappa della sua presa di coscienza: furono gli insegnamenti che le venivano dalle compagne di cella. Quando una di loro tornava da una seduta di tortura con le dita sanguinanti perché le avevano strappato le unghie, finalmente poteva piangere nelle braccia delle altre compagne, ma davanti agli aguzzini non aveva versato una sola lacrima.

Le compagne di cella educarono Quien: le raccontavano tutti gli episodi di lotta del Fronte di Liberazione Nazionale del Vietnam del Sud contro gli Americani, le insegnarono a cantare canzoni rivoluzionarie e perché usasse bene il suo tempo le insegnarono a ricamare.

Un episodio felice fu l’arrivo nel carcere, dove era stato rinchiuso insieme a sua nonna, di un bambino di due o tre anni la cui madre era detenuta in un carcere speciale. Il bambino raccontò come Troi avesse avuto cura di lui, lo lavasse, gli portasse dei dolci e Quien imparò l’importanza che Troi aveva dato ai rapporti con i vicini. Infatti in un paese occupato, pieno di spie era importantissimo stabilire dei rapporti di amicizia con i vicini di cui ci si poteva fidare.

Quien fu liberata e ottenne un colloquio con Troi in ospedale. Prima di entrare comprò della frutta all’ingresso del carcere.

Troi fu portato al colloquio sorretto da altri due carcerati. Appena la vide, chiese a Quien se anche lei fosse stata picchiata e soprattutto notizie di come procedevano le azioni del Fronte. Gli sbirri interrompevano questi colloqui ma Troi per distrarli chiedeva delle altre persone della famiglia, di come stessero, di come sua madre aveva preso la notizia del suo arresto.

* * *

In tutto il Vietnam occupato regnavano la miseria e la fame, non era possibile trovare un qualsiasi lavoro. Troi, contro il parere dei suoi familiari che lo supplicavano di restare, decise di emigrare e di andare a cercare lavoro a Saigon.

Tramite un parente riuscì a trovare lavoro presso un’impresa di elettricità. Dopo poco tempo entrò a far parte di una cellula del Partito dei lavoratori del Vietnam appartenente al Fronte di Liberazione. Nell’organizzazione Troi, oltre che all’uso delle armi e degli esplosivi, ebbe le prime nozioni
di politica ed economia marxista. Un compagno gli chiese: "Troi tu lavori in un’impresa elettrica, c’è l’elettricità nella tua casa?". Troi rispose: "No, noi usiamo lampade a petrolio". "Vedi?" aggiunse il compagno "tu produci l’elettricità e non puoi usufruirne mentre i tuoi sfruttatori possono illuminare anche la cuccia del cane". E proseguì "Tu lavori un determinato numero di ore e una parte serve a sostenere te e i tuoi familiari, cioè a riprodurre la forza lavoro, è quello che si chiama lavoro necessario; l’altra parte serve ad aumentare il capitale e si chiama super lavoro". Troi comprese l’importanza della lotta per le otto ore di lavoro, mentre i padroni facevano di tutto per prolungare la giornata lavorativa fino a dodici-quattordici ore.

* * *

Quien lavorava in un’azienda tessile anche per dodici-quattordici ore al giorno: doveva ripagare i debiti accumulati per il matrimonio.

Intanto Troi era stato trasferito dall’ospedale alla prigione di massima sicurezza dei condannati a morte: segno di una sentenza già decisa.

Dopo un processo-farsa in cui Troi era stato accusato di aver tentato di minare il ponte sul quale doveva passare il Segretario di Stato alla difesa USA MacNamara in visita al Vietnam, Troi che aveva rivendicato l’azione era stato condannato a morte.

La nonna del bambino trasmise a Quien tutte quelle modalità per chiedere i permessi per visitare i detenuti politici che la sua lunga vita le aveva insegnato. I poliziotti le chiedevano: "Perché consumi i tuoi giorni per visitare tua figlia che è in un carcere speciale?". "Io l’ho messa al mondo e ho il dovere di occuparmi di lei".

La nuova tappa di Quien fu quella di condividere l’esperienza dei familiari dei detenuti politici e le condizioni in cui tali colloqui si svolgevano. Malgrado le difficoltà nei colloqui, Troi cercava di educare Quien e di indurla a partecipare alla lotta del Fronte Nazionale di Liberazione; le spiegava il perché lui che odiava la menzogna era stato costretto a mentirle: la clandestinità ha regole ferree, la più piccola indiscrezione può pregiudicare la sicurezza di tutta l’organizzazione. Quien rispondeva: "Vorrei partecipare a questa lotta, ma ho paura che i compagni non si fidino di me". Troi la rassicurò dicendole: "Non ti preoccupare, io tenterò ancora di fuggire ma se un giorno il governo dovesse decidere di uccidermi, i compagni non ti abbandoneranno".

Un giorno Quien si presentò per il colloquio e il poliziotto le disse: "Oggi non è possibile perché alcuni membri del governo hanno deciso di visitare la prigione. Torna un altro giorno". In quel momento Quien vide che veniva introdotta nel carcere una bara e pensò: "Ecco un’altra vittima dell’oppressione degli USA".

* * *

Improvvisamente, veloce come un fulmine, in tutto il Vietnam si diffuse una notizia. Le forze di liberazione del Venezuela, FALN avevano rapito il colonnello Smolen dello Stato Maggiore USA di stanza nel loro paese ed avevano decretato: "Se viene fucilato Nguien Van Troi, un’ora dopo uccideremo l’ostaggio". Gli USA ordinarono al governo fantoccio di Saigon di sospendere l’esecuzione e già dappertutto si prospettavano le modalità di uno scambio di prigionieri.

Quien, pazza di gioia, aveva osservato, dando inconsapevolmente una definizione di internazionalismo proletario, "Io non so dove si trova il Venezuela, se è un paese grande o piccolo, quello che so è che lotta come noi contro gli Americani".

Purtroppo, quando le FALN, secondo gli impegni presi con gli USA, liberarono Smolen, il governo fantoccio non mantenne la parola data e confermò la sentenza di morte di Troi.

Allora Quien, in preda all’angoscia, fece quello che Troi le aveva sempre detto essere inutile, cioè pagare un avvocato per la sua liberazione. Raccolse tutto il denaro che possedeva e lo portò a un avvocato che disse: "Impossibile, se ci fossero novità mi avrebbero avvisato"; poi prese il telefono, parlò brevemente e disse: "Purtroppo un’ora fa Troi è stato fucilato".

Quien cercò disperatamente di sapere dove lo avevano seppellito. Prese un taxi e cominciò a girare tutti i cimiteri di Saigon senza trovare niente. Alla fine della giornata il taxista le propose di pagare solamente la metà della corsa perché potesse continuare la ricerca il giorno dopo dandole così un altro esempio di solidarietà proletaria. Quando infine fu individuata la tomba cominciò ad arrivare in pellegrinaggio gente che portava candele e fiori.

La madre di Troi chiese che si proclamassero sette settimane di preghiera in suo onore. Dalla chiesa buddista fu indetta una cerimonia in ricordo di Troi. Sulla porta della chiesa fu affisso il seguente avviso: "Il 22 ottobre 1964, alle sette della sera inizieremo le preghiere per l’anima di Nguyen Van Troi. Invitiamo tutti i fedeli a partecipare".
Malgrado i poliziotti sperassero che alla cerimonia non andasse nessuno, i vicini vennero numerosi con fiori e candele.

Quien fu avvicinata da una ragazza che le consegnò una busta. Quando rientrò a casa chiuse porte e finestre e aprì la busta che conteneva una lettera. Era la lettera di una compagna clandestina che aveva conosciuto in carcere. Lesse: "La morte di Troi è stata onorata da tutti i compagni. Nello stesso cortile in cui fu fucilato Troi è stato eretto un piccolo monumento in suo ricordo. Sulle arcate dei ponti appaiono scritte inneggianti a Nguien Van Troi. Nuove leve di giovani rivoluzionari entrano nel Partito e nel Fronte con la parola d’ordine ’essere come lui’. Il Partito e il Fronte lo hanno insignito delle massime onorificenze".
La lettera concludeva: "Ricordati quello che Van Troi ti ha raccomandato e raggiungi le file del Fronte Nazionale di Liberazione del Sud Vietnam".

Quien capì che non poteva rimanere nel Sud perché era continuamente perseguitata e raggiunse il Nord. Lì, con l’aiuto dei compagni, malgrado i bombardamenti mediante i quali gli USA tentavano invano di spegnere l’attività del Sud, fu pubblicato il racconto-testimonianza di cui abbiamo parlato all’inizio. Il suo testo è stato tradotto in tutte le lingue.

Noi abbiamo scelto di tradurlo in italiano dallo spagnolo (traduzione di Lucio Bilangione) per celebrare una doppia vittoria: quella della cacciata degli Americani dal Vietnam e quella della Baia dei Porci dove in sole 72 ore i patrioti cubani, con il rinforzo dell’Armata Rossa, riuscirono a ricacciare in mare gli invasori impedendo così che una loro testa di ponte in terra cubana rappresentasse il governo "legittimo" e quindi giustificasse l’intervento della flotta americana.

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