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tempo anche altri uomini, pensosi dell'interesse della nazione, hanno levato al loro voce. Ricordo un'interpellanza di un deputato comunista sull'esodo dei fisici italiani, un passo della C.G.I.L. per l'attrezzatura dei laboratori scientifici; più recentemente una inchiesta del Centro economico della ricostruzione sulle principali cause della diminuita efficienza della ricerca scientifica in Italia.

E' però grandissimo titolo di merito per l'on. Gustavo Colonnetti aver posto ultimamente, il 15 dicembre 1947, all'Assemblea plenaria dei comitati nazionali del Consiglio delle ricerche il problema del finanziamento della ricerca scientifica nei suoi termini reali, crudi, drammatici, come problema di vita o di morte.

La prima risposta degli "uomini del Governo" e dei rappresentanti del Paese si è avuta subito, nel corso dell'Assemblea del 15 dicembre.

Il ministro Einaudi ha detto seccamente che non c'è niente da fare. " L'amico Colonnetti" chiede "l'aumento dello stanziamento da 250 a 500 milioni di lire. Se tutti dovessero avanzare le loro richieste raddoppiando la somma del precedente esercizio dove andremmo a finire?".

Così a risposto un ministro responsabile, che fra l'altro è uomo di cultura; come un mediocre contabile incapace di capire che cosa vi sia di tanto grave nel fatto che i Fermi, i Rosetti, i Segre se ne vadano dall'Italia.

Ben diversa è stata la risposta del più qualificato rappresentante del Paese, Umberto Terracini: "Non credo si possano mettere nello steso paino tutte le richieste del finanziamento, da qualunque ente ed amministrazione vengano avanzate….. Perché io penso la nostra indipendenza nazionale.

Essa può essere minacciata e perduta non soltanto se eserciti nemici calpesteranno il nostro suolo, non solo se diventeremo definitivamente tributari dello straniero nel campo economico, ma anche se ci lasceremo sopraffare da lui nel campo geloso della cultura e del pensiero.

La storia e la tradizione insegnano che la decadenza di una nazione insorge così dall'insufficienza in lei di beni materiali, come dalla inerzia o carenza delle energie dell'intelletto e dello spirito".

Ancora una volta, tra uomini del governo e esigenze del Paese si manifesta quel profondo, radicale contrasto che caratterizza tutto questo periodo di vita italiana.

Vi è chi crede fermamente che l'Italia possa riprendersi, in tutti i campi: dalle fabbriche ai laboratori alle scuole. E sono milioni di lavoratori, di intellettuali, di scienziati. Vi è chi crede invece, anche se non ha il coraggio di dirlo esplicitamente, che l'Italia è ormai condannata a divenire un paese senza grande industria e senza grande cultura, una semplice riserva di manodopera per i paesi più sviluppati.

E sono gli uomini di governo gli Einaudi e gli Sforza e i Fanfani e i Tremelloni, i pianificatori dell'emigrazione in massa delle forze più vive della nostra produzione, dagli specializzati ai tecnici ai ricercatori. Agli uomini di scienza il compito di unire i loro sforzi a quello dei milioni di lavoratori che non vogliono il fallimento dell'Italia.

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