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La VOCE  ANNO  XIII   N°6

FEBBRAIO  2011

PAGINA  c

Riproponiamo un articolo di Lucio Lombardo Radice
apparso sul n°1 di Rinascita del 1948.


Di mese in mese, di anno in anno aumenta l'angoscia, l'amarezza, la sfiducia tra coloro che, in Italia, dedicano la loro attività alla ricerca scientifica. La loro posizione diviene di giorno in giorno più difficile: preziose e insostituibili energie si logorano e si perdono in un lotta sfibrante.

Le Università, che sono tradizionalmente in Italia il centro della ricerca scientifica, non garantiscono in alcun modo, a nessun ricercatore un minimo per vivere.

Non possono essere infatti considerati sufficienti per vivere neppure gli stipendi delle categorie relativamente privilegiate, e cioè dei professori e degli assistenti di ruolo. Un assistente di ruolo ad esempio, prende, al vertice della sua carriera, appena 30mila lire mensili: cioè esattamente la metà del minimo indispensabile in una grande città, per mantenere modestamente una famiglia e sostenere le indispensabili spese di studio. Se poi consideriamo il trattamento economico del personale ricercatore non di ruolo le cifre suonano addirittura beffa. Per una gravosa e delicata attività di lezioni, esercitazioni, assistenza ad esami l'Istituto fisico di Roma era costretto a dare, per mancanza di fondi, a un valoroso gruppo di giovani assistenti non di ruolo, l'elemosina di tremila (!) lire al mese. Altri gruppi di assistenti in incerta e ambigua posizione, percepiscono 15-20 mila lire al mese. E' da notare che da 8 anni non si sono più avuti concorsi per entrare nei ruoli come assistente: e quindi tutti i giovani ricercatori al di sotto dei 30 anni sono necessariamente in situazione miserabile e precaria.

Il lavoro, mal pagato o semi-gratuito, è massacrante. Non tanto e non solo per le lezioni e le esercitazioni, ma per gli esami. Si può affermare senza esagerare che professori e assistenti di fisica, matematica, chimica, biologia, ecc. dedicano due-tre mesi all'anno agli esami universitari nei grandi centri. In ondate successive, migliaia di studenti da esaminare travolgono gli sparuti drappelli degli insegnanti, interrompono per settimane ogni possibile attività di studio e di ricerca.

I mezzi, come è noto, sono poi assolutamente insufficienti. Nei laboratori e negli Istituti grandi il ricercatore deve fare tutto da se, con mezzi di fortuna: deve essere elettricista e meccanico, preparatore chimico e falegname, calcolatore e uomo di fatica. L'aumento del bilancio del Consiglio nazionale delle ricerche dai 64 milioni dell'esercizio 1945-46, ai 200 dell'esercizio 1946-47 ed ai 250 dell'esercizio in corso non è una soluzione, non è un risanamento: è appena una boccata d'ossigeno a un moribondo. Di questo passo, dove andremo a finire?

"Dove andremo a finire?" è la domanda angosciosa, assillante, sempre più angosciosa, sempre più assillante che ogni giorno si ripete chi si dedica alla ricerca scientifica. La scienza italiana va alla deriva: se non si provvede subito, l'Italia decadrà rapidamente fino a diventare una nazione di secondo o terzo piano, dal punto di vista scientifico: una Spagna, una Grecia. Diverrà, come ha detto Gustavo Colonnetti in un recente discorso del quale parleremo di nuovo tra breve, "l'ultimo dei paesi civili". Non è ancora così, perché tenacemente, direi eroicamente, gruppi di scienziati di valore tengono duro, procedono: ma, lasciati ancora così e senza aiuto, non potranno resistere a lungo. Seguiranno la via di Fermi e di Rosetti, di Occhialini e di Segre e di Pontecorvo e di Rossi, di Raccà e di Luria, di Wick e di Persico e dei tanti e tanti meno famosi, più giovani scienziati italiani che non hanno saputo o potuto resistere: andranno in America. Per non intristire nella miseria e nell'isolamento, per non restare alla retroguardia della scienza.

Non sono cose nuove. Da tempo, gli uomini di scienza sono consapevoli della gravità della situazione: da

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