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La VOCE ANNO XXX N°1

settembre 2024

PAGINA H         - 40

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Segue da Pag.39: La Serbia assediata da minacce, ricatti e provocazioni quotidiane è a rischio sfinimento ed esplosione
"Questa non è libertà, questa non è vita!", ha detto Vasilije Šoši? durante la protesta a Pasjan. Suo figlio Miloš è stato arrestato con l'accusa di crimini di guerra e lui, di fronte a diverse migliaia di serbi, ha ripercorso il dramma dell'arresto di suo figlio e ha testimoniato con esempi personali, i rapporti tra serbi e albanesi. "…Quando mi sono alzato la mattina per vedere, c’era il cortile pieno, tutti armati fino ai denti, come se avessimo calpestato il mondo intero, come se mio figlio avesse fatto chissà cosa", ha detto Vasilije.

L'arrestato Miloš Šoši?, era stato uno dei primi serbi aggregati nella polizia del Kosovo, vi ha trascorso 23 anni con premi e decorazioni. Quando le forze speciali armate sono entrate nel cortile di casa sua, suo padre ha pensato che fosse stato ucciso e quando ha visto che lo conducevano via legato e piegato, pensò che Miloš avesse ucciso qualcuno. Mentre lo portavano via ha detto a suo padre che era accusato di crimini di guerra.

Dragan Cvetkovi? un altro degli arrestati è disabile, la famiglia non intende vendere la terra e andarsene, un figlio è insegnante e l'altro prete. Ed è stato quest'ultimo, padre Jovan, a raccontare: “…All'alba del 3 agosto, poliziotti di Pristina sono entrati nelle nostre case, nelle nostre vite, nei nostri diritti, nella nostra libertà senza spiegazioni e con il chiaro intento di spaventarci. Per dirci che non apparteniamo a questo posto, che non vogliono vederci qui. Ma devo ribadire questo: non siamo spaventati, ma siamo incoraggiati…Mi appello a tutti coloro che hanno sofferto e ai santi, conosciuti e sconosciuti, che hanno testimoniato la loro fede e hanno amato questo Paese, sono sicuro che gli abitanti di Pasjana sopravvivranno anche a questo tormento e a questa ingiustizia”.

Dragan Ni?i? è un insegnante in pensione. Ha lavorato nei villaggi dove sono stati commessi i presunti crimini. È uno di quelli che, 35 anni fa, furono accusati di avvelenare i bambini albanesi con i noti e ingegnosi avvelenamenti monoetnici. Accuse poi cancellate, ha continuato a vivere nella sua casa in questi decenni.

Slobodan Jevti?, è un rimpatriato non vedente, che intendeva vivere lì con la sua famiglia e nella sua terra, nonostante che le autorità gli avevano spiegato i rischi che attendono i rimpatriati e il ritorno dei serbi.

Tra i cinque c’è anche Nenad Stojanovi? del villaggio Bosce vicino a Kosovska Kamenica.

Quando il folto gruppo di poliziotti ha fatto irruzione nella casa e ha messo i bambini e la loro madre in una stanza, una ragazza ha detto: "Questi non sono poliziotti, questi sono ladri, i poliziotti hanno delle facce…Qui ha un volto solo chi soffre e aspetta la liberazione e la libertà…”.

VIOLENZE e ASSALTI quotidiani.

Il 6 agosto nel villaggio di Novake vicino a Prizren, le case di tre famiglie di rimpatriati sono state bruciate e completamente distrutte. Erano delle famiglie di Dejan Petkovi?, della famiglia di Dragomir Nikoli? e della famiglia del defunto Stanislav Nikoli?. Delle case sono rimasti solo i muri, i tetti sono stati completamente bruciati. I serbi che erano tornati dopo il conflitto erano 70, a causa delle violenze, delle minacce continue e dell'insicurezza quotidiana, ne erano rimasti quindici.

In luglio sono stati aggrediti e picchiati Mladen Djosic a Donja Brnjica vicino a Pristina. “…Un albanese ha aggredito ?oši? senza alcun motivo e gli ha rotto il naso, quando suo padre Donja ha cercato di proteggere suo figlio, la polizia lo ha arrestato, invece di arrestare l'aggressore. Sebbene le telecamere di sorveglianza abbiano registrato tutto l'accaduto e l'aggressore del serbo sia stato subito riconosciuto, la polizia lo ha fermato solo dopo ore… I serbi di questo villaggio sono indignati e intimiditi…", si legge in un comunicato stampa.

Il 12 agosto nel villaggio di Gornje Korminjane nel distretto di Pomoravlje, in Kosovo, due persone mascherate hanno fatto irruzione nella casa della famiglia serba di Nenad Jovanovic. Stando a quanto riportato dalla stampa, Jovanovic è stato aggredito e ferito. I due criminali hanno poi lasciato l'abitazione sparando alcuni colpi di arma da fuoco che non hanno provocato vittime, lasciando dei bossoli all'esterno dell'abitazione.

CHIUSURA violenta e sistematica delle istituzioni statali serbe nel Kosovo

La brutale irruzione e occupazione con chiusura delle filiali delle Poste della Serbia in Kosovo è la prosecuzione del piano di pulizia etnica del nord del Kosovo Metohija e di tutto ciò che ha radici serbe. L'azione è stata condotta in nove località del nord del Kosovo con la motivazione che sarebbero illegali, non registrati e senza licenza…dopo 25 anni di normale funzionamento! Questa ennesima azione provocatoria, viola anche gli accordi sanciti a Bruxelles nel 2015 sotto gli auspici dell'Unione europea, e quindi compromette l'intero dialogo i cui effetti vengono annullati, minando così la sua già scarsa autorevolezza e reputazione.

L'abolizione dei servizi postali dopo l'abolizione del dinaro rappresenta il colpo più duro al funzionamento delle istituzioni serbe e all'erogazione dei servizi ai cittadini in queste zone.

Proteste dei serbi per la proposta di apertura del PONTE sul fiume Ibar a
Kosovska Mitrovica, nel nord del Kosovo.

Tutti i partiti politici dei serbi del Kosovo condannano la proposta di apertura del ponte principale sull'Ibar al traffico, ritenendo che questa azione contribuirà ad un ulteriore allontanamento della popolazione serbo kosovara. Negli anni precedenti proprio in questo luogo sono avvenuti omicidi, scontri anche armati e incidenti. La popolazione serba ha paura di una ulteriore pulizia etnica e di una invasione della parte albanese.

Anche i continui attacchi e provocazioni contro la SRPSKA (Rep. Serba di Bosnia), sono parte del disegno di piegare la Serbia e minare la fratellanza del popolo serbo nei Balcani.

Cosa c'entra il ministro della Difesa della Bosnia-Erzegovina, Zukan Helez, con Valery Zaluzhny, attuale ambasciatore dell'Ucraina a Londra, ci sarebbe da chiedersi. C'èntra eccome ed è nodale. Helez dichiara che, per preservare la pace, sia necessario prepararsi sistematicamente alla guerra. Questo è quello che fa, e ancor di più ne parla, inviando messaggi minacciosi a un potenziale nemico la cui identità, in base alle opinioni politiche e ai messaggi del ministro, non è difficile da indovinare: i serbi di Bosnia. Helez, per convincere nel modo più convincente possibile i cittadini della Bosnia ed Erzegovina che non corrono alcun pericolo, non gli è bastato sottolineare la stretta collaborazione con l'EUFOR e la NATO, ma ha anche parlato in modo criptico con "alcune forze di certi paesi", che sono già disponibili e pronti ad agire, se necessario. Secondo quanto ha affermato, queste "certe forze di alcuni paesi" sono disponibili sulla base della sua attività di lobbying con quei paesi amici, su base bilaterale, e non sono subordinate all'EUFOR o alla NATO, ma ai propri comandi. Non ha voluto dire di più, ma già ha detto tanto. La parte serbo bosniaca ha chiesto se la Presidenza della Bosnia-Erzegovina ne sa qualcosa. Possono i cittadini della Bosnia-Erzegovina, soprattutto diverse centinaia di migliaia, essere calmi e pacifici, se vengono loro raccomandate "alcune forze di alcuni paesi" come fattore di protezione dalla posizione ufficiale dello stato bosniaco?

Non appena ha assunto l'incarico di ambasciatore ucraino in Gran Bretagna, l'ex comandante in capo delle forze armate ucraine, Valery Zaluzhny, l” ’amico” di Helez, si era affrettato a dare ai padroni di casa, all'Occidente e al mondo intero, soluzioni istruttive e generalmente valide dalla sua esperienza in tempo di guerra, che pervengono alla conclusione che, per raggiungere la pace bisogna passare attraverso la guerra, per la quale tutti gli stati democratici dovrebbero prepararsi. Ma egli sottoilinea che la cosa più difficile è preparare la società, cioè i cittadini, alle inevitabili privazioni: "…Forse la componente più difficile e importante è la preparazione della popolazione...Per il bene della propria sopravvivenza, la società deve accettare di rinunciare temporaneamente ad alcune libertà…”.

Anche, nel territorio dell'ex Jugoslavia, c’è un Zaluzhny locale, è il ministro della Difesa della Bosnia-Erzegovina Zukan Helez, con il fatto che in termini di protagonismo mediatico il generale-diplomatico ucraino per lui è quasi un principiante inesperto. Helez negli spettacoli televisivi indirizza sempre la conversazione sulla valutazione dell'esistenza di una reale minaccia alla pace in Bosnia ed Erzegovina, con riferimento alle intenzioni separatiste della Repubblica Srpska, con accenni a possibili divisioni, puntando le accuse su Milorad Dodik, il leader dei serbo bosniaci.

I cittadini della Bosnia-Erzegovina non devono preoccuparsi della sicurezza del loro paese poiché hanno un ministro della Difesa così influente e amico dello stratega ucraino Zaluzhny, definito “filo bosniaco” ?. Quando recentemente un plotone di cadetti serbi disarmati e anziani hanno sfilato per Prijedor in occasione della commemorazione della battaglia partigiana di Kozara, e si sono recati anche a Bratunac per deporre fiori alle vittime antifasciste di Podrinje, questa visita debitamente annunciata ha causato diverse reazioni isteriche nelle autorità bosniache, come se l’occupazione del territorio della Bosnia-Erzegovina fosse quasi in atto.

Secondo quanto ha affermato lo Zaluzhny bosniaco, quelle "certe forze di alcuni paesi" sono arrivate sulla base della sua attività di lobbying con quei paesi amici, su base bilaterale. Chi sono e quante sono? A cosa servono?

Quando si tratta della vicina Serbia, ad esempio, non ha permesso che gli elicotteri serbi del MUP contribuissero a spegnere gli incendi in Erzegovina, perché riteneva che ciò fosse "una mancanza di rispetto” per lo Stato della BiH e delle sue forze armate. Mentre, d'altro canto, informa tranquillamente l'opinione pubblica bosniaca che misteriose e operativamente capaci "forze di alcuni paesi amici" sono già di stanza sul territorio della stessa BiH...

Anche queste campagne allarmistiche e minacciose fanno parte di un progetto di indebolimento e isolamento della Serbia e del popolo serbo, ventilando scenari di guerra o invasioni esterne, additando i leader serbi attuali, votati dalla propria gente, come un pericolo per il mondo “libero e democratico”.

In questi scenari di fatti ed eventi non certo latori di orizzonti pacifici e conciliatori, in queste settimane è esplosa anche la questione LITIO ed il progetto di sfruttamento nella regione serba di Jardar. Una situazione complessa, delicata e che potrebbe essere disarticolante, ma certamente è duramente controversa all’interno degli scenari sociali e politici serbi. Ma di questo tratterò in un prossimo lavoro.

Per chi osserva e conosce dall’interno il paese balcanico, il suo popolo e la sua società, sono ormai delineate chiaramente le direttrici concrete su cui si realizza il progetto destabilizzatore occidentale. QUESTA è la situazione e le problematiche che assediano il governo ed il popolo serbo, e non sono di poco conto per un paese e uno stato. Anche perché hanno come obiettivo finale strategico, sferrare il colpo fatale e portare alla soluzione finale la questione Serbia “indipendente e sovrana”.


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